Da San Francisco a Las Vegas: parchi del West USA

Itinerario in auto attraverso le meraviglie naturali di California, Utah e Nevada, preceduto da quattro giorni alla scoperta di san Francisco.
Scritto da: babisa
da san francisco a las vegas: parchi del west usa
Partenza il: 10/08/2010
Ritorno il: 27/12/2010
Viaggiatori: 2
Spesa: 4000 €
Questo è il secondo viaggio che facciamo nel west USA. La prima volta che ci siamo stati, nel 2003, abbiamo dovuto rinunciare a vedere diverse cose, un po’ per mancanza di tempo, un po’ perché dovendo forzatamente fare una scelta tra i posti da visitare, abbiamo scelto quelli più famosi. Già allora, però, avevamo in mente di ritornare per riempire i vuoti del nostro precedente itinerario, e quest’anno abbiamo deciso di partire.

10/08/2010

Atterriamo alle 21.30 a San Francisco dopo un volo piuttosto scomodo con la US Airways (mai più! posti stretti e scomodi, e aereo vecchio). Prendiamo la metropolitana, (la BART, Bay Area Rapid Transit), fino alla fermata di Powell Street a pochi passi dal nostro hotel, il Parc 55 Windham che abbiamo prenotato dall’Italia. Questo è stato uno dei due alloggi che abbiamo riservato in anticipo, assieme al Furnace Creek Resort nella Death Valley. In generale, secondo la nostra esperienza non c’è bisogno di prenotare in anticipo i pernottamenti, a meno che non si voglia essere certi di alloggiare all’interno dei parchi, com’è stato per noi nella Death Valley: ci sono un’infinità di motel disponibili, e in questo modo si può decidere di cambiare itinerario in qualsiasi momento, senza avere l’obbligo di arrivare nel tal posto perché si è già prenotato, e magari pagato, l’albergo.

11/08/2010

Iniziamo la prima giornata a San Francisco con un caffè e dei dolcissimi bignè in un bar cinese vicino a Powell St. Station. Un giro sul cable car è d’obbligo, quindi ci mettiamo pazientemente in fila per comprare l’abbonamento di tre giorni valido per tutti i mezzi pubblici. Con i biglietti in mano ci attenderebbe un’altra chilometrica coda per salire sul cable car partendo dal capolinea, perciò ci spostiamo alla fermata di Union Square dove riusciamo a salire, o meglio ad aggrapparci ai sostegni, e percorriamo tutto il tragitto fino all’altro capolinea a Fisherman’s Warf sfiorando le auto che procedono parallele alle rotaie e quelle parcheggiate a bordo strada. Scendiamo a piedi fino al Pier 45, dove scattiamo molte foto all’isola di Alcatraz e vediamo un tizio che sta nuotando nelle gelide e inquinate acque della baia. Attraversiamo il Fisherman’s Warf tra bancarelle e spettacoli di strada fino ad arrivare al Pier 39, dove ci fermiamo per un po’ ad osservare la nutrita colonia di leoni marini che 20 anni fa ha scelto di venire a vivere qui. Sono davvero tanti e puzzano parecchio. Pranziamo in una bancarella dell’Embarcadero con clam chowder – zuppa di granchio servita in una pagnotta – e polpa di granchio, e dopo un dessert a base di ottime, enormi (e costose) ciliege biologiche, ci dirigiamo verso Telegraph Hill per visitare la Coit Tower. Anziché prendere l’autobus che arriva in cima alla collina, decidiamo di fare i Greenwich Steps, 420 gradini che portano fino ai piedi della torre. Lungo questa ripida scalinata ci sono molte belle case. Dopo aver ammirato i murales all’interno della Coit Tower, saliamo in ascensore fino in cima, da dove si gode una bella vista sulla città. Peccato che il tempo non sia dei migliori, e tale resterà anche per i seguenti 4 giorni: il Golden Gate è sempre rimasto avvolto nella nebbia. Scendiamo e proseguiamo a piedi lungo Lombard Street per arrivare fino al famoso tratto pieno di curve, tanto fotografato e filmato. E’ incredibilmente affollata e bisogna farsi largo tra la gente per poter scattare qualche foto, che inevitabilmente conterrà decine di turisti. Dopo aver tentato inutilmente di tornare in Union Square con il cable car, prendiamo un autobus e rientriamo in albergo. Andiamo a cena al Old Siam Thai Restaurant, dove gustiamo un ottimo curry thailandese molto piccante.

