In giro per Citta del Messico, il Chiapas e la Riviera Maya
Innanzitutto, vado a elencare per punti quelli che erano i miei crucci principali e come si sono risolti.
Il caldo: ecco, ormai ne sono convinta, gli autori delle guide di viaggio che mettono in guardia dal caldo eccessivo (non solo in Messico, ho avuto la stessa esperienza in Giappone) sono tutti nord-europei (o nord-americani, in ogni caso nord-qualcosa). Chiunque sia sopravvissuto al caldo agostano di una qualsiasi delle nostre città, supererà alla grande il caldo messicano ad agosto. Niente di drammatico insomma, anzi.
Le zanzare: non so se siamo stati particolarmente fortunati, ma a eccezione di Tulum, non abbiamo avuto problemi. E comunque anche lì è bastato un normale autan. Insomma, anche in questo caso posso dire di aver trovato molte più zanzare sui navigli a Milano.
La pioggia: anche in questo, siamo stati fortunati. In 12/13 giorni di vacanza ne abbiamo vista relativamente poca, solo 3 o 4 volte, e non è mai durata più di un’ora.
La dissenteria: è bastata qualche accortezza, specie i primi giorni, e non abbiamo avuto nessun problema, se non qualche episodio lieve e sporadico.
Il periodo del nostro viaggio era dal 19 al 31 agosto e come abbiamo scoperto in seguito, se scegliete di visitare il Messico in estate, questo è uno dei periodi migliori per quanto riguarda la folla sui luoghi di interesse. Dalla terza settimana di agosto, infatti, ricominciano le scuole per cui si chiude la stagione del turismo locale, il ché significa meno gente sulle spiagge, nei cenotes e alle varie rovine maya.
A proposito di queste ultime, noi non abbiamo visto moltissime rovine Maya perché né il mio compagno né mio figlio erano particolarmente entusiasti della cosa, quindi ci siamo limitati a un paio di siti.
Ma andiamo per ordine.
Partenza da Amsterdam con KLM, che si è rivelata la miglior compagnia con cui abbia viaggiato, ai livelli di Emirates. Il volo A/R per città del Messico è costato sui 560 euro a persona.
Arriviamo a Città del Messico nel pomeriggio e ci organizziamo per raggiungere il centro della città.
Sulla guida avevo letto che la metro è economica ed efficiente, ma siamo provati dal viaggio e dal fuso, specialmente nostro figlio, e optiamo per il taxi (che alla luce delle future esperienze con la metropolitana, consigliamo vivamente). Appena fuori dagli Arrivi troverete una fila di chioschetti di società di taxi. Fatevi fare un preventivo prima di prendere il primo che capita. Noi abbiamo usato Sitio 300 che con 215 pesos (12 euro) ci ha portato nella zona dello Zocalo.
Il nostro hotel è il Best Western Majestic, con affaccio proprio sulla grande piazza. È un edificio storico, un vecchio hotel anni ’30, che è rimasto fermo a quegli anni, in cui doveva risultare anche molto fastoso probabilmente, faceva un po’ “Grand Budapest Hotel” nel periodo decadente per capirci.
Ha un suo fascino decadente, con l’ascensorista in divisa e la hall molto folkloristica, diciamo così, ma le stanze sono vecchie, acqua calda e fredda escono da due rubinetti separati, la moquette non è il massimo.
In ogni caso la posizione è comoda per il centro storico e io l’ho trovato un bel modo per immergersi subito nell’atmosfera messicana.
La mattina dopo ci svegliamo prestissimo e aspettiamo che sorga il sole.
