Gasolio e rock n roll: questa non è una “semplice” strada di 4000 km, ma un sogno che si avvera

Driving Down the Dream: viaggio di nozze da Chicago a Los Angeles lungo la Route 66
Scritto da: Chiara_M
gasolio e rock n roll: questa non è una semplice strada di 4000 km, ma un sogno che si avvera

Mi siedo sull’asfalto rovente, aspetto il click della macchina fotografica e chiudo gli occhi. In pochi secondi mi passano davanti le immagini dei primi operai che due secoli fa hanno tracciato questa lingua di strada che taglia gli Stati Uniti da ovest a est, su terreni che prima di allora avevano visto solo bufali e pellerossa. Poi vedo le carrozze che hanno solcato queste miglia in cerca di fortuna nel West, in seguito sostituite dalle vecchie Cadillac. E ancora non posso che pensare a Jack Kerouac e ai suoi personaggi che hanno segnato la mia adolescenza e i miei sogni americani, come solo certi riff di chitarra degli anni ‘60 e ‘70. Così come i baffi, il cappello da cowboy e i capelli al vento di Dennis Hopper o il casco a stelle e strisce di Peter Fonda. E nelle orecchie non può che risuonare Born To Be Wild degli Steppenwolf, colonna sonora di quel film cult, Easy Rider. Scattata la foto, riapro gli occhi e vedo la mia compagna di viaggio, la mia persona preferita che si è sudata con me questa avventura attraverso tre anni di attesa. In mezzo una pandemia mondiale, un matrimonio, lunghe notti in ospedale, concorsi, esami e cambi di lavoro. Ma ora siamo qui, sulla Route 66, la Mother Road, il nostro sogno americano che si avvera.

Prefazione pratica

Questo è il viaggio di nozze che rimandiamo dal 2020. Prenotato e progettato a ottobre 2019, siamo ahinoi costretti a rimandarlo al 2021 per il Covid. Nel 2021 però gli Stati Uniti non aprono al turismo europeo, e siamo costretti a rimandarlo ulteriormente. In tutti questi rinvii, ci perdiamo ovviamente dei soldi (es. prenotazioni di hotel, caparra della macchina, assicurazione sanitaria).  Nel 2022, quando finalmente il turismo riprende “normalmente”, Federico cambia lavoro il 7 di giugno e quindi non ha diritto alle ferie. Per una botta di fortuna dovuta ai vari scioperi e disagi aerei dell’estate 2022, riusciamo ad avere il rimborso completo del volo acquistato nel 2019.  Ad aprile 2023 confermano due settimane di ferie a Fede, per cui riprenotiamo tutto velocemente, accorciando il viaggio e le sue tappe.

Totale viaggio (tutto compreso, inclusi i molteplici caffè da Starbucks e lo shopping): 8200€ circa

Voli (United Airlines)

Andata

  • Torino-Francoforte 
  • Francoforte-Chicago

Ritorno

  • Los Angeles-Denver
  • Denver-Monaco
  • Monaco-Torino

Costo: 3211.36€ (per due)

Costi vari

  • Macchina con Hertz – 2 drivers con partenza da Chicago e riconsegna a Los Angeles 1042$
  • Assicurazione sanitaria HEY MONDO 91.09€ (per due)
  • ESTA 42$ (Per due)
  • E-sim AIRALO 42$ (20 gb – 30 giorni) 
  • Parcheggio Caselle (ultimo piano): 60€ due settimane (+19€ per ritardo dalle 18 alle 4.30) 

Hotel

  • Chicago: Warwick Allerton 366$ – bello anche se un po’ datato, posizione centralissima e molto comoda. Stile anni ‘20. No colazione inclusa.
  • St Louis: Missouri Athletic Club 101.69$ – bello e comodo come posizione. No colazione inclusa, parcheggio 18$.
  • Springfield: Best Western Route 66 Rail Haven 85.55$ – motel basic ma comodo, piscina aperta fino a tardi, colazione inclusa buona.
  • Oklahoma City: Country Inn & Suites by Radisson 82.59$ – comodo il letto, shuttle bus per arrivare a Bricktown, ma raggiungibile anche a piedi. Colazione inclusa.
  • Amarillo: Baymont by Wyndham Amarillo East 71$ – comodo, direttamente sulla Highway, colazione inclusa.
  • Santa Fe: Guadalupe Inn 209$ – indubbiamente molto bello e caratteristico. Noi abbiamo preso la suite, ma è caro. Colazione di qualità inclusa, ma servita tardi (alle 8) e non con grande scelta. Ci sono soluzioni più economiche in città. Buona la posizione, abbastanza vicina al centro.
  • Page: Baymont by Wyndham Page Lake Powell 213.50 $. Comoda la posizione ma fuori dal “centro città”. In ogni caso a Page i luoghi di interesse si raggiungono in macchina. Piscina indoor, possibilità di fare il bucato (cambiano i soldi alla reception). Buona la colazione inclusa.
  • Flagstaff: Ramada by Wyndham Flagstaff East 85$ – motel basic ma comodo, direttamente sulla strada per arrivare in centro città. Piscina esterna ma non utilizzata da noi per brutto tempo. Colazione discreta inclusa.
  • Las Vegas: Flamingo 79$ + 40 $ early check in + 18 $ parcheggio. Anche se un po’ datato, rimane comunque molto bello ed elegante. Il lato con vista su piscina offre una bellissima vista dalle camere. Molto spaziosa e luminosa. Bellissima la piscina, posizione comodissima a metà dello Strip.
  • Los Angeles: Hollywood City Inn 534$ – molto comoda la posizione a pochi metri dalla metro, piscina esterna che non abbiamo usato per il maltempo. Colazione non inclusa, parcheggio incluso.

Totale miglia guidate: 3160. Totale km guidati: 5056

Diario di viaggio

Sabato 29 luglio (Chiara). Day 0 – California Here We Come

Sveglia traumatica alle 3.30 am (ore dormite: 10 minuti) e alle 4.15 partiamo per l’aeroporto. Lasciamo la macchina al parcheggio multipiano dell’aeroporto di Caselle (60 € posto scoperto). Imbarchiamo le valigie, cappuccino al bar e iniziano a imbarcarci sul volo Air Dolomiti delle 6.20 per Francoforte. Atterriamo alle 7.30 e ci rechiamo al terminal da cui partiremo 4 ore dopo. Tentiamo di capire se riusciamo a prendere il volo Lufthansa delle 10.45 ma ci viene sconsigliato per i bagagli. Ci accampiamo quindi al gate e ci riposiamo un po’ sulle sedie.  Dopo un paio d’ore cambiano il gate, per cui ci spostiamo. Hot dog e panino con la cotoletta (14€!) e alla mezza (in ritardo) iniziano le operazioni di imbarco. Ci posizioniamo nei nostri posti (53A-53B) ed esploriamo l’entertainment a bordo. L’aereo decolla e tra film, snack aperitivo, cena, panino pre atterraggio, le ore passano. C’è anche wifi gratuito per inviare messaggi. 

Alle 14.52 Chicago time l’aereo atterra. Peccato che al gate a noi assegnato ci sia un aereo della Southwest che non ha intenzione di muoversi per i successivi 40 minuti (con tanto di comandante che esterna non poche volte la sua arrabbiatura). Rimaniamo ad aspettare in pista per quasi un’ora, finché sfrattiamo un aereo Swiss Air e ci fanno scendere. Facciamo altri 50 minuti di coda al Border Patrol, ritiriamo le valigie e andiamo alla ricerca del treno per arrivare a Chicago. Seguiamo le indicazioni per la CTA e arriviamo alle macchinette dove è praticamente impossibile far funzionare le carte per comprare i biglietti. Dopo svariati tentativi acquistiamo, in due transazioni diverse, 4 biglietti da 24h a 5$ l’uno e saliamo sul treno. Dopo una mezz’ora abbondante scendiamo alla fermata “Chicago” per prendere il bus 66 (nomen omen!) per arrivare all’hotel. Dopo almeno dieci minuti di viaggio ci accorgiamo di aver preso il pullman nella direzione sbagliata (speriamo di non fare lo stesso con la Route)! Scendiamo, facciamo dietrofront e finalmente iniziamo a intravedere i grattacieli di Chicago. Fede sul bus fa amicizia con un (chiaramente) meth-head che lo intrattiene chiacchierando amabilmente. Scendiamo alla fermata Chicago and Michigan e da lì vediamo il nostro hotel, un elegantissimo edificio in mattoni rossi stile anni Venti. Bellissimo!