12/08/2010

Anche stamane il cielo è grigio e fa freddino, ci saranno circa 15 gradi. Per prima cosa andiamo a vedere la Xanadu Gallery, edificio progettato da Frank Lloyd Wright, carino ma niente di straordinario. Ci inoltriamo quindi per Chinatown: è piccola, e non c’è nulla di speciale tranne la Golden Gate Fortune Cookies Factory in Ross St., dove è possibile vedere come vengono fatti i biscotti della fortuna e assaggiarne qualcuno. A metà mattina il sole compare all’improvviso, e decidiamo di approfittarne per vedere il Golden Gate. Purtroppo resteremo delusi, le nuvole continuano ad avvolgere la baia. Ci consoliamo con un ottimo e appiccicosissimo gelato alla rinomata Gelateria Ghirardelli, e in seguito facciamo uno spuntino a base di ostriche e insalata di molluschi in una delle tante bancarelle. Passeggiando, ci imbattiamo in una specie di protesta di piazza, del tutto pacifica, contro l’introduzione della tassa sui sacchetti di plastica che adesso sono forniti gratuitamente nei negozi. Approfittiamo del collegamento wireless disponibile in un Mc Donald per controllare la mail e telefonare a casa via Skype. Durante tutta la vacanza ci siamo serviti spesso degli accessi wifi che sono gratuiti presso molti caffè, Starbucks, McDonald, Burger King, eccetera. La connessione di solito è disponibile vicino all’ingresso e si possono così mandare mail, effettuare prenotazioni via internet o telefonare via Skype anche senza entrare. Con il cable car raggiungiamo il S. Francisco Art Institute, appositamente per ammirare un murale di Diego Rivera, in ricordo di quelli che abbiamo visto al Palacio Nacional a Mexico City. Per chi conosce questo artista, ne vale la pena. Facciamo una sosta ristoratrice al Caffè Trieste, fondato da un nostro concittadino 50 anni fa, dove gustiamo un buon espresso. Mentre sorseggiamo il caffè, veniamo abbordati da un poeta di strada che ci racconta che dopo una malattia ha sviluppato la capacità di leggere il futuro, e che alla fine ci regala un volumetto con le sue poesie dicendoci di diffonderle il più possibile… Camminiamo fino al Ferry Embarcadero passando per la Jack Keruac St. E arriviamo al Market Place dove il giovedì pomeriggio c’è l’happy hour e i locali servono le ostriche a 1 USD l’una. Il Market Place in sè è piuttosto deludente, ma ci va bene per bere qualcosa, fare uno spuntino e riposare un po’. Ci dirigiamo al Rincon Center dove visitiamo il vecchio ufficio postale, decorato con 27 murales molto interessanti dipinti negli anni 40 da un artista russo immigrato, che illustrano in uno stile che ricorda vagamente i manifesti di propaganda sovietica, vari eventi significativi della storia della California. Siamo stanchissimi, così per la seconda volta contravveniamo alle nostre regole non scritte e decidiamo di mangiare nelle immediate vicinanze dell’Hotel, al New Delhi Restaurant, che si rivela davvero una buona scelta.

