Grandi bellezze naturali, borghi antichi e luoghi sorprendenti: a un’ora da Roma c’è una terra di meraviglia ancora da conoscere
Luca, Sabrina e Leonardo hanno deciso di concedersi un breve viaggio di qualche giorno nella Tuscia, la verde regione al nord del Lazio che corrisponde grossomodo alla provincia di Viterbo. Una terra di grandi bellezze naturali, borghi antichi e sorprese. Da scoprire così
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Diario di viaggio nella Tuscia
Giorno 1 – Vitorchiano
Vitorchiano
Per non perdere l’abitudine ci vogliamo concedere un viaggetto anche in occasione dei ponti primaverili, rimanendo però in Italia, in modo da bilanciare un po’, economicamente, il grande viaggio che vorremmo intraprendere questa estate. Andremo così nella Tuscia, una regione attualmente identificata nell’alto Lazio e più in particolare la provincia di Viterbo, che un tempo invece era sinonimo di Etruria e quindi, come territorio abitato dagli antichi etruschi, comprendeva la Toscana e parte dell’Umbria.
Partiamo nel pomeriggio di una giornata iniziata con la pioggia, ma in via di miglioramento. Lasciamo casa alle 15:20 e venti minuti più tardi imbocchiamo, a Cesena, la superstrada E45 verso sud. Così facendo, circa un’ora dopo il via, passiamo per Bagno di Romagna e una manciata di minuti più tardi sul valico del Verghereto, da dove scendiamo poi nella Valle Tiberina, mentre le nubi si diradano e lasciano spazio al cielo sereno.
Alle 17:40 transitiamo nei pressi di Perugia e tre quarti d’ora dopo nelle vicinanze di Terni, ormai in vista del traguardo. Alle 19:00 in punto, infatti, arriviamo nel paese di Vitorchiano, a pochi chilometri da Viterbo, dove prendiamo alloggio per due notti al B&B Il Moai.
Depositiamo i bagagli e poco più tardi usciamo a cena, nei paraggi, al Ristorante La Fraschetta di Jack o La Mela Stregata, dove mangiamo molto bene, assaporando qualche piatto tradizionale, prima di ritirarci in camera a riordinare le idee per l’inizio delle visite di domani mattina.
Giorno 2 – Viterbo, Vitorchiano, Bagnaia, Soriano nel Cimino
Viterbo
Splende un bel sole e, dopo aver consumato la colazione al B&B Il Moai, a Vitorchiano, prendiamo il via così da raggiungere la prima meta dell’itinerario, che è proprio il capoluogo della Tuscia, ovvero Viterbo, una cittadina dalle antichissime origini, che raggiunse l’apice del suo splendore nel medioevo, allorquando ricoprì il ruolo di capitale della cristianità, meritando l’appellativo di “Città dei Papi”. Imbocchiamo la superstrada e dopo poche uscite seguiamo le indicazioni per il parcheggio più vicino al centro di Viterbo, che è quello di Piazza Martiri d’Ungheria.
Superiamo Porta Faul e andiamo a lasciare l’auto entro le mura cittadine, che risalenti all’epoca medioevale e lunghe circa quattro chilometri risultano, ancora oggi, praticamente intatte. A piedi, dal parcheggio, raggiungiamo poi Piazza Plebiscito, uno dei punti salienti della città vecchia, cara ai viterbesi perché è proprio qui che avviene la sosta del famoso trasporto della Macchina di Santa Rosa (torre alta circa trenta metri, che viene portata a spalla ogni 3 di settembre, da un centinaio di uomini, durante la celebrazione del patrono). Ma sulla piazza, dove purtroppo sono in corso alcuni lavori, dà anche il bel Palazzo dei Priori, che è ancora chiuso e che visiteremo più tardi.
Seguendo allora Via Roma arriviamo in Piazza delle Erbe, così chiamata perché nell’Ottocento vi si svolgeva il mercato degli ortaggi, al cui centro trova posto una delle più belle fontane della città, realizzata nel XVII secolo e decorata dallo stemma Farnese e da teste di leone.
Successivamente, seguendo Via Saffi, giungiamo di fronte a Casa Poscia, un pregevole palazzo trecentesco, con il suo pittoresco balcone a profferlo e l’ardita scalea, che ne fanno uno dei più ammirati monumenti di Viterbo, dal quale la tradizione popolare vuole si affacciasse la bella Galliana, una delle più apprezzate donne della città, per ricevere l’omaggio dei numerosi cavalieri e nobili del circondario.
