I love Vietnam
I ♥ Vietnam
Voli
Emirates: Costo: 647 Eu tasse comprese; Andata 19/7 Milano-Bangkok, ritorno 14/8 Bangkok-Milano.
Indice dei contenuti
Non posso che rinnovare le lodi a questa compagnia aerea. Questo indipendentemente dal fatto che per ben due tratte su quattro sia stata upgradata in business class.
Air Asia: Andata 21/7 Bangkok-Hanoi FD3700 6.45 – 8.35 costo totale 2960 baht (1590 volo + 320 baht franchigia 15 kg, il resto tasse varie, compresa quella di uscita dal paese) – Ritorno 11/8 Saigon-Bangkok FD3721 9.45 – 11.10 costo totale 86 USD (46 volo + 8 bagaglio 15 kgs il resto tasse varie).
Assolutamente no frills, ma puntuale, e nessun appunto da muovere. Per guadagnare tempo ho fatto il check-in on line, che comunque non era obbligatorio per i voli presi da me.
Spostamenti interni
Sono rimasta un po’ delusa dai treni, mi aspettavo di più. Ho provato un po’ di tutto, commenterò a tempo debito classe per classe.
I bus a lunga percorrenza sono allucinanti. Te li spacciano per classe Vip, con ogni amenità a bordo, e invece: le toilette sono fuori uso, gli sleepers sono strettissimi (tipo monoposto di formula 1) per una della mia stazza, figuriamoci per una persona alta o robusta. I conducenti fanno salire a bordo l’impossibile, e la gente, seduta a terra e circondata da bagagli, ostacola l’attraversamento dei corridoi e l’uscita durante le soste. Questa situazione, ho verificato con altri viaggiatori, è la prassi, non è un caso isolato e sfortunato occorso a me.
Il lato positivo della faccenda è che, soprattutto in treno, è possibile entrare in contatto con la popolazione che è gentilissima.
Clima
Caldo umido, ma poca pioggia. I posti dove ho trovato più fastidio sono stati Hanoi e Ninh Binh, che si stava sui 33/34 con un tasso di umidità alto, oltre 80%. Sapa ok, vista l’altitudine (credo che d’inverno sia freddo), ma piove spesso, per fortuna rovesci brevi. A Cat Ba, essendo un’isola, è meno caldo che Hanoi. Tempo splendido a Hoi An (a parte un fortissimo temporale) e Nha Trang. Sole velato, qualche nuvola, pochissima pioggia notturna nel Delta Mekong. Sole anche a Saigon, ma non so perché ero meno fiacca che a Hanoi, magari dopo 3 settimane mi ero abituata..
Alberghi
Ottimo rapporto qualità prezzo. Molti degli alberghi meglio recensiti si trovano nella fascia dei 20 Euro.
Alcuni li ho trovati al momento, quattro li ho invece prenotati, due scrivendo direttamente al proprietario e senza anticipare nulla, altri due tramite Agoda, sito che non avevo mai usato. Al contrario di Booking o Venere, e nonostante la mia prenotazione fosse cancellabile, mi hanno prelevato subito i soldi dal conto. Mi sembra quindi dunque problematico il rimborso in caso uno cambiasse idea, per cui lo sconsiglio, anche se costa magari 2 Eu in meno rispetto ai competitors.
Comunicazioni
In aeroporto, a Hanoi, abbiamo comprato una sim della Vinaphone, spesa minima 500mila dong, con cui è possibile parlare 65 minuti all’estero, oppure 85 in Vietnam. Gli sms inviati costano 2500 dong, gratis se ricevuti. Per sapere il credito residuo, comporre *101# e poi pigiare il tasto “chiama”.
Roberta aveva un Galaxy e Viber ma non è quasi mai riuscita a usarlo, per via della debolezza del campo
Cibo
Si può spendere da un minimo di 15mila dong per un pho in un mercato di un luogo poco turistico sin dove si vuole arrivare, se si prende pesce fresco a peso, e si beve vino. In media non ho mai speso più di 100/120 mila dong per un pasto.
In strada si vendono baguettes farcite. Oppure, dai panettieri, le si può comprare vuote, e riempirle con quello che si vuole (7mila dong per una baguette ed i formaggini francesi “la vache qui rit”)
L’acqua ha un costo variabile, la bottiglia da 1.5 lt l’ho pagata da un massimo di 20mila dong a 7mila dong.
Shopping
Un sacco di cose carine da comprare, poco costose. Tuttavia mi risulta difficile riassumere in un’unica sentenza generica “lo shopping migliore si fa qui piuttosto che là”. Posso dire invece che alcuni articoli risulta più conveniente acquistarli in una città, anziché l’altra. Non ho neppure provato a fare ricerche all’inizio del viaggio, perché la mia intenzione era quella di non caricarmi troppo.
Diciamo che a Hué ho trovato orologi taroccati e pantaloni di seta meno cari che altrove (15 dollari e 100mila dong rispettivamente, ed i pantaloni erano un misto cotone/seta, mentre altrove erano solo di cotone). A Hoi An erano convenienti le camicette (100mila dong contro i 500mila del mercato di Ben Tan a Saigon), le lacche erano invece più economiche al Ben Tan, rispetto a Hoi An.
Le sartorie di Hoi An mi hanno lasciato indifferente. Trovo un sacco di vestiti graziosi, anche sul genere formale/elegante/da ufficio, in alcuni mercati rionali di Torino, non vedo quindi perché perdere tempo qui per qualcosa che posso trovare a casa mia allo stesso prezzo.
Hoi An è famosa anche per le calzature fatte a mano, dice la Lonely Planet, ma francamente quelle che notato per caso in giro esposte nelle vetrine erano oscene.
Vale la pena andarci?
Assolutamente sì. A parte i paesaggi sontuosi, e l’indiscussa fotogenia, lo definirei un paradiso per chi va zaino in spalla, economico, con un po’ di pazienza si va quasi dappertutto coi mezzi pubblici, si mangia bene con poco.
Freregature
Meno di quello che avrei creduto. Ma l’importante è essere un po’ diffidenti verso chi propone, facendolo passare da affare, qualunque servizio a prezzo troppo stracciato. Ho sempre usato i taxi della compagnia My Linh, biancoverdi, i cui autisti sono molto affidabili. Con un altro, Vinasun, ho dovuto insistere perché mettesse il tassametro, e stavo già per andarmene se non l’avesse fatto. Ho sentito storie di raggiri, e tassametri impazziti, al danno di turisti conosciuti a Hanoi.
Attenzione: non so come stiano le cose a Saigon, ma se comprate i biglietti dei treni in stazione a Hanoi, fate tutto da soli, anche se magari non sarà così semplice comunicare con le impiegate della biglietteria. Ho parlato personalmente con alcuni ragazzi italiani i quali sono stati avvicinati da personale affabile in un perfetto inglese, invitati in un ufficio, dove hanno prenotato i vari tragitti, con comodità e senza sgomitare fra la folla, tuttavia ad un prezzo maggiorato (era gente nella mia stessa cabina cuccette, ed abbiamo confrontato le tariffe). A loro era stato apposto un tagliandino blu avio, che ho poi visto anche in mano ad altri stranieri. Si tratta sicuramente di personale delle ferrovie, tuttavia evidentemente viene fatta pagare una sovrattassa (non capisco se legittima, e quali tasche vada ad ingrassare)
Visto
Noi ci siamo affidate a un’agenzia on line, perché risulta più economico rispetto all’ambasciata. Http://www.vietnamvisacenter.org/index.php
Viene rilasciata una lettera di invito (costo 20 USD), all’arrivo si paga il bollo da apporre sul passaporto (25 USD). Noi ci siamo affrettate a scendere dall’aereo, avvantaggiate dalla business class, e siamo state fra le prime ad arrivare al banco visti. Avremo aspettato circa mezz’ora. Gli ufficiali parlano bene inglese, quindi non ci sono problemi. L’assistente di terra Air Asia che ci ha ritirato il bagaglio a Bangkok ha controllato la nostra lettera di invito, prima di darci le ricevute per l’imbarco.
Trekking Sapa
Ne parlerò dettagliatamente in seguito, in ogni caso è molto turistico, per vivere esperienze più genuine è bene far lavorare (molto) le gambe e raggiungere villaggi più isolati, fermandosi a dormire la notte.
Anche i dintorni di Bac Ha sono abitati da montagnards, come zona non mi è sembrata molto “commerciale”, forse non sarebbe male fare un tentativo qui.
Ho contattato prima di partire alcune agenzie, tipo la Sapa Sisters, perché è una delle poche gestite da Hmong. In rete ne parlano bene. Le escursioni che mi hanno quotato erano sui 30 USD al giorno. Non ho confermato, e ho deciso di fare diversamente: una volta arrivata in loco, ho preso al volo una gita diurna presso un’agenzia vicino al mio hotel, 12 USD. Non mi è però piaciuta per niente come esperienza, ne parlerò diffusamente in seguito. Nei villaggi più vicini si può andare da soli senza problemi, non serve affatto avere una guida. Si paga una tassa di ingresso di 40mila dong.
Baia di Halong
E’ stato il mio cruccio sin dal momento in cui ho iniziato a concepire il viaggio. Prezzi allucinanti delle giunche cosiddette raccomandabili, in alternativa bagnarole e rischio di colare a picco. Alla fine, si è optato per il pernotto a Cat Ba in hotel, e l’escursione giornaliera. Ce la siamo cavata con 22 USD, e ne siamo state pienamente soddisfatte, ritenendo di aver visto tutto ciò che c’era da vedere.
Sperando che serva, elenco altri costi di servizi offerti a Cat Ba Town:
– Crociera di 2 giorni – 1 notte : 60-65 USD, 180 USD per un tour privato (solo due persone, prezzo a persona)
– Crociera 3 giorni – 2 notti: 110 USD standard, 140 VIP, 450 USD tour privato
Diario di viaggio
19/7: Partenza da Malpensa ore 22.40
20/7: Bangkok. Cambio aereo a Dubai, 3 ore di attesa.
Ancora frastornate dal lusso della business class, atterriamo puntuali alle 19, e ci dirigiamo verso il punto di incontro con la navetta gratuita che ci condurrà al Tong Tha Resort (29 Eu) a pochi chilometri dall’aeroporto. Http://www.thongtaresortandspa.com/
In zona, Lat Krabang, ci sono alcuni ristoranti e supermercati.