Facciamo il check in, lasciamo le valigie in camera (un po’ datata ma al 22esimo piano e molto spaziosa!), ci cambiamo e usciamo subito, visto che siamo all’ora del tramonto. Ci dirigiamo verso il lago e Navy Pier, e arriviamo alla Ohio beach, dove sembra davvero di stare al mare! Il Lake Michigan si estende a perdita d’occhio, con tanto di barche e onde, e gente che nuota. Gironzoliamo sul Navy Pier, il molo di Chicago che ospita moltissimi ristoranti e attrazioni, da dove vediamo il tramonto e gli edifici che si illuminano e torniamo verso l’hotel.  Dieci metri prima del nostro hotel c’è un Chipotle, quindi ci fermiamo a prendere un burrito e un kids taco kit, chips & guac per 23.36$. Essendo le 21.40 (e le 4.40 per noi) siamo ormai veramente stanchi, per cui torniamo in camera, ci facciamo la doccia e concludiamo la prima giornata del nostro viaggio.  

Domenica 30 luglio (Chiara). Day 1 – Sweet Home, Chicago

Sveglia alle 6.20, finisco la mia cena di ieri per colazione, doccia e alle 8.30 usciamo. Ci dirigiamo verso The Loop percorrendo Michigan Avenue, con una deviazione sul fiume per vedere Marina City.  Da lì proseguiamo verso Millennium Park e The Bean. Questo fagiolo gigante di metallo è forse una delle attrazioni più famose di Chicago. Davanti c’è una famiglia ispanica al completo, vestita come se andasse a un matrimonio, che fa un servizio fotografico completo. Forse è una quinceañera? Riprendiamo il giro e passiamo davanti al Chicago Art Institute, dove però non entriamo (il biglietto costa 32$). Proprio lì davanti, su Adam Street, troviamo il cartello dell’inizio della Route 66, da cui passeremo anche domani, ma decidiamo di fermarci a scattare qualche foto. Ci sono in verità due cartelli: uno più nuovo e ben tenuto, sul lato destro della strada, e uno più vecchio e ricoperto di sticker, su quello sinistro. Nella via successiva invece si trova il cartello della End of the Trail, che noi troveremo a Santa Monica. Ritorniamo verso il Loop, dove si alternano grandi vie a senso unico molto tranquille, sovrappassi del treno, alti grattacieli e Giordano’s, la catena che fa la famosa Chicago deep dish pizza.

Arriviamo quindi alla Willis Tower, la costruzione più alta del mondo fino al 1998, dove si può salire allo Sky deck, per ammirare Chicago dall’alto. Il biglietto per salire però è molto caro (40$) e quindi prenotiamo per il 360 Chicago per il giorno dopo (il biglietto costa 32$ ma si può acquistare online solo con carta di credito, che fortunatamente Fede ha). Vorremmo poi entrare al Rookery per vedere l’entrata progettata da F. L. Wright, ma oggi è chiusa al pubblico, per cui ci accontentiamo di una foto dalla porta a vetri.  Passeggiando per il Loop passiamo davanti al County Building, dove termina l’inseguimento in macchina dei Blues Brothers. Da lì torniamo di nuovo a Marina City per vedere il grattacielo progettato da Mies Van Der Rohe. Elegante ma… è poi un parallelepipedo nero.

A questo punto l’aria si è scaldata, per cui decidiamo di tornare all’Ohio Street Beach per un tuffo nel Lake Michigan. Costeggiamo il fiume fino ad arrivare al Navy Pier, dove ritroviamo Giordano’s, e decidiamo di ordinare una Chicago deep dish pizza (13$ quella piccola!) e, visto che ci vuole un’ora per prepararla, andiamo alla spiaggia. Federico si tuffa nel lago, io metto solo i piedi a bagno. Freschina! Alle 14.20 ritiriamo la nostra pizza, che mangiamo in spiaggia. Il prezzo non è assolutamente giustificato, ma è molto buona! 

Restiamo in spiaggia fin verso le 15, poi decidiamo di tornare un po’ in hotel a riposarci (alla fine siamo svegli dalle 6.30!) e ci fermiamo da Target sulla strada del ritorno. Ci riposiamo in hotel, ceniamo da Wholefoods (11.99$/lb, spendiamo 29.88$ con bibite) e torniamo verso Marina City per vederla illuminata, e ne approfittiamo per andare a vedere anche l’Aqua Tower. Stanchissimi, torniamo in hotel a preparare le valigie, domani si inizia la Route!

Lunedì 31 luglio (Chiara). Day 2 – Chicago + (Get Your Kicks On) Route 66

Sveglia di nuovo alle 6.30 (maledetto jet lag!). Decidiamo come organizzare cosa vedere e usciamo per andare al Chicago 360, dove abbiamo prenotato alle 9. Facciamo un giro lungo il lago dove ci sono dei condomini davvero elegantissimi (ricordano un po’ l’Upper Side di NY) e alle 9, puntualissimi, siamo sull’ascensore che ci porta al 94º piano del Chicago 360. Per soli 10$ in più si può fare l’esperienza del Tilt, una piattaforma di vetro che si inclina per vedere di sotto a un angolo di 30 gradi. No thanks. Scendiamo e facciamo colazione da Starbucks, diamo da mangiare a dei passerotti, poi andiamo a vedere di nuovo l’Aqua Tower e, mentre siamo lì, allunghiamo fino al Chicago Theatre

Riprendiamo il bus (col senno di poi, il biglietto da 24h è stato un po’ inutile visto che Chicago si gira tutta a piedi) e torniamo all’hotel a prendere le valigie. Con un comodissimo pullman che ferma proprio sotto il nostro hotel arriviamo alla Hertz per prendere la nostra macchina, una Toyota Camry targata Kentucky. Ce la danno non lavata fuori e senza benzina perché non hanno avuto tempo. Vabbè, non credo che noi gliel’avremmo restituita scintillante.

Andiamo subito a fare il pieno (52.62$ – 4.399$/gallon) e impostiamo il navigatore verso l’inizio della Route 66. In tutta Chicago è decisamente ben segnalata, ed è bello rivedere ancora una volta il centro di Chicago: dalla macchina, poi, è ancora più emozionante. Superiamo il quartiere di Cicero e ci immettiamo sulla I-55. Il primo stop è al Gemini Giant, una statua (che dal vivo è più bassa di quanto non sembrasse dalle foto) di un astronauta. Perché? È molto carino il diner a tema Route 66 che si trova a fianco, il Launching Pad (spiegato quindi il motivo dell’astronauta?) ma è purtroppo chiuso. Riprendiamo la guida e per un’ora e mezza attraversiamo il nulla (con campi e pale eoliche a perdita d’occhio). Usciamo all’uscita 154 della I-55 e percorriamo finalmente la Route, transitando per Atlanta, dove c’è un’altra statua gigante di un uomo con in mano un hot dog chiamata Tall Paul (perché?? parte 2). Proseguiamo sulla Route fino a Lincoln, un grazioso paesino che campa di pubblicità su Lincoln presidente e Route 66. Anche qui, statua gigante di Lincoln su carrozza, che ha anche vinto il record come biggest covered wagon (credo di aver finito i perché). Ci reimmettiamo sull’Interstate per andare a Springfield (IL), dove si trovano moltissimi luoghi dedicati a o vissuti da Lincoln. 

Ci fermiamo all’Oak Ridge Cemetery per vedere la tomba di Lincoln da fuori. La cosa strana non è tanto che si possa arrivare in macchina fino davanti alla tomba, ma più che ci sia un sacco di gente che fa jogging nel cimitero! Mah! Da lì ci spostiamo verso la statua di Lincoln, davanti al Capitol, ed essendo ormai le 18 parcheggiamo gratuitamente per strada. Proseguiamo con tappa alla casa di Lincoln, sempre da fuori perché è ormai chiusa, parcheggiando sempre per strada e risparmiando quindi 2$ per il parcheggio del Visitor Center. Visto che sono a questo punto le 19, decidiamo di andare diretti a St Louis e di rimandare l’Old Chain Bridge al giorno dopo. Col senno di poi, invece che arrivare fino a Saint Louis di oggi, ci saremmo potuti fermare a Springfield in Illinois. 

Comunque, percorriamo tutta la I-55, fino al nostro hotel, il Missouri Athletic Club. Cercando informazioni sul parcheggio, che costa 18$ a notte, scopro anche che c’è un dress code per le aree comuni che prevede che ci si debba vestire bene per entrare nell’hotel, pena la non ammissione. Per cui, quando alle 20.30 arriviamo finalmente all’hotel, ci cambiamo nel parcheggio con camicia per Federico e vestito per me. In realtà non abbiamo capito se anche la lobby dell’albergo fosse considerata, ma better safe than sorry. Prendiamo le chiavi della camera e posiamo i bagagli, riprendiamo la macchina e andiamo a cena da Chipotle (18.79$ chicken burrito, kids enchilada e small soda), dove però ci sono tipo tre gradi (probabilmente fahrenheit, pure). Torniamo, lasciamo la macchina in garage, ci facciamo cambiare il biglietto del garage e alle 22.30 andiamo a dormire. 