13/08/2010

Anche oggi sveglia presto, scendiamo con l’autobus lungo la Market Street fino alla fermata Civic Center Station, e dopo una abbondante colazione in un piccolo caffè, visitiamo il City Hall. E’ un magnifico edificio nel quale si può entrare liberamente previa ispezione degli zaini, e passiamo un’oretta vagando tra le enormi sale dai soffitti altissimi e riccamente decorati. Finita la visita, risaliamo sulla Market St. Fino all’Embarcadero, dove noleggiamo una bicicletta con la quale intendiamo attraversare il Golden Gate e raggiungere Sausalito, dall’altra parte della baia. Il noleggio bici é proprio di fronte all’Hyatt Regency Hotel, e ne approfittiamo per entrare ad ammirarne la hall: è straordinaria, immensa, e ricorda un po’ i film di fantascienza degli anni 70. Cominciamo a pedalare verso nord: tutto procede tranquillamente fino al Pier 39, ma da lì comincia a soffiare il vento dalla baia e la pedalata da piacevole diventa alquanto faticosa. Durante il tragitto scorgiamo foche e delfini, una troupe televisiva che sta girando uno spot per un ristorante italiano e dei pescatori a pochi metri da un cartello che avverte che i pesci della baia di San Francisco contengono alte concentrazioni di agenti chimici. Nonostante il vento contrario ed il freddo, attraversiamo il ponte e dopo esserci scapicollati giù per la discesa fino a Sausalito, ci riprendiamo con una ottima enchilada al Sausalito Taco Shop. Il clima qui è davvero diverso, fa caldo! Finalmente ci si puó togliere la giacca, e sembra di nuovo estate. La traversata, incluse le soste per le fotografie, ha richiesto circa 4 ore. Rientriamo con il Ferry: i biglietti si possono fare alla partenza, a bordo oppure – come nel nostro caso – alla biglietteria dell’Embarcadero, dopo essere sbarcati. Stasera mangiamo cinese, al Tian Sing vicino a Union Square, niente di speciale.

Alcune note su S Francisco:

Anche in pieno Agosto fa piuttosto freddo.

Chinatown si puó evitare, se si ha giá avuto la possibilità di vederne altre ben più grandi, ad esempio a New York o Londra.

Noi abbiamo sempre visto il Golden Gate avvolto dalla nebbia: quindi se si ha la fortuna di trovare una giornata di bel tempo, consigliamo di approfittarne se si vuole ammirarlo al sole, a costo di stravolgere i piani della giornata.

Confermiamo anche noi che la città è piena di barboni, ma sono innocui.

La gita in bici lungo la costa e fino a Sausalito è veramente bella e suggestiva, ma non è facile come potrebbe sembrare. La salita che da Sausalito porta in cima al Golden Gate è lunga e molto ripida, non è pensabile farla partendo da lí, a meno che non si sia molto ben allenati.

La rete degli autobus è molto efficiente, mentre i cable car servono un’area piuttosto ridotta e sono più un’attrazione turistica che un vero mezzo di trasporto; noi siamo rimasti a terra più volte perché erano strapieni!