85 baht spesi per un riso fritto con pollo allo Spicy Restaurant. La navetta è prenotata per il mattino dopo alle 5, quindi non abbiamo tempo di fare colazione in hotel. Ad un Family Mart ci compriamo yogurth e merendine.
21/7 Hanoi
Volo Air Asia in orario, con arrivo ore 8.30 circa. Le navette della Vietnam Airlines si trovano sulla destra all’uscita, ma anche se non le trovate subito, saranno gli altri a leggervi nel pensiero e ad indicarvele. Il costo è 2 dollari. Una volta vicini al centro città, il conducente fa salire a bordo un “amico”, il quale cerca di proporre alberghi fantastici ed economicissimi ai passeggeri. Se, come noi, avete una scusa pronta plausibile, (altrimenti inventatevela) vi lasciano in pace, e vi scaricano all’ufficio centrale della Vietnam Airlines. Una volta scese dalla navetta, veniamo attorniate da xe-om, ossia mototaxi, e per 30mila dong ci facciamo portare alla stazione centrale.
La nostra mission impossible è quella di trovare delle cuccette per Lao Cai in partenza per quella sera stessa. L’edificio è grigio, disadorno, squallido, tetro, sporco. Mi solleva il fatto che esista una macchinetta tipo reparto salumeria che distribuisce i numeri, ma noto subito che tutti se ne infischiano e, mentre già parlo con l’addetta, è un continuo interrompermi. L’unica soluzione educata che riesco ad elaborare è stare appoggiata al bancone con braccia divaricate, per impedire loro di avvicinarsi.
Quello che riesco a spuntare è:
Hanoi – Lao Cai treno LC3 22.35 – 8.05 costo 242000 dong, hard seat
Lao Cai – Hanoi treno LC2 18.40 – 05.00 costo 405000 dong, hard sleeper con scarafaggio aggratis
Poiché c’è un unico treno al giorno, per il 29/7 mi prenoto anche il Ninh Binh – Huè treno SE5 18.06 – 06.00 costo 403000 dong, soft seat, sempre con scarafaggio
Una volta sbrigata la formalità relativa ai trasporti, e lasciati i bagagli in custodia in stazione (20dong, gli zaini sono spaventati ad essere lasciati in armadietti così lerci), ci prendiamo un altro mototaxi (30mila dong) per il centro.
Facciamo un giro attorno al lago Hoan Kiem, visitiamo il tempio Ngoc Son al centro di esso, e poi le vie circostanti del Quartiere Vecchio. Direi niente di particolare. Fa un caldo allucinante, perché c’è il sole. Lungo la pista, quasi sempre ombreggiata, che costeggia il lago nel primo pomeriggio veniamo abbordate da orde di ragazzini, 5 gruppi in totale, uno via l’altro, ansiosi di fare pratica in inglese. Veniamo sommerse di richieste di posa per le loro fotografie, Roberta ha dei bei capelli lunghi color rosso tiziano, le lentiggini, e sicuramente rappresenta per loro l’archetipo di ciò che si può definire “esotico”. Questa è soltanto la prima delle innumerevoli volte in cui avremo la fortuna di riuscire a parlare con la gente del posto, che inizia da subito a piacermi moltissimo.
Dopo un pranzo da 30mila dong in un chioschetto nel quartiere vecchio, ceniamo presso l’Hanoi Soul cafè, situato in un grosso edificio a forma di transatlantico fronte lago, le cui rive al tramonto si sono illuminate da tante lanterne colorate e popolate da anziani praticanti il tai chi. Migliaia di persone, bici, motorette si riversano ora nelle strade, e attraversarle diventa un’impresa ardua, così come trovare alle 21, nell’ingorgo immenso che avvolge la rotonda vicino al ristorante, un mototaxi che ci porti in stazione.
Qui, prendiamo atto tristemente di quello che ci tocca per la notte: una panca di legno, in un vagone affollato, per fortuna con aria condizionata. C’è ovviamente molta più gente di quanto i posti a sedere lo consentano, ma i vietnamiti sono attrezzati con stuoie da stendere per terra, sotto ai sedili degli altri, e sgabellini da posizionare nei corridoi. Raggiungere i bagni diventerebbe dunque un’impresa, ma dopo averli “annusati” a metri di distanza decido che è meglio farne a meno.
Notte insonne. La monotonia viene rotta a tratti da qualche vicino che conosce parole stentate di inglese, e con cui avvio delle surreali e divertenti conversazioni. Le foto caricate sul telefonino aiutano, tuttavia, ed il felino del mio fidanzato attira risate, sorpresa, ed esclamazioni. Capirò presto, incrociando per strada i primi esemplari, che è un gigante per gli standard locali! Qualcuno dubita anche che sia davvero un gatto!
22/7 Bac Ha
Scendiamo a Pho Lu, un paio di fermate prima di Lao Cai. La nostra intenzione è raggiungere Bac Ha almeno un’ora e mezza prima di coloro che arriveranno al capolinea, allungando inutilmente la strada. La Lonely Planet non segnala questa possibilità, la Rough Guide sì. Io l’ho scoperta su un forum.
Mentre ci facciamo strada nel corridoio del treno per guadagnare l’uscita, tutti quanti, turisti e perfino il bigliettaio ci dicono “ma qui non è Lao Cai, siete sicure?” Sì, siamo sicure, anche se siamo le uniche straniere in una folla di vietnamiti sui binari.
Fuori dalla stazione, sul piazzale antistante, ci indicano un minibus con destinazione Bac Ha, che raggiungiamo in meno di un’ora, mentre il treno ancora deve arrivare a Lao Cai.
Sul bus non ci sono altri stranieri, e veniamo sonoramente fregate sul prezzo (100mila dong), ossia più del doppio del prezzo. Alle nostre vibranti proteste, ci viene fatto notare con un ghigno che l’alternativa è quella di… andare a piedi, e quindi sganciamo i maledetti 100mila dong. La strada è tortuosa. Direi che, nonostante tutto, vale la pena fare la corsa, anche perché ad un certo punto iniziano a salire a bordo personaggi in costumi coloratissimi, carichi di ceste e galline, un anteprima del mercato, insomma.
Veniamo scaricate in centro paese, vorremmo cercare un posto per lasciare i bagagli, e girare in santa pace. Una coppia di americani mi indica il Sunset Boulevard Cafè, dove facciamo anche colazione. L’affabile proprietario mi dà indicazioni su come raggiungere in seguito Sapa, per cui compro da lui un biglietto per un bus che partirà verso le 14.30 (10 USD).
Avevo letto pareri discordanti su questo mercato, tuttavia preciserei che la parte ove si vendono souvenir è marginale, e tutto il resto mi sembra molto autentico e genuino.
Alcuni dei cibi offerti sono quantomeno curiosi, e poi il solito miscuglio di odori non propriamente allettanti, per esempio quello della carne fresca esposta per ore fuori dal frigorifero.
I Hmong a fiori ci passano accanto, a volte spingendo, in un turbinio di colori, i cui contrasti sono resi ancora più intensi dalla luce del sole.
La cittadina di Bac Ha, mercato a parte vale la pena di essere visitata, in quanto ci sono degli edifici graziosi, fra cui il Vua Meo, una specie di castello costruito dai francesi.
Dopo aver pranzato nell’affollatissimo ristorante del Sunset Boulevard, insieme ad altri occidentali partiamo per Sapa su un minibus. Anche i mezzi per turisti nascondono insidie, qui non ci sono sovrapprezzi, tuttavia ci tocca far sosta a Lao Cai per ammirare alcune perle, ad esempio il ponte verso la Cina, senza contare la sosta al ristorante dell’amico, dove però non subiamo alcuna pressione per consumare, l’acqua ha prezzi abbordabili, e ci torna comodo per la pausa pipì.
Da Lao Cai, salendo veloci come pazzi tra i tornanti in mezzo alle risaie, raggiungiamo Sapa in mezz’ora. Non abbiamo prenotazione, tuttavia mi è stata raccomandata la Family Guesthouse, Purtroppo, questa non fa parte della schiera di esercizi “amici” del nostro autista, che quindi ci abbandona nella parte opposta della città senza troppi complimenti. Lascio Roberta ed i bagagli al riparo sotto una tettoia, sta infatti piovigginando, e mi metto in cerca della pensione. Purtroppo sono al completo, e così pure al Pinocchio hotel lì accanto, per cui mi metto a setacciare la via, saltando tutti gli hotel che hanno l’aria di essere troppo costosi. Al White Lotus Hotel mi fanno vedere una stanza confortevole a 25 USD, e vanno a recuperare Robi e bagagli. Http://thewhitelotushotel.com
Sapa mi sembra troppo “ingombra” di edifici, ed è quasi impossibile goderne dei panorami, dal centro. Ci sono molti ristoranti, dove si mangia bene, ed un sacco di negozi di souvenir, ed altri di abbigliamento tecnico. Si è poi costantemente assillati da venditrici Black Hmong che ti seguono ovunque. Nella piazza di fronte alla chiesa, altre donne, Black Hmong, Red e Black Dzao espongono i loro souvenirs.
Provate dal viaggio in treno, scartiamo il trekking di 2 giorni con sosta notturna in un villaggio tribale, e decidiamo di rimanere due notti di fila nel medesimo albergo.
Ceniamo al Little Sapa Restaurant, per me 71mila dong per un piatto di tofu fritto molto saporito.
23/7 Sapa – escursione ai villaggi di Linh Ho, Lao Chay e Ta Van
Dopo una colazione in hotel in cui la goffaggine/pigrizia del personale raggiunge livelli da farsa, acquistiamo, per 12 USD presso l’agenzia Travel Mate del Lotus Hotel (situato di fronte al nostro) un trekking di 1 giorno ai villaggi circostanti di Linh Ho, Lao Chay e Ta Van. Si tratta di un percorso molto facile in discesa, per lo più su strada, con l’eccezione di piccole e ripide scorciatoie fra i campi, per cui è consigliabile avere scarpe con una suola zigrinata, assolutamente sconsigliate zeppe, infradito, Converse.
Il paesaggio è stupendo, in quanto si cammina in mezzo a risaie terrazzate di un verde splendente, persino accecante quando a mezzogiorno esce il sole, orlate da montagne imponenti, ed osservando a tratti la vita che si svolge nei villaggi.