Martedì 1 agosto (Fede). Day 3 – Meet Me in Saint Louis, Louis

st. louis arch

Sveglia alle 7.30 oggi. Doccia e poi via al giro di Saint Louis: prima tappa, obbligata, è il famoso Gateway Arch, simbolo della città. Proprio mentre usciamo, comincia a diluviare e vediamo l’arco sotto la pioggia battente (di fronte c’è anche la Courthouse, carina ma in ristrutturazione). Foto di rito e poi giro al gift shop e all’Arch café, dove assaggiamo i toasted ravioli, a quanto pare una delle specialità di Saint Louis. Sono le 10.30 del mattino e per degli italiani un pasto del genere a quest’ora è quasi un sacrilegio ma dobbiamo ammettere che questa strana pasta non è male (14.75$ con Coca cola). Continuiamo il tour fino allo stadio di baseball dei Saint Louis Cardinals, quindi recuperiamo auto e bagagli per andare alla basilica cattolica (ovviamente dedicata a Saint Louis). È dall’altra parte della città, a una decina di chilometri, e ci arriviamo alle 12, proprio mentre inizia la messa. Però la chiesa ci colpisce per maestosità e mosaici, al livello di tante cattedrali europee. Riprendiamo la macchina per recuperare la tappa saltata ieri dell’Old Chain of Rocks Bridge, che passa sul fiume Mississippi e collega gli stati di Illinois e Missouri. L’altra particolarità è che questo ponte ha una curva di 22 gradi che nel tempo ha causato parecchi incidenti.

Ai vecchi tempi della Route 66 era utilizzato per attraversare il fiume, poi è stato rimpiazzato e ora è riservato a pedoni e ciclisti. Ci sono lavori in corso dal lato del Missouri, quindi dobbiamo fare il giro da un altro ponte e arrivare dal lato dell’Illinois. Scendiamo dall’auto per una breve passeggiata su buona parte del ponte (lungo 1 miglio), scattiamo qualche foto e riprendiamo l’auto. Un paio di scatti anche da sotto il ponte e poi via per una tappa “frivola” da Ross – Dress for Less, outlet che si trova sulla strada. Dopo un paio di acquisti lì e un veloce pranzo/merenda da Wholefoods (una fetta di pizza, birra, salad rolls e un kilo di ciliegie 27.44$), ripartiamo alle 4.30 alla volta di Springfield (quella nel Missouri, stavolta). Saltiamo le eventuali tappe intermedie per non fare troppo tardi, visto che ci vogliono circa 3 ore e mezza per arrivare, tra cui le Meramec Caverns, presunto nascondiglio segreto del bandito Jesse James. Il paesaggio è piacevole da vedere, ci sono moltissimi boschi e la strada fa su e giù, ma a tratti sembra di guidare lungo la Torino-Savona, ma al massimo 70 miglia/ora: una noia mortale. Springfield è solo una meta per spezzare il viaggio, possibilmente con un tuffo in piscina. Sosta benzina (45.84$) e arriviamo al nostro motel, che ancora ha quella allure della route (e a quanto pare, even Elvis stayed here!, come riporta il messaggio che passa all’ingresso).

Facciamo anche in tempo a fare il bagno perché la piscina è aperta fino alle 22. Quindi, cena fast al McDonald’s che si trova a due passi (e con gli avanzi del pranzo). Tra l’altro, è aperto solo in drive thru, per cui ritiriamo la cena e ceniamo nell’area pic nic davanti alla nostra camera. Dove, nel frattempo, abbiamo acceso il riscaldamento per compensare l’aria condizionata sparata a -10 gradi prima del nostro arrivo. Fuori c’è una discreta umidità, ma andiamo comunque a dormire con aria condizionata spenta! 

Mercoledì 2 agosto (Chiara). Day 4 – Missouri, Oklahoma Hills

Sveglia di nuovo alle 6.20 oggi. Doccia, ricca colazione (inclusa) con salsicce, fiesta eggs e i tipici biscuits and gravy (una sorta di frittellona spessa e morbida e salsa di accompagnamento) e check out.  Prima di continuare verso ovest andiamo a visitare il centro di Springfield, partendo dal Woodruff Building, edificio in cui, nel 1926, fu mandato il telegramma che suggeriva il nome “66” per la nuova route (certo che qua trovano il modo di commercializzare veramente qualsiasi cosa). Ci impieghiamo un po’ a trovarlo, perché in realtà l’edificio originario è stato rifatto e rinominato Sky Eleven: del vecchio Woodruff Building rimangono la posizione e una targa commemorativa. Di fianco si trova il Gillioz Theatre e poco distante l’Old Calaboose, la vecchia prigione. Ci rimettiamo in macchina e andiamo ancora a vedere il Rest Haven Court, il primo motel che a partire dal 1947 ha ospitato viaggiatori della Route 66, e il Danny’s Service Center, un benzinaio/meccanico ancora in funzione con un’insegna d’epoca. Riprendiamo quindi il cammino verso ovest sulla Route, e la prima tappa è a Carthage, un grazioso paesino che si sviluppa sulla piazza del Town Hall, che ricorda molto Hill Valley di Back To The Future o Stars Hollow di Gilmore Girls. Facciamo un giro nei negozietti di antiques, dove compriamo una targa della Route, e una breve visita al Museum of Civil War, dove facciamo due chiacchiere col volontario che sta all’entrata, che oltre a chiederci che lingua parliamo in Italia, ci dà qualche indicazione su cosa vedere nei dintorni lungo la Route. Proseguiamo quindi con destinazione Kansas, passando prima per il Route 66 Drive In e fermandoci sulla state line tra Missouri e Kansas per la foto di rito. In Kansas ci sono solo 13 miglia di Route, sempre ben segnalate, e i due stop d’obbligo sono Galena e Riverton. A Galena si trova il Cars on the Route, dove il regista di Cars ha visto un vecchio carro attrezzi che ha ispirato uno dei personaggi, e la macchina della polizia autografata dall’attore che presta la voce al personaggio corrispondente. Lì facciamo anche due chiacchiere con due nonni americani che quando scoprono che siamo italiani ci chiedono di fare una foto con Luigi, la macchina di Cars, da far vedere al nipote. Mah. 

Riprendiamo la Route, passiamo dal Rainbow Bridge o Old Marsh Bridge (da vedere proprio solo perché ci si passa sopra), e arriviamo a Riverton, in cui l’attrazione principale è un piccolo emporio, il Nelson’s Old Riverton Store, dove compriamo un paio di souvenir a tema Route. Nel frattempo la temperatura sta raggiungendo i 40 gradi, si resiste veramente solo in macchina con l’aria condizionata. 

Brevissima sosta a Baxter Springs, dove il visitor center è una vecchia stazione di benzina che è stata rimessa a nuovo, e riprendiamo la strada, abbandonando il Kansas ed entrando in Oklahoma, il quarto stato del nostro tour. Qualche km dopo troviamo un casello in cui si prende il biglietto, che si paga (4$, solo cash) dopo aver percorso un altro pezzo di Interstate. In circa un’ora e mezza, raggiungiamo Tulsa. Circa 4 km prima, dall’interstate vediamo un gigantesco Hard Rock Hotel & Casino, per cui usciamo, torniamo indietro ed entriamo a vederlo. È un casinò gigantesco, con dentro un diner stile anni 50-60 della Route 66. Ci perdiamo cercando di uscire, e una volta fuori, visto che la temperatura nel frattempo ha raggiunto i 40 gradi, andiamo a prenderci una Coca Cola e un McFlurry al McDonald’s di fronte. Ci rimettiamo in viaggio e arriviamo a Tulsa, dove ci fermiamo a vedere l’insegna del Meadow Gold, un’insegna pubblicitaria di latte originaria della Route 66, e proseguiamo per vedere in macchina il Brady Arts District, il quartiere art decò di Tulsa. Carino, ma non imperdibile. 

A questo punto impostiamo il navigatore verso Oklahoma City, che raggiungiamo facendo un primo pezzo di Route 66, sempre ben segnalata, e un altro in Interstate, dove paghiamo di nuovo (questa volta subito) 5$ di pedaggio, sempre cash. Nel Paese in cui la carta moneta è praticamente inutilizzata, è quasi anacronistico. Alle 7 parcheggiamo la nostra Camry nel parcheggio dell’hotel e andiamo a fare un tuffo in piscina, perché la temperatura non accenna a scendere. Visto che l’hotel offre la possibilità di arrivare a Bricktown, il quartiere più famoso di OKC, con un pullmino, ne approfittiamo. Bricktown è carina, c’è un canale centrale, lo stadio di baseball, e qualche locale e minigolf, ma nulla di più. Allunghiamo per andare a vedere il Paycom Center, casa degli Oklahoma City Thunders, la squadra di basket della città. Tornando indietro sentiamo rumori provenire dal diamante del baseball, e scopriamo che c’è una partita degli Oklahoma City Dodgers (che giocano in una lega decisamente inferiore rispetto ai loro omonimi di Los Angeles) e ci avviciniamo all’entrata. Gli steward dello stadio ci dicono che sono all’inizio del sesto inning, e di fronte alle nostre facce interrogative, ci dicono che la partita è quasi finita e, se vogliamo vederne un pezzo senza pagare il biglietto, possiamo salire all’ultimo piano del garage dietro allo stadio e da lì si ha la visuale su tutto il campo. Così facciamo, e ne approfittiamo per vedere qualche lancio. Credo che però ci siano più spettatori a vedere una partita di lega pro da noi, rispetto a quanti ce ne sono stasera a vedere questa. 

