Due meravigliose settimane sotto i monsoni

Venerdì 1 agosto 2008 Lasciamo la nostra Parigi alle prime luci dell’alba per imbarcarci con Finnair alla volta di Helsinki , dove faremo scalo. Abbiamo scelto di partire al mattino anche se il volo per Mumbai è alla sera, mai perdere un’occasione in piu’di vedere un pezzetto di mondo, anche se meno esotico della nostra destinazione...
Scritto da: carlo74
due meravigliose settimane sotto i monsoni
Partenza il: 01/08/2008
Ritorno il: 16/08/2008
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 1000 €
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Venerdì 1 agosto 2008 Lasciamo la nostra Parigi alle prime luci dell’alba per imbarcarci con Finnair alla volta di Helsinki , dove faremo scalo. Abbiamo scelto di partire al mattino anche se il volo per Mumbai è alla sera, mai perdere un’occasione in piu’di vedere un pezzetto di mondo, anche se meno esotico della nostra destinazione finale. Tralascio, però la descrizione della nostra sosta scandinava, per non andare “ fuori tema”, salvo per commentare che, paradossalmente, sarà l’unica volta che vedremo il sole durante il nostro viaggio… Venerdì 1 agosto 2008 (notte) Guardando fuori vedo solo nero.Ho appena girato l’ultima pagina dell’appassionato collage di allucinazioni notturne che costituisce quel piccolo capolavoro che é “L’odore dell’India” di Pasolini. E mentre ancora maledico gli strani giochi editoriali che mi hanno costretto a leggerlo in traduzione francese, visto che la versione originale era introvabile e non più ristampata ( una nuova edizione uscirà solo nell’aprile 2009), e mentre l’aereo solca i cieli asiatici, facendosi breccia nell’oscurità, comincio a domandarmi quando e come la prima zaffata di quest’odore risveglierà i miei sensi istupiditi dallo scomodo sedile del vetusto Airbus di Finnair, scatenando emozioni finora sconosciute alla mia pigra mucosa nasale… Mi colpirà come uno schiaffo appena sceso dall’aereo? Emergerà lentamente dalle mie cose, mentre disfo la valigia una volta raggiunto l’hotel? O s’insinuerà poco a poco, confondendosi nella memoria di tanti odori, tante emozioni passate? Sabato 2 agosto Mumbai, alias Bombay, alias Bom bahai …In questo porto fondato dai portoghesi e poi dominato per 4 secoli dagli inglesi, le nostre narici , seguite dagli altri organi sensoriali, cominciano ad assuefarsi all’India. Ci arriviamo alle prime luci dell’alba dopo un viaggio tutto sommato non troppo lungo ( 8 ore)… Sarei rimasto un paio d’ore in piu’ a dormire, ma l’India ci chiama; poco prima di sbarcare mi soffermo ancora un po’ a pensare a tutte le descrizioni dell’India che si sono sovrapposte nel mio immaginario sin dai libri di Salgari alle Scuole Medie fino alle letture onnivore benché mirate e insaziabili degli ultimi mesi… E appena uscito dal terminal, subito ripenso a Pasolini, che a metà degli anni Sessanta, si stupisce che il suo taxi dall’aeroporto sia una vetusta Fiat 1100 …Immaginate la nostra faccia, quando il botteghino dei taxi prepagati ci indica il veicolo che ci porterà in hotel , esattamente una Fiat 1100, senza logo, forse una copia locale, come quasi tutti i taxi mumbaini, nel 2008…Il bolide è stato ribattezzato “cool cab”, non in riferimento all’accattivante design della carrozzeria, ma al fatto che per strafare abbiamo voluto pagare ben 480 INR per vettura con aria condizionata fino a Colaba, del tutto inutile visto che l’autista tiene il finestrino spalancato. Prima lezione per il seguito del viaggio… C’immergiamo nel traffico e l’India ci bombarda di stimoli, questa volta prima ancora che visivi e olfattivi, sonori …Il clacson è l’accessorio piu’ usato della macchina in parure con l’acceleratore e addirittura diventa filosofia di vita : quasi tutti i camion portano , tra le colorate decorazioni della parte posteriore , la scritta “Horn please OK”, un cortese invito, forse diretto ai piu’ timidi, a non risparmiare il palmo della mano né i timpani dei passanti, segnalando il proprio sorpasso o forse solo la propria presenza con un poderoso colpo di clacson. Piu’ tardi un altro tassista ci spiegherà, orgoglioso, che il “metodo” contribuisce in notevole misura a evitare incidenti, nonostante i pochi millimetri che ci separano ad ogni incrocio da un’altra macchina o da un passante disattento o intrepido. Vorrei vedere le statistiche… Prendiamo alloggio al Sea Palace Hotel, che abbiamo voluto prenotare dall’Europa, scegliendolo a caso nella sezione “Mid Budget” della LP, per non perdere tempo nell’unico giorno a Bombay…Beh, errore! Impariamo che gli alberghi indiani è molto meglio vederli prima di confermarli…Il prezzo di una doppia (5500 INR) , che, anche per i parametri europei, ci era apparso un po’ caro , si rivelerà un vero proprio furto visto il posto, una mediocrissima e vetusta stanza dall’igiene dubbia. Probabilmente paghiamo la posizione in riva al mare, ma il lungomare di Colaba non è proprio la Promenade des Anglais… Ma ognuno ha i suoi riferimenti… Guardiamo fuori dalla finestra : il colore predominante è il grigio, il che ci induce a concederci un’oretta di “dolce far niente” prima di buttarci nella mischia…

Ed eccoci in giro per la città. Non facciamo in tempo a far quattro passi in direzione del Gate of India, il simil-arco di trionfo d’epoca coloniale, che veniamo assaliti da vari personaggi che ci propongono giri guidati di Mumbai di 3 ore in automobile. Perché no, pensiamo, in fondo ci faremo un’idea della città in poco tempo e ci resterà il resto del pomeriggio per visite piu’approfondite.

Contrattiamo a 1900 INR e si parte. La prima tappa è una lavanderia a cielo aperto…La piu’ grande della città. Il posto si presta ad apocalittiche visioni: omini smilzi che trasportano enormi ceste di panni in vicoletti fangosi, un’area centrale composta di bacini di pietra dove gli abiti vengono immersi ed energumeni che roteano mulinelli di panni fradici sbattendoli con violenza inaudita su pietroni preposti all’uso, per strizzarli probabilmente. Il primo impulso, mentre ci aggiriamo tra queste scene, è di giurare a noi stessi di non dare mai nulla a lavare durante la nostra permanenza indiana…Anche se poi, in considerazione del fatto che la nostra presenza passa del tutto inosservata, ci viene il dubbio ,maligno, che si tratti di una troupe di figuranti a beneficio dei turisti …Ma perché bisogna essere sempre cosi’ diffidenti? Passiamo a Chowpatty Beach, la celebre spiaggia cittadina, popolare, pare, anche tra le star di Bollywood, ma dove “solo un pazzo farebbe il bagno” a causa del forte inquinamento, secondo il tassista indiano…Però vediamo tanta gente in acqua, forse la libera uscita dell’ospedale psichiatrico ? Mah… Passiamo davanti anche a uno dei luoghi delle bombe del 1993, e un brivido ci percorre la schiena, soprattutto perché 3 giorni prima della nostra partenza ci sono state altre bombe , a Bangalore e ad Ahmedabad… L’India resta un paese fortemente esposto al terrorismo ( e scrivendo queste memorie a posteriori, i tragici eventi di qualche mese dopo ci daranno ancora più brividi, considerando tutte le volte che ci siamo passati davanti al Hotel Taj e al Caffè Leopold, bersagli degli attentati).