Da lì, camminando per vicoli, arriviamo anche alla Chiesa di San Giovanni Evangelista in Zoccoli, risalente all’XI secolo e fiancheggiata da una pregevole fontana medioevale, che è chiusa, ma la cui principale peculiarità si mostra all’esterno, con due archi che collegano la facciata al palazzo di fronte, per scaricare probabilmente su di esso la forte spinta delle navate, dato che il pavimento è inclinato verso l’ingresso.
Usciamo quindi dalle mura cittadine attraverso Porta della Verità, per andare a vedere la dirimpettaia Chiesa di Santa Maria della Verità, la cui facciata esterna è priva di interesse, inquanto ricostruita dopo i bombardamenti dell’ultima guerra, mentre all’interno si trova la meritevole Cappella Mazzatosta, risalente al XV secolo, che conserva un eccezionale ciclo di affreschi di Lorenzo da Viterbo.
Proprio accanto alla chiesa vorremmo visitare il Museo Civico Luigi Rossi Danielli, che dovrebbe aprire alle 10:00 ma che, passata l’ora, non apre. Attaccato alla porta c’è un biglietto, scritto a mano, che avverte circa un’apertura ritardata alle 11:00 il 28 di maggio, ma oggi è il 28 di aprile. Avranno sicuramente sbagliato mese, inquanto le porte restano chiuse e noi rinunciamo ad entrarvi, perché non possiamo attendere un’ora e poi, infondo, non è così importante.
Rientriamo dentro le mura e raggiungiamo Piazza Fontana Grande, con al centro l’omonima fontana, risalente all’inizio del XIII secolo e considerata la più bella di Viterbo, ma potrebbe essere molto meglio se almeno ci fosse l’acqua e non risultasse assediata dalle auto, parcheggiate selvaggiamente tutte intorno.
Passiamo poi a vedere Casa Gatti, simbolo del potere politico della famiglia da cui prende il nome, che un tempo contava addirittura sei torri, mentre oggi ne rimane solo una, di ridotte dimensioni, quindi guadagniamo l’antica Chiesa di San Sisto, dotata di ben due campanili, nella quale i facchini di Santa Rosa, la sera del 3 settembre, ricevono la benedizione in articulo mortis, prima di iniziare la famosa processione.
Nei pressi si trova la monumentale Porta Romana, detta anche Porta Pamphilia o Innocenziana, perché inaugurata nel 1463 da Papa Innocenzo X, dalla quale usciamo per immortalarla, dopodiché, seguendo la cinta muraria, rientriamo da Porta San Pietro per immergerci nel quartiere medioevale per eccellenza, quello di San Pellegrino, uno dei più grandi d’Europa nel suo genere e simbolo dell’antica città di Viterbo.
Percorriamo così Via San Pietro, quindi Via San Tommaso e Via San Pellegrino, contornati da splendidi scorci, in particolare nei pressi di Piazza San Pellegrino e Palazzo degli Alessandri, dove pare di essere in un’altra epoca e nel set di un film storico.
Passeggiando per questa bella zona della città arriviamo anche alla barocca Chiesa del Gonfalone (o di San Giovanni Battista), stilisticamente parlando un po’ fuori luogo, ma ugualmente molto interessante. Costruita, infatti, nel XVII secolo al suo interno si trova un eccezionale ciclo di affreschi dagli stupefacenti effetti prospettici ed un incredibile stendardo processionale dipinto su entrambi i lati, ma con soggetti completamente diversi.
Nelle vicinanze c’è però anche la romanica Chiesa di Santa Maria Nuova, tutt’altro che nuova, anzi antichissima, perché risalente all’XI secolo e considerata una delle migliori architetture religiose della città, con all’esterno il pulpito dal quale si narra che predicò, nel 1266, Tommaso D’Aquino e all’interno notevoli affreschi medioevali, ma, sul retro, pure il pregevole Chiostro Longobardo.