Le comitive di turisti sono seguite da codazzi di donne, prima Hmong, e in seguito Dzao, che alla fine cercano con ogni mezzo di vendere dei souvenir a prezzi stratosferici (se comparati ai medesimi venduti nei negozi di Sapa), rinfacciando a chi si è trovato in difficoltà di averlo aiutato a sollevarsi mentre sguazzava in mezzo al fango, e sottolineando la fatica compiuta se costui era di stazza robusta.. Anche se non hanno aiutato fisicamente, tipo nel mio caso, è comunque improbabile che si accontentino di una “mancia”. Quindi è bene chiarire fin da subito in caso non si voglia comprare nulla, e si viene lasciati in pace.
Incontriamo una famiglia di Modena, che ci informa che la loro crociera nella Baia di Halong, la nostra prossima destinazione fra 2 giorni, è saltata per colpa di un tifone. Ahi ahi…
Il pranzo, incluso nel prezzo, viene consumato in un capannone di cemento stile mensa industriale, ove vengono raggruppati tutti i turisti del giorno, sotto l’assillo costante delle venditrici.
A Ta Van alcuni minibus riportano a Sapa evitando la strada in salita
Non rifarei questa esperienza col senno di poi, e credo che più ci si allontana dai circuiti più facili, e frequentati, e maggiore è la possibilità di vivere esperienze più autentiche.
Cena al ristorante Sapa Kitchen.
24/7 Sapa – escursione al villaggio di Cat Cat, e rientro a Lao Cai
Al check-out la ragazza in reception mi consegna dapprima due passaporti austriaci, il colore è lo stesso, lo stemma no, meno male che ho guardato! Le chiedo se ha notizie di un tifone che abbia colpito Halong Bay, e mi guarda stranita, allora la prendo sul largo e le chiedo delle previsioni meteo, idem come prima.
Acquistiamo per il pomeriggio, alle 17, un posto su un bus per turisti con destino Lao Cai, 50mila dong
Questa volta con Cat Cat facciamo da sole, la tariffa di ammissione al villaggio è, come ieri, 40mila dong. L’unica strada percorribile è una scalinata che almeno inizialmente è circondata da bancarelle, ma man mano che si scende si incontrano case, ed i tentativi di vendita sono molto meno aggressivi. E’ una gita gradevole. Nel fondovalle troviamo una cascata, laghetti, risaie che vi si rispecchiano.
Rientro a Sapa a piedi, il mototaxi vorrebbe 30mila dong. Roberta ne contratta 20mila, e mi ha aspetta in centro. L’autista, una volta arrivati, prova ad estorcerle altro denaro.
Dopo un ultimo giro in città, diamo un’occhiata all’abbigliamento tecnico, le giacche in goretex della North Face sono vendute a 40 USD, i piumini 60 USD, alcuni amici mi han detto che la qualità è buona, tuttavia non mi servono realmente, e non voglio appesantirmi il bagaglio.
Il bus turistico, sotto una pioggia torrenziale, non ferma dinanzi alla stazione di Lao Cai, bensì a 100 mt di distanza al ristorante dell’ennesimo amico, come da prassi. Mi stupisce come la gente non si arrabbi, ed anzi si accomodi ai tavoli per cenare come se fosse normale. Noi imperterrite aspettiamo che spiova, e poi ci incamminiamo verso il treno.
Le hard sleepers sono un vero disastro, un materasso sottilissimo, cuscino pieno di capelli, sporche, infestate da scarafaggi (a dire il vero ne vedo uno, ma tanto basta…), caldissime, in quanto l’aria condizionata non funziona granché.
Altri 3 occupanti dello scompartimento sono dei ragazzi italiani, quelli da me citati ad inizio racconto, che hanno pagato le stesse cuccette ad un prezzo maggiorato presso l’ufficio privato del ferroviere che parlava inglese fluente. Su 3 pass, il sovrapprezzo è di 35 Eu, ossia una somma enorme. La sesta cuccetta sarebbe di un vietnamita, che però appena ci vede chiama la bigliettaia, e fa di tutto per farsi trovare altra sistemazione. Se dovessi fare come lui, tutte le volte che mi sono trovata da sola su un mezzo pubblico in un paese straniero, non avrei fatto molta strada, per cui lo soprannomino “cacasotto”. Il posto lasciato libero viene occupato durante la nottata da ben 2-vietnamiti-2.
Per chi vuol fare esperienze “forti” consiglio di traversare da capo a coda il treno, per l’ispezione a quel gioiello che è il vagone adibito a cucina. Ovviamente l’andazzo è quello delle cuccette e dei bagni, ma con tocchi di classe in più, le pareti sono tappezzate da un alone di grasso sedimentato strato su strato, la crosta di unto e sudicio depositata su fornelli e pentole mi lascia sbalordita, e il contenuto di secchielli adibiti a raccolta umido mi fa pensare più ad una stalla (ma sporca). Non è facile farmi rimanere senza parole, ma qui ci sono riusciti. La vista è talmente sconvolta che l’odorato passa in secondo piano. Roberta, che appena salita a bordo aveva dichiarato “quasi quasi stasera mi faccio un caffettino” aveva già cambiato idea 20 metri prima di varcare la soglia di questo immondezzaio. Fa delle fotografie e le cuoche ci cacciano.
25/7 Hanoi e Cat Ba
Hanoi è flagellata da una pioggia piuttosto insistente. Il treno arriva alle 5, la biglietteria apre alle 7.30, e vista l’esperienza notturna, reputiamo saggio prenotare alla svelta tutte le tratte, in modo da garantirci posti migliori. Non ci resta che aspettare in una sala piena di gente, e di profumi non tanto gradevoli. I bagni sono una cosa inavvicinabile, e una specie di strega che presidia l’ingresso vorrebbe anche estorcere del denaro (dollari, e non dong) a noi stranieri. Lascio Roberta a guardia dei bagagli coi ragazzi italiani, e vado in cerca di notizie sul tifone. Impietosisco il receptionist dell’elegante Mercure Hotel lì all’angolo, che mi lascia usare internet, ed il bagno. Mi sconsiglia di andare a Cat Ba. Le previsioni su internet tuttavia non sono molto precise, indicano pioggia ma senza quantificarne la portata. Mi metto in cerca di alternative caso mai non si riuscisse ad arrivare alla nostra meta. Nella baia di Halong, infatti, vi sono isole tipo Tuan Chau (dove si trova il grazioso Viethouse Lodge) che sono state da poco collegate alla terraferma da ponti, e questa soluzione, benché più costosa, potrebbe salvarci la vacanza.
Rientrata in stazione, attendo l’apertura degli sportelli addetti alle prenotazioni. Stavolta si avvicina la fantomatica ispettrice dal perfetto inglese, incaricata di vendere i biglietti agli stranieri. Le dico “sorry, no English” e subito dopo, ancora vicino a lei, in inglese, urlo a due americane di non dar retta a questa arpia
Hué – Danang treno SE3 10.50 – 14.30 80000 dong – Soft seat
Nha Trang – Saigon treno SE3 584000 dong – Finalmente una soft sleeper
Sbrigata questa formalità, siamo ora di fronte ad un bivio, e molto indecise. I tre ragazzi hanno prenotato una giunca con un’agenzia e vanno comunque. Io e Roberta decidiamo di tentare la sorte e provare a raggiungere Cat Ba. Con un taxi, 20mila dong a testa, raggiungiamo il terminal bus di Luong Yen, Impresa titanica riuscire a comunicare col driver, e sincerarmi che abbia davvero capito dove deve andare.
Con 220mila dong compriamo, direttamente allo sportello nel terminal e non presso intermediari, un biglietto combo di bus+traghetto+bus per Cat Ba Town, con la compagnia Hoang Long. Le partenze sono alle 7.20, 9.20, 11.20, 13.20, tempo impiegato circa 4 ore.
Partiamo alle 11.20 che ancora piove a dirotto, tuttavia già a Haiphong ha smesso, e quando arriviamo a Cat Ba Town sta schiarendo. Vado subito a ispezionare il Cat Ba Dream Hotel, che mi ero appuntata prima di partire, ma vogliono 20 USD di solo pernotto, ed è pessimo. Tento con quello a fianco, che è messo meglio, e mi chiede 350mila dong, ossia 17 USD circa, compresa la colazione. . La stanza è all’ultimo piano, non è perfetta, sul genere spartano ma decente, e c’è una vista grandiosa anche se il tratto di mare prospiciente, pieno di barche di pescatori, e ristoranti fluttuanti, non è pulitissimo. Dopo esserci sistemate, usciamo a fare un giro e raccogliere info sulle attività che si possono svolgere. Ci viene offerta una crociera per il giorno dopo, a 22 USD. Sul bus abbiamo conosciuto dei ragazzi spagnoli, con cui ci ritroviamo per cena. Alcuni di essi mi confermano che pure loro sono stati scoraggiati dal partire per Halong, vista la depressione. Il Bamboo Restaurant è molto rinomato, ma il mio pesce è rinsecchito e pieno di lische, un vero schifo. Va meglio invece a chi prende molluschi vari.
Dopo cena facciamo una passeggiata, ci sono alcuni backpackers occidentali, ma soprattutto turisti vietnamiti, in quanto i forestieri preferiscono dormire sulle giunche. In realtà io sono invece molto felice di essere qui e vedere qualcosa di “rustico”. Il nostro chiassoso gruppo non passa inosservato e siamo l’attrazione del molo, bersagliati dai flash dei vietnamiti, tutti vogliono farsi fotografare con noi. Alcuni baristi improvvisati traggono birre e bibite dai frighi portatili, e ti fanno accomodare sulle loro sedie di plastica, proprio fronte mare. Non chiedo nulla di meglio dalla vita!
26/7 Baia di Halong
L’appuntamento per la partenza della nostra escursione è alle 8. Prima vado allo stand della Hoang Long a comprare il biglietto di ritorno (300mila dong), con destinazione Ninh Binh, scoprendo con disappunto che c’è solo una partenza al giorno, alle 9.15 di mattina. Quindi questo è l’unico giorno completo che trascorreremo qui, speriamo di godercelo appieno. Un piccolo van trasporta noi ed altri giovani verso il porto di Ben Beo, alcuni alberghetti in una baia incantevole, formazioni rocciose tondeggianti, a perdita d’occhio, ricoperte di foresta verdissima. In mare è un formicolio di attività, e molte sono le abitazioni costruite sull’acqua.