Visitiamo poi un tempio jainista sul Malabar Hill, la collina “chic”,i giardini sospesi, dai quali godiamo un panorama della grigia skyline della città, e il Mani Bhavan, piccolo ma interessante museo dedicato alla vita di Gandhi e al suo messaggio, nell’edificio dove il Mahatma soggiornò a più riprese, ospite di un notabile locale, dove passiamo quasi un’ora a riconciliarci con l’umanità…Gandhi è un’istituzione in India e qualunque città ha la sua MG road ( anche se ci mettiamo un po’ a decifrare la sigla che ci sembra riduttiva per un tale personaggio).

Finito il giro in taxi, esploriamo a piedi i quartieri di Kala Ghoda e del Fort , cuore, insieme a Colaba, della Bombay coloniale, dove costeggiamo edifici ufficiali di inconfondibile stile vittoriano : università, biblioteche, istituti scientifici, fino alla stazione dei treni, in cui alla grandiosità che ricorda l’omologa Victoria Station londinese si fondono elementi orientaleggianti, con un effetto un po’ retorico ma che colpisce, anche se non tutti l’apprezzano. Ed eccolo finalmente ! Il monsone ci sorprende all’elegante rotonda con giardini dell’Horniman’s circle ( chissà se ha a che fare con la nota marca di tè) e facciamo marcia indietro passando per la Flora Fountain, fino a rifugiarci al caffè Mondegar, quasi alla rotonda del cinema Regal a Colaba, tra l’altro consigliatoci da un’amica indiana, ma in una e-mail che non avevamo ancora letto…Fiuto del viaggiatore o beginner’s luck? Comunque passiamo un paio d’ore tranquille consumando birra e specialità indiane ( il cibo non è nulla di speciale, primo trauma-piccante per Monica) e ammirando i simpatici graffiti alle pareti. Il posto é famoso soprattutto per il juke-box, ma noi eravamo nella sala posteriore… Peccato.

Dopo cena erriamo un po’ per le bancarelle per turisti del Colaba Causeway , trattenendoci da ogni acquisto per non caricare lo zaino di peso inutile sin dall’inizio del viaggio,finché non rientriamo in hotel tra le stradine buie di Colaba, dove ,a pochi metri dal più lussuoso hotel della città, il fiabesco Taj, ci passano accanto allegri topolini, la cui innocua apparizione non è affatto apprezzata dalla Monica… Domenica 3 agosto Si parte presto perché vogliamo prendere alle 9.00 il primo traghetto per Elefanta , isola nella baia di Mumbai , famosa per le grotte scolpite con statue di Shiva. A proposito, alcuni taxisti proveranno a convincervi a non andare, proponendovi giri alternativi, con la scusa che non tutte le grotte sono visitabili durante il monsone. Non ascoltateli! Se anche fosse solo per la grotta principale, ne vale assolutamente la pena.

All’arrivo del battello ci accolgono animali vari , soprattutto caprette , che si mettono vezzosamente in posa, e sono felice di dimostrare la veridicità del noto scioglilingua fotografandone una placidamente sdraiata sopra una panchina di marmo e ben pimpante …Si cammina una decina di minuti tra bancarelle di souvenir e dopo aver pagato un paio di volte ( pedaggio 20 INR + biglietto 250 INR) si arriva alla grotta n.1 dove ci sono le statue più magnificenti di Shiva e altri dei, e anche alcuni Lingam, strani tempietti quadrati con al centro un piccolo paletto di marmo, simile a quelli a volte usati sui nostri viali come decorazioni, con corone di fiori come offerta votiva…Poi scopriamo che sono simboli fallici di Shiva, protettori della fertilità…Beh, da un dio cosi’ potente, forse era legittimo aspettarci qualcosa di meglio, no? Insomma le grotte ci conquistano, malgrado il cattivo odore, la pessima illuminazione e la totale assenza di cartelli di spiegazione ( consigliamo l’acquisto del libriccino guida venduto sulla barca o in alternativa l’utilizzo di una delle guide locali) Alcune delle grotte secondarie sono popolate da scimmie dall’aspetto abbastanza aggressivo…Occhio, specie se non avete fatto l’antirabbica e avete cibo con voi.

Il ritorno in battello è un’occasione per qualche scatto del Gate of India, visto dal mare, in barba al divieto di fotografare affisso sulla barca.

Non possiamo però indugiare perché alle 16 abbiamo il volo per Goa. Una rapida corsa in taxi, durante la quale l’autista in turbante ci spiega con una specie d’incomprensibile autocompiacimento che stiamo passando davanti a Dharavi, il più grande slum dell’Asia. Ed eccoci all’aeroporto, nazionale stavolta, che dista solo 4 km da quello internazionale e per complicare il tutto si chiama allo stesso modo , Chhatrapati Shivaji , dal nome di un eroe secentesco, fondatore del regno regionale, detto “maratto”, e oggetto di una popolarità post-mortem in chiave nazionalista / regionalista negli ultimi decenni. . Anche la faraonica stazione dei treni (ex Victoria) ha preso il suo nome, abbreviato in CST, dove la T sta per “Terminal”.

E dopo un ottimo volo con la compagnia low cost Spice Jet ( niente a che vedere coi carri bestiame della Ryan Air) eccoci a Goa. Siamo consapevoli di aver scelto la peggiore delle stagioni per approfitta re delle leggendarie spiagge, ma coviamo nell’anima la segreta speranza che un bagnetto nel mare si riesca comunque a farlo…Ci pensa l’impiegato dell’ufficio turistico dell’aeroporto a farci crollare le illusioni, avvertendoci di non entrare in mare durante la stagione dei monsoni, a causa delle forti correnti…Ma testardi come siamo , ci facciamo portare in taxi (750 INR) ad Anjuna, celebre spiaggia meta di coloro che cercano il divertimento sfrenato durante la stagione secca, mentre ora è semideserta.