A questo punto ci avviamo verso il clou della visita a Viterbo, ovvero il Palazzo dei Papi, costruito in occasione del trasferimento della sede del pontefice Alessandro IV (1254-1261) e la Cattedrale di San Lorenzo, eretta sulle rovine di un tempio pagano dedicato ad Ercole. Nel primo dei due importanti monumenti osserviamo la splendida Loggia dei Papi, risalente al 1267 e caratterizzata da una serie di archi ogivali, quindi, all’interno, la grande Aula del Conclave, così definita per aver ospitato il primo e più lungo conclave della storia, durato ben 33 mesi, ed infine l’interamente affrescata Sala Gualtiero. Nell’adiacente cattedrale, oltre al maestoso interno diviso in tre navate, visitiamo l’interessante Museo del Colle del Duomo dove, fra numerosi reperti ed opere d’arte, spicca la Tavola della Crocefissione, attribuita a Michelangelo Buonarroti.
Ora, già passato mezzogiorno, non ci resta che chiudere il cerchio e tornare a Piazza Plebiscito per visitare il Palazzo dei Priori, monumento simbolo del potere civico della città fin dal Cinquecento e ancora oggi sede del Municipio. Al suo interno osserviamo, oltre alla Cappella Palatina, alcune sale riccamente decorate, fra le quali, in particolare, la stupenda Sala Regia e la Sala del Consiglio, contenente i banchi dell’attuale Consiglio Comunale. Dello stesso complesso fa parte anche un bel cortile interno, con panorama sulla città, ed il Museo dei Portici, ospitante due magnifiche opere pittoriche cinquecentesche di Sebastiano del Piombo note come “La Flagellazione” e “La Pietà”.
Villa Lante a Bagnaia
Subito dopo la visita al Palazzo dei Priori riguadagniamo la nostra auto. Pranziamo ai bordi del parcheggio con i nostri panini e poi riprendiamo l’itinerario spostandoci appena fuori Viterbo, nella località di Bagnaia (che non ha nulla a che vedere con la Moto GP) per andare ad esplorare Villa Lante, concepita come residenza estiva dei Vescovi di Viterbo, il cui favoloso giardino manierista è considerato uno dei più spettacolari del XVI secolo, attribuito al genio di Jacopo Barozzi da Vignola. In effetti è un tripudio di fontane e giochi d’acqua disposti su vari terrazzamenti, con la grandiosa Fontana dei Mori a farla da padrona, contornata da geometriche e verdissime siepi. Ma anche la monumentale Fontana dei Giganti fa bella mostra di sé, mentre i più classici edifici, seppur contenenti pregevoli sale, sembrano volersi defilare dal contesto del parco vero e proprio.
Fotografata anche la bella Torre Circolare di Bagnaia, risalente al XIII secolo, ripartiamo per concederci un piccolo fuori programma, visto l’anticipo sui tempi previsti, e ci fermiamo, su consiglio della signora Giovanna del B & B, al Giardino delle Peonie, un centro botanico nel quale è possibile vedere la fioritura di queste piante perenni. La stagione è appena all’inizio e alcune sottospecie sono già sbocciate, così come lo sono alcuni meravigliosi glicini, che hanno contribuito a rendere questo intermezzo davvero piacevole.
Vitorchiano
Da quest’ultimo giardino torniamo poi al paese nel quale siamo alloggiati, ovvero Vitorchiano, che vale la pena essere visto perché, di origine medioevale, è anche classificato fra i borghi più belli d’Italia, con il suo centro storico protetto su tre lati da alti dirupi ed il quarto difeso da possenti mura. Prima di tutto ci rechiamo ad un belvedere, situato nella periferia nord dell’abitato, per fotografare l’antico borgo meravigliosamente arroccato su di uno sperone tufaceo, ma anche per osservare il cosiddetto Moai di Vitorchiano, tipica effige dell’Isola di Pasqua, scolpita da undici maori di Rapa Nui nel 1990 e qui collocata. Successivamente andiamo a parcheggiare nei pressi di Porta Romana, che dà accesso al borgo così da esplorarlo e assaporare la sua classica architettura medioevale, con le case in pietra, gli stretti vicoli, le piazzette e le torri, fra le quali quella del Palazzo Comunale, sulla quale saliamo con un pizzico di fatica, ma alla fine deliziati da un bel panorama.
Soriano nel Cimino
Usciti in questo modo, pienamente soddisfatti, anche da Vitorchiano ci resta ancora il tempo per un’ultima visita, allora saliamo sulle vicine asperità fino al paese di Soriano nel Cimino, storico borgo della Tuscia, dominato dal poderoso Castello Orsini, che intendiamo esplorare.
