Granita e Medioevo: un giorno a Catania
È un pigro venerdì sera. Io e il mio fidanzato abbiamo cenato svogliatamente e ci stiamo bevendo l’ultimo bicchiere di vino. Nei nostri occhi si legge la noia di un weekend anonimo.
“Ci vorrebbe proprio una toccata e fuga da qualche parte”, mi dice lui. È un po’ un vizio: di tanto in tanto ci prende il matto e diciamo “Stasera ceniamo a Parigi!” “Domattina facciamo colazione ad Atene!”, prendiamo lo zainetto, andiamo e torniamo. Così, senza pensarci troppo, voli low cost permettendo. A quelle parole ci guardiamo: come due cowboys a duello, sfoderiamo i cellulari con gesti veloci e letali, cliccando sull’app di una nota compagnia di voli low-cost. Va bene, facciamolo.
“Ti andrebbe una bella granita siciliana al caffè, oppure uno spaghettino allo scoglio?” dico io, che ho già adocchiato qualcosa.
“Certo che mi andrebbe”. È quasi mezzanotte. lo guardo: sono serissima.
“C’è un volo per Catania a 4 euro tra 6 ore. Il ritorno è sempre a 4 euro, domenica mattina”. La sua reazione mi ricorda perché ci sto assieme. Non fa domande, non rimugina sul fatto che è solo una notte, non si chiede se questa organizzazione sia un po’ troppo last-minute. Si tira semplicemente su dal divano, e apre l’armadio: “Dai, un paio di calzini, spazzolino, e mettiamoci a letto, che sennò partiamo già stanchi.” Prendo i biglietti, faccio il check-in on line, cerco un b&b a poco prezzo. La fortuna è dalla mia, questa scampagnata catanese s’ha da fare: trovo una stanza a 25 euro, proprio davanti al castello medievale di Federico II. Meglio di così!
Il risveglio alle 4 è traumatico, e ci costringiamo a non fare colazione in un atto di masochismo: ma secondo la tabella di marcia improvvisata, alle 7.45 saremo a Catania e colazione vogliamo farla con la granita, a tutti i costi. Alle 5.25 siamo a Fiumicino, il bus navetta ci lascia a un milione di km dal terminal giusto, ma per pochi spiccioli non potevamo certo pretendere la limousine privata.
Il trabiccolo blu e giallo che decolla ci fa un regalo immenso: ci mette soli 45 minuti ad atterrare a Catania Fontanarossa, facendoci toccare il suolo siculo con 20 minuti di anticipo. Scrutando fuori dal finestrino, sveglio Matteo (che sta accusando la levataccia più di me) con una gomitata da guerriero vichingo: “Guarda!” Il benvenuto della Sicilia è splendido: sopra un mare di nuvole, l’Etna fuma appena e svetta sopra la coltre bianca creando uno scenario da film di fantascienza. Il sole è già alto. In 10 minuti il bus ci porta in centro. Voilà, eccoci seduti di fronte al Duomo di Sant’Agata, con la nostra granita e le brioches appena sfornate: buongiorno, Catania!
La colazione ci rigenera e l’entusiasmo ci sveglia ormai completamente. Da quel momento, è tutto un susseguirsi di scoperte: la passeggiata per via Etnea, coi suoi palazzi dall’intonaco scuro e le fattezze siculo-ispaniche, che ricordano il siglo de oro dei Viceré e di Filippo IV, la statua del Liotru, ossia l’elefante simbolo di Catania e la leggenda di Eliodoro, e naturalmente la caciara animata del mercato del pesce. Matteo sembra al parco giochi. È un Veneto purosangue, ma dal temperamento atipico: lui a sud ci sta proprio bene, e mi tira energico per la mano, attaccando bottone coi catanesi del mercato, chiedendo che tipo di pesce è stato pescato, facendosi regalare assaggini qua e là e chiacchierando come una pettegola di paese sulle piccole rivalità tra le diverse bancarelle. Usciamo da quel labirinto di pesci spada e calamari dopo più d’un’ora, coi cappotti che sanno di aria umida e aria salmastra.
S’è fatta ora di pranzo, e il nostro stomaco reclama una sola cosa: arancini! Se io sono l’addetta ai percorsi storico-artistici, Matteo è l’addetto enogastronomico. Trova una tavernaccia dalle sedie spaiate e il profumo di cucina casalinga proprio a due passi dal mercato. Ci accoglie un ragazzino imberbe con lo sguardo malandrino dei siciliani, e dalla cucina una signora davvero verace scalpita con gli zoccoletti intenta a cucinare. Alle pareti, pupi siciliani e foto di bisnonni ai fornelli. Abbiamo trovato la nostra locanda ideale!
Castello Ursino
Rifocillati dal Nero d’Avola e dalla rotondità degli arancini, ci ributtiamo in strada. Vagabondando senza particolare attenzione, in pochi minuti eccoci al Castello Ursino, simbolo della città e della sua storia fitta di eventi e grandi imprese: Matteo ha pazienza. io sono una medievista incallita e lui sa che il mio cuore lo deve condividere con Federico II di Svevia, lo Stupor Mundi, il Puer Apuliae, l’irriverente imperatore scomunicato ben 3 volte che fece della Sicilia la Capitale del Sacro Romano Impero: un illustre farabutto, insomma!
Il Castello è bello da mozzare il fiato. Tra i bastioni del 1239, è scolpita sopra l’ingresso l’aquila degli Hohenstaufen (il casato di Federico) che ci dà il benvenuto al suo interno. Saloni gotici, volte a crociera, e una collezione archeologica di tutto rispetto impreziosiscono gli ambienti austeri edificati dall’Imperatore, ma è al piano superiore che trovo uno dei capolavori più belli della collezione: il dipinto del siciliano Rapisardi, a metà dell’800, dei Vespri Siciliani. Rimaniamo a fissarlo come bambini di fronte alle giostre in azione. non è l’unico capolavoro presente, ma è di sicuro il più rappresentativo del tumultuoso temperamento siculo.
Usciti dal castello, finalmente raggiungiamo il nostro alloggio, che sta proprio di fronte ai bastioni: ancora non ci crediamo, di aver trovato in quattro e quattr’otto una stanza in questa posizione. La deliziosa donnina al check-in ci dà una chiave e noi ci rimettiamo in sesto: si sta facendo sera, e vogliamo essere in forma per la nostra unica sera catanese.
Passeggiamo in salita fino alle rovine del Teatro Greco, mentre la città si ammanta di notte e le luci si accendono. Matteo ha trovato un’enoteca deliziosa, con qualche coperto appena, gestita da due giovanotti davvero simpatici: è quasi mezzanotte, quando li salutiamo, dopo aver bevuto un sacco di vini diversi e aver assaggiato un sacco di prodotti locali, con tanto di spiegazione e abbinamenti suggeriti.
la mattina dopo, è dura lasciare una Catania ancora sonnolenta, di domenica mattina. Un sole timido ci guida fino alla navetta per l’aeroporto e siamo a Roma in tempo per il pranzo. La Sicilia ha un grande potere: dilata il tempo, e ci sembra di esser stati via una settimana. Il caos della Capitale ci riporta bruscamente alla realtà. Noi giriamo la chiave nella toppa di casa, e ci sorridiamo: lo rifaremo, altroché se lo rifaremo!