Troviamo alloggio ad un prezzo ridicolo (500 INR) in un alberghetto semplice (Anjuna Beach Resort), ma con una bella piscina, che è quasi tutta per noi tranne un gruppetto di coreani. Cala la sera e tutto è immerso nelle tenebre, rimandiamo il giro in spiaggia all’indomani e ci concediamo una cena in uno dei pochi ristorantini aperti sulla strada principale, mentre, ci spiegano, quelli sulla spiaggia sono tutti chiusi in questa stagione. Si vedono in giro più cani randagi che turisti, ma hanno l’aria abbastanza riservata per fortuna… Lunedì 4 agosto E’ il momento tanto atteso: siamo in spiaggia a Goa. La prima impressione è di gran desolazione: poca gente in giro, cielo plumbeo e ristorantini sulla spiaggia deserti e sbarrati in attesa di tempi migliori…Ma il fascino di questa spiaggia , malgrado le dimensioni ridotte a causa delle maree, rimane intatto, e la lunga passeggiata che ci concediamo sul bagnasciuga ha qualcosa di magico, e il fatto di essere fuori stagione, se non altro, ci salva dal bagno di folla in preda agli acidi e ci concede il privilegio e di avere la spiaggia tutta per noi…O quasi, perché, anche con i monsoni, è impossibile non avere un seguito di ragazzini venditori di souvenir e bigiotteria varia. Il loro metodo, dopo una prima fase di annusamento della preda, è l’”attacco individuale” : ognuno di loro sceglie un obiettivo e lo segue dovunque finché non compra qualcosa. A parte l’aspetto estenuante della cosa, si rivela un’occasione per parlare un po’ con i locali, e i loro racconti sono interessanti. Per esempio la quindicenne che ci confida la sua paura matta del matrimonio organizzatole dai genitori per l’anno successivo con un tipo che ha visto una sola volta ( e che magari, aggiungo io, la picchierà se e quando ne avrà voglia); o la venticinquenne al terzo figlio, che ha avuto un simile destino. Non hanno tempo per la scuola, ma parlano inglese meglio di uno studente universitario, a forza di stare a contatto con i turisti…Altro che i nostri “ricordari” di S.Pietro…Ovviamente alla fine cediamo e torniamo carichi di paccottiglia, che, speriamo, farà piacere a qualcuno a casa; di sicuro il nostro acquisto ha fatto piacere a questi ragazzi che incontriamo poco dopo intenti ad un pic-nic a base di riso e curry al quale ci invitano persino a favorire… Non c’è molto altro da fare ad Anjuna in questa stagione, a parte contemplare il mare: decidiamo quindi di proseguire per la capitale dello stato di Goa, Panaji o Panjim ( 400 INR, 30’ in taxi) dove prendiamo alloggio ( sempre a fiuto seguendo la LP) al Panjim Inn, un insieme di tre piccoli hotel in altrettanti bellissimi edifici coloniali adiacenti. Abbiamo persino un letto col baldacchino e mobili d’epoca! Il tutto per 1440 INR: affarone.

E’ il momento di pensare a come proseguire il viaggio per arrivare ad Hampi, mitico sito archeologico del Karnataka. Ma dopo una lunga fila nella biglietteria ferroviaria annessa alla stazione dei bus, per la quale dobbiamo anche pagare 10 INR per il “token” che ci dà il diritto di essere in fila (!), scopriamo che il treno “Howrath express” che collega Vasco da Gama a Hospet è simpaticamente annullato fino a fino mese, e senza un vero perché…Non basta: vista la bassa stagione, anche i bus turistici con A/C della Paulo Travels non viaggiano…Rimane l’ultima alternativa del bus statale, anche se l’idea di passarci le 9-10 ore non ci alletta più di tanto…Prenotiamo il bus di mattina (circa 190 INR a testa) , e cerchiamo di non pensarci troppo e di dedicarci alla visita della cattedrale di Panaji , molto scenografica con le sue lunghe scalinate bianche.

Per cena ci concediamo una specialità locale, lo Xacuti, uno spezzatino bello carico, che provo nella versione “beef”, rara da trovare in India, tranne qui a Goa dove ci sono molti cristiani. Il ristorante è Lourenço, la guida parla di un padrone che somiglia a Maradona, noi abbiamo visto solo una signora grassottella, forse il cronista della LP aveva bevuto troppe Kingfisher… Martedì 5 agosto Ancora una giornata grigia ma non importa: con un breve tragitto in taxi da Panaji, arriviamo a Velha Goa, antica capitale, che conserva impressionanti vestigia del passato coloniale portoghese, soprattutto in termini d’architettura religiosa. La più visitata delle sue chiese è la Basilica del Bom Jesus, che conserva le spoglie del santo gesuita S. Francesco Saverio, morto in Cina dopo innumerevoli peripli con l’obiettivo di evangelizzare i popoli asiatici. Pur condividendo almeno in parte il giudizio negativo che spesso gli storici hanno attribuito all’operato della Compagnia del Gesu’ in Europa, non posso fare a meno di ammirare il coraggio di questi uomini che , in epoche dalla mentalità comune talmente diversa da quella della nostra era globalizzata, si confrontavano con culture lontane, imparandone le lingue e le tradizioni, seppure con l’obiettivo di convertirne gli esponenti. Oggi sarebbero ricercatissimi come consiglieri dalle imprese che delocalizzano in Asia… Di fronte alla mole rossastra della chiesa gesuita si erge quasi a fare da contrappeso la immacolata basilica eretta dalla corona portoghese, che però ha richiesto molti più anni per essere completata…Segno che il sistema di finanziamenti dei Gesuiti era meglio organizzato.

Visitiamo anche il museo, in cui sono conservati interessanti reperti, tra cui i ritratti di tutti i governatori portoghesi nei 450 anni di dominio coloniale. Curiosando tra le date osserviamo come rimanessero in carica al massimo 2 o 3 anni ( e per questo la visita della galleria dura un’eternità..): o si facevano rimpatriare in fretta e furia , presi dalla saudade, oppure le febbri tropicali avevano la meglio dei loro spesso anziani organismi…Ne sorridiamo, ma ride bene chi ride ultimo…(vedi oltre).

Le altre chiese meritano anch’esse del tempo, soprattutto la diroccata abbazia agostiniana su una collina nei paraggi.

A questo punto, terminata la visita, statisticamente il viaggiatore medio, categoria cui orgogliosamente apparteniamo, tende a cercare ristoro in uno dei ristorantini, appunto, che si trovano sul viale principale. Ebbene, trattasi d’errore da evitare assolutamente: resistete e attendete il ritorno a Panaji, altrimenti offritevi come vittima sacrificale alla furia di Montezuma, il quale, benché non fosse proprio di questi paraggi, è ormai assurto a daimon universale dei tormenti intestinali del viaggiatore incauto… Tuttavia, prima che il male oscuro si manifesti in tutta la sua potenza, abbiamo il tempo di farci portare allo spettacolare Fort Aguada, a strapiombo sul mare, e alla spiaggia di Sinquerim, che ci sforziamo di immaginare assolata e lucente..

Tralascio, per non urtare gli animi più delicati, ogni descrizione della serata e soprattutto della nottata …Ma si giunge in fretta alla conclusione che il viaggio di 9 ore in pullman statale (sprovvisto di A/C ma soprattutto di W.C.) non è forse il programma ideale per l’indomani… Mercoledì 6 agosto Una giornata di sosta non programmata in una città può essere l’occasione per esperienze interessanti: nel mio caso vado alla scoperta del sistema sanitario indiano…Dapprima, constatata l’inadeguatezza dei tenui rimedi portati dall’Europa, il tanto decantato Imodium, s’impone una visita alla farmacia, l’efficiente e fornita Hindu Pharmacy, sulla piazza centrale di Panaji…Qui, vista la supposta gravità del caso, ci rimandano al parere di un medico, e ci consigliano un luminare locale, il Dr Vithal Kamat, che visita nel vicino “Rajadhyasksha General Hospital”, (wow, penso, chissà se ci fanno una soap-opera)… Essendo l’India un paese senza sistema sanitario pubblico, temevo un salasso rivolgendomi ad una struttura privata, invece per appena 200 INR il suddetto dottore, un distinto signore sulla sessantina dai rassicuranti baffi grigi, mi visita nel suo “ospedale”,che occupa il primo piano di un grigio condominio, e , oltre a prodigarsi dei soliti consigli alimentari dettati più dal buon senso che dalla scienza, mi prescrive una serie di medicine dal nome e colore bizzarro, che mi vengono consegnate in farmacia in numero contato, in un sacchettino di carta, e senza istruzioni. In ogni modo si ottiene l’effetto sperato: l’indomani saro’ in grado di partire.

