Ho vissuto a Khartoum
Sono il mio incubo, il mio terrore, poiché un incidente qui è quasi sempre sinonimo di arresto, che tu abbia ragione o torto non ha importanza; metti sotto qualcuno? Ok, tutti in caserma. Poi,quando le autorità lo ritengono opportuno, considerano con tutta calma se avevi torto o ragione…Ed è auspicabile essere sempre dalla parte della ragione! Il terrore delle suddette conseguenza viene però offuscato dalla furia omicida che solitamente ti prende quando questi assurdi veicoli ricoperti da capottine di tela nera ti tagliano la strada senza pudore, persino maledicendoti…Allora inveisci in italiano, inglese,arabo, li “punti” con il muso del tuo fuoristrada suonando irosamente il clacson…Ma è tutto inutile, sono inarrestabili, sicuramente coraggiosi, con la loro gestualità codificata a rappresentare le richieste fondamentali: dita chiuse insieme,verso l’alto, a dire “aspetta,fermati”, dita aperte e tese, con le mani che ruotano a destra e sinistra, a dire “ma cosa stai facendo? Dove vai?”, braccia tese in sostituzione degli indicatori di direzione ed infiniti altri…Qui la popolazione li chiama “risciò”, credo per via della presenza massiccia di cinesi in città, anzi, in tutto il Paese.
Capita sovente di vedere i risciò con le ruote per aria, coricati nella polvere al bordo della via: gli addobbi multicolori e le decine di bandierine,specchietti,fiocchi e altre amenità che li guarniscono tristemente laceri e distesi sul selciato…I conducenti incidentati divengono belve furibonde, ed è meglio andare oltre,se non direttamente implicati, prima che la lite faccia sguainare i sikkijn,gli affilati coltelli che tutti portano sotto la manica sinistra della camicia; e qui la gente ha la spiacevole abitudine di sguainarli facilmente.
Il centro storico della capitale, con i suoi meravigliosi edifici coloniali di stile britannico, è oggi praticamente zona interdetta, sede dei maggiori organi di governo: le scale dove trovò la morte il governatore Gordon non sono fotografabili,pena l’arresto, e lo stesso dicasi per il punto di confluenza dei due Nili, per i ponti in ferro fatti dagli inglesi,per buona parte dei palazzi sulla sponda del Nilo Azzurro.
Cuore pulsante del turismo cittadino è sicuramente l’Acropole hotel, di Gorge Kalatopulos, un greco nato in Sudan. Tutti gli archeologi che scendono in questo Paese fanno tappa all’Acropole, dal Berlin Museum al British Museum, dagli Americani del Discovery channel ai “nostri”fratelli Castiglioni, i qualii proprio all’Acropole lasciano in deposito i loro vistosissimi Iveco 4×4.
L’edificio, completamente distrutto da un attentato terroristico negli anni 80, ora sorge a pochi metri dal sito originario, in centro città, un vecchio palazzo coloniale di tre piani dai sapori e dai colori molto africani. Un grande dipinto raffigurante il Cristo domina la sala da pranzo del secondo piano: è l’unica cosa che si salvò dalla distruzione dell’esplosione di 20 anni or sono, e qui guarda benevolo ai commensali, come a proteggerli.
George mantiene contatti di collaborazione con i maggiori organi di governo, cosa che gli permette di non incontrare difficoltà di sorta per l’ottenimento di permessi vari anche con preavvisi minimi; è sicuramente la persona che può aiutarvi a risolvere qualsiasi tipo di problema in Khartoum e in tutto il Sudan.