Il clima è freschino, pantaloni, scarpe chiuse e felpa, perché siamo comunque oltre i 2000mt di altezza. Dopo la colazione (che non abbiamo fatto in hotel, perché era molto cara, come quasi sempre le colazioni nei grandi hotel messicani) iniziamo il nostro giro. Subito ci colpisce l’alta presenza di poliziotti in assetto antisommossa (con tanto di giubbino antiproiettile) praticamente a ogni angolo. Non è che la cosa ti metta proprio a tuo agio, stai lì a pensare “ma è proprio necessario?”. Poi in effetti leggendo abbiamo scoperto che il centro storco è considerata una delle zone meno sicure, infatti appena esci dalle strade principali l’atmosfera si fa subito poco piacevole. Per carità, a noi non è successo nulla e siamo stati attenti a non mostrare nulla di valore, parlo proprio della sensazione che provi camminando al di fuori di certi giro turistici. Visitiamo il palazzo degli azulejos, il palazzo di belle arti e quindi prendiamo la metro per il museo di antropologia. La metro è un po’ faticosa, specie se viaggiate con bambini, in caso di passeggini poi non voglio pensarci. Donne e bambini in teoria viaggiano in un vagone a parte ma noi non riusciamo ad arrivarci, quindi aspettiamo il treno nella zona per tutti, siamo gli unici turisti. Ci sono poliziotti armati in ogni vagone, si sta tutti ammassati e bisogna essere rapidissimi a uscire perché le fermate durano pochissimo, infatti la gente spinge e strattona.
Se la sera prima avessimo scelto questa opzione sarebbe stata davvero una bruttissima prima impressione della città.
Il museo di antropologia è interessante e non è uno di quei musei mastodontici da cui esci rintontito, ha una dimensione umana ed è piacevole. Si trova in un grande parco pieno di scoiattoli.
Subito dopo entriamo nel vicino museo di arte contemporanea. Molto carino e ben curato. Ne approfittiamo per far giocare il pupo grazie a una delle istallazioni, che in teoria era un’opera interattiva fatta di cubi di legno con cui i visitatori potevano costruire la loro città ideale, di fatto si rivela una balle ludoteca per il nostro piccolo :D.
Andiamo quindi a pranzo nel ristorante del museo (molto caro per gli standard messicani, ma buonissimo).
Non volendo riprendere la metro cerchiamo un “sitio de taxi”, non è vicinissimo e per arrivarci facciamo una passeggiata in una delle zone ricche della città con i palazzi protetti dalla sicurezza armata, chiedendo informazioni in continuazione.
Torniamo in centro e visitiamo da fuori il templo major e la cattedrale in piazza.
Il primo niente di che, la seconda interessante. In realtà nell’arco della giornata entriamo in diverse chiese barocche. Il tratto che ne accomuna molte è il fatto di essere tutte storte (città del messico è costruita sul letto di un lago e non è stabile, quindi molti edifici storici sono visibilmente inclinati), questo le fa sembrare delle scenografie di un film horror visionario, davvero affascinanti.
Ancora due passi in giro, un po’ di frutta da mangiare, un po’ di shopping in una vecchia cartoleria piena di pezzi vintage (loro malgrado, nel senso che dal punto di vista del cartolaio erano nuovi, ma stavano lì chiaramente dagli anni ‘70 almeno) e poi a dormire.
Il secondo giorno visitiamo il palazzo nacional e gli imponenti murales di Diego Rivera (assolutamente da non perdere). Portate con voi i documenti perché sono necessari per entrare nel palacio. Non si paga biglietto e non ci sono indicazioni, pochissime, per cui vi muovete voi in questo luogo delle istituzioni. Torniamo in hotel e ci facciamo chiamare un taxi per l’aeroporto. Una nota sui taxi: ne esistono di tre tipi, i sitio, quelli degli hotel e quelli che si chiamano per strada. Ai turisti sono consigliati solo i primi due, gli ultimi sono più economici ma a quanto pare espongono al pericolo di rapine. In ogni caso anche i sitio e gli hotel taxui li abbiamo trovati economici. Il nostro volo per Tuxtla è con Interjet, prenotato dall’Italia.
Il volo è in ritardo, ma per il resto la compagnia non è male, economica (80 euro a testa), aereo confortevole.