Visto che ormai sono le 21.15 e non abbiamo ancora cenato, e che alle 22 i ristoranti e fast food chiudono, decidiamo di mangiare da Dave’s Hot Chicken, un fast food che fa pollo fritto. Prendiamo un meal deal, che immagino sia per uno, con cui ci sfamiamo in due: uno slider (panino con pollo fritto) un chicken tender (il filetto), patatine e due bibite piccole (che comunque hanno il free refill come in tutti i fast food) e mancia del 20% per un totale di 22.85$. Ovviamente nel fast food la temperatura è di 20 gradi, ma visti i 35 di fuori, è quasi piacevole. 

Per tornare, invece di chiamare la navetta, preferiamo fare una passeggiata di poco più di un quarto d’ora: qua le distanze sembrano sempre infinite, ma in realtà noi a casa siamo abituati a camminare molto di più! Torniamo in albergo, doccia e nanna. 

Giovedì 3 agosto (Chiara). Day 5 – Is This The Way To Amarillo

Stamattina sveglia alle 7.30 (forse finalmente abbiamo superato il jet lag) e dopo un’abbondante colazione con bagel, uova e bacon, 50$ di pieno e partiamo alla volta di Clinton. Lungo la Route 66 ci fermiamo al Lucille’s Historic Gas Station, una stazione di benzina del 1927, rilevata da Lucille e Carl Hamons nel 1941. Dopo la costruzione della Interstate, le attività lungo la Route soffrirono una grave crisi economica, perché il governo dell’Oklahoma aveva addirittura eretto una divisione in modo che chi viaggiava sulla Interstate non potesse uscire. Lucille scrisse anche un libro sulla Route, e venne ribattezzata The Mother of the Mother Road. 

Proseguiamo quindi verso Clinton, dove visitiamo il Route 66 Museum (7$ l’ingresso) che, tramite oggetti e fotografie, racconta la storia della Route 66 in Oklahoma. Una bella collezione, e una tappa piacevole. Sono ormai le 12.30 e la temperatura sta raggiungendo di nuovo i 40 gradi, per cui percorriamo un pezzo di Interstate, per poi uscire a Hext e continuare sulla Route, verso McLean in Texas. Nel frattempo il paesaggio verde (e più simile alle valli di Cuneo) del Missouri e della prima parte dell’Oklahoma lascia spazio a uno decisamente più giallo e secco. 

Sulla Route 66 non passa nessuno, noi ci fermiamo per una foto a un deposito abbandonato di banderuole dei mulini a vento e carcasse di macchine arrugginite, affascinante e anche un po’ inquietante. Quindi oltrepassiamo il confine col quinto stato della nostra avventura, il Texas. Questa è ovviamente un’ottima occasione per scattare un po’ di foto seduti sull’asfalto rovente della Route. Tappa a McLean al museo sulla strada (un ammasso di oggetti donati dai vari abitanti del posto), due parole con la volontaria del museo, un paio di foto agli edifici di McLean e ci rimettiamo alla guida. Tra l’altro qua in Texas preferiamo che guidi solo Federico visto che il Texas teoricamente richiede la patente internazionale.  Lo stop successivo è poco dopo al Bug Ranch, una sorta di copia di quello che vedremo al Cadillac Ranch. Al posto però delle Cadillac, come suggerisce il nome, si trovano piantati nel terreno dei Maggioloni (bugs) Volkswagen, che sono poi stati decorati con bombolette spray. 

Verso le 17 arriviamo al nostro motel alle porte di Amarillo, e visto che è presto decidiamo di andare già a vedere Cadillac Ranch. Ci sono due punti di interesse qui in città: il primo è il Second Amendment Cowboy, una statua di un Cowboy gigante in celebrazione del secondo emendamento, secondo cui i cittadini americani hanno il diritto di detenere e portare armi, che ha dietro di sè tre Cadillac con dentro manichini di John Wayne, Willie Nelson ed Elvis Presley. Il secondo è appunto Cadillac Ranch, dieci scheletri di Cadillac, piantate nel terreno e decorate con bombolette spray. Veramente riescono a marketizzare qualsiasi cosa.

Sosta da Target e proseguiamo per la meta della nostra cena, il Big Texan Steak Ranch, il locale più tamarro e più americano degli Stati Uniti. Tradizione è la 72-oz steak challenge: si narra che un gruppo di cowboy particolarmente affamati abbia fatto fuori in un’ora due kili di bistecca, con contorni e pane, e oggi, a chi riesce a mangiare tutto quello in un’ora, viene offerta la cena. Noi ci limitiamo a dividere una bella bistecca con quattro sides: purè di patate, mac&cheese, okra fritta e patatine, due bibite e una birra, 46$, a cui abbiamo aggiunto 10$ di mancia cash perché non ci siamo capiti con la cameriera. Mentre ceniamo, girano per il locale due musicisti, che ci cantano su nostra richiesta “On The Road Again” di Willie Nelson. Una perfetta conclusione a questa lunga giornata!

Venerdì 4 agosto (Chiara). Day 6 – New Mexico + Pedro Pedro Pedro Pedro Pe, praticamente il meglio di Santa Fe

turistipercaso

Sveglia, colazione con waffle a forma di Texas (only in Texas) e alle 9 ripartiamo, destinazione New Mexico. Primo stop a Vega, un altro di quei posti in cui ti fermi perché ci passi e perché ci passa la Route. Scattiamo un po’ di foto al distributore di benzina che è stato restaurato e ai dintorni e ripartiamo. La tappa successiva è tra quelle più affascinanti per chi percorre la Route: si tratta del Midpoint, esattamente a metà della Route 66, a 1139 miglia da Chicago e da Los Angeles. Scattiamo la foto d’obbligo, seduti per terra, schiena contro schiena, io con lo sguardo rivolto verso LA e Fede verso Chicago. Che emozione!

Facciamo un giro dentro al Midpoint Cafè, un diner stile Route 66 e anni ‘60, e ripartiamo verso Tucumcari. Poco prima del confine tra Texas e New Mexico usciamo dalla Highway per percorrere la Route. Qui il confine è segnato da un tristissimo palo colorato con scritti a mano i nomi dei due stati. Proseguiamo lungo la Route 66, che diventa sterrata e si allontana parecchio dalla Highway. Andiamo avanti, oltrepassando un segnale che invita a non proseguire se non strettamente necessario, e infatti dopo poco siamo costretti a tornare indietro perché la strada è chiusa. Ops! Rifacciamo benzina (41.36$) e torniamo quindi sulla Highway. Usciamo a Tucumcari (NM), una graziosa cittadina con tantissimi motel (alcuni abbandonati, altri in uso) lungo la Route. Nel frattempo ci è venuto un languorino, per cui decidiamo di provare un’altra moda americana: quella del fastfood drive in. Ci parcheggiamo in uno “stall” del Sonic Drive In, dove lato guidatore c’è uno schermo e un interfono da cui prendono l’ordinazione, che poi ti portano e che tu consumi in macchina. Noi prendiamo un cheeseburger con patatine fritte e bibita, popcorn chicken, corn dog e soft pretzel (20.42$). 

È giunto quindi il momento di abbandonare la Route per andare a Santa Fe. Una volta la Route collegava anche la capitale del New Mexico, ma dal 1937, con il realignment della Route, ne è rimasta tagliata fuori. Alle 16 arriviamo a Santa Fe. Lasciamo i bagagli in hotel e corriamo in centro città perché alle 17 la Loretto Chapel chiude. Alle 16.47 parcheggiamo, con un’incredibile botta di fortuna a 2$ (pagati con carta) davanti alla Saint Francis Cathedral, corriamo alla Loretto Chapel e in 7 minuti e 7$ a testa la visitiamo. La cappella contiene una bellissima scala a chiocciola di legno, realizzata da un falegname di cui non si conosce l’identità, e che le Sorelle di Loreto hanno sempre pubblicizzato come realizzata da San Giuseppe, dando quindi alla scala la fama di scala del miracolo. A darle questo titolo si aggiunge anche il fatto che sia stata realizzata senza sostegni. Speriamo che per 7$ a testa ci dia una mano. Usciti dalla cappella giriamo per i vari negozi di artigianato e souvenir, passeggiamo per la Plaza, su cui si affaccia il Governor’s Building e vediamo da fuori la chiesa di San Francesco (che ha già chiuso). Ci spingiamo poi fino al Capitol e alla Chiesa di Nostra Signora di Guadalupe. Essendo intanto arrivata l’ora di cena, troviamo un ristorante messicano, The Shed, e per non aspettare un’ora e mezza per un tavolo, ordiniamo tacos di pollo piccanti e chips&guac (buonissimo) e una Coca cola da portare via (24$), che ci andiamo a mangiare al parco di Cross of the Martyr, da cui si vede un bellissimo tramonto sulla città. 