Poco altro da segnalare a parte una buona cena a base di riso in bianco al “Viva Panjim” ( di cui quindi non sono in grado di confermare se la fama gastronomica sia meritata o no) e un febbrile zapping tra i canali via cavo che ci permette di essere al corrente dell’imminente lancio della Fiat 500 in India (quella nuova , forse è il caso di precisare!) Giovedì 7 agosto E’ il momento di lasciare ( finalmente) Panjim e optiamo per un volo per Bangalore, da dove dovrebbe essere più comodo raggiungere Hampi. Non avevamo previsto di passare nella capitale del software, ma visto il ritardo accumulato sulla tabella di marcia è più semplice fare tappa là.

Dopo un ottimo volo della compagnia Jet Airways sbarchiamo in un aeroporto ultramoderno, che poi scopriamo essere stato aperto da un paio di mesi. Credevamo infatti di essere a 7 km della città e siamo a 45 km…45 km che passeremo avvelenandoci nel più orrendo e puzzolente ingorgo che avremo la fortuna di ammirare durante il nostro soggiorno indiano…Welcome to the jungle!!! L’hotel Churchill JP,che ci hanno proposto nell’agenzia dell’aeroporto e che abbiamo preso più che altro per mancanza di ispirazione e voglia di girare, si rivela una buona scelta. Costa circa 50 Euro la doppia, ma il livello è quello di un 4 stelle occidentale, anche se forse un po’ asettico.

Non abbiamo tanto tempo di godercelo però, perché ci gettiamo di nuovo nella bolgia metropolitana, ansiosi di organizzare il viaggio a Hampi, che ci appare ormai quasi come un miraggio !!! Per arrivare alla stazione ci sono da fare poche centinaia di metri, ma non dei più gradevoli, tra attraversamenti di sopraelevate, traffico demenziale, illuminazione scarsa e gli onnipresenti cani randagi…Per fortuna in questo paese con l’inglese ci si fa capire, e a forza di indicazioni si arriva al girone dantesco che chiamano stazione. Il nostro obiettivo, trovare un treno di notte per Hampi per l’indomani sera e uno per Mysore da fare in giornata l’andata e ritorno…E a questo punto, bisogna citare l’esperienza di fare una fila …Indiana! L’ordine è assolutamente caotico, l’ultimo che arriva cercherà di infilarsi davanti alle 30 persone che attendono…Le quali consce del pericolo provano a parare il colpo, e ne viene fuori una specie di flipper umano…A qualcuno di voi tornerà in mente un recente passaggio alle poste, ma, a parte che mi sembra che da noi le cose siano un po’ migliorate recentemente, la differenza è che il “ furbo” italiano, conscio di essere in torto, cercherà almeno di legittimare la sua presenza con un “c’ero prima io”, un “ ho la macchina in doppia fila”,un sorriso di compiacenza, oppure farà il “vago”, l’indiano invece può passarti sopra come se non ti vedesse… Comunque dopo la prima fila sappiamo dove avremmo dovuto fare la seconda se fossimo arrivati prima dell’orario di chiusura , che era …Dieci minuti fa…Benché gli impiegati siano tutti ancora là, ma fa niente, chiuso è e chiuso rimane… Riusciamo solo a informarci sugli orari e a prendere l’andata per Mysore, che è sul “passenger train” delle 10, senza prenotazione per 7 INR a testa . Il bigliettaio ci chiede più volte se siamo consci che si tratta di un “passenger train”. Gli rispondiamo , spavaldi, di sì, parendoci normale che essendo noi “passeggeri”, e non merci, si salga su un “passenger train”…Il giorno dopo capiremo la “nuance”… Tornati in hotel, e presi da un’insolita ispirazione informatica, merito forse dell’osmosi della Silicon Valley indiana, andiamo sul sito dell’IRCTC, che poi sono le ferrovie indiane, e prenotiamo tutto quello che ci serviva in 20 minuti. Evviva la tecnologia !! Rinunciamo, stremati dalle ultime avventure, all’esperienza della tentacolare gastronomia bangaloriana e ci tuffiamo nel soffice letto del JP Churchill..

Venerdì 8 agosto Ci dirigiamo alla stazione per depositare gli zaini e prendere il nostro treno delle 10 per Mysore, da dove torneremo la sera stessa in tempo per prendere il treno di notte per Hampi. Ma prima ci attende ancora una piccola avventura burocratica…Manca mezz’ora alla partenza e sfogliamo le prenotazioni fatte la sera prima, quando ci accorgiamo che sul foglio del treno serale compare la sigla “WL” …Che non è “wagons lits” ma “ waiting list “!!! Che fare ? Andiamo allo sportello informazioni e ci consigliano di andare a far validare la nostra prenotazione in un non meglio precisato ufficio, situato dietro un parcheggio biciclette…Mancano 12 minuti alla partenza del treno per Mysore mentre sfrecciamo tra parcheggi interminabili, kafkiani corridoi ministeriali, sinistre scalinate , chiedendo conferma ad ogni personaggio che ci ispiri un po’ di fiducia…Finché non troviamo , credo per miracolo, lo sportello giusto, dove riempiano un formulario di “application for emergency quota” che ci fa pensare ai terremotati dell’Irpinia ma è solo un escamotage burocratico, partorito dalla machiavellica amministrazione indiana…Incredibilmente , dopo un altro allungo olimpico, riusciamo a raggiungere il binario mentre il nostro “passenger train” sta per partire…Stanchi e trafelati, ci guardiamo attorno e cominciamo a capire lo stupore dell’impiegato della sera prima… Il “passenger train” somiglia infatti a un nostrano accelerato d’altri tempi , viaggia con le porte aperte a velocità tale da poter scendere e salire in corsa…E nei corridoi vagano personaggi di ogni tipo…Gli scompartimenti sono previsti per 8 persone, e non hanno porta, ma anche le ribaltine per i bagagli vanno benissimo per una pennichella, deve pensare il tipo che ci si appollaia sopra e ci rimarrà per buona parte del viaggio. Passano venditori d’ogni tipo di cibo e bevanda, che ci guardiamo bene dall’assaggiare, memori delle esperienze digestive precedenti, e risuona costantemente la nenia “ Coffee, coffee, chai, chai, chai” dove chai, parola di origine cinese che in molte lingue significa semplicemente “tè”, qui è usata in modo più specifico per definire la miscela di tè e latte diffusa dai “civilizzatori” inglesi. I profumi si mescolano e mentre io benedico la mia rinite allergica, la povera Monica, dall’olfatto più fine, comincia a dare segni di visibile insofferenza all”odore dell’India”… Mentre il treno avanza verso Mysore, la popolazione si rinnova , salgono alcuni studenti di una business school curiosissimi di chiaccherare con degli occidentali e che quindi, superata l’iniziale timidezza, ci bombardano di domande… In fondo, tre ore e mezza passano presto, e rianimata brevemente Monica, ci dirigiamo col solito risciò al palazzo del Maharajah, la ragione per cui siamo venuti fin qua. Visto l’incomprensibile divieto non solo di fotografare all’interno del palazzo, ma persino di portare con sé la macchina fotografica, il che m’indispone alquanto, decidiamo di visitare prima i giardini del palazzo, dove ci attardiamo a ritrarre alcuni elefanti, chissà forse cio’ che resta della flotta reale… Gli elefanti sono sempre il leit-motiv di un viaggio in India: ammaestrati o selvaggi, mortali o divinizzati, in carne e ossa o ritratti o scolpiti in tutti i materiali possibili, sono dappertutto! L’interno del palazzo ( da visitare scalzi, i soli calzini sono ammessi, ancora un divieto assurdo e …Poco igienico) è spettacolare , ma un po’ tendente al kitsch, specchio della decadente vita reale delle corti indiane nell’Ottocento, che si soprapponevano al dominio inglese, in uno strano equilibrio di poteri. La maggior parte dei materiali pregiati è d’origine europea, forse la globalizzazione in certi settori é cominciata un po’ prima di quanto si crede? Dopo il palazzo ci resta ancora il tempo per farci portare a Chamundi Hill, una collina che domina la città, dove sorge un tempio; abitato, come spesso accade, da scimmie, che non disdegnano di pasteggiare con le corone di fiori offerte dai pellegrini. Chamundi Hill è, a detta della guida e dai cartelli stradali, oggetto di esperimenti ambientali: è stata dichiarata “plastic-free zone”, ma nessuno ci perquisisce all’entrata e le bottigliette di acqua e Coca sono regolarmente in vendita…Mah ? Non ho avuto veramente tempo di informarmi sui dettagli dell’esperimento.