A tuxtla prendiamo l’auto presa su economycarrentarls.com, l’unico sito che mi calcolava nel prezzo anche la riconsegna a Cancun.
L’auto è vecchissima, malmessa e ce la danno addirittura in riserva, per cui se potete evitate la Hertz di Tuxtla (quella di Cancun, dove abbiamo riconsegnato, era molto molto meglio).
Una parentesi: avevo valutato anche l’opzione autobus, ma era troppo vincolante e scomoda per noi. Alla fine non risparmiavamo neppure così tanto e prendere i bus ti costringe a dormire sempre nei posti vicino alla fermata, che sono più cari e affollati. Inoltre non ti dà la possibilità di improvvisare, farsi guidare dal momento.
In un viaggio on the road la macchina diventa una specie di seconda casa e siamo stati decisamente soddisfatti della nostra scelta, le strade messicane sono in buono stato (non perfette, ma meglio di come le immaginavo) e non abbiamo avuto nessunissimo problema.
L’unica cosa la benzina: anche sulle strade principali i benzinai si trovano solo e tutti raggruppati in prossimità dei centri abitati, mentre se non ci sono cittadine rischiate di fare tantissimi chilometri senza incontrarne nemmeno uno.
La prima tappa in Chiapas per noi è San Cristobal de la Casas, bellissima cittadina coloniale piena di storia. Chiaramente alla Hertz di Tuxtla avevano finito anche i navigatori, ti pareva… Per fortuna ero stata previdente e avevo stampato il percorso, anche se una volta in città abbiamo comunque dovuto chiedere informazioni. Le donne sono più restie a rispondere ai turisti qui, in caso rivolgetevi agli uomini.
L’hotel è il Parador Margarita, molto molto carino, buona la colazione, gentili alla reception. Lo consiglio, ma solo se viaggiate d’estate, perché pare che non ci siano i riscaldamenti e San Cristobal è in mezzo alle montagne.
La mattina alle 9 viene a prenderci la nostra guida Jeorge (prenotata dall’Italia tramite Karmatrails) che ci porterà a San Juan Chamula e Zinnacantan, due comunità di indios maya.
La gita a San Juan Chamula è una delle cose più belle e interessanti del viaggio, per me, quindi vi consiglio vivamente di andarci. Non si possono fare foto, per convincerci dell’importanza di questa regola la guida ci mostra anche la prigione locale. Una specie di gogna pubblica con la grata di ferro che dà direttamente sul marciapiede. Quando passiamo c’è un poveraccio chiuso lì dentro, senza cibo, senza nemmeno una latrina, con le braccia appoggiate alle sbarre.
In pratica la comunità di indios ha leggi proprie, che prevedono tre giorni di prigione appena ti prendono, che tu sia indios o turista, indipendentemente dal reato, poi c’è il processo. Morale della favola: non fare foto. Il piccolo tribunale è lì a pochi metri, sulla piazza.
Visitiamo quindi la chiesetta, che in realtà è un tempio, non c’è nessuno che officia la messa e non ci sono panche. Siamo fortunati, gli abitanti stanno preparando i vestiti di uno dei loro santi di cui si celebrerà a pochi giorni la festa e sono tutti lì riuniti. Gli uomini cantano e stirano, le donne cuciono. C’è un’atmosfera magica, il pavimento è interamente ricoperto di aghi di pino, e l’unica luce è quella delle candele (oltre a quella naturale che trapela dalle finestre), qui e lì c’è qualche gruppetto di persone riunito intorno a un curanedero che fa qualche rituale. Assistiamo anche a un esorcismo con una gallina alla quale viene poi spezzato il collo. Ci offrono il posh, una specie di grappa usata nei loro rituali e che non ci si può rifiutare (e chi voleva rifiutare, poi?), felici nel vedere che apprezziamo ce ne offrono ancora… La cosa triste è notare il consumo smodato di cocacola, che è ormai entrata anche nei loro rituali, il rutto infatti è considerato pulente da un punto di vista energetico e ingurgitano un sacco di bibite per procurarseli. Come turisti ci siamo solo noi, poi arriva un altri gruppetto di 4 persone, stop.