Tornando verso il nostro albergo, ci fermiamo a fare benzina (24.32$) per partire con il serbatoio pieno: domani ci aspetta una tappa lunghissima fino a Page in Arizona! 

Sabato 5 agosto (Chiara+Fede). Day 7 – Arizona

turistipercaso

È passata una settimana esatta dalla nostra partenza, abbiamo superato la metà del percorso ed è ora di lasciare temporaneamente la Route per una deviazione di un certo spessore: Monument Valley e Grand Canyon. Lasciamo quindi il nostro bellissimo hotel tipico di Santa Fe, costruito in stile adobe (un po’ costoso per il servizio ricevuto e a colazione c’erano poche opzioni), e ci dirigiamo verso Albuquerque. Qui facciamo una velocissima sosta al 3828 di Piermont Drive, per vedere la casa utilizzata come esterni della casa di Walter White, protagonista della serie tv Breaking Bad. Poiché tantissimi fan vanno a vederla, e in passato qualcuno ha anche tirato delle pizze sul tetto per replicare una delle scene della serie, la simpatica proprietaria passa le sue giornate seduta sul porch a prendere a male parole coloro che si avvicinano per scattare una foto. Tra l’altro oggi la casa è completamente circondata da recinzioni e cartelli che indicano la proprietà privata. Se penso che nel 2012 il proprietario della casa di Streghe ci aveva fatto entrare dentro… 

Seconda sosta da Twisters (4275 Isleta Boulevard SW), fastfood che è stato usato come set per Los Pollos Hermanos, sia per Breaking Bad sia per Better Call Saul, e riprendiamo la I-40/Route 66 verso Gallup. Il paesaggio intanto si è nuovamente trasformato. Plateau rossi, circondati da qualche spruzzo di verde, ci accompagnano fino a destinazione.

A Gallup ci fermiamo rapidamente a vedere una delle poche attrazioni della Route 66 che non sono state intaccate dal tempo e dall’abbandono: El Rancho Motel è esattamente com’era qualche decennio fa, infatti il motto sotto l’insegna è “Charm of yesterday – Convenience of tomorrow”. Nel salone in legno ci sono teste di animali, la struttura per il lucidascarpe e memorabilia delle star che qui hanno soggiornato quando giravano film western (John Wayne su tutti). Visto questo, ripartiamo verso il Petrified Forest National Park: facciamo il biglietto annuale da 80$ per tutti i National Parks che ci tornerà utile più avanti (invece del biglietto singolo da 25$) ed entriamo dentro un paesaggio incredibile, fatto di alberi trasformati in pietra e rocce di tutti i colori. Ci sono 12 punti in cui fermarsi per osservare la “foresta di pietra”, noi ne scegliamo una decina e scattiamo fotografie a raffica di queste viste mozzafiato e in continuo mutamento (per noi, considerato che loro non cambiano da centinaia di anni). Dopo un’ora e mezza di giro, ci rimettiamo in marcia ma cambiamo percorso: riprendiamo la Route/Interstate verso est e, dopo aver fatto rifornimento di 30 dollari di benzina, lasciamo l’amata Mother Road per iniziare una deviazione che ci terrà lontani per qualche giorno: svoltiamo a nord, con la Monument Valley come primo obiettivo. Mentre siamo per strada, Fede cerca tour per l’Upper Antelope Canyon, da prenotare per il giorno dopo. Troviamo un tour alle 13.20, che ha però un costo assurdo: 175$ a testa! Con la paura però di non riuscire a entrare, e visto che stiamo facendo tutta questa strada apposta, decidiamo di acquistarlo (upperantelope.com, nel 2012 avevamo speso 25$ a testa!).

Intanto, dopo due ore di nulla in una statale, cominciano a spuntare i celebri e meravigliosi pinnacoli di roccia resi famosi da tanti film, dai western fino a Forrest Gump. Allunghiamo fino al Mexican Hat, che su Google Maps viene segnalato in un punto, ma che in realtà è un paio di km più avanti. Da lì, facciamo dietrofront fino al “Forrest Gump point”, da cui si gode di una vista impareggiabile sulla Monument Valley. È uno dei punti più affascinanti di questo viaggio. Una volta scattate tutte le centinaia di foto e aver impresso nella memoria i colori, la luce e le sensazioni di questo posto meraviglioso, ci rimettiamo al volante verso Page, dove arriviamo alle 20.40, avendo guadagnato un’altra ora ancora entrando in Arizona. Facciamo il check in all’hotel e andiamo da Safeway, il supermercato che già aveva sfamato me e la mia famiglia nel 2012 (avevamo fatto addirittura la carta fedeltà per avere diritto agli sconti, che ora rifaccio al volo online mentre cerchiamo la cena) e per 23.67$ compriamo enchiladas di pollo e pollo teriyaki surgelati, da scaldare al microonde, una fetta d’anguria, un litro di Coca cola e una confezione di gelato Ben & Jerry’s. Torniamo al nostro hotel e ceniamo in camera guardando Modern Family in TV. 

Crolliamo dopo poco, visto che oggi abbiamo viaggiato per 13 ore; per fortuna domani possiamo concederci una piccola pausa!

Domenica 6 agosto (Chiara). Day 8 – Antelope Canyon

Questa mattina, pur avendo messo la sveglia alle 7.30, alle 6.20 siamo già svegli. Ne approfittiamo per fare una lavatrice (4.50$ lavaggio+4.50$ asciugatura, tutta pagata in quarti di dollaro che cambiano alla reception) e colazione.  Leggo le condizioni del nostro tour e scopro che, al di là di non essere rimborsabile, se arrivi tardi perdi il biglietto. Questa sembrerebbe una condizione normale, ma specificano che questo vale anche se ti confondi con gli orari: la Navajo Nation segue l’ora legale (Daylight Saving) ma l’Antelope Canyon no, pur trovandosi nella Navajo Nation. Infatti alla Monument Valley l’orario era lo stesso del New Mexico (-8) mentre a Page è lo stesso di LA (-9). Per fortuna i cellulari cambiano da soli l’orario! Scopro anche che non si possono portare borse di nessun tipo, per cui oggi gireremo sicuramente leggeri. A quanto pare però è compresa la Navajo Nation Permit Fee. Il tour che avevamo acquistato noi a 25$ a testa nel 2012, oltre essere sold out fino a settembre, oggi costa 100$ a persona (più 5$ a persona di fee).

Dopo aver ritirato il bucato, usciamo per andare all’Horseshoe Bend, l’insenatura a forma di ferro di cavallo creata dal Colorado River. L’ingresso costa 10$ a macchina (che in realtà è solo il costo del parcheggio, visto che l’accesso all’Horseshoe Bend è gratuito). Si percorre un km circa e si arriva al punto panoramico da cui si può ammirare questo luogo strepitoso. Tra l’altro è ancora tutto senza protezioni, a parte una parte “terrazzata”, e fa abbastanza spavento sporgersi a vedere giù. Visto che abbiamo ancora tempo, andiamo verso il Lake Powell: oltrepassando il parcheggio dell’Upper Antelope Canyon (che si trova sulla destra), si svolta in una strada sulla sinistra che porta alla Lake Powell Marina. L’ingresso è gratuito se si ha il pass annuale dei parchi, altrimenti costa 30$ per una settimana. Una volta arrivati al bivio per la Marina, se si prosegue si arriva al parcheggio per le macchine. Lì, sulla destra c’è una stradina sterrata che porta a una spiaggia sul lago. Da lì torniamo indietro, visto che andremo dopo il tour dell’Antelope Canyon. Facciamo una sosta da Walmart a comprare degli shorts e da Safeway a comprare già la cena (due frozen meals – burrito bowl e fried chicken and gravy, anguria, coca cola e gallette di riso al cioccolato 21.08$ – con più di 8$ di risparmio grazie alla carta fedeltà!), che posiamo in camera. Alle 12.30 siamo parcheggiati all’Upper Antelope Canyon, e ci accomodiamo ad aspettare che ci chiamino per il tour. 