Parcheggiamo in pieno centro e a piedi raggiungiamo il maniero, che, risalente al XIII secolo ed eretto per mano di Papa Niccolò III Orsini, alla fine del XIX secolo divenne un carcere e lo restò fino al 1989, quando fu chiuso e poi restaurato. Oggi dalle sue possenti fortificazioni si ha un bel colpo d’occhio sui paesaggi montani limitrofi e sul borgo sottostante. Completata anche questa visita facciamo ritorno, un po’ stanchini, a Vitorchiano e più tardi usciamo a cena, sempre nelle vicinanze e nei pressi del centro, questa volta al Ristorante Mactra, che tutto sommato ci soddisfa, infine ci dedichiamo al meritato riposo, al termine di una intensa quanto bella giornata.
Giorno 3 – Montefiascone, Bolsena, Civita di Bagnoregio
Montefiascone
Secondo previsioni meteo dovrebbe essere una bella giornata, ma quando apriamo la finestra in cielo ci sono tante dispettose nuvole, che prima o poi passeranno, ma intanto ci sono. Partiamo, dopo colazione e con tutti i bagagli al seguito, dal B&B Il Moai di Vitorchiano e puntiamo il navigatore sulla località di Montefiascone, storico borgo della Tuscia che con i suoi seicento metri di altezza risulta il più alto comune dell’intera provincia, affacciato dalla sommità del suo colle sul sottostante Lago di Bolsena, il più grande bacino lacustre di origine vulcanica in Europa.
Lungo i poco più di venti chilometri del percorso, viste le condizioni meteo, decidiamo di iniziare la visita del borgo dalla Basilica di San Flaviano, anziché dalla Rocca dei Papi, con la speranza che nel frattempo le nubi si dissolvano. L’importante edificio religioso, risalente al XII secolo, è caratterizzato all’esterno da un ampio portale gotico e all’interno da due ambienti sovrapposti, dei quali il più antico e prezioso è quello inferiore, con affreschi eseguiti tra il XIV ed il XVI secolo e con la lastra tombale del nobile prelato tedesco Defugger, morto nel 1114, che secondo la leggenda ha involontariamente dato il nome al vino locale Est Est Est, talmente buono da essergli fatale!
Dopo una breve attesa per la fine della messa e la successiva visita, con il cielo un po’ migliorato, saliamo alla Rocca dei Papi, di origine duecentesca, che a suo tempo fu la residenza estiva dei pontefici ed oggi, in parte diroccata, è interessante soprattutto per il panorama che da essa si gode, sul Lago di Bolsena e sulla cupola della sottostante Cattedrale.
Alla ripartenza, dopo poche centinaia di metri, abbiamo un piccolo e millimetrico incidente: un’auto in transito di fronte a noi ci strappa letteralmente la targa anteriore… assolutamente niente di grave e me ne assumo anche la colpa, ma per risolverla perdiamo quasi un’ora, compreso il pit stop presso il carrozziere di fiducia della parte lesa, che ci riattacca anche la targa.
In questo modo, un po’ in ritardo sui tempi previsti, ci rechiamo, seguendo le rive orientali del lago, al borgo di Bolsena, importante centro della Tuscia le cui origini risalgono al III secolo a.C., allorquando venne popolata dagli abitanti sopravvissuti alla distruzione di Velzna, una prestigiosa città etrusca.
Prima di tutto ci fermiamo, nella parte bassa del villaggio, alla Collegiata di Santa Cristina, nota per ospitare i resti di un altare macchiato del sangue sgorgato da un’ostia nel 1263, da cui la festa cristiana del Corpus Domini. Purtroppo nella chiesa si sta celebrando un funerale e perdiamo un po’ di tempo, ma alla fine riusciamo a visitare la Grotta di Santa Cristina, contenente il sepolcro della martire ed il luogo del miracolo, oltre alle vaste Catacombe di epoca romana.
Subito dopo saliamo nella parte alta di Bolsena, dove si trova la splendida Rocca Monaldeschi della Cervara, edificata a più riprese tra l’XI ed il XIV secolo, che attualmente accoglie il Museo Territoriale del Lago di Bolsena, una raccolta molto varia, che spazia da modesti reperti etruschi ad un piccolo acquario, ma vale la pena essere vista soprattutto per i panorami sul lago che si godono dai bastioni e poi per la sua collocazione nell’eccezionale quartiere medioevale circostante.