Zinnacantan è un’altra comunità di indios, ma meno affascinate, sono infatti quelli che sono scesi per primi a patti con gli spagnoli (mentre gli indios di chamula sono famosi per la loro resistenza) e infatti molte tradizioni sono eccessivamente ibridate con il cattolicesimo, anche la chiesa è una vera chiesa, senza un briciolo della di quella di chamula. Però visitiamo un posto in cui lavora un gruppo di donne del luogo con il telaio, lì ci fanno provare le migliori tortillas (fatte a mano) di tutto il viaggio. Tornati in città facciamo un giro del mercato di san cristobal (bellissimo), andiamo al museo degli insetti gestito da un signore molto sopra le righe e appassionato, poi sul momento decidiamo di vedere uno spettacolo di teatro ispirato alla storia di Pakal, il personaggio storico più importante di Palenque. Carino, ma non imperdibile.
La mattina dopo, su consiglio di Jeorge, partiamo alle 6,30. Ci aspetta una lunga giornata. La destinazione è Palenque, ma sul percorso abbiamo deciso di fermarci anche a Toninà e Aqua Azul. Pieno di benzina e via. La strada è piena di curve e topas (i dossi sull’asfalto in prossimità dei villaggi) e quindi si procede lentamente, ci sono anche un sacco di camion e le camionette che svolgono il servizio di trasporto pubblico per i locali. Anche se sono solo 200 chilometri contate almeno 5 ore di viaggio. Ma il percorso scorre, è molto bello, passa in mezzo alla selva e attraversa numerosi villaggi. Occhio ai polli che bazzicano a bordo strada. Arrivati a Ocosinco, circa a metà percorso, prendiamo la deviazione per Toninà.
Toninà è un sito archeologico aperto al pubblico da relativamente poco tempo, per cui non ci sono quasi turisti, nonostante la città fosse la principale rivale di Palenque, quindi un sito di una certa importanza. Inoltre c’è ancora tanto da scavare, ma essendo nel pieno del terrorio Zapatista il governo non stanzia i fondi necessari.
Quando arriviamo ci siamo noi, la guida (assoldata lì fuori) e l’arecheologo che ancora sta lì a ragionare: atmosfera pazzesca!
Una parentesi sulla guida: si chiama Manuel Navarro, se andate lì chiedete di lui, sin da ragazzino ha partecipato agli scavi e conosce il sito benissimo, per 200 pesos (11 euro) ci fa da guida per 2 ore. Chiacchiera un sacco, ma il suo spagnolo è comprensibile persino per noi che ne siamo proprio crudi.
È la piramide più alta di tutta la mesoamerica, nel mezzo della selva, e il fatto di esserci solo noi rende la scalata più magica. (Portate acqua e cappellini.) Dalla cima la vista è mozzafiato, ma parte più bella della visita è quando entriamo nel labirinto dello sciamano, totalmente buio, ma poi l’occhio si abitua, e c’è un’energia incredibile. Verso l’una ci rimettiamo in macchina direzione Aqua Azul. È una buona giornata per visitare le cascate, l’acqua è del colore turchese che si vede nelle foto, peccato solo per la gente… è sabato, quindi in questo caso becchiamo anche il turismo locale e non è poco. In ogni caso un bel bagno rinfrescante ci sta tutto. Io l’ho fatto tenendo addosso la maglietta. Nessuna delle messicane presenti era in costume, facevano tutte il bagno vestite e mi sentivo a disagio, quindi ho fatto come loro e ho tenuto su almeno la maglietta. Nel caso andateci almeno con un costume intero.