Riscendiamo dalla collina coll’ennesimo spericolato risciò, coprendoci per il vento freddo, e arriviamo alla stazione giusto in tempo per prendere il treno di ritorno per Bangalore, stavolta nella ben più confortevole classe 2/AC. Nella bolgia serale della stazione di Bangalore, dopo aver recuperato gli zaini al deposito, una breve sosta mangereccia al “buffet de la gare” , se così lo vogliamo chiamare, e siamo di nuovo in treno per Hospet, la stazione più vicina al sito archeologico di Hampi…Distrutti, ci adagiamo nelle nostre cuccette,e cominciamo a battere i denti per l’aria condizionata a manetta, mentre il treno comincia la sua folle corsa nella notte… Sabato 9 agosto Hampi !! Ci pare impossibile di esserci arrivati davvero dopo quasi 5 giorni che ci proviamo…In realtà il treno ci lascia a Hospet che è il centro abitato più vicino. Ma non abbiamo neanche tempo di scendere e di apprezzare la staticità del terreno dopo il rollio della notte che veniamo abbordati dai conduttori di risciò che ci propongono i loro servizi per la giornata. Anzi,dal conduttore , perché in realtà , anche se ti sembra di sceglierlo, è lui che sceglie te…E non ci sono possibilità di scampo. Tuttavia la cosa ha un senso perché il sito archeologico è immenso ( paragonabile ad Angkor in estensione) e girarlo a piedi è impensabile, soprattutto con un solo giorno a disposizione, e il prezzo è sostanzialmente irrisorio,circa 10 euro per la giornata. Il nostro “autista” si dimostra lungimirante e ci propone di andare prima di tutto a colazione. Ci prenderà magari la percentuale, ma era proprio quello che volevamo sentire dopo una notte non troppo confortabile , per usare un eufemismo…E poi ci porta in un posto bellissimo, il Mango Tree, dove ci ricarichiamo di energie trangugiando frutta e caffè sulla placida terrazza in riva al fiume.

Energie necessarie per affrontare la prima sfida della giornata , la salita, peraltro piuttosto agevole, alla collina Anajanandri dove sorge il tempio del dio Hanuman, , dopo un tragitto in barca per attraversare il fiume. Hanuman è noto come il dio scimmia e gli autoproclamati custodi del tempio, che osserviamo divorare noci di cocco e spulciare i cuccioli, devono essere suoi discendenti diretti. Dall’altura del tempio, popolato, oltre che dai primati , da un paio di mendicanti indolenti, si domina la vallata, peccato solo il grigiore costante, ma tant’è , ce la siamo cercata… Tornati giu’ comincia il giro dei templi propriamente di Hampi. Non staro’ a elencarli uno ad uno, ma sono incredibili e pieni di tesori. Ci colpiscono gli enormi gopuram ( primo fra tutti quello dei templi di Virupaksha e Vittala) e gli onnipresenti bassorilievi in pietra rosata esplicitamente licenziosi. Ci ammaliano la magia della Lotus Mahal e le sontuose stalle degli elefanti.

Ci sorprende l’enorme statua di Ganesh immersa nella semioscurità presso il tempio di Krishna sulla collina del tempio di Hemaknta che sovrasta l’Hampi Bazaar C’incuriosisce un insolito padiglione in pietra emergere dalle acque di un lago… Infine scopriamo lo strano tempio dedicato al dio metà uomo metà leone Lakshmi Narasimha, stavolta una somiglianza zoomorfa stavolta piuttosto stilizzata, visto che l’enorme statua bianca che lo rappresenta ci ricordava piuttosto il Gabibbo…Difficile poi avvicinarsi più di tanto a verificare perché il recinto sacro è proprietà private di aggressive scimmie dal pelo bianco e muso nero, una manata delle quali mi sfiora l’obiettivo… E’ quasi ora di rientrare e malediciamo il tempo tiranno: questo posto magico meritava qualche giorno da dedicare a perdersi e a ritrovarsi tra le colline disseminate di vestigia dei Vijanagar. E ci avviamo alla stazione di Hospet, pronti ad un’altra nottatina di tutto riposo… Domenica 10 agosto Ci risvegliamo in una movimentata Bangalore alle prime ore della mattinata, e già ci apprestiamo a lasciarla; forse appena con un po’ di rammarico di non aver avuto tempo di esplorare un pó quest’emergente metropoli delle nuove tecnologie, della quale conserveremo ricordi pieni di smog, folla e di lussi moderni immersi nel maelstroem del caos quotidiano. Ma il tempo limitato impone delle scelte, e il Kerala ci aspetta. Voliamo, infatti, a Cochin per la parte più naturalistica del nostro viaggio.

Per fortuna alle 6 il traffico non è ancora tentacolare e arriviamo rapidamente in aeroporto, dove abbiamo 3 ore d’attesa, che inganneremo sgranocchiando un curioso” chicken croissant”. Il volo stavolta è Kingfisher, e per ironia della sorte proprio durante l’attesa in aeroporto mi capita di leggere le pagine di Rampini ( dall’ottimo libro” La speranza indiana”, utile vademecum per capire un po’ l’India di oggi, che quindi vi consiglio) sulla storia di Vijay Mallya, l’imprenditore un po’ playboy e un po’ guascone, ma terribilmente serio in affari, fondatore dell’impero che comprende la linea aerea, l’omonima e onnipresente birra , e , tra le altre attività , la scuderia di F1 che schiera un pilota “de noantri”, Fisichella, probabilmente il romano piu’ famoso nel subcontinente.