Percorrendo l’arteria principale della capitale, la via dell’aeroporto, si ha distingue perfettamente lo scacchiere di strade secondarie e sterrate che si diparte verso ovest ed il Nilo Bianco. L’insieme di vie perpendicolari è interrotto da una grande branca asfaltata, quasi perpendicolare allo scalo internazionale: Street 15th. Questa via è un’ode al consumismo occidentale, una sequela di piccoli Super Market in cui sono facilmente reperibili le merci più impensate, come la Nutella, i sughi per la pasta di grandi marche italiane, la cioccolata ed ogni altro ben di Dio…Il tutto a prezzi da cardiopalma,basti come esempio la famosa crema di cioccolato e nocciole in vendita a circa 6 dollari per 125 grammi! La presenza di questi beni di consumo attira in Street 15th la maggior parte degli occidentali qui residenti, e sono parecchi: ambasciate,missioni, associazioni volontaristiche,Medici senza Frontiere ed infiniti altri. Automatica la presenza dei rappresentanti dei ceti più poveri della città che qui stazionano all’uscita dei mercati per mendicare ai ricchi stranieri. La povertà è una piaga in Khartoum di dimensioni impressionanti, il numero degli affamati è enorme e destinato a crescere.C’è chi ha scritto che a Khartoum non esistono le Bidonville: lo invito caldamente a farsi un giro verso la periferia settentrionale, ove la povera gente non fa che girovagare nelle fosse delle discariche nella disperata ricerca di qualcosa di commestibile…E moltissimi di questi disperati convergono qui,in questa vie che espone nelle sue vetrine più o meno sfavillanti cibo che mai potranno acquistare. Proseguendo oltre Street 15th, ancora verso il Nilo Bianco, si entra in quello che a mio parere è il quartiere più caratteristico di Khartoum: Mantega.
Questo vocabolo, che pare uscito da una commedia veneziana, in arabo classico significa “meccanico”…E la Mantega di Khartoum è una colossale concentrazione di meccanici, fornitori, ricambisti, balestrai, elettrauto, insomma tutto quanto concerne la riparazione di mezzi meccanici, Le strade di questo quartiere, grande come una città, sono anch’esse una scacchiera perfetta, non asfaltate;decine e decine di vie tra loro parallele o perpendicolari tra cui spicca il corso principale, una sterrata percorsa per tutta la sua lunghezza da un grande canale di scolo in cemento,profondo e ampio un paio di metri, che ne occupa la linea mediana. Giace sommerso da cumuli di rottami e di immondizia, privo di acqua per il 90% dell’anno, per svegliarsi in un mattino di giugno,mese delle piogge, gonfio di acque tumultuose e torbide in una settimana soltanto di vita da torrente.
Tutto intorno ci si trova immersi nel caos più terrificante che la mente umana possa concepire.
Le officine vere e proprie si contano sulle dita delle mani; la maggior parte degli artigiani di Mantega lavora in strada utilizzando,magari a gruppi, ferri comuni. Molti meccanici non utilizzano il crick, privilegio di pochi eletti, ma creano con pala e piccone delle cunette sulla via, dossi su cui far salire le ruote dell’auto e così permettere un più agevole intervento sotto la scocca…In questo modo le strade di tutto il quartiere si sono trasformate in un unico susseguirsi di buche,avvallamenti,dossi piccoli e grandi che rendono il transito un inferno, Lungo il margine di ogni vicolo un cordolo infinito di ferraglia corre rasente i muri, una cornice di pistoni,alberi a camme, pulegge, interi motori ormai silenziosi stanno lì, nella polvere, testimonianza muta dell’operosità di questi uomini coperti di untume da testa a piedi.
A Mantega c’è Faruk, un Siriano intorno alla settantina, vero artista delle balestre che tutt’oggi continua a piegare a mano utilizzando solamente morsa, mazza, incudine e mantice, forgiando con precisione incredibile elementi elastici da barre di acciaio grezzo. E’ conosciuto come “il Siriano”, ed è ormai una celebrità. E nonostante l’elevazione a mito è capace, come un tempo, di lasciare improvvisamente il lavoro a metà per sdraiarsi a terra, placido, per un sonno ristoratore di un paio d’ore, sotto gli occhi attoniti del quasi sempre frettoloso occidentale che attende di poter andar via con la sua bella balestra nuova…Sì, girone dantesco mantega, perché quando vi entri per un lavoro anche banale devi comunque preventivare di perdere un oceano di ore, se non addirittura giorni. Tra il ciarpame, le carcasse delle auto abbandonate ed i vecchi bidoni contorti i minuscoli tavoli delle venditrici di chaji e karkadè ingentiliscono il dipinto; presenti ad ogni crocicchio belle donne ricoperte di scialli coloratissimi che fanno la spola tra le botteghe e le panchine improvvisate, a dispensare ettolitri di calda e rigenerante bevanda.
Le chiazze di olio esausto tappezzano la polvere delle vie,lastricate da miliardi di rondelle, bulloni, guarnizioni ritorte, in uno strato continuo, reso tutt’uno con la terra dall’incessante calpestio di innumerevoli piedi e pneumatici.