Un appunto se viaggiate con bambini piccoli che non sanno ancora nuotare: portatevi i braccioli dall’Italia. A eccezione di Cancun e dintorni, non troverete niente di simile nel resto del Messico. Verso le 5 smontiamo in direzione Palenque. Abbiamo ancora almeno un’altra ora di viaggio e non vogliamo viaggiare col buio (sconsigliato da tutti, specie in queste strade che attraversano la selva e in cui non prende il cellulare, e tenete presente che anche ad agosto verso le 7/7,30 fa buio). Ancora una volta siamo sempre senza navigatore e dobbiamo chiedere informazioni, ma per fortuna tutti gli alberghi qui sono nella stessa strada quindi non abbiamo troppe difficoltà.
Inoltre nel frattempo avevo comprato una cartina stradale, molto utile per gli spostamenti e per orientarvi sulle distanze, vi consiglio di procurarvene una se come noi siete sprovvisti di navigatore. L’hotel è il Chablis, molto carino, bella la piscina, niente da ridire. Arriviamo affamati (avevamo finito i contanti e per tutto il giorno non abbiamo mangiato altro che banane, visto che un casco te lo vendono all’equivalente di 50 centesimi di euro), ma nella zona hotelera a quanto pare non c’è bancomat, l’idea di andare in città non ci entusiasma, prevale la stanchezza e mangiamo l’ultima banana della giornata.
Quando ci svegliamo decidiamo di cambiare i nostri programmi. Dopo la visita al sito di palenque prevedevamo di andare a Campeche, poi Mérida e poi Tulum. Invece, visto il caldo e la voglia di natura optiamo per rinunciare alle due cittadine e ci dirigiamo alla laguna Bacalar, al confine con il Belize. Con l’aiuto della receptionist dell’albergo prenotiamo una capanna in un ecovillaggio (che si rivelerà spettacolare) e usciamo. Prima fermata, un supermercato per fare colazione e prendere qualche altra provvista.
Poi le rovine, che questa volta decidiamo di vedere senza guida viste tutte le informazioni sui Maya che ci aveva dato la guida di Toninà.
Inoltre a Palenque davanti a ogni edificio c’è un cartello di spiegazioni in spagnolo e inglese, quindi è assolutamente fattibile anche senza guida. Il paesaggio è molto diverso, siamo nel folto della giungla, diverso dalle montagne di Toninà. Lì gli avvoltoi che planavano, qui le scimmie urlatrici che sonnecchiano sugli alberi. Pur nella maestosità del luogo, la presenza di tanti turisti rende il tutto meno speciale, ma nonostante questo ne vale davvero la pena. Lasciate le rovine inizia il lungo viaggio verso Bacalar, all’incirca di 6 ore.
Le strade sono lunghe e drittissime, attraversiamo infatti le pianure del campeche. A un certo punto si attraversa Escarcega, una cittadina di strade sterrate, per cui passerete dalla superstrada a uno sterrato costeggiato di case e baracche. Niente paura, seguite i (pochi) segnali e vi ritroverete sulla strada principale. I cieli qui sono vastissimi, la pianura è sconfinata e disseminata di Ranchos.
Siamo affamati e approfittiamo di un piccolo centro abitato (e per centro abitato intendo una strada sterrata di 50 metri con edifici a un solo piano su entrambi i lati, ma ormai la dissenteria non ci fa più paura). Ci infialiamo in una cocina economica, praticamente ristorante di fronte e casa dietro, tanto che per andare al bagno entro proprio nella casa dei ristoratori.
Non c’è un menu, il piatto principale del giorno è uno: brodo di pollo! E ci sono forse 35 gradi all’ombra! ma ci adattiamo agli usi locali e non ce ne pentiamo. D’altronde i polli qui bazzicano liberi come cagnolini di fronte alle case e il sapore è tutta un’altra storia.