Civita di Bagnoregio
Una volta pranzato nel parcheggio del castello ci spostiamo di una decina di chilometri nella località di Bagnoregio dove, lasciata l’auto in un’ampia area di sosta, con una navetta raggiungiamo il famoso borgo di Civita di Bagnoregio, detta anche “la città che muore”. Fondata infatti dagli etruschi circa 2.500 anni fa su di una piccola collina tufacea soggetta ad una forte erosione, nei secoli si è sempre più ridotta fino a raggiungere le odierne e limitate dimensioni, ma destinata a sgretolarsi ulteriormente, in maniera lenta ma inesorabile.
Mentre come per incanto, vista la notorietà del luogo, appaiono anche i turisti giapponesi, la navetta ci lascia ad una certa distanza dal paese, nei pressi del principale belvedere, che permette di avere un fantastico colpo d’occhio sul villaggio, arroccato sulla sua labile altura e raggiunto dall’esile e vertiginoso ponticello costruito nel 1965, dopo il crollo di quello precedente. Da lì poi, non senza fatica, seguiamo il percorso che ci porta ad attraversare il ponte e ad entrare nel borgo da Porta di Santa Maria, per esplorarlo, passo dopo passo, a partire dalla piazzetta principale, sulla quale prospetta la Chiesa di San Donato, e vagare infine per gli scenografici vicoli circostanti. Pienamente soddisfatti, ormai a metà pomeriggio, facciamo tutto il percorso inverso e riguadagnata la nostra auto riprendiamo l’itinerario.
Il borgo di Celleno
Dopo una manciata di chilometri arriviamo così nel paese di Celleno, il cui nucleo abitato più antico, chiamato “il borgo fantasma”, è una piccola Civita, ma molto meno affollata. In quasi totale solitudine ci gustiamo infatti il luogo, salendo per Via del Ponte fino alla decadente piazza, sulla quale prospettano il poderoso Castello Orsini, la piccola Chiesa di San Carlo e, sul lato più logorato dalle frane, il vecchio campanile, affiancato dai ruderi della Chiesa di San Donato, patrono di Celleno.
Non occorre però molto tempo per esplorare il borgo, così ben presto ci ritroviamo in strada, diretti all’ultima meta di giornata, ovvero il paese di Bomarzo, con il suo omonimo e noto Sacro Bosco, conosciuto anche come Parco dei Mostri, ideato nel XVI secolo dall’architetto Pirro Ligorio (che completò San Pietro dopo la morte di Michelangelo), su commissione del Principe Pier Francesco Orsini, allo scopo di “sol per sfogare il core”, spezzato per la prematura morte della moglie Giulia Farnese.
Il parco, abbandonato per quasi quattrocento anni e riportato agli antichi fasti solo nella seconda metà del Novecento, si sviluppa su una superficie di tre ettari e ospita, disseminate fra la vegetazione, sculture mostruose e mitologiche: sirene, mostri marini, tartarughe giganti, satiri, sfingi, edifici surreali e maschere, fra le quali quella simbolo chiamata l’Orco, un enorme faccione di pietra con la bocca aperta, posto in cima ad una scalinata.
Completiamo in poco più di un’ora anche questa piacevole visita e poi andiamo spediti verso il termine della tappa nella cittadina di Tarquinia, dove arriviamo intorno alle 19:30, in pieno centro, al B & B Camere del Re, comunicando subito l’orario di attraversamento della porta di accesso alla città, così da evitare la multa per l’ingresso in ZTL.
Prendiamo possesso quindi della nostra camera e poco più tardi usciamo a cena nelle immediate vicinanze al Ristorante Ambaradam, consumando buon cibo, e subito dopo rincasiamo, mettendo fine ad un altro bell’episodio della vacanza.
Giorno 4 – Tarquinia
Tarquinia
Partiamo a piedi dal B & B Camere del Re per andare a visitare il centro storico di Tarquinia, millenaria città che fu capitale di un vasto territorio in epoca etrusca, ma che conserva anche importanti vestigia medioevali.
Prima di tutto passiamo di fronte all’interessante Palazzo Comunale, di origine duecentesca, e poi arriviamo al cospetto di Palazzo Vitelleschi, pregevole testimonianza architettonica risalente al XV secolo, che ospita il Museo Archeologico Nazionale Tarquinese, una delle più importanti raccolte di reperti di epoca etrusca dell’italica penisola. In circa un’ora esploriamo l’intera collezione, nella quale risaltano alcuni sarcofagi di notevole fattura, come il Sarcofago del Magnate e quello del Sacerdote, quindi, nell’immensa sezione dedicata al vasellame, il Vaso di Bocchoris (che collega Tarquinia all’antico Egitto) e numerosi pregiati pezzi provenienti dall’Ellade.