La giunca posticipa la partenza per consentire l’arrivo dei ragazzi spagnoli in ritardo e così, in ottima compagnia si parte. Il cielo è nuvoloso, ma il tifone è passato, e l’equipaggio assicura che non pioverà. L’imbarcazione è piuttosto mal ridotta, e sono proprio contenta di non doverci dormire, ma per 22 dollari, ed uno scenario così, che si vuole di più?
Dovendo fare i dovuti paragoni con la zona di Krabi, che è simile come formazione geologica, preferisco quest’ultima, perché il mare è molto più limpido. Mi stupisco anzi del perché sia Halong Bay e non Phi Phi Island la 7a meraviglia del mondo.
Beh, in ogni caso anche qui è spettacolare, ed assolutamente da non mancare. Visto il tempo nei giorni scorsi, e considerando che molti forse hanno davvero dato retta a chi li dissuadeva dall’allontanarsi dalla costa, non c’è molto traffico, e per lunghi tratti navighiamo senza vedere altre imbarcazioni intorno.
Verso mezzogiorno ci fermiamo in una cala protetta, dove per molto tempo non arriverà nessuno. Chi vuole fa kayak, sarebbe compreso nel prezzo, io rimango a bordo a godermi il silenzio completo, rotto soltanto dal fragoroso frinire delle cicale sui faraglioni. Nel primo pomeriggio visitiamo le grotte di Han Sung Sot. Poco dopo esce il sole ed i colori della natura circostante si ravvivano.
Sulla barca non c’è un filo d’ombra. Io sono rimasta vestita tutto il tempo per non arrostire, ma i visi pallidi ustionati non mancano. L’ultima sosta della giornata è su Monkey Island e su una bella fetta di spiaggia bianca, dove ci è consentito di sdraiarci un po’ e fare il bagno. Qui l’acqua è pulita. Rientriamo verso le 17.
Ceniamo tutti insieme al Truc Lam Restaurant, cibo davvero ottimo. Il figlio del proprietario è un abile massaggiatore e offre dimostrazioni gratuite a clienti volontari, con la speranza di convincerli a prenotare una sessione completa. Il tipo di massaggio che pratica è quello tailandese tradizionale, e quindi mi guardo bene dal propormi come cavia, nonostante i suoi inviti ripetuti.
27/7 da Cat Ba a Ninh Binh
Partenza mesta da Cat Ba, come avrei voluto fermarmi qui un altro po’, ed esplorare le varie spiagge in bicicletta!
Arriviamo verso le 15 a Ninh Binh sotto un sole incerto, e fa un caldo boia. Alla stazione dei bus veniamo assaltate da procacciatori di affari, tutti ci vogliono portare al New Mini Queen Hotel. Lascio Roberta a guardia dei bagagli e vado in cerca di una alternativa. Non avendo idea di dove girarmi, seguo alcuni francesi che erano sul bus, ora in cerca della stazione, fino a che mi imbatto nel Queen Hotel, proprio accanto ad essa, e di fronte al New Mini Queen. . Sembra nuovo! Mi mostrano una stanza standard bellissima a 20 USD (sul sito web i prezzi sono molto più alti) e la confermo senza pensarci. Dall’ultimo piano, dove un ristorante deve essere ancora costruito (non corrisponde quindi a quanto si vede sul web, a meno che nel frattempo abbiano terminato i lavori), si vede una distesa di tetti, ed in lontananza una marea di altri pan di zucchero..
Dopo aver ordinato le nostre cose facciamo un giro in città, soltanto alcune coppie di forestieri, attraversiamo il mercato, compriamo frutta e seguiamo il lungofiume, pieno di barche sui cui la gente vive e pesca.
Purtroppo, essendo poco turistica, mancano le agenzie, (quasi tutti visitano la zona in giornata da Hanoi) e per le escursioni dobbiamo affidarci a quanto proposto dagli hotel, quindi taxi, oppure moto-taxi.
28/7 Ninh Binh
Per 33 USD, 17.5 a testa abbiamo a disposizione una vettura per esplorare i dintorni.
La prima sosta è a Tam Coc, dove vogliamo arrivare abbastanza presto, in modo da battere sul tempo i visitatori provenienti da Hanoi. Ingresso 70mila dong. Ne vale assolutamente la pena, in barca si percorre un tranquillo canale fiorito di ninfee, in mezzo a montagne imponenti. Poca gente, e molto silenzio.
I rematori cercano di vendere la loro merce, ma quella proposta nei negozi è assai più economica, per cui contrattare, o lasciar perdere. Anche la mancia, purtroppo, è un must, nonostante siano antipatici e non facciano nulla assolutamente per meritarsela. Seconda tappa, le pagode di Bich Dong, niente di che, ma l’ingresso è gratuito, e c’è un bel giardino di ninfee.
Bisogna arrampicarsi su pendii piuttosto scoscesi, il caldo e l’umidità iniziano ad essere soffocanti, per cui oltre un certo tratto desisto (la Roberta non è nemmeno stata sfiorata dall’idea di seguirmi, e si accomoda sotto un albero, ma non riesce a star tranquilla come sperava, tormentata com’è da un pazzo che assilla lei e gli astanti con proposte oscene).
Terza sosta, la Mua Cave, ingresso 20mila dong, una faticaccia immane, ma ben ripagata dal panorama. Il tempietto, in punta alla collina, non è nulla di particolare, ma la vista da lassù è grandiosa.
Unico neo, per arrivarci bisogna salire 500 scalini. Giungo in vetta sudata fradicia. Sono ben pochi quelli che hanno voglia e forza di compiere una fatica simile con questo caldo, ed infatti in cima per lo meno ho la soddisfazione di essere sola.
Quando scendo sono uno straccio, ho le visioni come Fantozzi.
Piuttosto provata, mi lascio trascinare verso Hoa Lu, ingresso 10mila dong, grazioso complesso di templi, e stupende ninfee.
Parecchi scocciatori presidiano i cancelli, insistendo per cambiare valuta. Sono veramente appiccicosi, non basta il solito “no thanks”, bisogna proprio guardarli male e dire “go away”.
A Trang An non abbiamo più voglia di prender barche, per un tragitto che ci sembra simile a Tam Coc, e quindi rimaniamo sotto gli alberi in attesa che ritorni il taxista. In ogni modo l’ingresso costerebbe 100mila dong a testa.
Credo che una giornata sia più che sufficiente, ma noi putroppo abbiamo già prenotato il treno all’indomani, per cui ci tocca stare un’altra notte a Ninh Binh.
29/7 Ninh Binh, sera treno per Huè
Per 33 USD in due un taxi ci porta a Van Long, e al villaggio di pescatori di Kenh Ga. Nel primo posto litigo con la rematrice perché mi rifiuto di darle la mancia, visto che si rivela essere una pelandrona, e ho anche dovuto pagaiare al suo posto purchè si desse una mossa. Nel secondo una barca a motore ci permette di visitare un villaggio da un punto di vista privilegiato, tuttavia direi che è una esperienza trascurabile.
La cosa migliore dell’escursione è il pranzo, uno squallido ristorante che però serve porzioni generose, ed i migliori spring rolls mangiati in Vietnam, 100mila dong in due.
Alle 18.06 ci aspetta la nostra soft seat, come aspetto ricorda la poltroncina tailandese, ma l’igiene non è sicuramente la stessa. Mentre dormo appoggiata al finestrino, Roberta osserva che uno scarafaggio a più riprese si avvicina alla mia faccia, per indietreggiare e battere in ritirata nel momento in cui lei aveva quasi deciso di svegliarmi. Questo ovviamente me lo rivelerà solo giorni dopo, e le sono davvero grata!!
30/7 Huè
Arriviamo a Huè verso le 6 di mattina e con un taxi (47mila dong in due) raggiungiamo il nostro hotel bloccato dall’Italia, il Nino Hotel. Noi abbiamo la stanza 402, costo 25 USD. Per la prenotazione abbiamo scritto direttamente all’albergo, e non abbiamo pagato nulla in anticipo. . Si tratta di una tipica casa vietnamita, alta e stretta, stanze piccoline, e scale ripide. I gestori sono di una gentilezza e di una calorosità eccezionali. Ad ogni ora del giorno, per qualunque ragione noi siamo transitando per la reception, ci offrono qualcosa da bere, acqua, thè, frullati di frutta buonissimi, ed il primo mattino colazione nonostante questa non sia di nostro diritto. Ci danno un sacco di consigli e di dritte. Ovviamente prenotiamo con loro tutte le escursioni. L’arredamento è personalizzato, e di ottimo gusto. Si respira un’atmosfera molto familiare.
Dopo l’inaspettata colazione, decidiamo di depositare i nostri bagagli, e partire subito con la visita della città, 12 Usd, compreso il pranzo (ma non gli ingressi alle singole attrattive) ed il trasporto via bus. Sono particolarmente contenta che le tombe reali si raggiungano via terra, perché ho letto che via fiume, sebbene sia forse più scenico, implica il problema di raggiungere effettivamente gli ingressi ai monumenti. Essi sono parecchio lontani, e quindi l’unica possibilità, oltre a scarpinare di corsa per via dei tempi limitati lasciati per la visita, sarebbe quella di affidarsi a mototaxi con cui molti hanno avuto da litigare.
Il pullman raggruppa turisti di tutti gli alberghi, è prevista la visita a 3 tombe reali, con ingresso 80mila dong cadauna. Visitiamo Minh Mang, Khai Din e Tu Duc, forse le 3 più celebri. Minh Mang ha dei bei giardini, ma la mia preferita è Khai Din, per via dei ricchi interni.
Si fa sosta ad alcune bancarelle di souvenirs, e poi assistiamo ad un incontro di Kinh Van, arte marziale vietnamita. Dopo un’ottimo pranzo a buffet, la visita prosegue alla cittadella, 80mila dong, molto rovinata dai bombardamenti, e assai poco restaurata, ed infine alla pagoda di Thien Mu. Rientriamo in città via fiume.
Huè è città ricca di hotel, ristoranti e negozi. Dopo una cena non memorabile al DMZ bar, 90mila dong, ci tuffiamo nel cuore della zona commerciale, per i primi acquisti.
Poiché per l’indomani è prevista un’alzataccia, andiamo a letto piuttosto presto.