Rifocillati ci rimettiamo in macchina. Arriviamo a bacalar con il buio, raggiungere le cabanas non è semplice, si entra dal km 27 della chetumal-cancun e poi si attraversa un lungo pezzo di sterrato, sarebbe stato meglio arrivare col giorno, ma tant’è. La capanna è molto spartana, con il bagno a secco e all’esterno. Mi spiego, il bagno è privato, ma è all’esterno, coperto da tetto di paglia e riparato alla vista da un muretto, stop. Arrivare dalle normali comodità è uno shock ma ci si abitua subito e dopo sole due notti ho dovuto affrontare lo shock al contrario, quello di tornare nella civiltà, che è stato ben peggiore. Il posto è fantastico, abbiamo una palapas (una specie di palafitta) sull’acqua, che è il paradiso in terra. La laguna bacalar è appunto una laguna, quindi di acqua dolce, ma è così trasparente e così ricca di fauna che lo snorkeling è super. L’acqua poi è tiepida, la struttura mette anche a disposizione della canoe e non si vede anima viva oltre a noi. è detta anche laguna dei sette colori e se capitate lì nelle giornate giuste capirete perché.
Al mio compagno viene voglia di pescare e andiamo al pueblo (il villaggio), ma è un buco nell’acqua, il villagggio è minuscolo e non vendono nulla, ne approfittiamo solo per pranzare. Una parentesi: se decidete di andare alla laguna bacalar non prendete uno degli alberghetti accanto al paese, li abbiamo visti coi nostri occhi, lì laguna è molto meno bella. Tornati alla cabans chiediamo se per caso abbiano una canna da pesca e ce ne costruiscono una con un bastone e un bullone. Geniale! Peschiamo e liberiamo un po’ di pesci. Non ce la sentiamo di mangiarli, inoltre nostro figlio si affeziona a un piccolo pesce gatto al punto da dargli un nome (Matteo) e da piangere quindi lo liberiamo. Mangiarlo non era un’opzione. Dopo questo relax in paradiso, decidiamo di fermarci due notti invece di una com’era in programma.
Alla mattina del terzo giorno, a malincuore ripartiamo alla volta di Tulum. Qui avevo già prenotato in un resort molto bello, ma con una nota terribilmente stonata: sembra un villaggio italiano. È gestito da italiani ed è pieno di italiani che si fanno lì tutta la settimana con tanto di animazioni in italiano, un incubo per chi va così lontano proprio per vivere un’atmosfera diversa. Il buono però è che la spiaggia è un incanto e ci dimentichiamo presto del contesto. Sulla spiaggia è pieno di spazietti recintati: sono nidi di tartarughe marine che qui vengono di notte a deporre uova e se si è fortunati si può assistere anche alla schiusa delle uova. Questo è tra l’altro il motivo per il quale al tramonto la spiaggia resta totalmente al buio, eventuali lampioni o luci a bordo piscina infatti potrebbero disorientare i cuccioli di tartaruga. Proprio di fronte all’hotel c’è una barriera corallina raggiungibile a nuoto e abbiamo visto di tutto, addirittura una tartaruga proprio vicino alla riva. E poi aragoste, pesci di ogni sorta, spettacolare (è il motivo per cui avevo scelto questo hotel tra l’altro). Prenotiamo dal chioschetto sulla spiaggia dell’hotel un tour che si rivelerà una gran fregatura. Molto caro per gli standard del posto, è un tour che comprende la baia di aketumal e un cenote nel parco del cenote dos hojos, ma costa uno sproposito per quello che offre (60 euro a testa).
Il signore del chioschetto ci accompagna al punto di incontro con la guida, un ragazzotto poco loquace che non ci dice nulla di nulla di quello che facciamo o vediamo. La baia è famosa per la presenza delle tartarughe e ci porta lì a fare una (purtroppo) molto breve e veloce nuotata tra questi bellissimi e paciosissimi animali. Inoltre la spiaggia e il mare sono affollatissimi, c’è un sacco di confusione, sembra un mercato, per niente piacevole. In ogni caso se volete andarci fate da soli, non serve una guida (specie come la nostra) e nemmeno tutta quella attrezzatura che provano a noleggiarti. Boccaglio e maschera sono tutto quello che serve, anche perché le tartarughe sono davvero vicine alla riva.