In un gruppo di sale climatizzate sono poi conservate e ricostruite alcune tombe dipinte, i cui affreschi sono stati distaccati, mentre in un salone appositamente dedicato sono custoditi i Cavalli Alati, uno splendido altorilievo (soggetto anche di uno storico francobollo) databile al IV secolo a.C., che faceva parte delle decorazioni del Tempio dell’Ara della Regina e che è un po’ il simbolo di Tarquinia.
Usciti pienamente appagati dal museo ci dedichiamo quindi alla visita del nucleo storico di Tarquinia. Passiamo così a dare un’occhiata al Duomo di Santa Margherita, nel quale spicca una cappella laterale contenente un notevole ciclo di affreschi cinquecentesco attribuito ad Antonio da Viterbo, detto il Pastura, dopodiché usciamo dalle mura cittadine per Porta di Castello e arriviamo al cospetto si Santa Maria di Castello, chiesa edificata nel XII secolo che fu cattedrale fino al 1435 e, attualmente sconsacrata, risulta il monumento medioevale più rappresentativo della città … ma è chiusa!
Scattate le dovute foto degli esterni andiamo allora per viuzze, passando dalla piccola Chiesa di San Martino, considerata la più antica di Tarquinia, e riguadagniamo la nostra auto, sulla quale c’è però una meritata multa, visto che ci siamo letteralmente dimenticati di pagare il parcheggio.
Ripresa strada usciamo dal centro storico, ma non lasciamo ancora Tarquinia perché, fatta spesa, andiamo a vedere, nella prima periferia, la sua principale attrazione turistica, ovvero la Necropoli dei Monterozzi, Patrimonio UNESCO dal 2004: un’eccezionale testimonianza del glorioso passato di questa regione, considerata nel suo genere la più importante del Mediterraneo, comprendente (ad ora) più di seimila tombe, delle quali circa duecento dipinte e definite da Massimo Pallottino, padre dell’etruscologia, ”il primo capitolo della storia della pittura italiana”. Una trentina di queste tombe sono visibili ai normali turisti, seppure oltre un sacrosanto vetro che le preserva dal degrado, e alcune di queste sono meravigliose, soprattutto la cosiddetta Tomba dei Leopardi.
Tuscania
Soddisfatti, ed anche un po’ accaldati, usciamo dalla zona archeologica pronti a consumare il nostro tradizionale pranzo al sacco, ma l’area di sosta è tutta al sole, così decidiamo di partire, con la speranza di trovare un luogo più opportuno in fregio alla strada che conduce a Tuscania, prossima meta del viaggio, ma così non è, e alla fine divoriamo i soliti panini nel parcheggio sottostante le mura di questa storica cittadina, dall’aspetto medioevale e posta lungo il tracciato dell’antica Via Clodia, una delle principali arterie di epoca romana.
Rifocillati a dovere, a piedi, andiamo alla scoperta di Tuscania, a partire dalla vecchia Fontana delle Sette Cannelle, la più antica fonte della città, che un tempo pare alimentasse le millenarie Terme Romane, quindi arriviamo ai piedi della quattrocentesca Torre di Lavello, con accanto l’omonimo parco, sovrastante le mura medioevali, dal quale si ha un eccezionale colpo d’occhio sulla campagna circostante, caratterizzata in lontananza dalla sagoma della locale Basilica di San Pietro.
Ci avventuriamo quindi fra i vicoli della città, che non ci hanno fatto proprio impazzire, e passando dal Duomo, dalla Fontana di Montascide e dalla quattrocentesca Chiesa di Santa Maria della Rosa arriviamo alla piazzetta del delizioso Belvedere Donnini, da quale, immortalata la bella veduta, scendiamo lungo la Via degli Archi fino alla centralissima Piazza Basile, oltre la quale, appena fuori le mura, osserviamo i resti dell’antica Via Clodia.
Da lì andiamo poi all’auto e con quella guadagniamo, nell’immediata periferia meridionale della città, prima la Basilica di Santa Maria Maggiore, originaria Cattedrale di Tuscania, risalente all’VIII secolo ma completamente ricostruita del XII, che all’interno custodisce alcuni interessanti affreschi, quindi la vicina Basilica di San Pietro, dello stesso periodo, ma più imponente, caratterizzata da un eccezionale pavimento di scuola cosmatesca, tre grandiose navate e qualche ben conservato affresco.