Arrivati a Cochin, decidiamo di farci portare in taxi al ferry invece che direttamente a Fort Cochin: mi è sempre piaciuta l’idea di arrivare in un posto via mare, anche se l’isola dove si trovano Fort Cochin e Mattancherry è collegata da un ponte alla terraferma.

L’imbarcadero è uno strano posto pieno di gente dove sembra che non accada nulla finché improvvisamente dieci minuti prima dell’arrivo del ferry tutto si mette in moto frenetico.

Sfrutto la presenza di Monica per farle comprare i biglietti alla coda per “ladies”, molto più corta, ma nella quale deve sorbirsi gli sguardi fissi dei pendolari keralesi.

Fort Cochin è un mondo a parte… Il frenetico caos indiano lascia il posto ad un via vai più rilassato, quasi “ mediterraneo”…In quest’isola di tranquillità peraltro dalla storia movimentata: regno autonomo, poi colonia portoghese, poi olandese, infine inglese e ora memoria storica di quel Kerala il cui modello sociale , impastato di marxismo ma fedele al tessuto democratico, è un successo molto studiato : pur non avendo grandi risorse, o forse proprio per questo, è l’unico stato indiano che ha sconfitto l’analfabetismo e dove la forbice sociale sembra meno ampia.

Fort Cochin si può girare a piedi, ma non avendo ancora ben chiare le distanze cediamo e prendiamo lo stesso un tuc tuc per provare a trovare posto in una guesthouse selezionata sulla LP, Delight’s Home Stay; purtroppo li’ non c’e’ posto, ma ci abborda un tale in motocicletta presentandoci la sua nuova Guesthouse , il Daffodils, “nuovissima e solo leggermente fuori dal centro”. In effetti il posto non ci sembra male e per pigrizia di girare lo prendiamo visto anche il prezzo corretto (1500 INR). Il tizio ci propone svariate escursioni nei dintorni, che poi alla fine risultano essere le stesse proposte da qualunque agenzia del centro. Purtroppo dopo scopriremo che aveva “dimenticato” di precisare che l’acqua calda era solo nel lavandino ma non nella doccia … Proviamo a protestare ma il tipo è sparito , forse in giro in moto a cercare altri “polli”, e c’è solo la moglie che parla poco inglese. Boh, pazienza, abbiamo pagato solo per la prima notte… Infatti come arriviamo in centro ci troviamo un posto per la notte successiva , l’Hotel Arches, un po’ più caro ( circa 50 euro a notte) ma veramente di alto livello, per una notte ci togliamo uno sfizio !! E visto che si è fatto tardi e i monumenti sono chiusi, passeggiamo un po’ per le vie del centro e pianifichiamo le varie escursioni.

La giornata è stata lunga e la cena ce la siamo meritata. Cosa di meglio di un ristorante di pesce quando s’é in una città di pescatori ? Princess street ne abbonda e ne scegliamo uno quasi alla fine, all’altezza del porto…Il pesce e i crostacei esposti hanno un ottimo aspetto…È al momento di ordinare che si produce un qui pro quo tipicamente indiano, con la Monica che indica dei gamberoni intendendo “una porzione” e si vede recapitare la totalità di quelli presenti (12)…Però, malgrado l’appetito da uccellino che di solito la contraddistingue, non si fa pregare per finirli, segno che la scelta è stata buona.

Lunedì 11 agosto Ci allontaniamo quasi come ninja dalla pensione, dobbiamo partire alle 8 per l’escursione alle Backwaters e vogliamo avere tempo di fare colazione. Non c’è nessuno alla porta e quindi lasciamo un bigliettino per avvisare che partiamo oggi. Depositiamo i bagagli allo sfarzoso Arches Hotel, dove passeremo la nostra seconda notte a Kochi, un piccolo lusso ogni tanto ci vuole, e facciamo colazione al “Vasco da Gama”, dove si dice che abbia abitato l’omonimo navigatore , probabilmente fino alla morte. Chissà se anche lui prendeva l’omelette e il masala tea come noi… L’autista che deve venirci a prendere è in ritardo però e così ci resta il tempo per una bella passeggiata in riva al mare nella pace operosa delle prime luci del mattino, davanti alle antiche reti da pesca cinesi, che si dice siano state lasciate là da Zhang He, il celebre ammiraglio che qualcuno ha definto il “Cristoforo Colombo cinese”.

Si parte finalmente per Ernakulam: l’autista deve recuperare il ritardo e per vincere il senso di colpa si lancia in manovre di slalom speciale avanzato per evitare motorini e scolaretti incravattati ( sono gli unici indiani che ho visto utilizzare questo capo d’abbigliamento cosi’ europeo!! ) e allo stesso tempo non prendere in pieno l’autobus che procede sulla corsia opposta né lo spartitraffico della polizia. Ma ci sarà la patente a punti ?? Strada facendo passiamo per una zona industriale dove fanno bella mostra gli impianti della “Ganesh petrochemical”..Sorridiamo immaginando il dio-elefantino, protettore degli affari, intento a gestire i profitti del polo petrolchimico.

La tanto attesa escursione sulle backwaters presso Cochin si rivelerà uno dei momenti più emozionanti e al tempo stesso rilassanti del nostro viaggio e sarà persino benedetta da un’intera mattinata, se non proprio di sole, almeno di non-pioggia.. Passiamo una giornata intera su una specie di piroga di legno, abbastanza lussuosa, con tetto di paglia intrecciata e sedie di plastica da giardino come sedili, e che qui chiamano “country-boat”: un mezzo totalmente ecologico in quanto condotto dal sapiente barcaiolo col solo ausilio di un lungo palo di bambu’, attraverso pacifici canali popolati da vegetazione lussureggiante, ninfee, uccelli colorati, ogni tanto qualche mucca cornuta che si affaccia sulle rive, e silenzio intorno…Come sembra lontana anni luce la bolgia di Bombay o Bangalore…Potremmo passarci un mese ad attraversare i canali facendoci strada tra le ninfee ( ma Monet era stato qui?) quasi senza accorgercene.

La prima sosta la facciamo in un villaggio dove si producono corde dai gusci delle noci di cocco e assistiamo ad una sapiente dimostrazione , organizzata a beneficio dei turisti da due signore in sari, maghe del telaio, quasi una incarnazione dell’ideale bucolico gandhiano… La seconda sosta è molto più succulenta: il pranzo tipico keralese, totalmente vegetariano, preparato in una casa in riva ad uno dei canali principali, e servito su una grande foglia come piatto, è una vera delizia , e per la delicatezza dell’accostamento di curry e latte di cocco mi fa pensare a certa cucina thai ( che adoro).

Le backwaters più famose sono quelle intorno ad Alleppey, distante circa 50 km da Fort Cochin. Noi siamo rimasti più vicini a Cochin, ma è stato ugualmente indimenticabile.

Al rientro l’autista che deve riportarci a Fort Cochin è latitante e ci fa aspettare quasi un’ora: poco male, non abbiamo fretta e ci godiamo il fresco nel patio della casa di fronte all’imbarcadero, scarabocchiando disegni insieme alla figlia piccola del barcaiolo con delle matite colorate che avevamo con noi, e che poi le lasciamo. E tutto il mondo è paese, vediamo la mamma sgridarla in malayalam per non averci, secondo lei, debitamente ringraziato, mentre la piccola ci lancia grandi sorrisi. Un classico senza confine.

