Etna – Nella fucina dei Ciclopi

“…si trascorre qui la notte, sulla paglia, per andare a vedere il sorgere del sole dall’orlo del cratere. Lasciamo i muli e cominciamo a scalare la parete spaventosa di cenere indurita che cede sotto i passi, in cui non si può trovare una presa, trattenersi a nulla, in cui si ridiscende di un passo ogni tre. Si avanza sbuffando, ansimando,...
Scritto da: Bruno Visca
etna - nella fucina dei ciclopi
Partenza il: 18/05/2001
Ritorno il: 22/05/2001
Viaggiatori: fino a 6
Spesa: 500 €
“…Si trascorre qui la notte, sulla paglia, per andare a vedere il sorgere del sole dall’orlo del cratere. Lasciamo i muli e cominciamo a scalare la parete spaventosa di cenere indurita che cede sotto i passi, in cui non si può trovare una presa, trattenersi a nulla, in cui si ridiscende di un passo ogni tre. Si avanza sbuffando, ansimando, affondando nel suolo molle il bastone ferrato, fermandosi di continuo. Si deve allora puntare il bastone tra le gambe per non scivolare giù, perché la pendenza è così ripida che non si può neanche rimanere seduti” Guy De Maupassant (1885) Guy de Maupassant descriveva così la sua salita sull’Etna. Era il 1885; adesso, anche chi non usa gli impianti di risalita, può accedervi tramite comodi sentieri, sebbene non si possa sfuggire alla fatica e si debba prestare rispetto ed una certa cautela, specialmente in prossimità dei crateri sommitali. Avvicinandomi al vulcano, mi torna in mente un espressivo pensiero di Leonardo da Vinci: “Che ti move, o omo, ad abbandonare le proprie tue abitazioni della città, e lasciare li parenti e amici, ed andare in lochi campestri per monti e valli, se non la naturale bellezza del mondo?”.

Cos’altro può avermi spinto assieme ai miei compagni ad affrontare quattro giorni di cammino con zaini particolarmente pesanti (dovendo essere completamente autosufficienti, anche per quanto riguarda cibo ed acqua, non essendoci possibilità di rifornimenti di alcun genere), a dormire in terra ed a sopportare un vento a tratti fortissimo, se non il fascino e la bellezza selvaggia di questi luoghi? L’Etna, detto anche Mongibello, dal latino-arabo Mons e Jebel, “la Grande Montagna”, o, come familiarmente lo chiamano i siciliani, “a Muntagna”, è il vulcano attivo più alto e più grande d’Europa, con i suoi 3343 metri di altezza e con un raggio medio di 20 Km. La sua presenza ha influenzato sia la cultura sia la vita di tutti i paesini etnei, i cui abitanti vivono in simbiosi col vulcano. Le sue fumate, le esplosioni e le colate laviche ricorrenti sono ormai una routine per coloro che vi risiedono e servono unicamente a non far mai dimenticare che esiste un vulcano sotto i loro piedi. Lungo i suoi fianchi sono presenti un gran numero di crateri, riuniti in oltre duecento gruppi, tra i quali i più famosi sono sicuramente i Monti Rossi, nel versante meridionale, verso Nicolosi, che hanno avuto origine dall’eruzione del 1669. Le Eruzioni Le prime eruzioni, avvenute circa 700.000 anni fa, furono sottomarine, poiché tutta la zona era occupata da un golfo; l’emersione avvenne successivamente in seguito all’accumularsi di lava ed a un generale sollevamento dell’area.