Alle 13.20 si parte sulla jeep guidata da Ty, la nostra guida, e in circa un quarto d’ora arriviamo all’entrata dell’Upper Antelope Canyon. È qualcosa di magico: la roccia rossa sembra dipinta, e il contrasto con il cielo blu è semplicemente meraviglioso. Noi siamo il secondo gruppo ad entrare, ma le entrate sono abbastanza scandagliate da non calpestarsi, nonostante ci siano parecchie persone. Il giro dura un’ora, e alla fine si torna al punto di partenza tramite un percorso che passa sopra il canyon, che è stato aggiunto dopo il Covid per ridurre i rischi di contagio. Alla fine del tour Ty decide di farci provare qualche brivido e di pigiare sull’acceleratore della sua Jeep. Una volta finito il giro torniamo al Lake Powell a fare il bagno, poi hotel, doccia, cena e Friends in tv. 

Lunedì 7 agosto (Chiara). Day 9 – Grand Canyon

Questa mattina ci svegliamo prestissimo perché non vogliamo arrivare al Grand Canyon tardi. Partenza alle 7, pieno just in case (40.10$, qua costa 3.97$/gallon) e via verso il South Rim, dove arriviamo verso le 9.30. L’accesso è ovviamente compreso nel nostro pass (e con questa entrata ci siamo ripagati il pass). Il primo punto è Desert View, da cui si vede non solo il Grand Canyon ma anche il Colorado River. È indubbiamente maestoso, imponente e trasmette pace ma, come già avevo decretato nel 2012, per me l’Antelope vince a mani basse. Trascorriamo comunque tre ore abbondanti girando lungo il South Rim, sia in macchina sia a piedi, e alla mezza, dopo un wrap diviso e una birra al fico d’india (terribile) acquistati al general store del Canyon (6.95$), ripartiamo verso Williams, con me alla guida. In circa un’oretta raggiungiamo Williams, tornando finalmente sulla Route 66 e visitando questo paesino definito “Gateway to the Canyon”. Si sviluppa come al solito lungo una via centrale (la Route), e per non farci mancare nulla, facciamo ancora qualche acquisto a tema Route 66. Mentre giriamo vicino alla ferrovia arriva un acquazzone fortissimo della durata di un minuto, seguito però da nuvole minacciose e tuoni. Decidiamo quindi di riprendere la strada per Flagstaff, che si trova a una mezz’oretta. Poco prima di arrivare a Flagstaff, veniamo colpiti da un altro violento temporale, per cui arrivati all’hotel ci tocca aspettare in macchina che spiova. Riusciamo a scaricare le valigie e salire nella nostra camera sotto una pioggia lieve, ma poco dopo ricomincia a piovere forte. Aspettiamo quindi che si rimetta al bello riposandoci un po’ in camera. Finalmente alle 17 sembra che stia tornando il bel tempo, quindi usciamo per andare a esplorare Flagstaff. Parcheggiamo nell’historic downtown, e facciamo su e giù per le stradine di questa graziosa cittadina. Visto che a Flagstaff si trova un birrificio artigianale, la Flagstaff Brewery, andiamo a bere una birra lì. Ordiniamo due birre di loro produzione, una Southwest e una Harvey, e chiacchieriamo con il bartender, che ci racconta di essere di vicino ad Atlanta, in Georgia, mentre noi gli raccontiamo di essere qui per il nostro viaggio di nozze. Come ha raccontato Francesco Costa e come abbiamo testato in prima persona, gli americani sono amichevoli e generalmente ben disposti a fare due parole, e quando scoprono che i clienti sono lì per una qualche occasione particolare (ad esempio compleanni o matrimoni), sono molto generosi; e infatti, il nostro bartender Mitch ci offre le due birre con tanti auguri da parte sua (io l’ho specificato che sono già passati tre anni nel frattempo!). 

Molto contenti, andiamo da Wholefoods a comprarci la cena: mac&cheese, bistecche impanate di pollo, insalata, acqua e un brown butter cookie 28.79$. Belli stanchi (e pure un po’ infreddoliti, ché a Flagstaff non fa proprio caldissimo) torniamo in hotel. Domani… Vegas baby!

Martedì 8 agosto. Day 10 – Viva Las Vegas

las vegas

Questa mattina ci svegliamo con calma e alle 9.30 partiamo, visto che la tappa di oggi è relativamente corta. Ho fatto il check in anticipato online del Flamingo Hotel di Las Vegas (40$) così possiamo goderci di più la piscina, visto che le camere le danno alle 15.30 e la piscina la chiudono alle 18. Alla nostra partenza ci sono 23 gradi. Sosta benzina a Williams (30$ – 3.49$/gallon, la più economica da Chicago!) e riprendiamo dritti fino a Las Vegas. Il paesaggio verde e pieno di alberi dell’Arizona “alta” lascia presto spazio a un paesaggio più roccioso e desertico, in cui la temperatura alle 12.30 ha ormai raggiunto i 40.5 gradi. Oltrepassiamo la Hoover Dam, la diga più alta del mondo sul fiume Colorado, ma non ci fermiamo, e alle 13.30 siamo all’Hotel Flamingo sullo strip di Las Vegas. Check in al chiosco e scarichiamo i bagagli davanti all’ingresso e Fede va a parcheggiare nel parcheggio self driving. A questo punto saliamo nella nostra camera al 18º piano con vista sulla piscina. Meraviglioso! 

Scendiamo alla GO Pool, quella riservata solo agli adulti (e infatti serve l’ID per accedere, che noi abbiamo lasciato in camera), e passiamo il pomeriggio a mollo, sorseggiando Margarita e Piña Colada. Restiamo in piscina fino alle 17.30 e alle 18.45 siamo già fuori, pronti a esplorare Sin City. Primissima tappa per cenare da In n Out (19.51$) per degli ottimi hamburger, pur essendo un fast food, e poi via a macinare km sullo Strip. Vediamo da fuori il Caesar’s Palace ed entriamo a Paris e New York New York, e decidiamo di spingerci fino al cartello “Welcome to Las Vegas”. 

Una volta oltrepassato New York New York praticamente non si vede più nessuno in giro. Visto il sign, dove ci sono in coda venti persone che aspettano di farsi la foto, torniamo indietro, con meta lo spettacolo delle fontane del Bellagio, che dopo le 19 è ogni quarto d’ora. Bellissimo come me lo ricordavo! Ultima tappa al Venetian, dove però purtroppo è già tutto chiuso perché è mezzanotte passata. Il canale finto con 50 cm d’acqua, le gondole e il cielo azzurro dipinto fa sempre il suo effetto però. Torniamo al Flamingo e osserviamo un po’ i tavoli da Blackjack e Poker, e poi tentiamo la fortuna alle slot machines, in cui perdiamo il nostro dollaro in 0.3 secondi netti. Stravolti ma entusiasti di questa tappa così particolare, andiamo a dormire all’1.30 am. In tutto abbiamo camminato 20 km! 

Mercoledì 9 agosto (Chiara+Fede). Day 11 – California Dreamin

Questa mattina ci svegliamo alle 7.30 con l’intenzione di andare a fare colazione da Denny’s ma quando arriviamo c’è una coda chilometrica. Prendiamo allora le nostre valigie e la macchina per andare a un altro Denny’s a 12 km, dove sicuramente ci sarà meno gente. Fede va a prendere la macchina dal garage, ma per uscire deve per forza pagare il ticket. Visto che però il costo del garage era già inserito nel conto della camera, vado ai kiosk dell’hotel dove un gentilissimo receptionist me lo scala dal conto. Partiamo verso la meta della colazione, dove ordiniamo toast e hashbrowns (Fede) e uova, bacon e salsiccia più due pancakes (Chiara). Tutto ottimo ma talmente sostanzioso che ce ne portiamo via la metà. Chiara ritenta la carta del viaggio di nozze ma stavolta le frutta solo uno sconto per le due tazze marchiate Denny’s (4.99$ l’una anziché 6.99$). In tutto spendiamo 47.26$, compresa la cospicua mancia per il cameriere. 

Finalmente partiamo alla volta della California: non può mancare la foto al cartello Welcome all’altezza del minuscolo paesino di Primm. Poi via alla volta di San Bernardino, dove ritroviamo la Route 66 e facciamo tappa al primo Mc Donald’s del mondo. Nel mezzo ci prendiamo due volte la pioggia: fa parecchio effetto, visto che stiamo attraversando il Mojave desert!

Seconda tappa prima di entrare in Los Angeles è al Rose Bowl di Pasadena, dove l’Italia perse i Mondiali nel ‘94 con rigore sbagliato di Baggio (ci vuole coraggio nel ‘94 ad essere Baggio…) e riprendiamo la 101 in direzione Hollywood. Ci accoglie una Los Angeles nuvolosa e piovosa. Lasciati i bagagli in hotel, usciamo di nuovo per andare al terzo punto significativo del nostro viaggio sulla Route: l’End of the Trail Sign sul molo di Santa Monica.  Passiamo prima da 1870 Blue Heights Drive, dove si trova la casa usata nella serie TV Bosch, basata sul detective inventato da Michael Connelly. La casa si trova in un’area molto bella di West Hollywood, ed è costruita a mo’ di palafitta a strapiombo sulla collina. 