Mantega dei rumori, dal borbottio dei compressori a nafta, fino all’urlo dei motori a 6 cilindri mandati fuori giri in arcaici test dei fumi di scarico…Mantega delle liti irose di chi giunge in auto e non può più andarsene, perché in mezzo alla strada c’è un mezzo senza ruote, in bilico su 4 ceppi di fortuna, in attesa di riparazione e chissà fino a quando ci starà…Mantega dei milioni di pounds, dove ogni giorno circolano cifre da capogiro e dove senza preavviso alcuno piombano gli esattori del governo, ad imporre tasse pesanti per soddisfare la sete di denaro di un regime che sperpera miliardi di euro in una guerra infinita; ma tocca solamente alle prime sfortunate botteghe del quartiere: il tam tam degli avvisi di bocca in bocca percorre il labirinto di sterrate come un’ondata improvvisa ed in pochi minuti i portali di lamiera si chiudono, i meccanici spariscono, la gente si sdraia per strada in ozio…Negozi chiusi come a dimostrare mancanza assoluta di lavoro ed automatica esenzione dalle gabelle governative. Poi, di botto, tutto riapre, tutto ritorna alla normalità, non appena gli uomini dello Stato lasciano il quartiere. No, non si può dire di conoscere Khartoum se non si ha calpestato la polvere di Mantega… Ma torniamo alla città nel suo insieme. L’avversione all’America, pur se non in modo eclatante come invece avviene in altri Paesi Africani, è costantemente mostrata, in maniera pacata ma decisa, dai giornali e dalla popolazione tutta, non è raro che un occidentale venga fermato mentre cammina per la città da un passante con la domanda “ sei Americano?”, domanda alla quale anche gli statunitensi, se dotati di un minimo di buon senso, risponderebbero con un deciso no, data la situazione internazionale attuale. L’epilogo del discorso è solitamente una soffusa invettiva nei confronti del diavolo a stelle e strisce, compendiata dal classico “amerika ma tamam!!!”.
E poi? Poi giri l’angolo e ti trovi di fronte ad un chiaro plagio di Mc Donald’s, un americanissimo punto vendita di hamburghers, patatine,hot dog ! Ve ne sono a decine in città, con i banconi di acciaio ben lustri, i frigoriferi ricolmi di Pepsi e Coca cola, simbolo stesso del consumismo importato dall’America. I fast food collocati nei pressi di scuole ed università pullulano di avventori ad ogni ora del giorno, studenti con le camicie stirate e la 24 ore in pelle, stridente realtà che si confonde con la folla di cheche candidi che colora le vie adiacenti. Le casse di potenti impianti stereofonici inondano i porticati,mentre canali video trasmettono a getto continuo video musicali di star locali, a noi sconosciute,addobbate alla Michael Jackson del periodo peggiore…Ed intanto a pochi metri il lustra scarpe o il venditore di sigarette sciolte rendono ancora più marcata , tra mondi così diversi.
E come non parlare dei mitici bus di Khartoum, questi veri e propri missili su 4 ruote che solcano il traffico a folle velocità, infischiandosene di tutto e tutti perché forti della loro mole possente. Gli ingorghi stessi non li bloccano: escono dalla carreggiata mantenendo la velocità di crociera, gettandosi nella terra battuta a lato della via inondando i poveracci incolonnati di un polverone di proporzioni titaniche per poi riconquistare la strada principale alla prima occasione,sicuramente tagliandola allegramente a qualche centinaio di automobilisti. Non manca la solita “sudanesissima” contraddizione: se tutto ciò viene tollerato i tutori dell’ordine sono invece inflessibili sul numero di persone trasportate; se in un bus vi sono più di tre passeggeri privi di posto a sedere piovono multe da capogiro…Salvo ovviamente chiudere non uno ma entrambi gli occhi nei confronti di effrazioni ben più gravi! Tutori dell’ordine disarmati, come l’intera popolazione del Sudan (Sud escluso,naturalmente, dove si combatte a colpi di AK47 da 20 anni) ad eccezione di esercito e Polizia segreta…Ma muniti sia dell’immancabile fischietto e, roba da non crederci, di lunghe e robuste fruste di cuoio o pesanti bastoni di legno o gomma piena, entrambi comunemente utilizzati sulle schiene di uomini ed animali indisciplinati.