31/7 DMZ e 17° parallelo
Escursione pagata 18 Usd e prenotata tramite hotel. Partiamo alle 6 per poi fermarci a colazione nello stesso ristorante di ieri. La temperatura è più fresca del solito. La gita di oggi comporta lunghi spostamenti in macchina, per raggiungere località che forse hanno meno da offrire, e questo è il motivo per cui molti la saltano, ma sono contenta di esserci stata. Visitiamo Rock Pile, lo Hien Luong Bridge, che segnava il confine fra nord e sud, il Dakrong Bridge, ove un monumento celebra l’inizio del cammino di Ho Chi Minh e poi la base di Khe Sanh, teatro di una lunga battaglia nel 68. Qui troviamo una pioggia battente, alcuni residuati bellici, ed un piccolo museo.
Le fotografie sono impressionanti, immagino il caldo, la sete, il dolore, la paura nei volti raffigurati. La guida, una donna molto preparata, ci fa una lezione di storia. La guerra del Vietnam, ma questa volta non la vedo in un film. E non è solo qui a Khe Sanh, ma nelle mutilazioni di ormai anziani ex reduci che incrocio mentre chiedono soldi nelle stazioni, indossando ancora gli elmetti o parti della loro uniforme, oppure nelle malformazioni dei giovanissimi venditori di biglietti della lotteria, tuttora vittime dell’agente arancio.
I defoglianti, erbicidi, ecc, continuano ancora adesso a provocare danni ai feti, e, nonostante le battaglie legali perse e condanne inflitte, gli Stati Uniti o le loro multinazionali produttrici non hanno mai pagato danni. Questi sfortunati, alcuni poco più che vegetali, sono totalmente a carico delle famiglie. Soltanto alcune associazioni di ex soldati americani hanno fornito aiuti concreti.
Dopo il pranzo, e un’altra ora di bus, ritroviamo il sole e i tunnel di Vinh Moc, di cui può essere visitata soltanto una piccola parte, e già mi basta. I cunicoli sono molto comodi, rispetto a quelli più meridionali di Cu Chi, e soltanto in un paio di occasioni mi devo abbassare, provo comunque un senso di claustrofobia, osservando le “family rooms”, cubi di pochi metri quadri dove erano confinate famiglie intere, e che dire della sala parto? E’ rassicurante sbucare in uno spiazzo fronte mare, e respirare aria fresca.
Rientriamo verso le 20, questa è l’ultima sera di Roberta in terra vietnamita, ceniamo nella via principale, illuminata da molteplici lampade colorate, presso il ristorante Campania, immagino che facciano cucina italiana, ma ho mangiato tutt’altro (98500 dong). Dopo il pasto, ci dedichiamo allo shopping. Compriamo degli orologi taroccati, costano molto meno che a Bangkok.
1/8 Da Huè a Hoi An
Giro al mercato di prima mattina.
Roberta prende un taxi per l’aeroporto, ed io, insieme ad un americano, uno per la stazione. Il mio posto è vicino ad una ragazza gentilissima che mi offre pane e dolci, io vorrei contraccambiare coi soliti formaggini “vache qui rit”, ma lei non sembra gradire. Le guide sostengono che il viaggio da Hue a Danang in treno valga un’escursione, in quanto si snoda fra paesaggi incantevoli. In effetti nell’ultimo tratto la ferrovia scorre fra costa e colline retrostanti ma, complice il tempo nuvoloso, non posso dire di essere rimasta particolarmente impressionata.
Mi impressionano invece il sorriso e gli occhi azzurri di un australiano, simile a Mel Gibson (quando era giovane, vi ricordate “un anno vissuto pericolosamente”?) che, insieme al suo amico simil hawaiano che pure lui non scherza, nel piazzale della stazione mi propone di condividere un taxi sino a Hoi An. La mia quota è sui 120mila dong. Fra un litigio e l’altro col taxista, Mel infatti si ostina a voler contrattare anche con un tassametro regolarmente funzionante e non taroccato, abbiamo anche il tempo di conversare, e, come tutti gli australiani, si rivelano molto simpatici. Non li ho più rivisti, ho rincontrato praticamente tutti (alla fine si segue quasi sempre lo stesso itinerario), ma Mel e Keanu no! Sic
Il Sunshine Hotel è stato prenotato dall’Italia, 19 euro con Agoda per una nuovissima twin room, ed è una bellezza, bagno con vasca tutto di marmo, stanza enorme, bel balcone dove è comodo stendere il bucato. C’è il bollitore, intonso, a disposizione, thè, caffè e banane fresche, puntualmente riforniti non appena me li fagocito.
Dispone anche di una piscina, che comunque non sfrutterò molto, e di biciclette, che consiglio caldamente di prenotare da un giorno all’altro, perché non sono sufficienti per tutti gli ospiti. Piuttosto distante dal centro, le offre per non scontentare la clientela che ha voglia di affrontare il traffico ed il caldo. Dopo aver ammirato la camera, ed essermi data da sola tre pacche sulla spalla, scendo dabbasso. La receptionist mi vende un tour a My Son,(6 USD) e per altri 20 per il bus notturno a Nha Trang. Mi convince che è assolutamente necessario prenotare in anticipo, per non farmi sfuggire l’opportunità di sfruttare questo meraviglioso pulman, dai confortevolissimi sedili completamente reclinabili, assicura, mentre mi evidenzia foto della toilette a bordo. Dopo la soft sleeper, nasce in me la speranza di passare finalmente una notte di viaggio decente!
Dopo queste formalità, mi dirigo finalmente in centro, con la speranza di incontrare i ragazzi spagnoli di Cat Ba, con cui mi sono tenuta in contatto via email.
Al loro hotel non riesco a trovarli, perché in realtà loro non hanno gradito Hoi An, e hanno cambiato i piani, avendo anche l’accortezza di avvisarmi via email, purtroppo sono io che ho toppato non avendo controllato la posta.
Per la prima volta da quando sono arrivata in Vietnam, riesco a vedere un tramonto! E che tramonto! Proprio sul fiume in centro città! Questa è una sera speciale, in quanto è il quattordicesimo giorno del mese lunare, e quindi si festeggia. Le vie sono affollatissime, di turisti vietnamiti, ma anche europei. Ingorghi al grazioso ponte giapponese che ho visto raffigurato su tutte le guide prima di partire. Qui inizio a vedere tanti italiani, di quelli che viaggiano comodi e ben vestiti. La gente del posto è anch’essa scesa in piazza, improvvisati altarini di incenso ringraziano le divinità, musica tradizionale risuona ovunque nei vicoli, e la luce flebile e tremolante di centinaia di lumini di carta colorata si riflette nel fiume. La parte che mi rattrista un po’ è che i venditori di lumini sono soprattutto bimbi, oppure anziani.
L’americano con cui ho condiviso il taxi sino alla stazione di Huè mi aveva avvisato di quanto affascinante fosse questa cittadina, affermando che l’unica contendente e paragonabile ad essa fosse Luang Prabang in Laos.
Le vie traboccano di negozi di souvenirs, che più o meno propongono tutti le stesse cose, agli stessi prezzi, non sono interessata a comprare niente, ma soltanto a fotografare, soprattutto le lanterne di carta, coloratissime, ed appese ovunque.
E poi ristoranti, bar, pasticcerie, sartorie. Fra di essi, molti edifici storici, case di assemblea, e dimore di ricchi mercanti, alcuni restaurati perfettamente, altri un po’ meno.
Ceno in un ristorante vicino al ponte, gironzolo ancora a caso senza specifici punti di riferimento, finchè decido che è ora di ritirarmi.
2/8 Hoi An
La colazione è abbondante, più orientata sul salato che sul dolce, come piacerebbe a me, ma riesco comunque a saziarmi. Un bus che raggruppa turisti da tutti gli hotel mi porta sino alle rovine di My Son, costruite dai Cham, una etnia induista abile nella fabbricazione dei mattoni. Oggi per la prima volta il sole splende in un cielo tersissimo.
L’area archeologica è disseminata di crateri, perché è stata pesantemente bombardata dagli americani. Prima di questi, i francesi han fatto razzie, mozzando la testa a molte statue, per trasportarle al Louvre. In un piccolo museo divinità induiste si affiancano ad ordigni inesplosi esposti in bella mostra, triste ammetterlo ma purtroppo la storia recente è questa quindi l’abbinamento è azzeccato e, seppur scioccante, non stona affatto.
Sotto il sole a picco fa un caldo atroce. Per il ritorno opto per il bus, mentre la maggior parte della gente sceglie il fiume. Quando mi chiedono perché, rispondo che di navigare per fiumi ne ho la nausea: non essendo stati a Ninh Binh, non comprendono affatto le mie ragioni e mi guardano come se fossi strana.
Rientrata in centro, pranzo al ristorante Viet Mon, una zuppa 49mila dong e poi acquisto il biglietto da 90mila dong che dà diritto a visitare 5 edifici della città vecchia. Le case dei mercanti presentano caratteri giapponesi, cinesi e vietnamiti, tutte indistintamente, questo è quello che spiegano gli eredi ai visitatori, tuttavia alcune sono assai meglio di altre, ad esempio la Tan Ky House è molto graziosa, mentre invece la Quan Thang House è da scartare a priori, a parte il fatto che è molto disadorna, i proprietari si materializzano soltanto per cercare di vendere ciarpame, anche con una certa sfacciataggine. Molto bella anche la Family Chapel.
Straordinarie sono anche le Assembly Halls, visito quella della Fujan Chinese Congregation e la Chinese All Community. In una di queste ci ero già stata ieri, senza peraltro che nessuno mi chiedesse il biglietto. Ceno in albergo, cibo niente male, pollo e riso al curry, 80 mila dong. Prenoto una bici per l’indomani
3/8 Hoi An
L’approccio con l’apparente assenza di regole che disciplina il traffico mi inquieta un po’, non appena pedalando raggiungo il centro città. Tuttavia, in quanto ciclista basta capire che nessuno mi dà la precedenza, e che devo continuamente stare all’erta, e tutto fila liscio.
A dire il vero trovo molto problematica la svolta a sinistra, ma risolvo brillantemente attraversando ad angolo retto.