14/08/2010

Strada percorsa: 350 Mi – 563 Km

Andiamo alla Dollar a ritirare la nostra Ford Escape 4×4 prenotata tramite il sito Enoleggioauto (molto conveniente! abbiamo pagato solo 550 Euro per 14 giorni, incluso secondo guidatore, drop off a Las Vegas e tutte le assicurazioni necessarie). Partiamo da S. Francisco alle 9:30, ci mettiamo circa tre quarti d’ora per uscire dalla città e arrivare a Oakland. Seguiamo le indicazioni per Modesto fino a Fresno, dove giriamo a est sulla US180 in direzione Sequoia Park. Contrariamente a quanto credevamo, lungo la strada non c’è grande disponibilitá di alloggi: cominciamo a preoccuparci, perché vista l’alta stagione nel parco sarà sicuramente tutto pieno e non vorremmo tornare indietro fino a Fresno, perciò giriamo in una strada parallela alla 180 (direzione Dunlap e Miramonte) sperando di trovare qualche motel meno affollato. Non c’è assolutamente niente di niente fino a Pinehurst, dove arriviamo alle 15:00 e troviamo l’unico alloggio disponibile al Pinehurst Lodge and Rest Miramonte, in una specie di bungalow decisamente sporco dietro al ristorante, dove dormiremo in compagnia di innumerevoli ragni sotto coperte che definire luride è poco. Assolutamente sconsigliato! Questa è stata comunque l’unica volta in cui abbiamo faticato a trovare un alloggio, e abbiamo dovuto adattarci a quel che c’era. In compenso, la cena che ci viene servita al ristorante annesso ai bungalow è ottima e molto abbondante. È il week-end di Ferragosto, durante il quale l’ingresso ai parchi nazionali è libero: il Ranger all’ingresso ci consegna un tagliando da attaccare al vetro della macchina e una cartina, e siamo pronti per partire: oggi percorriamo la parte nord del Sequoia Park e imbocchiamo il Kings Canyon. Facciamo i primi incontri con questi alberi enormi, ammirando quelli chiamati Twin Sisters e Generale Grant. Avevamo intenzione di fare qualche camminata a Cedar Grove, ma quando arriviamo all’imbocco dei trail è ormai troppo tardi, così rinunciamo. La strada per raggiungere l’inizio dei trail richiede un’ora e mezza circa, e non è molto di più di un normale paesaggio montano. Da fare solo se si ha tempo, altrimenti non ne vale la pena.

15/08/2010

Strada percorsa: 420 Mi – 675 Km

Complice la luce (e i ragni) ci alziamo prestissimo e riusciamo a vedere un coyote che si aggira intorno al nostro “cottage”. Ci diranno in seguito che siamo stati molto fortunati, è difficile vedere gli animali selvatici. Imbocchiamo la General Highway che attraversa il cuore di questo parco, per andare alla Giant Forest Sequoia Grove, e dopo una quarantina di minuti arriviamo al Lodgepole Visitor Center per prendere tutte le informazioni necessarie. In questa zona partono tutti i percorsi a piedi più interessanti, e noi decidiamo di camminare il più possibile. Gli alberi sono davvero enormi ed è impressionante pensare che si tratta di organismi viventi che sono qui da migliaia di anni. Al tatto sembrano quasi pelosi, e quasi tutti riportano cicatrici di vecchi incendi, che come scopriremo sono necessari per la sopravvivenza di questa foresta: puliscono il sottobosco, creano un terreno fertile e soprattutto aprono i durissimi pinoli. Alle 15:00 partiamo in direzione Death Valley, ci mettiamo circa un’ora per arrivare a Visalia e lungo questa strada troviamo molte rivendite dirette di frutta coltivata nei campi circostanti. Raggiungiamo l’Owens Lake (un tempo era un bacino enorme, oggi è prosciugato a causa dello sfruttamento dell’acqua) e ci dirigiamo verso la Death Valley. Noi abbiamo deciso di percorrere solo le Highways, senza prendere scorciatoie attraverso le montagne, perché era il percorso più veloce anche se piú lungo: infatti, sulle HWYs si riesce a guidare a 60-75 miglia orarie per la gran parte del tragitto anziché le 35-55 che bisogna tenere sulle strade secondarie. Nonostante non abbiamo rispettato sempre i limiti di velocità, abbiamo comunque calcolato male i tempi di percorrenza, e arriviamo a destinazione solo alle 23:00. Guidare di notte ci ha impedito di ammirare il paesaggio entrando nella Death Valley; sarebbe stato meglio se ci fossimo fermati nella cittadina di Ridgecrest, dopo la quale non c’è praticamente nulla fino Panamint Springs e Stovepipe Wells, che si trovano all’interno del Death Valley Natl. Park. Volendo dormire nel parco non avevamo altra scelta se non prenotare con largo anticipo (noi abbiamo avuto difficoltà a trovare la stanza in giugno), e quindi siamo stati costretti ad arrivare fin qui, ma questo trasferimento è assolutamente troppo lungo per farlo in una sola tappa. A Furnace Creek, un vento rovente ci investe appena scendiamo dalla macchina: ci sono 42 gradi (e sono le 11 di sera…). La nostra stanza al Furnace Creek Resort è ampia e pulita, ma il condizionatore è il piú rumoroso della storia ed è impensabile spegnerlo. Per fortuna siamo distrutti, e con l’aiuto dei tappi per le orecchie, crolliamo addormentati.