Già gli antichi conoscevano la natura vulcanica dell’Etna, indicato come fucina di Vulcano e dei Ciclopi, o come la colonna del cielo, sotto di cui giaceva il gigante Tifone, che, torcendosi, faceva tremare il suolo. Pindaro ed Eschilo hanno descritto in modo meraviglioso l’eruzione del 475 A.C. Fra le eruzioni antiche è anche da segnalare quella del 396 A.C., che arrivò sino al mare; nel medioevo la più imponente fra tutte è certamente quella del 1329 che emise una triplice colata di lava, arrivando a minacciare il territorio di Catania, invaso poi dalla colata del 1381. Nell’era moderna la più famosa fu quella del 1669 che, preceduta da terremoti locali, l’11 marzo aprì uno squarcio dal cratere centrale a Nicolosi. Avvicinandosi ai nostri giorni meritano di essere citate le eruzione seguenti: quella del 1811, che formò molte bocche tra le quali quella di Monte Simone nella valle del Bove; quella del 1843 che, raggiungendo un terreno molto umido, provocò una violenta esplosione e l’uccisione di parecchi curiosi; del 1852 che minacciò Zafferana; quella del 1879 che iniziò contemporaneamente sui versanti Sud e Nord; l’eruzione del 1892 che formò quattro grandi crateri detti Monti Silvestri.

Numerose sono state anche le eruzioni nell’ultimo secolo. Nel 1917 dalla bocca di NE si sollevò una fontana di lava alta circa 800 metri che riversò, in pochi minuti, tre milioni di metri cubi di lava fluidissima. L’eruzione più violenta della prima metà del secolo fu quella del 1928 che, sgorgata da una lunga fenditura, giunse sino a Mascali, distruggendola. Molte altre eruzioni minori modificarono ulteriormente l’aspetto del vulcano.

Il Parco La prima proposta per l’istituzione del parco dell’Etna fu fatta nel 1960. Nel 1980 migliaia di persone parteciparono ad una marcia per chiedere l’istituzione della riserva dello Zingaro, che fu istituita nel 1981 con una legge del Parlamento Siciliano. Nel 1987 è stato definitivamente istituito il parco dell’Etna su di una superficie di circa 45000 ettari, divisa in zone A e B, ed una superficie di 14000 ettari di preparco divisa in zone C e D.

Zona A La zona A è la più protetta e si estende su 19000 ettari, dai crateri sommitali sino a 870 metri/slm nella zona di monte Minardo. L’obiettivo in questa zona è quello di proteggere l’ecosistema che qui è poco alterato data l’esigua presenza umana, presenza che si vuole progressivamente diminuire. Alle alte quote il territorio è caratterizzato dai crateri e dal deserto lavico, mentre a quote più basse si incontrano foreste di faggio, betulla e pino laricio. Non sono presenti insediamenti abitativi, fatta eccezione per alcuni rifugi forestali.

Zona B La zona B è estesa su 26000 ettari che vanno dai 1880 metri/slm di monte Vetore sino ai 640 metri/slm di monte Gorna. Il suo territorio è coperto da boschi di pino laricio, roverella e cerro. La secolare attività agricola che interessa questa zona ha formato un singolare contrasto di paesaggio rurale tradizionale e di paesaggio naturale, formando un territorio caratterizzato da terrazzamenti con vigneti e frutteti, con antiche case padronali e casolari contadini che, senza l’istituzione del parco, sarebbero state sostituite da cemento ed asfalto. In questa zona sono vietate le nuove costruzioni a scopo residenziale, la caccia e l’attività estrattiva; sono invece permesse le costruzioni d’infrastrutture al servizio dell’agricoltura tradizionale.

Zona C Questa parte di preparco copre un’area di 4300 ettari ed è situata ad un’altitudine compresa tra 600 e 800 metri/slm. Il suo scopo è quello di permettere uno sviluppo compatibile con l’ambiente naturale consentendo anche l’insediamento di strutture turistiche. In questa zona vi è una forte presenza di colture agricole, ma anche di vegetazione naturale. È vietata la costruzione di seconde case residenziali. Esistono anche due aree di zona C a quote più elevate; si tratta di due territori, con una superficie totale di circa 800 ettari, all’interno della zona A situate in corrispondenza d’impianti di risalita, alberghi ed altre infrastrutture realizzate prima dell’istituzione del Parco.