Alla sera, decidiamo di provare il massaggio ayurvedico, ma ci pentiamo poi per la scarsa igiene del luogo scelto, sebbene consigliato dal nostro hotel, il cui gentilissimo e baffuto receptionist si fradicia completamente per accompagnarci.

Per consolarci, ci concediamo una bella cena al ristorante Menorah , che di ebraico ha solo il nome e non il menu’, ma è nella Koder House, antica casa un tempo sontuosa dimora di un mercante ebreo di Fort Cochin, console onorario dei Paesi Bassi. Crocevia di culture… Proviamo per la prima volta il vino indiano, ma non ci sentiamo di raccomandarlo agli enofili… Martedì 12 agosto Si parte presto anche stamattina: il tempo sta finendo, ma non vogliamo perderci un assaggio della riserva naturale di Periyar, situata tra le alture al confine tra Kerala e Tamil Nadu.

Il viaggio non è dei più comodi : sono circa 9 ore di pullmann da Ernakulam, la “Mestre” di Fort Cochin, ovvero il centro sulla terraferma , grosso, grigio e senza charme, dove si svolgono le attività economiche.

Dopo aver deposto i bagagli al Delight Home Stay, dove abbiamo finalmente trovato posto per le ultime due notti che passeremo a Fort Cochin al ritorno da Periyar, raggiungiamo, in risciò ( utile l’aria in faccia passando sul ponte dopo essersi svegliati alle 6.00), la stazione di Ernakulam, dove troviamo un’invasione di bandiere rosse con falce e martello , pensiamo ad una manifestazione, ma tutto e’ calmo, deve essere la decorazione abituale. Il Kerala è anche questo.

Dopo qualche peripezia per capire quale autobus é quello giusto.. Facendo attenzione a dire ”Kumily” e non “Periyar” che e’ solo il nome della riserva naturale ma potrebbe non dire nulla all’autista della compagnia statale…Finalmente saliamo a bordo e si parte.

Il paesaggio cambia lentamente, mentre il bus prima scende lungo la costa fino a Kottayam ( riportandomi alla mente le atmosfere del”dio delle piccole cose” di Arundhati Roy, ambientato da queste parti) e successivamente mentre si inerpica sulle colline tappezzate da piantagioni di tè. Durante il tragitto siamo rapiti dai panorami, anche se l’occhio deve restare vigile per schivare gli invasivi stiracchiamenti dell’assonnato passeggero davanti.

Arrivati a Kumily, qualche istante per recuperare la motilità delle gambe dopo 9 ore di bus, ed ecco il solito assalto di autisti, unica variante il mezzo di trasporto , non più risciò ma gipponi Mahindra per esplorare la riserva naturale. Per l’alloggio ci facciamo portare da Chrissie’s , una pensione consigliataci da amici belgi, giramondo come noi, dove infatti ci troviamo bene. L’autista che ci porta ci propone i suoi servizi per esplorare la riserva l’indomani, e per sfruttare ciò che resta del pomeriggio cosa meglio di un bel giro in elefante? Io avevo già sperimentato il pachiderma in Laos , ma per Monica è la prima volta. Rispetto all’altra volta ci viene data una bestia ciascuno e il “domatore” non è in groppa bensi’ a terra. Il giro è breve ma fa sempre impressione quando il tuo elefante si lancia in una discesa ripida nel fango e ti domandi se sia al corrente che ci sei tu in groppa… Dopo quest’iniezione d’adrenalina il nostro autista , Mani, ci propone uno “spice garden”, cioè la visita guidata ad una piantagione di spezie, la Highgarden spices, che si rivela appassionante : finalmente posso dare un “volto” a sostanze a me familiari finora solo in polvere …L’ottima preparazione della guida rende il giro molto interessante. Non sapevo esistessero gli ananas nani..

Al negozio troviamo molti prodotti naturali a prezzi irrisori. Ho sempre detestato noccioline e affini, ma quelle che assaggiamo qui hanno un tale sapore che sembrano da un altro mondo.

La giornata si chiude con una discreta pizza (considerando dove siamo), , consumata sulla terrazza aperta del Chrissie mentre poco più in là si scatena il diluvio … Mercoledì 13 agosto Nottata corta, perché per esplorare la riserva naturale bisogna muoversi presto, soprattutto se si vuole sperare di vedere qualche animale.

Mani ci passa a prendere alle 5.00 e alle 6.00 siamo già nella riserva. La jeep procede lentamente sulla stretta strada asfaltata e lui ,da vero segugio dei monti, scruta alberi e colline da entrambi i lati in cerca della minima traccia del passaggio di animali, mentre noi ci guardiamo attorno in silenzio trattenendo il respiro per l’emozione di trovarci in un posto così.

Mentre scrutiamo le prime tracce ( ehm, marroni e copiose) del passaggio recente di un branco d’elefanti in fase digerente, ecco apparire sugli alberi i primi esemplari delle grandi scimmie nere (non saprei certo dire che specie) che incontreremo anche più avanti. Poco dopo è la volta dei bisonti, seppure a gran distanza.

Procediamo lentamente, con soste frequenti per scrutare i dintorni, pur senza allontanarci dalla strada. E finalmente eccoli là, un branco d’elefanti ci appare tra le fronde, i piccoli davanti ai grandi, mentre procedono verso l’interno, devono essere gli stessi di cui avevamo “indovinato” il recente passaggio. E’ un’emozione grandissima, e mi sorprende il placido silenzio con cui, malgrado la stazza, avanzano sicuri nella giungla.

Continuiamo il safari avvistando altre scimmie fino a quando arriviamo ad una specie di rifugio/centro informazioni al centro della riserva , in riva a un laghetto,dove, dopo aver consumato un’abbondante colazione insieme con gli occupanti di altre 3 o 4 jeep, ci sorbiamo uno spiegone introduttivo da una specie di guardaparco anziano, il quale tra le altre cose ci annuncia che la stagione delle piogge è la migliore per visitare la foresta pluviale ( parrebbe logico, ma finora non ne eravamo troppo convinti) e che vedere le tigri è estremamente raro.

Nonostante quest’informazione, non siamo perfettamente sereni, mentre ci accingiamo a partire per il trekking a piedi nella giungla a piccoli gruppi di tre con una guida autoctona.

Prima di tutto però la vestizione: dobbiamo bardarci con una pesante cerata e mettere i piedi in grossi sacchi telati da infilare nelle scarpe, che poi cospargeremo di sale per tenere lontane le sanguisughe. Non mi pare il caso di proporre il metodo di Rambo, quello dell’accendino nel secondo episodio… La nostra guida invece gira in calzoncini e ciabatte , è autoimmune o é solo fatalismo indu’? La prima parte dell’escursione è in una zona aperta , una specie di brulla radura dove avvistiamo appena un maiale selvatico e…Poco prima di addentrarci nella giungla vera e proprio, un piccolo serpentello su una roccia. “Mah, sarà una vipera” , fa la nostra solerte guida, che neanche lo aveva visto, e gli tira un rametto con nonchalance…Solo che l’animaletto gonfia la testa e rivela tutt΄altra natura…” ah no e’ un cobra!”…La povera bestia scappa via e noi continuiamo per nulla tranquillizzati dal nostro accompagnatore. Provo a chiedere candidamente quali sono le contromisure in caso di morso di cobra, ma le risposte sono inquietantemente elusive… Perciò si prosegue facendo bene attenzione a dove si mettono i piedi…Altro che tigri! La precauzione antisanguisughe si rivela necessaria ma insufficiente , perché ci accorgiamo che si infilano lo stesso dovunque, mentre avanziamo sotto le fronde, ascoltando i movimenti lontani delle scimmie nere.