Le grandi arterie a quattro corsie, congestionate dal traffico, chiudono come una corona di asfalto il centro della capitale del Sudan, un ammasso informe di palazzi moderni imbruttiti dallo smog di migliaia di auto vomitanti nere nubi di gasolio incombusto. Giganteschi tabelloni pubblicitari guarniscono il fianco della via centrale, il lungo viadotto che unisce l’aeroporto alla zona mercatale ad ovest, lo stesso ai sobborghi di Sobah ad est. Un caos di mezzi di ogni tipo lascia come inebetiti,l’occidentale vi si perde come tra le onde spumeggianti di un torrente in piena. Niente regole a parte quella del più forte: chi passa per primo vince, poco importa se poi ne nasce un ingorgo colossale…Le scassatissime autocorriere Tata infilano i loro musi quadrati a perpendicolo nello scorrere del viale, centimetro dopo centimetro,finchè riescono a bloccare le auto in corsa; ed allora ecco un altro fiume di mezzi correre, il flusso in altra direzione, un concerto di trombe di avvisatori acustici di infinite tonalità, mentre ipotetici vigili urbani spingono con sonori schiocchi i malcapitati a tiro di nerbo ad accelerare il passo, tra urla, fischi , stridore di frenate e fin troppo spesso clamore di lamiere che urtano. Sopra tutto, ad intervalli relativamente brevi, il frastuono assordante dei grandi jumbo in atterraggio o in decollo sulla pista a poche centinaia di metri, gli enormi ventri di acciaio bianco che scivolano appena 20 metri sopra i tetti delle automobili in coda, uccelli giganteschi dal cuore di metallo.
L’ombra grottesca delle ali scorre sulla strada ebbra di caos…Osservo,ogni volta che vi passo come fosse la prima, intrappolato come un topo nella fornace del mio abitacolo, e sono muto di stupore, di incredulità.
Su questa super strada aprono i loro battenti numerosi ospedali e cliniche private, cui si affiancano i dispensari di numerosi associazioni umanitarie.Come già detto sono molti i poveri qui in città, specialmente rappresentati da esuli dalla sanguinosa guerra a sud, giunti qui con in tasca solamente la fame…Solamente presso l’istituto delle Missionarie di Maria Immacolata vi sono circa 3000 persone che quotidianamente vengono sfamate a cura delle nostre suore.
Gli ospedali governativi lavorano a pieno ritmo in condizioni precarie, combattendo contro piaghe del genere umano come la lebbra, la malattia del sonno, la febbre gialla, la malaria.Ed ancora l’ennesima contraddizione, perché negli stessi ospedali in cui quotidianamente si combatte con morte e malattie si praticano le “esecuzioni chirurgiche”, ovvero le amputazioni punitive previste per i malviventi dalla Shaarjia, la legge cranica vigente in Sudan: ai mandanti di furti importanti vengono amputati braccio destro e gamba sinistra, in uno Stato dove già la poliomielite costringe migliaia di uomini e donne a trascinarsi su sedie a rotelle o piattaforme scorrevoli di fortuna.
Così gli stessi medici che si battono per sconfiggere i fantasmi delle immonde malattie che infestano il Paese si ritrovano poi a dover amputare arti sani in nome di una legge che ,io credo, nessun Dio vorrebbe mai vedere applicata.
Complemento all’orrore le travi arrugginite della forca, che spuntano tetre al di sopra delle mura del carcere cittadino, ineluttabile segno che i diritti umani sono qui un’entità sconosciuta. Sorrido amaro,mentre penso che forse negli Stati Uniti d’America la forca non si nota passando per strada come qui a Khartoum, ma i diritti umani sono ugualmente tenuti in scarsa considerazione… Infine i ponti, i bellissimi ponti di questa città, 5 passerelle sul Nilo, che rappresentano in pratica il 99% dei ponti di tutto il Paese. I due “pezzi da museo” risalenti al protettorato Britannico si slanciano sulle acque del Nilo Bianco e del Nilo Blu, il primo verso Oumdourmam l’altro verso Khartoum Nord; i carriarmati e le pattuglie armate parlano chiaro sulla,vera o presunta, strategicità delle strutture, frammenti di storia impossibili da immortalare con obiettivi di sorta se non si vuole rischiare l’arresto per spionaggio militare. Poco più a sud del ponte di ferro inglese,sul Nilo Bianco, vola sinuoso il gioiello di ingegneria stradale costruito dai cinesi , nuovissima bretella a sei corsie che riesce a smaltire il traffico verso l’area mercatale di Oumdourmam.