È tutta una corsa, quasi non ci prendiamo parte. Ci spostiamo quindi nel parco dei cenote, ma non vediamo il famoso dos hojos. Questa che potrebbe sembrare una fregatura è in realtà l’unica cosa buona del tour. Nuotiamo in un cenotes non aperto al pubblico, la guida va a casa di un signore e se lo fa aprire e ci siamo solo noi. Un vero spettacolo, pieno di pipistrelli e pesciolini. Ci tuffiamo in un’acqua così leggera e pura come non l’avevamo mai vista, le grotte illuminate e profonde ti tolgono il fiato e l’acqua fredda è rigenerante, superato lo shock iniziale. In tutte queste avventure nostro figlio ci segue con un misto di pazienza, entusiasmo e timore.
Anche in questo caso, nonostante le domande che gli facevamo, la guida non ci ha detto nulla sui cenote, evidentemente non ne sapeva niente. Non era una guida certificata ecco, era solo un ragazzo della zona. Di base ha avuto due utilità: farci vedere un cenote spettacolare da soli e portarsi nostro figlio a nuoto sulle spalle tutto il tempo 😀
Torniamo in hotel, altra nuotata in spiaggia, cocco fresco, cena e nanna.
Restiamo a Tulum due notti e poi ci spostiamo a Cancun, prima del rientro a Città del Messico. Cancun è bruttina, val bene solo come base per l’aeroporto, per il resto di messicano non c’è nulla. Solo grattacieli e albergoni.
A Cancun dormiamo in un hotel ai margini della zona hotelera, proprio uno dei primi hotel che si incontrano venendo dall’aeroporto e di questa scelta sono stata molto contenta. Siamo lontani dal frastuono e della vita notturna, affacciamo su una placida laguna e l’hotel è molto bello (The Westin Spa e Resort, purtroppo abbiamo solo il letto, senza pasti).
Per sfuggire da Cancun e ritrovare un’atmosfera più autenticamente messicana la sera ce ne andiamo a Porto Morelos, a 20 minuti più a Sud. Questa cittadina di pescatori (al porticcolo li vedi fare sempre su e giù con le reti, anche di sera) è rimasta preservata dagli investimenti degli americani grazie alla palude di mangrovie che la circonda, quindi qui finalmente ti senti di nuovo in messico. La piazza è piena di gente, mangiamo un po’ di pan dulce per cena e ci facciamo due passi lì sul lungo mare, è tranquillo e non ci sono quasi turisti. Molto carino.
La mattina dopo da Cancun parte quella che doveva essere la punta di diamante della vacanza e che invece si rivela l’esperienza più spiacevole… Avevo prenotato dall’Italia con Mexico Eco colors il tour per nuotare con gli squali balena. La mattina già si vede che il mare è mosso, ma la gita non è rimandata, mi avvisano. E quindi andiamo (vi ricordo sempre che c’era anche un bimbo di 4 anni), ci fidiamo.