La spiaggia di Cua Dai è molto più vicina di come mi aspettavo, all’intersezione con la strada costiera svolto verso nord, seguendo le indicazioni di due ungheresi conosciuti ieri a My Son, che mi consigliano di stare un po’ defilata. In effetti, nei pressi del grande incrocio, la spiaggia, larga, dorata, e bordata di palme, è piuttosto affollata di sdraio ed ombrelloni, ma andando oltre si riesce a stare molto più tranquilli. Passo oltre lo Zero Sea Mile e Mama Ly, e pagando 1 dollaro mi prendo un lettino ed un ombrellone in un tratto presso che deserto. Credo che se si promette ai gestori di pranzare presso di loro i lettini siano gratis, ma io non ne ho intenzione, e assicuro loro che starò solo un paio di ore.
Il mare ha l’onda lunga, diventa subito profondo, e la corrente è piuttosto forte, non mi sembra saggio nuotare verso il largo, perché sono sola, non ci sono bagnini, e soprattutto devo per forza lasciare i miei soldi nello zainetto e quindi non mi fido ad allontanarmi troppo.
Mi rinfresco soltanto un po’ con un tuffetto, e poi decido di camminare ancora verso nord, perché non ci sono più turisti, ma solo barche in secca, e pescatori che riparano le reti. Questi mi chiamano, ma purtroppo non riusciamo a comunicare
Verso l’una grosse nubi oscurano il sole, e decido di rientrare. In zona fiume in centro città, il contrasto fra luce ed ombra è incredibile.
Scatto un po’ di foto, e rientro in albergo poco prima che si scateni un acquazzone di proporzioni bibliche. Dopo un paio d’ore ritorna il sole. Spendo più per un frullato (al Cargo Bar, 42mila dong) che di cena, per una zuppa al Bo Bo Cafè (38mila dong).
Il Bo Bo Cafè è uno dei ristoranti più economici, ed il cibo è buono, per cui è sempre molto affollato, tuttavia il servizio è un po’ lento.
4/8 – Hoi An
Oggi non ho proprio niente da fare. Quindi avrebbe anche potuto essere una giornata in cui sarei potuta già partire, ma il fatto è che sono stanca di correre, e quindi sono contenta di riuscire a bighellonare un po’. Ormai di mercati ne ho la nausea, ne ho visti così tanti che non ho neppure più voglia di fotografarli Una parte di quello di Hoi An è dedicato alla confezione di vestiti, come se le sartorie che già pullulano in città non bastassero. Appena messo piede vengo subito avvicinata da ragazze che mi propongono “dress? dress?” Io in realtà volevo solo guardar le stoffe, visto che i vestiti sono capace a farmeli, ma incalzata come sono desisto. Scopro che al Faifoo Cafè i frullati costano solo 30mila dong.
Alle ore 18.00 un taxi, pagato dalla compagnia, mi porta all’agenzia dove fa sosta il bus notturno.
In attesa ci sono un sacco di ragazzetti nordeuropei, tutti backpackers, che viaggiano col sistema dei coupons.
Il bus come già detto all’inizio, non è per niente comodo, ed è affollato all’inverosimile. Ogni tot fa soste, presso gli autogrill. I bagni sono inguardabili ed in annusabili. Fra l’altro, scendere e salire dal bus è un’impresa, visto che i corridoi sono occupati da bagagli e persone, e, a complicare le cose, a bordo è obbligatorio togliersi le scarpe. Nonostante tutto, dormo come un sasso.
5/8 Nha Trang
Arriviamo alle 5 di mattina in centro. Con 68mila dong raggiungo in taxi il Tide Hotel, che rappresenta per me il ritorno alla topaia standard, 12 USD per una stanza sul retro. Http://www.thetidehotel.com/. Quelle davanti sono fronte mare, ma sono anche rumorose. L’hotel è a circa 4 km dalla città, in una zona frequentata solo da turisti vietnamiti. Ho fatto questa scelta perché volevo provare ad uscire un attimo dai soliti ghetti riservati all’occidentale medio. La spiaggia è affollata all’inverosimile, manco fosse Alassio a ferragosto. Sono sbalordita, data l’ora. I vietnamiti si alzano molto presto, frequentano la spiaggia all’alba e al tramonto, forse per via del caldo o forse per evitare l’abbronzatura. Le donne nuotano vestite.
Mi accoglie Owen, il proprietario dell’hotel, e, dopo una pessima e scarsa colazione (25mila dong), acquisto, con partenza per le 8, al costo di 16 Usd il cosiddetto “amazing snorkeling trip” presso la Hon Mun Marine Protected Area. L’amazing snorkeling trip è l’escursione tranquilla, l’alternativa è il “party snorkeling tour”, dove si beve e si balla a bordo (l’operatore più famoso in questo senso è Mama Ly).
Insieme ad altri turisti vengo portata al porto, e poi smistata sulla barca di mia competenza. Diciamo che il tour non è malvagio. Nel primo posto dove si fa snorkeling l’acqua è profondissima, dunque blu cupo, e non si vede niente, a parte qualche grosso pesce ogni tanto.
Nel secondo posto invece ci sarà da un massimo di 3 a 1 metro d’acqua, il fondo è pieno di coralli colorati, ed un sacco di pesci. Non è Redang, ma ci si può accontentare, sicuramente più divertente che stare in spiaggia in città. Il pranzo, poi, è abbondantissimo, e ci servono anche un sacco di frutta a merenda, prima di sbarcare! Insomma, una giornata gradevole. Rientro in hotel verso le 17, questa volta col bus pubblico (4mila dong) e la mia intenzione sarebbe quella di andare nella spiaggia di fronte a fare un altro bagno… tuttavia… non ho il coraggio di stare in bikini! Owen mi ha rassicurato che non è disdicevole tipo Arabia Saudita, i vietnamiti conoscono le nostre usanze, e al limite guardano e fotografano, ma poi, quando arrivo lì, mi passa ogni voglia.. e quindi me ne sto vestita.. in mezzo ad una marea di gente che gioca a pallone, pallavolo, racchette, insomma un casino allucinante. Non hanno il senso dello spazio privato come noi. Mi piazzo in un angolino e dopo 5 minuti due ragazzi iniziano a giocare a volley con me nel mezzo, dopo un po’ sono almeno 20, e io sempre nel mezzo, mi devo scansare per non prendermi un paio di pallonate, e alla fine levo le tende.
Per cena Owen mi consiglia il Chi Hang New Restaurant, che si riconosce perché all’ingresso sono posizionate due enormi bottiglie di Coca Cola. Ci sono solo persone del posto, ed i tavolini sono bassi come quelli dell’asilo. Mi portano un menù in inglese, ma non conosco nessuno dei pesci sulla lista, dunque ordino a casaccio. Sono fortunata, mi arriva un piatto enorme di squisiti totani grigliati e verdure al prezzo di 100mila dong!
In zona trovo l’acqua meno cara, 7mila dong per la bottiglia grande da 1.5 lt.
6/8 Nha Trang
Bevo un thé al Caphe Bo Bien, vicino al mio albergo, 17mila dong. I Caffè sono una vera e propria istituzione presso il popolo vietnamita, ombreggiati, e frequentatissimi. Il tipico thé è verde, la mia varietà preferita è quello aromatizzata al gelsomino, lo portano freddo, oppure caldo. E’ fatto con acqua minerale (ho sempre visto le taniche grandi nel retro dei banconi), quindi sicuro. Perfetto sollievo contro il caldo. Se qualcuno adesso mi chiedesse cosa rimpiango del Vietnam, il sapore che più me lo ricorda, la mia risposta sarebbe “il thè”
Acchiappo al volo il bus pubblico verso il centro. La Lonely Planet scrive che ci sono alcune gallerie di fotografi famosi a Nha Trang, e voglio vederne almeno una. Scendo in centro, nella zona non turistica, e mi avventuro. Anche oggi, cielo terso e sole a palla.
Raggiungo la Long Thanh Gallery verso le 9.30, l’ingresso è libero. Le foto sono splendide, tutte in bianco e nero, scattate con una vecchia reflex manuale. Alcune hanno vinto premi internazionali. I soggetti sono persone e paesaggi locali. Dopo un po’ se ne arriva Long Thanh in persona, su una vecchia Vespa. Lo saluto ma non mi viene in mente nessuna domanda particolarmente intelligente da fargli, come tutte le volte che mi capita di interagire con altro essere umano che ritengo immensamente superiore a me in una attività specifica. Mi chiede se sono di Lecco (?). Più avanti capirò che questa città ha ospitato l’unica sua mostra in Italia. Http://www.longthanhart.com/gallery.htm. Trascorro un’ora bellissima. Dopodichè, sempre scarpinando, mi dirigo verso la Cattedrale, ma prima passo in pasticceria a comprare vari dolcetti, 24mila dong. Le pasticcerie sono di tipo europeo, sicuramente eredità lasciata dai francesi. I dolci in crema non mi ispirano molto, quindi mi dirigo sempre sul secco, e poi sui “flan”, ossia dei budini un po’ acquosi.
La Cattedrale non è nulla di che, per gli standard italiani, ma ne approfitto per sedermi all’ombra, e divertita guardo i vietnamiti che si arrampicano ovunque sull’altare, e si fanno fotografare in pose drammatiche sotto la croce tipo quadro del Mantegna, finchè arriva un prete e fa un *****atone generale. La prossima tappa, sempre a piedi (mi sono portata un ombrello per difendermi dal sole), è la Long Son Pagoda. Qui i monaci stanno celebrando un rito, il gong rimbomba, la gente prostrata a terra prega. Aspetto la fine e poi salgo fino alla statua del Buddha, dribblando un sacco di scocciatori. Il Tempio è aperto a tutti, l’ingresso è gratis, non ci sono guide e non sono obbligatorie, per cui svicolate da chiunque, perché poi si tratta di litigare se non volete sganciare i soldi per la mancia, o per comprare inutili carabattole.
Nuovamente a piedi, vado in spiaggia, questa volta quella del centro, nella zona turistica, bordata da giardini e grattacieli sedi degli alberghi più lussuosi.
Qui gli occidentali la fanno da padroni, e quindi si può star svestiti. Ci sono gli ombrelloni e le sdraio dei bar e ristoranti da noleggiare, ma io preferisco l’ombra delle palme. Dopo un po’ mi stufo, e mi faccio un giro, ci sono parecchi negozi, ristoranti, bar. Alcune gallerie fotografiche scimmiottano Long Thanh.