Proseguiamo quindi fino a Santa Monica, lungo la Route 66, oggi Santa Monica Blvd, l’ultimo pezzo della “nostra” strada. Parcheggiamo la macchina al Trader Joe’s su 5th street, che offre un’ora di parcheggio gratuito ai suoi clienti, visto che vorrei comprare il famosissimo mix “Everything but the Bagel Seasoning”, e andiamo al molo. Per fortuna nel frattempo le nuvole hanno lasciato spazio al cielo blu! 2278 miglia dopo (anche se con un grosso detour che ci ha allontanato dalla Route, ma per ottime ragioni) ed eccoci qua, alla fine della nostra avventura on the road. Che sensazione strana pensare di essere partiti dall’lllinois, attraversando Missouri, Kansas, Texas, Oklahoma, Arizona ed essere arrivati in California, e di essere anche riusciti a vedere Utah e Nevada! E pensare che poco più di una settimana fa eravamo dall’altra parte del Paese! Abbiamo visto il paesaggio cambiare forma e colore, abbiamo sentito accenti mutarsi e diventare più o meno comprensibili, abbiamo sofferto temperature altissime e avuto i brividi quando scendevano sotto i 60º F, siamo stati completamente soli e circondati da centinaia di persone… e ora siamo qui, di fronte all’oceano, davanti a quel cartello che ci dice che ce l’abbiamo fatta. Che emozione!

Finito il giro sul molo e gli acquisti da Trader Joe’s, ci spostiamo a Venice Beach. Troviamo posto per strada e, visto che l’unico cartello che c’è dice che non si può parcheggiare il lunedì dalle 10 a mezzogiorno per pulizia strade, lasciamo lì la macchina. Spoiler alert: se il bordo del marciapiede è dipinto di rosso, anche in mancanza di segnaletica, è vietato parcheggiare. Come lo sappiamo? Perché dopo il bellissimo giro a Venice Beach ad ammirare l’oceano e i surfisti, gli skater che fanno acrobazie da cardiopalma sulla pista e il murales di Jim Morrison, quando torniamo alla macchina scopriamo di aver preso 93$ di multa esattamente 5 minuti prima. Mi sa che la scala del miracolo di Santa Fe non funziona. 

Un po’ abbattuti per questa sfortuna, rientriamo all’hotel. Visto che siamo un po’ stanchi, finiamo gli avanzi della mega colazione e facciamo un po’ il punto su cosa vedere il giorno successivo, visto che è l’unico giorno pieno a LA, e poi crolliamo.

Giovedì 10 agosto (Chiara). Day 12 – LA Woman

Questa mattina ci svegliamo alle 7.30 con una LA grigia e piovosa. Le previsioni dicono che dovrebbe tornare bello nel pomeriggio. Visto che ieri sera abbiamo provato a pagare la multa online, ma la transazione non è andata a buon fine, andiamo agli uffici della Los Angeles Parking Violation a pagare di persona, sperando che nel frattempo la transazione che è segnata sul conti venga stornata. 

Visto che il traffico a quest’ora è ridotto, decidiamo di fare un salto al Citadel Outlets. Dopo un bel giro di acquisti e aver fatto benzina (a 4.79$/gallone, a Los Angeles la benzina è carissima, quindi, dovendo ridare la macchina quasi vuota, mettiamo solo 15$) torniamo verso LA. Andiamo al Walt Disney Concert Hall, e parcheggiamo sulla strada trovando un parchimetro con ancora 28 minuti di parcheggio pagato. Visitiamo il Concert Hall da dentro, che è gratuito, e ripartiamo verso Carroll Avenue, la strada dove si trova la casa di Streghe e altre bellissime case (ville anzi) in stile vittoriano. Purtroppo oggi non c’è nessuno, mentre nel 2012 avevamo trovato il proprietario che ci aveva fatto entrare. Intanto la temperatura si è alzata e c’è un’afa incredibile. Ci immergiamo nel quartiere di Beverly Hills per andare a Rodeo Drive, la via della moda. Il parcheggio costa ancora 2$, e nelle vie limitrofe poco più in su scopriamo essere addirittura gratis. In ogni caso, parcheggiare a Rodeo Drive è più economico che in centro a Torino.  Dopo aver fatto su e giù, riprendiamo la macchina e, passando per BelAir, arriviamo al Getty Center. Il parcheggio dopo le 15 costa 15$ invece che 20$, e c’è un tram che porta in cima alla collina. L’ingresso al museo è gratuito, semplicemente va prenotato online, e dentro vediamo una mostra fotografica di Eugène Atget, un fotografo francese di fine Ottocento, e le opere di impressionisti e post impressionisti, tra cui “Iris” di Van Gogh.

Usciamo dal Getty Center alle 4.30, ed essendo vicini a Santa Monica, ci dirigiamo verso la spiaggia. Parcheggiamo in un comodissimo e convenientissimo parcheggio al 1431 di 4th Street, dove i primi 90 minuti sono gratuiti (la mia missione di oggi è rientrare della spesa di 93$ in qualsiasi modo). Andiamo alla spiaggia di Muscle Beach, sulla sinistra del Pier e Fede si lancia in acqua. Io bagno solo i piedi, perché il pensiero di affrontare la bora triestina che si percepisce appena usciti dall’acqua non mi solletica. L’acqua è comunque più calda di come me la ricordassi dal 2012: il bagnino a cui ho chiesto mi ha risposto che poteva essere 72-73 gradi, specificandomi poi che intendeva Fahrenheit. Non ho avuto la prontezza di rispondergli che non c’erano dubbi, visto che a quella temperatura Celsius ci puoi fare un tè. 

Tornando verso l’hotel transitiamo da Melrose Avenue, dove c’è un’installazione temporanea di murales dedicati a Taylor Swift. Attraversare Los Angeles, anche senza passare dalla Highway, a qualsiasi ora è un incubo, per cui passiamo volentieri dalle strade cittadine e vediamo qualche bel murales su Melrose Avenue.  Torniamo in hotel, ci facciamo una doccia e usciamo di nuovo. Scarichiamo l’app per i biglietti della metro TAP e carichiamo 7$, che sono 4 viaggi. Non c’è verso di caricare 3.50$ per volta, ma tanto ci servono anche domani. Ci dirigiamo verso la Hollywood Walk of Fame per vedere le stelle e il teatro in cui avviene la consegna degli Academy Awards. Cena veloce da Chipotle (19.25$ per steak burrito, build your own taco kids menu e due bibite) e facciamo su e giù un paio di volte lungo la Walk of Fame. Stanchi morti alle 23 riprendiamo la metro e dopo 20 km di camminata andiamo a dormire. 

Venerdì 11 agosto (Chiara). Day 13 – Everybody Comes to Hollywood

Questa mattina la sveglia suona presto, si va agli Universal Studios (ingresso 139$ a testa)! Prendiamo la metro davanti al nostro hotel per tre fermate e shuttle bus e alle 9.15 siamo all’ingresso degli Studios. Andiamo subito a fare la coda per lo studio tour, dove vediamo i set di Desperate Housewives, Bates Motel, La Guerra dei Mondi, in cui hanno ricreato lo scenario di un incidente aereo smontando un vero 747 nel Mojave Desert e portandolo agli studios, e passando anche per la piazza di Ritorno al Futuro, in cui Marty McFly prende la rincorsa con la DeLorean con Doc appeso all’orologio del City Hall. Il giro passa ancora per il set usato per The Good Place e fanno testare gli effetti speciali con Jurassic Park e Fast and Furious, con pausa prima a salutare Bruce, lo squalo di Jaw. È un giro molto interessante!  Da lì risaliamo all’Upper Lot, dove è stata da qualche anno aperta la ricostruzione del castello di Hogwarts e del villaggio di Hogsmeade. Non posso neanche descrivere l’emozione e le lacrime per una Potterhead come me! Visto che manca poco allo spettacolo di Water World, corriamo a metterci in fila e fortunatamente riusciamo a sederci in posti in cui non veniamo completamente lavati. Oggi sono particolarmente crudeli perché arrivano con secchiello o pistola ad acqua a farti la doccia. Lo spettacolo è molto scenografico e molto bello da vedere. Decidiamo di tornare più tardi a rivederlo.

