Indimenticabili vacanze in Sicilia, tra bellezza e leggenda
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Siamo in pieno agosto. Non passa giorno in cui i caldi raggi solari non mi invitino a prendere telo ed ombrellone e fuggire in spiaggia. Come ogni anno, trascorro la stagione più calda lontana dalla città di Palermo e dal suo caos. Trabia mi aiuta sempre a disintossicarmi dal torpore e grigiore dell’inverno. Come da tradizione, i cari cugini milanesi hanno già piacevolmente “invaso” la nostra villetta.
Manca il pane. Convinco Valerio, uno di loro, a farmi compagnia per andare a comperarne un po’. Si scende. Durante il tragitto, parliamo del più e del meno. Io amo il mare di Sciacca e di Cefalù, Valerio adora le Madonie e il Parco dell’Etna. A me piace guidare le auto, a lui le moto. Ad entrambi interessano i castelli. Così, di comune e spontaneo accordo, decidiamo di organizzare una piccola gita fuori porta, in macchina. Destinazione: Aci Castello.
Alla scoperta di Aci Castello (e non solo)
Anche Milena, un’altra cugina, condivide la passione per i castelli e decide di prendere parte alla nostra “spedizione”. Come stabilito, ci alziamo presto e partiamo da Trabia verso le 8 del mattino. La A19, autostrada che collega le città di Palermo e Catania, piace ad entrambe, perché priva di pedaggio. Ma soprattutto piace a Valerio, per i paesaggi che fanno da sfondo a tutto il tragitto. In circa 190 Km, si attraversa la Sicilia centrale, passando per Caltanissetta, Enna e tanti paesini di provincia. Io e Milena preferiamo, però, il paesaggio della Palermo-Messina perché da lì si possono intravedere le meravigliose Isole Eolie.
Preferenze autostradali a parte, in circa due ore arriviamo a destinazione. Riscontriamo qualche difficoltà nel parcheggio, ma nulla di insuperabile. Sarà una lunga giornata. Iniziamo ad incamminarci e in lontananza vediamo il Castello, simbolo di Aci Castello. Più precisamente, scopriamo che è il primo centro della riviera dei Ciclopi, così chiamata per gli scogli che emergono dal mare e che sembrano gettati da un gigante. Secondo la leggenda, a gettarli fu proprio Polifemo, nel (vano) tentativo di colpire Ulisse.
Quanto amo le leggende! Nessuno me lo toglierà dalla testa: secondo me, in ogni leggenda c’è sempre un fondo di verità. Arriviamo all’ingresso del Castello tanto desiderato. Acquistando i biglietti (in tre non arriviamo neanche a 10 euro), riceviamo un piccolo pieghevole con immagini rappresentative del posto e leggiamo che il piccolo centro è rimasto “vittima” di terremoti e cataclismi simili (in particolare, intorno al 1100 e 1600). Gli abitanti corsero al riparo in località vicine, che a loro volta si svilupparono come centri autonomi ed oggi riconoscibili dal prefisso Aci (sicuramente avrete sentito parlare di Acireale o Acitrezza).
Il Castello e la semplicità di Aci Castello
Prima di addentrarci nel Castello normanno del piccolo gioiello siciliano, ci guardiamo intorno e restiamo incantati alla vista del mare cristallino, delle isole ed i faraglioni di origine vulcanica. La bellezza e la semplicità di Aci Castello mi prendono sempre di più. Non a caso questo paesaggio arricchito da limoni, agave e palme è uno degli angoli della Sicilia più ritratti dagli artisti, pertanto più celebri all’estero.
Milena, dalla leggendaria vena ironica ha esclamato “Aci Castello, dai che mi piAci!”. Ma torniamo al nostro Castello. Chiudete gli occhi ed immaginate un castello risalente al Medioevo che, spartano e massiccio, sovrasta il mare minaccioso. La sua struttura fu costruita su una roccia emersa durante antiche eruzioni vulcaniche dell’Etna (il nostro maestoso Vulcano ritorna, per la gioia di Valerio) e, nonostante assalti ed eruzioni successive, si è ben conservata. Siamo quindi saliti sul simbolo di Aci Castello. Riaprendo gli occhi, scopriamo un piccolo angolo “botanico” curato, ma il terrazzo ci chiama. Usciamo allo scoperto senza esitazione. Il panorama è servito.