Un unico ponte a nord della capitale, quello del villaggio di Atbara, anch’esso costruito dagli inglesi ed anch’esso controllato dai militari, ad unire le due sponde del solo affluente del Nilo, da cui la cittadina prende nome.
Attraverso il ponte verso Oumdourmam, il vecchio ponte inglese a pochi passi dalla confluenza del nilo bianco e del nilo azzurro, come una vedetta di ferro a vegliare sulle radici del più grande fiume d’Africa. Si passa a senso unico alternato: la mattina si esce dalla Capitale, il pomeriggio si entra, ed a regolare il traffico non ci sono i gendarmi ma i soldati, armati.
Paradossale, perché appena 300 metri più a sud, perfettamente visibile, il grande ponte costruito dai Cinesi appena due anni or sono, collega le due sponde del Nilo bianco,permettendo comunque di muoversi tra Oumdourmam e Khartoum evitando il blocco militare… I cinesi…Già, i Cinesi pare abbiano invaso il Sudan, dapprima a piccole dosi, poi in modo massiccio, portando tecnologia avanzata e grandi opere pubbliche pare gratuitamente, e non si capisce bene a quale scopo: nessuno crede più alle donazioni senza interesse! Mi getto nel cuore commerciale del Sudan, con il suo gigantesco souk permanente. Se Khartoum centro è una bolgia Oumdourmam è allora qualcosa di molto simile al caos del Big Bang primordiale: milioni di persone affollano le vie in una babele di auto, bus, carretti e biciclette a togliere il respiro ad una fiumana di pedoni frettolosi…Il traffico di Roma in confronto è una barzelletta. Ma è anche un inimmaginabile tripudio di colori, ne trapela l’essenza stessa dell’Africa nera: in questo luogo più che in ogni altra parte del Sudan si è consci di non essere in un Paese Arabo ma in uno Stato che è anello di giunzione tra l’Africa degli Arabi e quella Nera.
Aggirandosi nei budelli del mercato non si è mai assaliti da venditori assillanti, procacciatori di affari, fantomatiche guide, e ci si sente parte integrante di una tavolozza di colori che nessuna parola è in grado di descrivere. Botteghe di ugandesi, etiopi, somali e chadiani si mescolano con i negozietti dei sudanesi; piramidi di bacinelle multicolori e torri impressionanti di pentole d’alluminio con i caratteristici coperchi a cono si mischiano alle statue in ebano, alle antiche spade, ai cumuli di ferraglia spacciata per oro zecchino in vistosi e spesso grotteschi monili di un giallo sfacciato, quasi comico, troppo intenso per essere vero.
Tonnellate di avorio lavorato da abili mani mostrano laconicamente quanto poco considerate siano le norme internazionali a tutela dei pachidermi, e le salme disseccate di decine di coccodrilli spiegano la rarità di avvistamenti di questo rettile, un tempo sovrano assoluto delle acque del Fiume. Fabbri e ciabattini lavorano sulla strada, in un concerto di colpi argentini, mentre il brusio dell’immensa folla forma una nota grave e continua, come un’eco lontana che riporta alla memoria l’urlo terrificante che in una notte del 1885, proprio da questi vicoli, segnò l’inizio della strage di Khartoum ad opera delle orde del Mahdi, urlo uscito da 100.000 gole selvagge , ebbre di feroce attesa di carneficina, liberate dalle acque del Nilo finalmente in secca… Innumerevoli chioschi di spezie profumano l’aria di cardamomo e cannella, fragranze diverse dal cumino che solitamente permea i souk del Sahara settentrionale. Un esercito di bimbi vende borse di plastica, vero flagello dell’ecologia Africana, sparse ovunque in una orribile ed eterna parodia di infiniti alberi di natale, nelle vie del centro, sulle chiome degli alberi, tra gli spini dei cespugli in periferia, doni incoscienti e scellerati della nostra civiltà che di civile pare avere poco… Sopra questo universo in perenne movimento si eleva il minareto della Moschea del Mahdi, sorta in prossimità della sua abitazione, tutt’oggi meta di pellegrinaggi di milioni di mussulmani, ad onorare il liberatore del Sudan. Reminiscenza di quel periodo nemmeno poi troppo lontano giunge ogni venerdì, puntuale, la danza dei Dervisci, sorta di “monaci” dell’islam, asceti che danzando pare entrino in stato di trance ed in comunicazione col divino; e Dervisci erano proprio il nucleo delle armate del Mahdi.