Zona D È l’area più esterna del preparco, copre una superficie di 9700 ettari. Il suo principale obiettivo è di consentire uno sviluppo che non interferisca con le finalità del Parco. È permessa la costruzione di nuove case, seguendo però criteri compatibili a questo ambiente.

Il Trekking Alle 14 del 18 maggio atterriamo all’aeroporto Fontanarossa di Catania dove troviamo ad attenderci Fabio, la nostra guida. Dopo l’acquisto dei viveri e dell’acqua, necessari per tutti i giorni previsti, raggiungiamo con un pulmino la località di Serra la Nave, nel comune di Nicolosi, base di partenza del trekking. La zona dell’Etna è molto povera di risorse idriche; l’acqua dei rari pozzi che s’incontrano non è potabile, quindi è necessario procurarsela prima della partenza. La spartizione dei viveri e dell’acqua (36 litri) ha reso i nostri zaini assai pesanti, sicuramente alla partenza superano i 20 Kg. Il loro trasporto si è rivelato la maggiore difficoltà del nostro cammino. Alle 18 riusciamo a metterci in marcia per la prima breve tappa che si svolge su di una larga mulattiera totalmente pianeggiante. Costeggiamo il rifugio Forestale S. Giovanni Gualberto e, alle 20, raggiungiamo il rifugio Galvarina, meta della tappa e del nostro primo pernottamento. Sulle falde dell’Etna sono presenti decine di questi piccoli rifugi incustoditi, formati da un unico locale nel quale si trova un tavolo, delle panche e un piccolo caminetto dove è possibile accendere il fuoco; l’unico giaciglio è il pavimento, non vi sono brande o altri posti dove dormire, quindi è necessario adattarsi al duro terreno. Nonostante la brevità della tappa, siamo tutti felici di essere arrivati per poterci scaricare del peso degli zaini; ci conforta il pensiero che nei prossimi giorni si alleggeriranno del cibo e dell’acqua che consumeremo. Dopo cena, nel buio della notte, due piccoli punti luminosi si avvicinano al rifugio. Sono gli occhi fosforescenti di un volpacchiotto che, per nulla intimorito, viene in cerca di cibo; cautamente arriva a pochi metri da noi per raccogliere i pezzi di pane che gli abbiamo gettato. Il suo naturale istinto gli ha permesso di capire che non aveva nulla da temere dalla nostra presenza.

Partenza alle 7,30 per la seconda tappa, più lunga della precedente e con zaini ancora pesanti; ieri sera forse avremmo dovuto mangiare e bere in gran quantità per alleggerirli maggiormente. Il trekking si snoda anche oggi su di una mulattiera che, con un continuo saliscendi, aggira in senso orario la montagna mantenendosi su quote tra i 1600 ed i 1800 metri/slm. Dopo circa 30 minuti di cammino raggiungiamo il rifugio Poggio la Caccia, un altro dei molti piccoli rifugi che incontreremo sulla nostra strada. Breve sosta per la visita e per scaricare la schiena dal peso dello zaino, poi la marcia riprende. Dopo un’altra mezz’ora si giunge alle Grotte di Monte Nunziata che ammiriamo solo dall’esterno; sulle falde dell’Etna si trovano molte grotte laviche che purtroppo non abbiamo il tempo di visitare a fondo. La tappa odierna è caratterizzata da un’alternarsi di foreste di pini, betulle e faggi, con colate laviche; il verde degli alberi, che giunge sino ai margini della lava, ed il giallo delle molte ginestre fiorite creano un magnifico contrasto con il nero delle colate laviche, lunghe anche diversi chilometri. Nei pressi del rifugio di Monte Scavo, che incontriamo sul nostro tragitto, è situato un pozzo con acqua che, sebbene non potabile, ci permette di rinfrescarci e di lavarci almeno il viso; infatti dove abbiamo pernottato non vi era acqua e quindi nessuna possibilità di lavarsi. Anche questo fa parte del trekking e bisogna saperlo accettare. Verso mezzogiorno giungiamo al rifugio di Monte Spagnolo dove sostiamo per il pranzo. Questo piccolo rifugio è situato tra bellissimi pini che formano con i loro rami un’ombra invitante a cui non è possibile rinunciare. Considerando che la meta della nostra tappa è abbastanza vicina, rimaniamo sino alle 15 a poltrire nei pressi del rifugio, anche per sfuggire alle ore più calde della giornata. Ripreso il cammino, alle 17 giungiamo al rifugio Saletti, meta della nostra seconda tappa. Non siamo soli, un gruppo di escursionisti Olandesi, con cui dividiamo il rifugio, ci tiene compagnia sino al mattino seguente.