Entrambi gli edifici sono un’eccezionale testimonianza storica dell’importanza di Tuscania durante il medioevo, oltre che la ciliegina sulla torta della nostra visita a questa bella cittadina della Tuscia.
Vulci
Ora, per l’ultima meta di giornata, ci restano da percorrere una trentina di chilometri, così da raggiungere, nella zona più occidentale della regione, il Parco Naturalistico e Archeologico di Vulci, che si estende su di una vasta area e comprende alcune interessanti vestigia immerse nel verde.
Parcheggiata l’auto nei pressi del centro visitatori andiamo a dare un’occhiata, prima di tutto, ai resti della tomba etrusca della Sfinge, il cui ingresso è libero, ma non ne restiamo ammaliati, soprattutto dopo aver visto la Necropoli dei Monterozzi, quindi ci inoltriamo, a piedi, nel Parco Archeologico. In questo modo arriviamo alle rovine dell’antico insediamento di Vulci, che fu una delle più grandi città-stato dell’Etruria, della quale però non si è conservato tantissimo, se si esclude lo splendido basolato, che identifica le principali strade dell’epoca, la cosiddetta Domus del Criptoportico ed un piccolo Mitreo.
Proseguendo nella passeggiata usciamo dalla città etrusca per la Porta Nord, osservando in un adiacente pascolo dei bovini dalle enormi corna, tipici di questa area geografica del centro Italia, e raggiunto l’alveo di un torrente lo seguiamo fino a giungere sulle rive dell’intrigante Laghetto del Pellicone, formato dal fiume Fiora, allo sbocco di una forra rocciosa. Questo minuscolo specchio d’acqua è, a suo modo, affascinante perché è apparso in numerose pellicole cinematografiche, fra le quali “Non ci resta che piangere” e “Tre uomini e una gamba”.
Ormai a fine pomeriggio chiudiamo il cerchio di questa breve camminata e riconquistata l’auto ci spostiamo, nelle vicinanze, al Castello dell’Abbadia, il cui attuale aspetto risale al XII secolo, fiancheggiato dallo spettacolare ponte etrusco-romano detto Ponte del Diavolo, che attraversa a trenta metri di altezza il fiume Fiora. Quest’ultimo ha origini antichissime: i piloni principali, in tufo, sono infatti di epoca etrusca, mentre la struttura risale al I secolo a.C. Il maniero al suo interno ospita il Museo Archeologico di Vulci, che visitiamo brevemente prima di andare spediti verso il termine della tappa, di nuovo nella città di Tarquinia ed il B & B Camere del Re.
Rassettati a dovere, più tardi, usciamo a cena nei paraggi al Ristorante L’Alberata, consumando eccellenti piatti tipici, quindi torniamo in camera un po’ rattristati, perché domani sarà l’ultimo giorno della vacanza e oltretutto pare proprio che peggiorerà anche il meteo.
Giorno 5 – Sutri, Caprarola
Sutri
All’epilogo di questo breve viaggio ci svegliamo a Tarquinia. Apro timoroso la finestra e in cielo noto tante nuvole, ma almeno non piove. Facciamo colazione e salutiamo il B & B Camere del Re per spostarci di una cinquantina di chilometri verso l’interno della regione, nel paese di Sutri, che affonda le sue origini nella preistoria ed ebbe un forte sviluppo in età etrusca e anche in epoche successive, grazie alla sua posizione privilegiata, alla sommità di una rupe tufacea, lungo la Via Cassia (e la Via Francigena), ormai in vista di Roma.
Lasciamo l’auto in un parcheggio nei pressi del centro e per prima cosa andiamo a dare un’occhiata alla monumentale Porta Franceta, che è un vero e proprio libro di storia, un mix di elementi architettonici che va dalle murature etrusche alle fortificazioni romane, fino ai bastioni del XV secolo.
Da lì attraversiamo poi la Via Cassia ed entriamo nel Parco Regionale Antichissima Città di Sutri, istituito nel 1988 allo scopo di preservare un’area che comprende una vasta gamma di realtà, sia storiche che ambientali.