Sul parabrezza della macchina che ci porta al porto compare anche qualche goccia di pioggia, chiedo alla ragazza se è tutto ok e mi dice sì, che se il tempo è brutto non si parte ed evidentemente a largo il tempo è bello. Le nuvole vanno via e la barchina parte. È una barchina di legno piccolina. Le onde sono grandi, ma a mano a mano che ci allontaniamo a largo si fanno sempre più imponenti. Sulla barca la metà delle persone inizia a vomitare- Quando arriviamo nel luogo degli squali balena, a un’ora dalla costa, è anche peggio. Lì ci sono altre barche che non hanno il controllo in mezzo a quelle onde, ci fanno tuffare, ma persino la guida che sta con noi è agitata, ci fa tuffare gridando go go go, poi ci fa risalire subito in barca. Dice in spagnolo al capitano che c’è troppa corrente si è spaventata, ma facciamo comunque tutti il tuffo di rito per vedere passare questi giganti. A causa delle condizioni meteo la visibilità è scarsissima e tutto quello che ognuno di noi ne ottiene è il passaggio, come un fantasma, di questo animale sotto i propri occhi, per poi risalire in barca, stando attenti alle grandi onde, alle atre barche. Il mare si mette sempre peggio e tutte le barche fanno dietro front. Inizia a piovere, c’è un vento fortissimo, nel percorso verso la costa almeno due persone sulla barca si fanno male, uno prende una brutta botta alla schiena, l’altro sul gomito e si procura in taglio che ha bisogno dei punti. Una scena terribile, un freddo, la pioggia, le onde nere e noi con questo barchino.
Stringevo mio figlio per tranquillizzarlo e lui non si sa come, per una forma di difesa dalla paura, in quel freddo tra onde, vento e pioggia, si addormenta.
Quando siamo arrivati a isla de mujeres, altra tappa della gita, ho tirato un sospiro di sollievo, sul serio.
La gita era palesemente da rimandare, non voglio dire che la nostra compagnia fosse peggio delle altre visto che stavano tutte lì (anche se la nostra era tra le barche pià piccole), ma in generale il desiderio di lucrare li ha spinti ha farci vivere un’esperienza che era innanzitutto non piacevole, oltre che forse anche un po’ pericolosa.
Anyway, il giorno dopo ci aspetta il rientro a città del messico. Riconsegniamo la macchina alla hertz e voliamo con la stessa compagnia dell’andata, sempre tutto prenotato già dall’italia.
Questa volta abbiamo prenotato in un altro quartiere, a coyoacan. Più che un quartiere è una cittadina coloniale inglobata dall’espansione di città del messico, per cui ha edifici storici ma molto più graziosi e meno imponenti di quelli del centro storico, tutto ha i colori e i profumi del messico, l’atmosfera è rilassata e tranquilla, senza poliziotti a ogni angolo. Consiglio vivamente di pernottare unicamente in questo quartiere per la visita della città. Noi eravamo alla casita dal patio verde. Un posto davvero molto molto carino, nel centro del quartiere. Arrivarci è l’unica difficoltà perché ci sono due calle de la escondida, entrambe molto difficili da trovare nel rivolo di vicoletti, per cui stampate il percorso di quella giusta in caso. Noi siamo arrivati anche di sera e abbiamo tribolato una mezz’oretta, ma insomma alla fine ce l’abbiamo fatta. Fortuna che i taxi si pagano a zona e non a tempo qui.
Il giorno dopo lo dedichiamo alla visita del quartiere che è il quartiere intellettuale della città, la piazza principale è piena di vita e anche la chiesa che vi si affaccia è affascinante.
Giriamo tra i vicoli, il mercato, le baracchette di street food… La principale attrazione è chiaramente la casa di Frida Khalo e non serve che io dica nulla a riguardo se non: andateci, è la cosa più bella di città del Messico. Noi ci allunghiamo anche fino alla casa/mausoleo di Leon Trozky. Molto interessante. Pranziamo in un ristorantino chic sulla piazza principale, tutto delizioso.
Verso le 5 del pomeriggio andiamo a prendere i bagagli e ci dirigiamo in aeroporto per il nostro volo di ritorno. Questa volta con air france.
Ultimo consiglio, in sintesi:
Il chiapas e lo yucatan hanno in termini di spiagge, cenotes, villaggi e rovine maya così tanto da offrire che non basterebbero 10 anni. L’idea che mi sono fatta è che è meglio scegliere attrazioni meno note, dove si corre il rischio di essere da soli, che buttarsi nella calca di quelle più pubblicizzate, perché solo così vi godrete veramente questi luoghi e ne varrà davvero la pena.