Sveglia alle 6 e partenza alle 6,45 per la terza tappa; oggi il cammino prosegue in leggera salita sulla stessa mulattiera dei giorni scorsi, sino al rifugio Timparossa dove arriviamo alle 10. Il peso degli zaini sulle spalle, fortunatamente, comincia a diminuire. Sostiamo per visitare i dintorni del rifugio e, dopo un pranzo anticipato, alle 12 riprendiamo a camminare. La mulattiera termina e la marcia prosegue agevolmente su di un sentiero che, dopo una leggera discesa, riprende a salire. Anche il paesaggio cambia radicalmente: i boschi che, con la loro ombra, ci regalavano un pò di frescura, sono sostituiti dalle immense colate laviche del 1911 e del 1923. Fortunatamente il sole è velato da una leggera foschia che, anche se non ne attutisce il calore, ci ripara almeno dai suoi raggi. Poco prima di giungere alla meta odierna, rappresentata da Piano Provenzana, attraversiamo una zona ricca di vecchi crateri spenti. Il luogo ha il “fascino” dell’anticamera dell’inferno: le immense distese di nere colate laviche, su cui si snoda il nostro sentiero, sono interrotte solamente dai crateri che ne emergono. In lontananza, la presenza di qualche albero ed il verde dei prati, segnalano che il nostro traguardo è vicino; alle 14 giungiamo a Piano Provenzana, località turistica raggiunta dalla strada, con chioschi che vendono souvenir e cartoline; sul luogo sono anche presenti diversi impianti di risalita per sport invernali. Possiamo finalmente permetterci il lusso di bere qualcosa di fresco e di usufruire dei servizi di un bar per darci una rinfrescata. Qui non vi sono rifugi, come nel tratto di cammino percorso nei giorni precedenti, decidiamo perciò di accamparci nei pressi di un impianto di risalita che, essendo leggermente appartato e usato solo nella stagione invernale, riteniamo possa costituire un ottimo posto dove passare la notte. Davanti a noi, 1500 metri più in alto, i crateri sommitali dell’Etna dominano la scena; col sopraggiungere del buio, dal cratere di nord est, in modesta attività, sorgono bagliori di un rosso vivo che non erano visibili durante il giorno. Domani cercheremo di avvicinarci il più possibile a loro.