Rientro verso tardo pomeriggio in albergo, mi faccio le valigie e la doccia (pagando un supplemento di 125mila dong mi tengo la camera sino alle 21), e ritorno al Chi Hang New Restaurant, questa volta 41mila dong per una porzione enorme di riso fritto con pollo e verdure.
Il mio treno per Saigon parte alle 22.40, ma è in ritardo. Per fortuna la stazione di Nha Trang è decente. Il convoglio è in arrivo da Hanoi, ma nonostante io abbia prenotato da giorni, nessuno ha cambiato le lenzuola, e la federa è piena di capelli. Le soft sleeper sono tuttavia tranquille, e meglio frequentate rispetto a quelle hard. I miei vicini sono una famiglia di Saigon, sia marito che moglie parlano bene inglese, e apprezzano particolarmente, profondendosi in un sacco di inchini, quando cedo loro la mia cuccetta, al piano basso, per farci dormire le loro bimbe, e mi trasferisco al posto delle figlie su quella superiore. Vorrebbero addirittura darmi soldi, perché è meno costosa, ma per me non è un problema, anzi la preferisco, perché si sta più tranquilli.
7/8 Saigon e Sa Dec
Arriviamo verso le 6, la stazione di Saigon è splendida in confronto a Hanoi, soprattutto i bagni. C’è una fila lunghissima per i taxi, e allora mi incammino a piedi fuori dal piazzale, sino a che ne trovo uno che mi accompagna (136mila dong) al terminal di Mien Tay, da dove partono tutti i bus per il Delta Mekong. Qui ogni sportello indica chiaramente prezzi e destinazioni, dunque non ci sono possibilità di errore. Diverse compagnie servono la località di Sa Dec, tuttavia il botteghino Phuong Trang, costo 100mila dong è preso d’assalto, per cui mi dirigo verso quello deserto di una compagnia minore, e prendo possesso di un biglietto da 60mila dong. Il piazzale ove stazionano i bus è enorme, ed è impossibile capire quale sia quello che mi serve, ma alcuni signori gentili, vedendomi vagare a vuoto, mi accompagnano. Purtroppo il mio pulman è piccolo, scassato, strapieno, e senza bagagliaio, per cui mi farò 4 ore di viaggio con i piedi sopra lo zaino e le ginocchia quasi sul mento, senza potermi muovere, pigiata accanto ad altri passeggeri, alcuni dei quali conoscono qualcosa di inglese e mi intrattengono un po’.
Inoltrandoci verso sud, l’alternanza di lingue di terra e canali d’acqua mi fa capire che ormai ci sono, ed il mitico Delta del Mekong è sotto i miei piedi.
Tempo fa ci si spostava coi traghetti, che pure in certi posti ancora esistono,
Ora, con la collaborazione di paesi stranieri, sono stati costruiti ponti giganteschi.
Sa Dec non è luogo turistico, la Lonely Planet ci dedica poche righe, ma su internet ho letto che la vogliono lanciare come la Hoi An del sud, ma francamente, dopo averla vista, di strada ce ne passa, e bisognerebbe lavorarci sopra parecchio. Perché ho deciso di spingermi sin qui comunque? Perché sono curiosa di visitare il luogo dove ha vissuto Margherite Duras, dove ha insegnato la madre, e la casa del ricco mercante con cui ha avuto una storia quando era giovanissima, come racconta il celebre film di Jean Jacques Annaud, che qui per censura non hanno mai trasmesso.
Arrivati a destinazione, il terminal è un piazzale sterrato, non un’anima in giro. Uno dei passeggeri mi aiuta a trovare un mototaxi, e mi fa da interprete. Qui non c’è un centro dove uno straniero possa girare per conto suo e trovare servizi, mi rendo conto, per cui gli chiedo di portarmi in un albergo a caso, l’unico di cui ricordi il nome, il Bong Hong, sulla strada principale. Per 24 ore non vedrò altri occidentali. Il receptionist fa finta di non capire i miei tentativi di contrattazione, e quindi pago 18 USD per una stanza doppia. L’hotel è destinato mi sembra a clientela cinese, ed è grande, ma squadrato e un po’ squallido. Mollo i bagagli in stanza e sono subito in giro in centro: costeggio il fiume, lungo il mercato, e raggiungo la Huynh Thuy Le House, che negli interni regge il confronto con le case dei mercanti visitate a Hoi An, e nell’esterno le batte ampiamente. L’ingresso costa 20mila dong, passeggio ancora un po’ davanti ad alcune pagode, e poi mi viene fame. L’unico ristorante, Quan Com Thuy, segnalato sulla Lonely Planet non mi attrae assolutamente. Dove mangerò? mi domando preoccupata. L’intuizione mi porta al mercato, al cui bordi ci sono delle bancarelle che vendono cibo, alcuni vietnamiti stanno consumando delle zuppe, e faccio segno, perché ovviamente nessuno sa l’inglese, che voglio anch’io la stessa cosa (15mila dong).
In una panetteria compro poi dei dolci (40mila dong), e in un baretto mi preparano un delizioso frullato di papaia (15mila dong). Decido quindi di esplorare nuovamente il lungo fiume, ad un paio di chilometri ci sono dei vivai, l’intenzione è di fare un po’ di foto sperando che carichino i fiori sulle barche, ma purtroppo come mezzo di trasporto ci sono dei furgoni, e tutto risulta poco romantico. Le case sono abbastanza mal ridotte, e la gente mi guarda curiosa, come se fossi una rarità. Potrebbe sembrare che ho perso tempo, ma sono molto contenta di essere capitata qui.
Non essendoci nulla da fare, mangio nel ristorante del Bong Hong. A movimentare la cena ci pensa un grosso ratto, che, arrivando dalla reception, si infila nella sala, la attraversa, e si fionda in cucina. Avverto il cameriere, e costui, anziché precipitarsi a cacciarlo, mi chiede scusa, e poi torna a sedersi esattamente dov’era prima. Mi domando con che coraggio domattina riuscirò qui a fare colazione.
8/8 Can Tho
La fame è più forte di tutto, e mi ricordo del ratto solo a panza piena. Il buffet è di stile vietnamita, ma un gentilissimo cameriere mi fa da guida, indicandomi i dolci, e spiegandomi che cosa contengono. Non hanno marmellata sui tavoli, ma ricordandomi che si dice “mu”, e facendone specifica richiesta, me ne arriva un barattolo quasi pieno.
Un taxi mi porta di nuovo al terminal bus (12mila dong). Dico agli sfaccendati seduti lì attorno che devo andare a Can Tho, e mi indicano una corriera in partenza, che riesco a prendere al volo. In verità è diretta a Vinh Long, ma la giusta coincidenza la incrociamo ad una trafficatissima rotonda, ed il mio trasbordo avviene al volo presso lo spiazzo di un benzinaio. Il nuovo mezzo è davvero disastrato, coi sedili tagliati e la gomma piuma che schizza fuori, pare che ci sia esplosa una bomba! Ho prenotato dall’Italia, scrivendo semplicemente al proprietario, e senza anticipi, presso il Nan Mon hotel. Riconoscendo l’insegna, mi accorgo che ci sto passando proprio davanti, quindi, aiutata da alcuni passeggeri che fungono da traduttori, mi faccio scaricare risparmiando i soldi del taxi. Http://www.nammonhotel.com/. Stanza superior, 22 usd, davvero una chicca, modernissima, pulita e confortevole. Il proprietario è di Singapore, con un inglese perfetto. Qui il personale è davvero efficientissimo e anche molto premuroso!. Poiché è un po’ fuori dal centro, come a Hoi An delle biciclette gratis sono a disposizione.
Mi prenoto una escursione per domani mattina prestissimo ai due mercati galleggianti, 42 USD, e poi, in bicicletta, mi fiondo in città.
Can Tho conta circa un milione di abitanti, l’arteria principale ha 3 corsie per senso di marcia, il solito caos, come sempre i ciclisti sono l’ultima ruota del carro, e quindi vittima di ogni sopruso relativo alle precedenze, ma per fortuna quasi tutti rispettano il rosso, e, stando un po’ attenta non ho particolari problemi. La cosa impressionante, stando ferma ai semafori, è voltarmi indietro e vedere una marea impressionante di motociclette, che scalpita in attesa di scattare. E’ un po’ la stessa sensazione che si ha quando, nuotando in mare, si vede da lontano un’onda grossa che si avvicina. Meglio non guardare mai indietro, dunque! Anche a Can Tho c’è un mercato tradizionale, ma lo attraverso velocemente senza porvi troppa attenzione. Il centro dista circa 10 minuti in bici dal mio albergo, tutti in piano. Sul lungofiume, parallelo ad un paio di isolati alla strada principale, si respira un’aria rilassatissima, giardini ombreggiati e salici dolcemente piegati sulle rive, una statua enorme di Ho Chi Minh. Faccio pranzo in un bel ristorante lì accanto, il Sao Hom, 60mila dong una zuppa di verdura.
Nello stesso edificio c’è anche un mercato di souvenir, le solite cose che si trovano ovunque, ma un banchetto vende dei vestiti molto graziosi, in stile locale ma un po’ adattato all’occidentale. Originale.
Proseguo la visita e mi dirigo al museo militare, ingresso gratuito. Fuori ci sono alcuni reperti bellici, un elicottero ed un aereo abbattuti, dentro altri ordigni, e tante fotografie.
Per sera ho appuntamento con la spagnola Elena, conosciuta a Cat Ba, e la sua amica canadese Chloé. Ci siamo rincorse per tutto il Vietnam, perse per un soffio a Hoi An, e mancate a Nha Trang. Pessima cena al Gony, che pure da fuori non sembra male, io ordino vietnamita e ancora sopravvivo, le altre due ragazze hanno la malaugurata idea di ordinare delle pizze, orribili, e del vino, che sembra andato a male. Il cameriere fra l’altro dice che è vino italiano, ma dubito che una vigna nostrana possa produrre una schifezza simile. Dopocena, per ricordare i tempi gloriosi di Cat Ba ci fermiamo sul lungo fiume, che nel frattempo si è riempito di bancarelle (soprattutto cibo, propongono anche le semplici uova sode cotte al momento), dove i soliti baristi improvvisati vendono birra, acqua e frullati, e ti fanno accomodare su vecchi sgabelli di plastica. Non tiriamo troppo tardi, perché l’indomani non sono l’unica ad andare ai mercati. Elena, al contrario di me, ha contrattato un’escursione direttamente con un barcaiolo, per 20 Usd, contro i miei 45 Usd. Come surplus rispetto a lei ho una guida che mi accompagna, vedremo se ne vale la pena.