Continuiamo il nostro trekking attraversando ruscelli a quasi guado, colline nebbiose, una capanna circondata da un fossato abitato da un enorme ragno colorato e per finire piantagioni di cardamomo, e torniamo alla base dopo 3 ore, cercando di scuotere le ultime sanguisughe dalle nostre fradice vesti… Ci attende la solita abbuffata, mentre cerchiamo di asciugarci nel capanno, e purtroppo dobbiamo ripartire subito dopo, perdendoci il giro in barca sul lago, perché abbiamo il bus alle 16.00 per tornare a Ernakulam.

Il viaggio di rientro è meno rilassante dell’andata perché l’autobus , stavolta di una compagnia privata, stavolta è stracolmo per buona parte del tragitto di giovani scolare che salgono e scendono affollandosi su di noi, e fissando con occhi curiosi i biondi capelli della Monica, il cui stomaco non è dell’umore di apprezzare le attenzioni… Finché dopo 9 ore : la bella sorpresa, mentre ormai eravamo rimasti soli con autista e bigliettaio, che avevamo visto confabulare a più riprese; un fantomatico “sciopero” li obbliga a scaricarci a circa 20 km da Ernakulam verso le 22, ma per fortuna hanno l’umanità di indicarci la fermata del bus pubblico, che infatti non tarda ma è affollatissimo.

Arriviamo dopo mezzanotte a Fort cochin col solito risciò e mettiamo fine al “giorno più lungo” crollando esanimi sul letto del “Delight home stay”, dopo esserci fatti sgridare dall’anziano portiere di notte per l’ora tarda… Giovedì 14 agosto L’ultimo giorno di Kerala è dedicato alla scoperta di Fort Cochin, ma ci è rimasta voglia di mare e allora contrattiamo un risciò per andare a esplorare Cherai Island , l’isola di fronte, accessibile in traghetto, e famosa per le sue spiagge.

Un brivido freddo quando vediamo l’instabile Ape Piaggio con 3 persone sopra montare su quel pontile di legno mezzo marcio e salire su un vetusto natante, simile a una chiatta, ma poi passa tutto e la breve traversata è un’occasione per una vista diversa della baia.

Ci facciamo lasciare sull’incantevole Cherai Beach, ovviamente deserta a causa della stagione, dove ci concediamo una gradevole passeggiata, che dopo un quarto d’ora si trasforma in una doccia gratuita , mentre quasi stavamo accarezzando l’idea di mettere i piedi in mare…Il gentilissimo ci viene a cercare sotto la tormenta col suo veicolo tutt’altro che waterproof per porgerci un ombrello… Tornati a Cochin , ci dedichiamo alla visita delle vestigia storiche di Mattanchery : il palazzo del governatore portoghese e un’edificio insolito a queste latitudini , la suggestiva Sinagoga, dove la comunità ebraica , un tempo numerosa, e le cui origini si fanno risalire al tempo di Salomone, si riuniva in preghiera. Nell’India del Sud, terra di spiritualità antica e al tempo stesso crocevia dei tragitti commerciali di mercanti e avventurieri dalle fedi piu diverse, le credenze e gli usi finiscono per fondersi e confondersi: quindi in fondo perché stupirsi se all’entrata in sinagoga oltre a coprirsi la testa bisogna anche togliersi le scarpe? Calmatasi la pioggia, e allontanatici dalla zona turistica infestata dai venditori di souvenir, esploriamo la via commerciale dal sapore e dall’odore di bazar coloniale, tra spezie, animali e carni in putrefazione.

Mancherebbe un’ultima esperienza al nostro percorso di scoperta del Kerala: assistere ad uno spettacolo di danza kathakali, che ci viene proposta in tutta le salse…Scegliamo invece una serata tranquilla , tra le stradine tranquille e atipiche della meno indiana delle città che abbiamo visto finora.

Venerdì 15 agosto Ed ecco l’ennesima alzataccia, la penultima di questa vacanza tutto fuorché rilassante… Verso le 8 di mattina prendiamo un volo Air India per Bombay , dove trascorremo il nostro ultimo giorno indiano nel caos della metropoli.

Stavolta non ci facciamo fregare e selezioniamo un hotel ( Residency Hotel) ben lontano dalla vista mare ma comunque nel centralissimo quartiere del Fort, e per 2500 INR abbiamo una stanza molto confortevole e pulita, dopo ci rifocilliamo un momento.

L’idea è di dedicarci allo shopping e dalla Flora Fountain risaliamo MG road (onnipresente sigla del Mahatma Gandhi) verso la zona dei mercati, poco a nord della fantasmagorica stazione: però l’atmosfera del luogo, tra insistenze dei venditori urlanti, folla brulicante , topi morti per terra e tutto cio’ sommato alla nostra stanchezza ci taglia un po’ la motivazione e dopo una prima perlustrazione desistiamo dall’addentrarci ancor più nei meandri delle bancarelle, dove senza dubbio con un po’ più di spirito d’avventura avremmo potuto fare scoperte interessanti..

Prendiamo un taxi allora che attraverso la solita Chowpatty Beach ci porta fino al Kemp’s Corner, zona chic in collina, dove esploriamo diverse boutique di “alta moda” guardando i bellissimi sari. Non sono prezzi da bancarella qui , ma la qualità e i colori sono altra cosa. Resta il problema di quando indossare questi abiti in Europa, se non ad una festa mascherata in stile “Bollywood” ; comunque scegliamo delle bluse in un bel negozio e poi ci tuffiamo in una libreria anglofona molto fornita dove capitiamo per caso guidati dal nostro istinto bibliofilo mentre aspettiamo che il sarto finisca di ritoccarci gli acquisti.

Un certo languorino ci suggerisce di tornare in hotel e di andare in cerca di Mahesh, un ristorante di pesce che ci ha segnalato un’amica indiana, e il portiere dell’hotel ci indica facilmente: casualmente è a 100 metri ! La cena a base di pesce è spettacolare e il posto , benche da fuori non sembri nulla di speciale, è veramente da provare…Lasceremo Bombay con questo succulento ricordo! Il resto della serata lo passiamo passeggiando verso il Colaba Causeway, consumando le ultime rupie comprando ciarpame, come d’obbligo,per amici e parenti.

Sabato 16 agosto Manca ancora un po’ all’alba quando prendiamo il taxi per l’aeroporto e le ultime immagini di Bombay che ci passano davanti attraverso il finestrino sono quelle di una metropoli insolitamente deserta e sonnacchiosa (almeno tanto quanto noi), ma pronta a risvegliarsi. Partiamo stanchi ma felici e con l’India per quanto ci riguarda è solo la prima puntata…



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