16/08/2010

Strada percorsa: 180 Mi – 290 Km

Secondo il nostro itinerario, oggi dovremmo visitare la Death Valley e poi viaggiare fino a Cedar City, facendo un’altra lunga tappa di trasferimento; memori della sfacchinata di ieri e stanchi da 5 giorni ininterrotti di camminate, decidiamo di spezzare in due il percorso e fermarci a Las Vegas per la notte. Andiamo subito all’Internet point del Furnace Creek Resort a prenotare un albergo, e poi andiamo a Zabriskie Point. È la seconda volta che veniamo nella Death Valley, ma ció non toglie nulla al suo fascino, nonostante i molti turisti. Il termometro segna 49 gradi, ma proviamo comunque a fare una camminata: iniziamo a percorrere il Golden Trail, ma fa decisamente troppo caldo e rinunciamo dopo più o meno un chilometro. Fortunatamente, le bellezze di questo luogo si possono ammirare anche dalla macchina, e si raggiungono molti punti di osservazione con camminate brevi che sono fattibili nonostante il caldo soffocante. Percorriamo dunque in macchina il Mule Canyon e l’Artist Drive, ma la sorpresa maggiore arriva quando raggiungiamo il Devil’s Golf Course e passeggiando sui cristalli di sale arriviamo fino ad una piccola pozza d’acqua che sta evaporando lentamente, dove possiamo vedere quanto spesso sia lo strato di sale sul quale ci troviamo. Davvero incredibile! Ci dirigiamo quindi a Badwater, e camminiamo fin nel bel mezzo della distesa di sale che qui è liscia e candida come la neve.

Nel tardo pomeriggio, dopo circa tre ore di guida arriviamo all’Hotel Flamingo a Las Vegas. Dopo esserci lavati via la polvere del deserto (siamo costantemente impolverati, ma non mi dispiace troppo: mi sembra quasi di portare con me un pezzetto di deserto…) usciamo per un giro sullo Strip. A Las Vegas tutto è smaccatamente artificiale, non è possibile evitare di guardarsi intorno ad occhi spalancati e farsi abbagliare dalle luci. Gironzoliamo un po’, ammiriamo da lontano lo spettacolo delle fontane del Bellagio, e andiamo a farci una cena a base di tacos e margarita al Cabo Wabo dove le cameriere ballano sul bancone del bar. Porzioni giganti come sempre, cibo non male, ma niente di memorabile.

17/08/2010

Strada percorsa: 326 Mi – 524 Km

Ci svegliamo presto e partiamo verso lo Utah, terra mormona dove ci sono leggi piuttosto bizzarre e dove anche l’alcool è molto limitato. Trovare una birra sarà un’impresa! Comunque andiamo verso nord est in direzione Cedar Breaks National Monument, dove arriviamo dopo circa 4 ore. Questo parco è una specie di Bryce Canyon in miniatura, bello ma assolutamente non paragonabile all’altro più famoso: la deviazione vale la pena solo se non si ha intenzione di andare al Bryce. Troviamo facilmente una stanza all’ Hotel Pine Lodge, con annesso ristorante, a poca distanza dall’ingresso del parco. Facciamo subito un giro esplorativo all’interno, per vedere quale sia il miglior punto di osservazione per vedere l’alba domani mattina. Decidiamo di andare a vedere il tramonto al Red Canyon, che ha delle colorazioni più intense rispetto al Bryce, e soprattutto è in una posizione più favorevole al tramonto. L’anfiteatro del Bryce Canyon infatti è esposto a est e quindi al tramonto è in ombra e i suoi colori non sono valorizzati al meglio. Purtroppo ci attardiamo al supermercato del Ruby’s Inn alle porte del parco e arriviamo a destinazione con un leggero ritardo, ma riusciamo comunque a goderci lo spettacolo. Per la cena andremo al ristorante dell’hotel dove faremo una cena abbastanza buona. Consigliata la carne alla griglia.