Ed infine Khartoum by night…Ho vissuto a Sobah, periferia orientale della città, un sobborgo a 15 km dal centro, tanto per rendere l’idea dell’immensità della metropoli africana, per diversi mesi, una sorta di “tana”, rifugio in cui riprendermi tra i vari tour effettuati nel Paese.
Per questioni legate al mio lavoro di Guida ho percorso infinite volte le vie della Capitale nel cuore della notte, conoscendo una realtà completamente differente dalla caotica Khartoum diurna.
Intorno alle 23 tutti i locali serrano i battenti, comprese le due o tre discoteche ubicate nei pressi di Street 15th, piccoli pub in cui si raccolgono i giovani dei ceti benestanti, che qui giungono accatastati nei soliti pick up Toyota, emblema di tutta l’Africa settentrionale.
Fino a poco tempo fa vigeva la legge marziale in Sudan, conseguenza della guerra infinita nel sud e rimedio del governo contro l’eventualità di quel golpe che si dice imminente da anni e non ancora avvenuto…Alle 23 entrava in vigore il copri fuoco, con il divieto assoluto di percorrere le vie cittadine.Pur decaduta questa limitazione è tuttavia ancora una realtà tangibile, non tanto per le vie deserte e silenziose quanto per l’inquietante presenza dei militari: alle 23 ogni incrocio nevralgico,come per incanto, viene occupato da pattuglie armate, transenne incanalano il traffico e zelanti soldati fermano ogni automezzo controllando con scrupolo documenti e permessi.
Non si tratta di vigili urbani né di gendarmi; mimetiche e kalashnikoff branditi, è l’Esercito che presidia la città, armata di bambini con la paura negli occhi di ritrovarsi faccia a faccia con un rivoluzionario dal grilletto facile. I blocchi non sono segnalati e non è raro piombarci dentro ad alta velocità, se non se ne conosce l’ubicazione: occorre quindi prudenza e cautela, perché la regola ferrea è sparare in caso di fuga, e qui viene messa in atto con facilità. Ciò nonostante mai, nei mesi di permanenza in Khartoum, sono stato fatto oggetto di perquisizioni o, peggio, di richieste di danaro o anche soltanto sigarette da parte dei militari di un blocco in piena notte, a differenza di quanto avviene comunemente in Libia, Tunisia, Algeria e Marocco, per non parlare del Niger.
Nemmeno il passaporto mi è stato mai richiesto, ma soltanto la patente internazionale, che, una volta accertata la mia nazionalità, ha spesso dato adito a discorsi inerenti a quel tal Roberto, mio omonimo ed italiano come me che di cognome fa Baggio, divino lasciapassare caudato valido in tutto il Sahara.
Se in città l’Esercito controlla il territorio vieta nello stesso tempo l’uscita dalla città agli occidentali, se non muniti di specifico permesso esplicante itinerario, durata e motivo del viaggio.
Il permesso utile a lasciare la metropoli contiene i dati personali del titolare, fotografia compresa; in ogni città che venga toccata durante il viaggio copia del permesso viene ritirata da rappresentanti dell’Armata, che fuori Khartoum mantiene il controllo sul territorio insieme ai servizi segreti, vero e proprio nerbo del potere statale. Lo stesso tipo di controllo è comune ad altri Paesi del nord Africa, basti pensare alla “civilizzata” e filo occidentale Tunisia in cui occorre avere un permesso dell’Esercito per recarsi nel Sud desertico.Ancora un esempio di contraddizione Sudanese: nel febbraio 2003 l’Ambasciata Tedesca ha organizzato, in comunione con la Filarmonica di Berlino, un concerto di musica classica presso il sito di Meroe, circa 200 km a nord della capitale. Ebbene, solamente un centinaio dei numerosi occidentali presenti in Khartoum ha potuto assistere all’evento, oserei dire unico, perché i restanti,privi del mitico Travel Permit, non han potuto lasciare la città. Il permesso viene rilasciato da enti governativi con il beneplacito della Security Police, la Polizia segreta. Come detto poco sopra, essa è il maggior organo di controllo del Sudan; si tratta di un corpo di polizia politica, operante in borghese, distribuita in modo capillare in tutto il Paese, sempre presente nei centri abitati fino a 5000 abitanti. Il controllo che pone in atto è rigoroso anche e soprattutto nei confronti degli occidentali, sempre guardati con sospetto d questi specie di 007.