Finito Water World, ci mettiamo in coda per la giostra dell’ippogrifo, con davanti la capanna di Hagrid. Dopo un’ora di attesa finalmente siamo sopra. Un’ora di attesa per due minuti scarsi di giro in cui, visto che la fortuna è cieca ma la sfiga ha delle diottrie niente male, a Fede vola via il cappellino nuovo della Route 66 comprato al Nelson’s Old Riverton Store mercoledì della settimana scorsa. Quando chiediamo se c’è modo di recuperarlo, ci dicono di andare a comunicarlo al Guest Relations Office e di tornare a chiusura del parco alle 22 a chiedere. Torniamo quindi all’entrata, altra coda, e Jessica, la gentilissima addetta, compila il modulo e, vedendo le nostre facce abbattute e la spilletta con i nostri nomi e la scritta honeymoon, ci regala tre pass salta coda da usare in tre attrazioni. Il cappello non lo ritroviamo, neanche a chiusura, ma nel pomeriggio abbiamo tagliato più di tre ore di coda. Usciti dall’ufficio pranziamo a Springfield (dei Simpsons) con due Krusty Burgers con patatine e una bibita (38$, buono ma un furto) e torniamo a girare il parco. 

Il primo pass lo usiamo per entrare nel castello di Hogwarts, in cui ci sono la ricostruzione dell’ufficio di Silente, dell’aula di Difesa contro le Arti Oscure e il dipinto della Signora Grassa, e si fa poi una giostra “fissa” che simula una corsa a bordo di una scopa volante. Bellissimo, anche se forse non l’ideale subito dopo pranzo! Giro da Ollivander, in cui un bimbo a turno viene scelto per trovare la propria bacchetta, e poi scendiamo al Lower Lot. Qua usiamo il secondo pass, per entrare al ride di Jurassic World, che termina con una bella frenata nell’acqua, ma fortunatamente ci schizza appena. Vorremmo andare sulla giostra di SuperMario ma ci sono 100 minuti di coda, mentre quella della Mummia è temporaneamente chiusa. Risaliamo e torniamo a vedere Water World una seconda volta, e poi ci mettiamo di nuovo in coda per l’Ippogrifo, con la speranza di vedere il cappellino dall’alto, ma non riusciamo a vederlo. Nel frattempo sta calando la sera (e si sta notevolmente abbassando la temperatura) ma hanno riattivato la Mummia, per cui spendiamo qua il nostro terzo pass. Questa è tra le mie preferite! Ultima coda da più di un’ora (ora capisco chi compra il biglietto che salta le code… se solo non fosse costato 300$!) per entrare alla giostra dei Simpson, di nuovo una giostra di simulazione tipo Harry Potter, e quando usciamo sul castello di Hogwarts si sta tenendo una battaglia contro i Dissennatori. Ci mettiamo quindi ad aspettare fuori nella speranza che trovino il cappellino, ma ahimè, nulla da fare. Ci viene detto che se dovessero trovarlo, Universal spedisce a carico loro ovunque nel mondo.  Stanchi e infreddoliti, riprendiamo la metro e una volta arrivati in hotel ci sforziamo di rifare le valigie e crolliamo. 

Sabato 12 agosto (Chiara). Day 14 – Mama, I’m Coming Home

Questa mattina sveglia, doccia e check out poco dopo le 8. Visto che alle 12 dobbiamo restituire la macchina (anche se il nostro volo non parte prima delle 16.15) vogliamo ancora fare un giretto per LA. Andiamo al Lake Hollywood Park, da cui si ha una bellissima visuale sull’Hollywood Sign, e da lì torniamo un’ultima volta a Santa Monica. Passiamo anche davanti a un vecchio Diner, il Mels Drive In, proprio all’angolo dove passa la Route 66. Con un breve giro sul Santa Monica Pier concludiamo davvero la nostra avventura americana, salutando un’ultima volta la Route che ci ha accompagnato per tutte queste miglia. Riprendiamo la macchina dal parcheggio di due giorni fa e impostiamo la rotta verso il Drop Off della Hertz. Facciamo ancora 5$ di benzina (un gallone qui a LA) per riportare il serbatoio a 1/4 come ci è stato dato, e alle 12.30 siamo già comodamente seduti al nostro gate. Un’ora circa prima della nostra partenza ci annunciano che il volo per Denver è in ritardo di 20 minuti. Visto che il tempo di connessione a Denver è di soli quaranta minuti, andiamo allo United Airlines Service Center a chiedere informazioni. Ci sarebbe un volo per Francoforte alle 18, ma non ci sono invece connessioni per Torino. Visto che anche il volo per Monaco sembra essere in ritardo di mezz’ora (che diventano 50 minuti) non abbiamo problemi a farcela, ma non riusciremo a prendere il volo Monaco-Torino, che quindi ci viene spostato a quello della sera. Arriveremo quindi a Torino alle 23.30 di domenica, temo un po’ stanchi. 

Il volo per Denver è molto veloce e alle 21.20 siamo di nuovo pronti al decollo verso l’Europa. Tentiamo di dormire un po’ durante il volo (che comunque chiamano red-eye mica per niente) tra cena e colazione, che non sono male, e alle 15 orario europeo (quindi le 6 del mattino per il nostro organismo) atterriamo a Monaco. Per fortuna sappiamo già di non dover correre a prendere il volo per Torino perché lo avremmo sicuramente perso. Andiamo quindi a farci dare le carte di imbarco al banco Lufthansa e decidiamo quindi di andare in centro città. Dall’aeroporto parte un comodo treno (13€ a persona il biglietto singolo) che porta alla stazione centrale. Lì, a 100 metri dall’ingresso, lasciamo i nostri due zaini in un deposito bagagli con armadietti che funziona solo tramite sito (tre ore 5.40€) e passeggiamo fino al bellissimo Rathaus di Monaco, passando davanti al Palazzo di Giustizia, alla chiesa di San Michele e alla Cattedrale. Davanti al Palazzo di Giustizia e alla Cattedrale ci sono due fontane dentro cui i bambini stanno a giocare con l’acqua. 

Ci trasciniamo un po’ come due zombie, quindi andiamo a bere una coca cola davanti al Rathaus (per 10.80€) e poi fino alla birreria Hofbräuhaus, dove ceniamo con zuppa di patate, pretzel, mezzo polletto con patate e mezzo litro di birra (31.35€). A questo punto è ora di tornare in aeroporto, quindi riprendiamo gli zaini e il treno e alle 21 siamo seduti fuori dal gate. Mentre siamo seduti che aspettiamo di partire, vedo anche che caricano le nostre valigie. Meno male.

Partiamo in ritardo di 20 minuti rispetto all’orario previsto, alle 22.40, e un’ora dopo stiamo sorvolando Genova e dintorni perché su Torino c’è un forte acquazzone che non ci permette di atterrare. E visto che come ho già detto prima, le diottrie della sfiga non fanno altro che migliorare, a mezzanotte ci viene comunicato che atterreremo a Milano Linate. Cinque minuti dopo il comandante ci annuncia che a Linate non c’è personale che ci possa accogliere e quindi siamo dirottati su Malpensa. Ritiriamo le valigie e usciamo, convintissimi che di lì a poco saremo seduti su un pullman per Caselle. Niente di più sbagliato. C’è un intero volo Ryanair proveniente da Palermo con tre ore di ritardo che decide di avere la priorità su tutti gli altri e sale sugli unici tre pullman che vengono mandati (da chi?) e noi del volo Lufthansa aspettiamo fino alle 3, quando finalmente una serie di taxi ci carica per riportarci a Caselle (320€!! Ovviamente pagati da non abbiamo capito chi, l’importante è che non li abbiamo pagati noi). Alle 4.30 finalmente riprendiamo la nostra macchina, caricando i due ragazzi che sono tornati con noi da Malpensa e alle 5.15 varchiamo finalmente la soglia di casa. 

Conclusione

Al di là del fatto che si trattasse del nostro viaggio di nozze, e che fosse particolarmente desiderato e aspettato, il viaggio lungo la Route 66 è sicuramente un viaggio che merita. Mi permetto di dire che non meriti tanto per ciò che si vede: lungo i quasi 4000 km di Mother Road, spesso si trovano luoghi di non così grande interesse (vedi il Gemini Giant) o un po’ “ripetuti”, come le varie gas station o le insegne vintage dei motel. Tuttavia, rimane un viaggio degno di nota per svariate ragioni: innanzitutto, permette di capire in prima persona quanto siano diversi e particolari gli stati che si attraversano, quanto il paesaggio cambi drasticamente passando da una zona all’altra, quanto siano diversi gli abitanti che si incontrano lungo il cammino e quanto davvero grande, e a tratti sconfinato, sia il Paese. Ma è soprattutto un viaggio di “concetto”: la Route è un microcosmo dell’America, quella delle macchine e dei diner anni ‘50, e percorrerla, specialmente quando si trova lontano dalla highway, è davvero emozionante. Permette di vedere una porzione della “vera” America, quella che va oltre le grandi città a cui siamo più abituati, e ti dà la sensazione di guidare attraverso la storia del sogno americano. Un viaggio che consigliamo a tutti coloro che vogliano provare quest’esperienza. 

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