9/8 Can Tho – mercati galleggianti
Alle 5.30 in reception incontro Quyen, 24 anni, il mio angelo custode per oggi; faccio un po’ fatica all’inizio a comprendere il suo accento ma dopo un po’ mi abituo. Partiamo al sorgere del sole. Il primo mercato che troviamo è Cai Rang che è diciamo un ingrosso, le barche sono di dimensioni notevoli e, sul pennone, viene legato una carota, un melone, a seconda di quello che vendono. Dopo è la volta di una fabbrica di noodles, dove fa un caldo soffocante. Arriviamo quindi all’altro mercato, quello di Phon Dieng, più raccolto, imbarcazioni di piccole dimensioni, che si sono rifornite a Cai Rang per vendere qui al dettaglio. Ci sono molti turisti, e parecchio assembramento. Sono le 8.30, il sole splende anche oggi senza pietà. Io mi sono vestita da capo a piedi, maniche e pantaloni lunghi, per paura delle zanzare. Di queste non ne vedo neppure una, e sto scoppiando di caldo, tuttavia sono contenta perché almeno non mi scotto. Dopo essere riuscite a districarci dall’ingorgo di giunche varie, prendiamo a navigare nei canali minori, sostiamo in un bar rustico per la colazione, e poi una piccola passeggiata.
Quyen conosce molti degli abitanti, e mi fa da interprete. Ho speso quindi molto per questa escursione, ma c’è del valore aggiunto. Quyen offre ai bimbi della frutta comprata al mercato, che mi sembra molto meglio delle caramelle regalate dagli stranieri. Rientriamo verso le 13.30, è stata una bella esperienza, anche grazie alla presenza di Quyen, ma come mercati galleggianti forse mi aspettavo di più, anche se non sono delusa. Penso comunque che con 20 USD ce la si possa cavare anche senza guida.
Riprendo la bici verso la città, dove trascorro le ultime ore, mangio due volte in un ristorante vegetariano di ottima qualità e molto economico, il nome credo sia Phap Hoa Restaurant, spendendo dapprima 26mila dong per un tardivo pranzo, poi 82mila dong per la cena.
Verso le 23, mentre pedalo per rientrare in hotel nell’aria finalmente tiepida, in una strada deserta, penso che oggi è l’ultimo giorno di Vietnam, e dal momento che mi sono sentita da subito a mio agio, mi sento un po’ malinconica. Il fatto è che mi spiace andarmene. E’ vero che ho ancora tutto domani, a Saigon, ma oramai sono agli sgoccioli.
10/8 Saigon
Attraverso la reception, senza nessuna commissione e senza pagare prima, ho prenotato, per 100mila dong, un voucher che vale un posto su un bus Phuong Trang. Passa una navetta gratis a prelevarmi, e mi porta alla loro sede, dove acquisto e pago il biglietto. Questi bus sono veramente comodi, con aria condizionata, e ti danno anche una bottiglietta d’acqua.
Parto circa alle 10.15, e arrivo a Saigon, terminal Mien Tay verso le 13.45. Potrei prendere un bus pubblico che so che porta direttamente in centro, ma voglio star comoda, e salgo su un taxi, dopotutto non è stata una vacanza dispendiosa e non ho voglia di sbattermi più di tanto.
Dico all’autista di lasciarmi al Ben Than Market, e da lì mi dirigo in cerca di un albergo, in zona ce ne sono parecchi, ma io ne vorrei uno economico che non sia troppo squallido, per cui non è semplicissimo. In questa zona la fascia bassa parte dai 30 dollari, le pensioncine economiche sono nella zona backpackers di Pham Ngu Lao, ma non ho voglia di allontanarmi dal mercato.
Spunto un 28 Usd con colazione compresa presso il Gia Huy hotel. Lascio i bagagli in camera, ed esco alla scoperta della città. La mia intenzione, giacchè sono le 15, sarebbe quella di andare al museo War Remnants, che chiude alle 17, tuttavia non riesco stranamente a trovare taxi My Linh, perdo un po’ di tempo a guardare negozi, ed alla fine mi infratto al Ben Thanh. Il mercato è molto grande, ma per quanto riguarda i souvenirs tutto sommato le bancarelle sono molto ripetitive. Mi pare che gli oggetti laccati costino meno qui che a Hoi An. Le magliette hanno prezzo fisso 72mila dong. Vendono anche degli ao-dai, i vestiti femminili tradizionali, ma i materiali sono pessimi.
Le camiciole cotone/seta che ho pagato 100mila dong a Hoi An qui (partendo da una base di 200mila dong) qui sono stra-care, in quanto la richiesta iniziale è 500mila dong. Obbietto alla venditrice che a Hoi An costano meno della metà, e lei risponde che la qualità è diversa. Invece, sono proprio lo stessa cosa.
In molte recensioni sul web gli stranieri si lamentano dell’aggressività dei venditori, che arrivano al contatto fisico pur di trascinarli a vedere la loro mercanzia. In effetti è vero, tuttavia per queste cose negli anni ho sviluppato un pelo sullo stomaco così spesso che quando mi sento risucchiare per un braccio all’indietro mi divincolo con uno strattone e tiro dritto senza nemmeno voltarmi.
Alle 19 ho appuntamento con Alessia, una mia compaesana che vive e lavora a Saigon da un paio di anni. E’ una ragazza sui 25 anni, fluente nel vietnamita, mi chiede che cosa voglio mangiare, e quando rispondo “roba del posto”, mi porta al ristorante Ngoc.
Si tratta di una bellissima villa di stile coloniale, piena di atmosfera, archi, colonne, tende a baldacchino sui tavoli, luci soffuse, una scenica fontana con vasca, e anche, ahimè, una pantegana che praticamente mi taglia la strada in terrazzo (per fortuna a fine pasto). Il locale è affollatissimo, sia di turisti che di autoctoni. Il mangiare è così così, per fortuna i costi non sono esosi.
Lo scambio di impressioni con Alessia mi è molto utile per cercare di capire meglio il paese, con tutte le differenze che ci sono fra nord e sud, non solo a livello linguistico.
11/8 Da Saigon a Bangkok
151mila dong e un taxi mi porta in aeroporto, per fortuna non ho sforato i 15 kg di franchigia bagaglio. Arrivo a Bangkok in orario.
Sono stata in questa città già diverse volte, sarò breve. La pensione, Riverview Guesthouse in zona Chinatown, l’ho prenotata da casa. Si trova in una zona poco turistica di Chinatown, intorno solo negozi di meccanici. Nessuno quindi che assilla per vendere qualcosa, il lato negativo che l’unico ristorante a portata di mano è quello sul tetto, con cibo pessimo. La posizione è ok, sul fiume, con vista fantastica, proprio alla fermata nr. 4 (Marine) della linea arancione del ferry, e a meno di un km a piedi dalla stazione centrale di Hualamphong.
Raggiungo la mia pensione dall’aeroporto con una combinazione di metro, skytrain e ferry, costo 45+35+15 baht rispettivamente. Ho prenotato inizialmente una stanza senza aria condizionata da 750 baht (denominata “urban chich”, che di chic ha ben poco), ma faccio l’upgrade alla “Dragon Move”, che costerebbe 2000 baht ma per via di una promozione (stanno infatti portando avanti dei lavori di restauro, ed un piano non è agibile) me la danno a 1700, qui ho addirittura la vista fiume
Poiché ho già visitato i luoghi più famosi della città, la mia permanenza si articola come segue. Pomeriggio di arrivo: visita ad un negozio di ottico in Sukhumvit, consigliato su alcuni forum, l’intento è di farmi fare un paio di occhiali da vista perché è molto conveniente rispetto all’Italia, mi sono portata dietro anche la prescrizione, ma devo desistere per via dei tempi troppo stretti.
Visitato il mall “terminal 21” nei paraggi, molto lussuoso, ogni piano è dedicato ad una città, bagni compresi. Primo piano Roma, secondo Parigi, terzo Tokyo, più su non sono salita. Vendono merce occidentale, agli stessi prezzi di qua, le scarpe MBT costano esattamente come in Italia, i jeans Diesel idem.
12/8 Ayutthaya
Andata 15 baht in treno di terza classe da Hualamphong, partenza ore 9.30 circa. E’ meglio prendere il treno delle 8.15 che fa meno fermate.
Dalla stazione di Ayutthaya a piedi, e senza cartina, arrangiandomi raggiungo i templi principali, 50 + 50 baht gli ingressi. Belli.
Rientro a Bangkok 20 baht su treno rapido delle 15. Arrivo verso le 16.30. Acquazzone biblico. Per non annegare in strada, vado al mall MBK in breve perlustrazione, e cenare. La zona ristorante è una specie di corte, con tavoli in mezzo e svariati stands di cucina asiatica ai lati. 70 baht per un pho vietnamita, per nostalgia. Quando esco dal grande magazzino, verso le 20, la temperatura si sarà abbassata di 10 gradi.
13/8 Bangkok
Pago sovrattassa e mi tengo la stanza sino alle 20.30.
In ferry, 15 baht, raggiungo il Phra Athit Pier, e Kao San Road, dove compro la maggior parte dei souvenirs. Torno poi al MBK, con una combinazione ferry + skytrain, per completare gli acquisti, e pranzare, sempre allo stesso stand vietnamita di ieri sera.
Un taxi prenotato dalla pensione, 500 baht, mi porta in aeroporto
14/8 Verso Milano
Il mio aereo parte alla 1 di notte e, complice il fuso orario, alle 13.45 stesso giorno atterro a Malpensa, dopo un altro favoloso upgrade in business sulla seconda tratta., dove mi abbuffo senza ritegno e dormo come un pascià, fra soffici cuscini, adagiata orizzontalmente come in un letto vero.
Perché ho intitolato il racconto “I ♥ Vietnam”? E’ quello che c’è stampato su una tshirt che ho comprato al Ben Thanh Market. Come recitava quell’insulso tormentone estivo di qualche anno fa “solo 3 parole”. 3 parole che però riassumono 3 settimane e mezzo di splendida vacanza.