Ci rechiamo così subito a visitare il Mitreo (o Chiesa della Madonna del Parto), per il quale abbiamo una prenotazione alle 10:20, visto che può accedere al suo interno solo un numero limitato di persone ogni giorno. Infatti questo piccolo e prezioso anfratto, scavato nel tufo, fu in origine un sepolcreto etrusco, poi un luogo dedicato al culto di Mitra, nel periodo romano, infine chiesa rupestre, nella prima epoca cristiana, una destinazione che ha lasciato in eredità alcuni splendidi e antichissimi affreschi.
Tornati all’aria aperta saliamo poi sulla sovrastante rupe, dove si trova Villa Savorelli, un’elegante costruzione settecentesca (ma di origini più antiche), appartenuta fra l’altro, fino alla metà del secolo scorso, ai conti Savorelli da Forlì (nostra città natale), fronteggiata da un bel giardino all’italiana e fiancheggiata dal cosiddetto Bosco Sacro, attraversando il quale arriviamo a vedere dall’alto l’Anfiteatro Romano, un imponente ed eccezionale opera scavata nella collina tufacea fra il periodo repubblicano e l’inizio dell’età imperiale di Roma, che un tempo poteva contenere circa settemila spettatori.
Scesi quindi alla base della rupe la aggiriamo in senso antiorario, costeggiando il cosiddetto Acrocoro Tufaceo, un’alta e scenografica parete rocciosa spesso traforata di tombe etrusche, e arriviamo, fra verdeggianti scenari, in vista della Necropoli Urbana di Sutri, un significativo esempio di tombe rupestri di età romana, mentre comincia a piovigginare … ma ormai abbiamo consumato la parte più importante della nostra visita. Ci resta, infatti, solo da entrare nell’Anfiteatro, prima di far ritorno all’auto e riprendere l’itinerario, che volge ormai al suo epilogo.
Caprarola
Con sollecitudine, ma anche l’intento di evitare l’annunciata pioggia, ci precipitiamo così verso la successiva meta e intoro alle 11:30 giungiamo nella località di Caprarola, una cittadina che vanta una particolare struttura urbanistica, ideata da Jacopo Barozzi, detto il Vignola, che fece radere al suolo anche parte dell’antico borgo per far spazio alla Via Dritta e al cinquecentesco Palazzo Farnese, commissionatogli dall’omonima e nobile famiglia allo scopo di avere fra i suoi possedimenti una sontuosa dimora estiva.
Mentre varchiamo la soglia del palazzo comincia a piovere con più insistenza, ma non siamo affatto preoccupati, perché la visita degli interni non richiede un meteo favorevole. Così osserviamo l’originale cortile circolare e poi, grazie alla splendida Scala Regia, saliamo al piano nobile, dove si trovano tutte le stanze di maggior pregio, affrescate e decorate dai migliori pittori ed architetti dell’epoca. Attraversiamo allora, uno dopo l’altro i meravigliosi ambienti, fra i quali spiccano, in particolare, la Sala dei Fasti di Ercole, la Stanza dei Fasti Farnesiani, la Camera dell’Aurora e la Sala delle Geografie o del Mappamondo, dove è raffigurato il mondo allora conosciuto, sulla base delle testimonianze dei viaggiatori, e quando però arriviamo all’uscita verso i monumentali giardini all’italiana dobbiamo constatare l’arrivo della pioggia, quella vera.
Inutile andare a spasso fra i terrazzamenti e le fontane, meglio uscire subito da Palazzo Farnese e riprendere strada. Così facendo, sotto ad una fitta precipitazione, passiamo sui Monti Cimini, transitiamo per Soriano nel Cimino, dove eravamo stati nel primo giorno della vacanza, ci fermiamo a pranzare chiusi ermeticamente dentro all’auto e poi diamo ufficialmente il via al viaggio di ritorno.
Imbocchiamo la superstrada che intorno alle 14:00 ci fa transitare nei pressi di Terni e quaranta minuti più tardi a Perugia, con la pioggia battente che non ci lascia nemmeno un minuto. Superiamo il valico del Verghereto e, fra intensi scrosci d’acqua, planiamo verso la Pianura Padana, poi il meteo migliora leggermente e fra una goccia e l’altra alle 16:36 arriviamo a casa, dopo aver percorso 983 chilometri.
È stata una breve vacanza, un intrigante e piacevole intermezzo, ricco di storia, sulla strada del ben più corposo viaggio estivo, che attendiamo con trepidazione.