Alle 5 del mattino siamo già tutti svegli. Considerando la lunghezza della tappa ed il discreto dislivello che ci attende, decidiamo di partire il più presto possibile. Alle 6,15 cominciamo a percorrere i 18 Km ed i 1300 metri di dislivello che ci separano dalla base dei crateri. Gli zaini sono relativamente leggeri, essendo l’ultimo giorno di cammino non necessitano più grandi quantità di cibo e d’acqua; anche il sentiero, sebbene lungo, sale gradatamente e risulta abbastanza agevole. Il paesaggio è quello classico delle zone vulcaniche: enormi distese di lava senza nessuna presenza di vegetazione. Salendo in quota il vento, che già si era manifestato nella notte, aumenta d’intensità ed ostacola notevolmente l’andatura. A circa 2700 metri/slm una deviazione ci consente di arrivare ad un Osservatorio Vulcanologico. Il sentiero, totalmente pianeggiante, attraversa in cresta, per circa 1 Km, un colle chiamato Piano delle Concazze. Su questo pianoro la furia del vento raggiunge il culmine: le raffiche superano i 100 Km/ora, la sabbia vulcanica penetra dovunque, soprattutto in bocca e negli occhi; sulla pelle si sentono un’infinità di punzecchiature, come punture di spilli, provocate dall’impatto della sabbia trasportata ad alta velocità. Anche l’equilibrio è instabile, la forza del vento tende a farti rotolare per terra ed a trascinarti con sè. Troviamo riparo nei pressi dell’Osservatorio dove sostiamo ½ ora, purtroppo il vento non accenna a calmarsi, dobbiamo così infonderci coraggio e riattraversare il pianoro sfidando la sua furia scatenata. Ritornati sul sentiero principale, essendo in una zona meno esposta, ritroviamo una relativa calma e proseguiamo verso i crateri sommitali. Arrivati sotto i crateri, a 3100 metri/slm, ci accoglie una sorpresa: il sentiero che abbiamo sinora seguito e che risale la zona nord dell’Etna, termina; il collegamento con quello che scende nella zona sud, anche se segnato sulla mappa che stiamo esaminando, è stato travolto e cancellato alcuni anni fa da una colata lavica. Per proseguire siamo costretti ad attraversare per circa 1 Km la distesa di lava senza l’aiuto di una benchè minima traccia. La difficoltà non è trovare la giusta direzione di marcia, basta aggirare i crateri mantenendosi alla stessa quota in cui siamo, ma è rappresentata dai blocchi di lava che sono taglienti ed instabili. Riusciti a superare questo ostacolo, con non poca spesa di energie e di tempo, il terreno diventa sabbioso; il cammino si fà più agevole anche se i piedi affondano nella sabbia che ostacola la marcia. Ritrovato il sentiero, giungiamo in breve tempo al rifugio Torre del Filosofo a 2919 metri/slm. Anche se sapevamo che non era agibile, in quanto per metà sommerso da una colata lavica, pensavamo di poterci accampare al riparo delle sue mura per ammirare da vicino i crateri col buio della notte, pernottare e ridiscendere la mattina successiva. La temperatura che, col calare della sera, era scesa notevolmente unita al forte vento che, anche se non con la veemenza incontrata sul Piano delle Concazze, continuava ad alzare sabbia e polvere, ci hanno fatto desistere dall’idea. Un centinaio di metri sotto di noi scorgiamo una strada sterrata dove sostano due pulmini fuoristrada; quale occasione migliore poteva presentarsi per chiedere un passaggio sino a valle? Risparmiate tre ore di cammino, giungiamo comodamente alle 17,30 nei pressi della stazione di partenza della funivia dell’Etna e del rifugio Sapienza (in ristrutturazione e quindi non agibile). I nostri volti, ricoperti dalla nera sabbia lavica portata dal vento, sono indescrivibili e quasi irriconoscibili, fortunatamente possiamo approfittare dei servizi offerti dalla stazione della funivia per lavarci e cambiarci. Domani nella mattinata arriverà il pulmino a prelevarci e condurci all’aeroporto per il volo di ritorno. Il rifugio è chiuso, quindi ci aspetta un’altra notte accampati all’aperto ma qui, a 1850 metri/slm, la temperatura è accettabile ed anche il vento si è trasformato in una piacevole brezza. La scoperta che sul luogo vi è un ristorante-pizzeria fa alzare maggiormente il nostro morale che nonostante i vari disagi, è sempre stato elevato. Finalmente possiamo fare una vera cena e brindare alla felice conclusione del nostro trekking.

Compagni di viaggio (in ordine alfabetico) · Anna Cavour (TO) · Beppe Bagnolo Piemonte (CN) · Bruno Germagnano (TO) · Ferruccio Bagnolo Piemonte (CN) · Gianna Sestri Levante (GE) · Roberto Venaria Reale (TO)



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