Durante i miei itinerari in Sudan ho spesso avuto a che fare con questi signori solitamente riconoscibili a vista, grazie alla costante presenza sui loro nasi di vistosi occhiali da sole! Ad essi, per quanto concerne il turismo, è deputato il controllo e la verifica dei permessi di viaggio, foto e video ripresa, documenti sempre minuziosamente sfogliati con metodo certosino. Se per viaggiare in Sudan basta avere un Travel Permit per fotografare e riprendere il permesso non è sufficiente: pur se in possesso dei due specifici permessi il turista è comunque vincolato dalla legge statale che vieta la ripresa di soggetti poveri…E colui a cui lo stato delega la responsabilità di decidere chi sia o no povero è il Security Man. Di conseguenza accade spesso che, fatto uno scatto ad un uomo sul suo carretto, ti piombino addosso due Ray Ban con sotto un viso arcigno, e ti ritrovi in centrale ed addio pellicola! Per questo motivo, per evitare magari di perdere immagini preziose scattate nel corso del viaggio, è preferibile tralasciare di fotografare o riprendere nelle città e nei villaggi maggiori. Resta sott’inteso il divieto assoluto di fotografare caserme, strutture governative e, ovviamente, security men ( i quali, essendo in borghese, non sono facilmente individuabili, occhiali scuri a parte!). E’ poi assolutamente matematico che un mezzo con a bordo occidentali in arrivo in qualsiasi città sia immediatamente individuato dalla polizia segreta: meglio anche in questo caso prevenire recandosi direttamente,all’ingresso in paese, alla caserma locale per presentare la documentazione di viaggio.
Ma ritorno alla Khartoum by night…Alle 6 del mattino, come per incanto, l’esercito si eclissa ed i blocchi vengono smantellati; le divise grigio verdi lasciano il posto a quelle candide dei municipali, i quali rallegrano l’alba con i loro sclerotici fischietti. La città si rianima ed intorno alle 7 il traffico è già congestionato, un immane serpente mugghiante di fumi di scarico maleodoranti.
Agli incroci maggiori aprono i battenti i chioschi di frutta e verdura, e le vecchine tatuate espongono su banchetti mobili e claudicanti nocciole tostate,pistacchi e semi di zucca. Decine di carretti trasportano su lunghe assi infarinate i pani appena sfornati, allineati in pile da 10 pezzi o da 5, a seconda del loro diametro, fragranti, appetitosi. Coorti di ragazzetti si pongono ai margini delle vie principali, ognuno con una carriola vuota, a vendere improbabili servizi di trasporto ad altrettanto improbabili clienti. I grandi supermercati e le officine apriranno solamente verso le 9, ed i tavolini delle donne del tè sono affollati di avventori assonnati. I venditori di legna accatastano i loro ceppi, legno buono e legno da esca, impilandoli in ordine di grandezza; i carbonai, già neri di fuliggine di primo mattino, gettano i loro sacchi da 50 kg sulla terra a lato strada, mentre una fila interminabile di autotreni si dispone in ordine di arrivo poco distante dalla zona dell’aeroporto, sperando in qualche provvidenziale ingaggio.
Lontano, ai margini degli ultimi sobborghi, migliaia di persone si svegliano nella miseria e si recano nelle discariche alla ricerca di avanzi commestibili, mentre i contadini conducono i loro carri verso le due branche del Nilo, verso la stretta striscia di campi che contorna la capitale.
Ed eccoli i “risciò”, sciame ronzante, che di colpo si riversano in massa nelle vie, con i teloni sventolanti, clacson che sbraitano soffocati dal frastuono dei jet in arrivo…E’ il caos, è un nuovo giorno a khartoum…