18/08/2010

Strada percorsa: 104 Mi – 167 Km

Sveglia prestissimo per arrivare prima dell’alba a Sunrise Point, all’interno del Brice Canyon. Arriviamo a destinazione ben prima del sorgere del sole, per fortuna perché altrimenti avremmo dovuto sgomitare per trovare posto… Difendiamo la nostra posizione dalle 1000 altre persone che hanno avuto la nostra stessa idea ma che sono arrivate in ritardo, e sopportiamo pazientemente una chiassosa famiglia olandese che probabilmente pensa di trovarsi al mercato del pesce. Non ci aspettavamo questa folla, evidentemente le cose sono molto cambiate rispetto a qualche anno fa. Partiamo per un trail nonostante il cielo nuvoloso. Facciamo appena in tempo a concludere il giro, che inizia a piovere! Purtroppo in agosto nello Utah è la stagione delle piogge: in genere si tratta di acquazzoni violenti e di breve durata, però per noi ha rappresentato un problema, perché per arrivare in molti dei siti che avremmo voluto visitare bisogna percorrere strade sterrate che spesso vengono chiuse al traffico perché con la pioggia diventano impraticabili anche con il fuoristrada. Riprendiamo il viaggio sotto la pioggia, in direzione Escalante: in questa zona si trovano degli slot canyon che avremmo voluto visitare, ma siccome piove e non vogliamo correre rischi, preferiamo rinunciare. Uno degli obiettivi principali di questo viaggio era proprio la visita di alcuni slot canyon, o canyon a fessura, il più famoso dei quali è l’Antelope Canyon, che si trova in Arizona, in terra Navajo. Gli slot canyon si formano durante la stagione delle piogge, quando grandi quantità d’acqua confluiscono formando dei torrenti impetuosi che scorrendo a gran velocitá scavano profonde fenditure nella roccia. Queste piene improvvise sono imprevedibili, per questo motivo è pericolosissimo addentrarsi nei canyon se piove o se c’è la minaccia di precipitazioni, anche a centinaia di chilometri di distanza. Ci fermiamo al visitor center di Escalante, dove una ranger ci sconsiglia di avventurarci per qualunque sterrato (ci fa vedere delle foto scattate questa mattina dove vediamo la strada con buchi di metri di larghezza e fiumi che ci scorrono in mezzo, così riusciamo a renderci conto delle condizioni proibitive in cui si trova) e ci consiglia di andare a vedere il Chodachrome Basin: non male, ma lo vediamo con il cielo plumbeo, con il sole dev’essere tutta un’altra cosa. Troviamo una stanza al Prospector Inn di Escalante, piuttosto rumorosa, ma non c’è troppa scelta in questo paesino minuscolo – dove in compenso, c’è anche un negozio di antichità!

Per la cena pensavamo di andare al Cowboy & Blues Restaurant, perché lo ricordavamo dal 2003 ed era una ottima steak-house, ma con gli anni qualcosa è cambiato…un cartello sulla porta d’ingresso che avvisa “LOCAL FIRST !” ci fa desistere, quindi optiamo per il Circle-D Restaurant, niente di eccezionale.

19/08/2010

Strada percorsa: 270 Mi – 434 Km

Ci svegliamo con un sole meraviglioso, ma durante la notte ha continuato a piovere e questo ha cancellato ogni possibilità di visitare qualunque slot canyon, e non possiamo nemmeno fare la Hells Backbone Road perché è interrotta in più punti a causa della pioggia. Pazienza, ci sono talmente tante cose da vedere che troviamo subito un altro modo di occupare la mattinata. Imbocchiamo la strada UT12 , molto panoramica, e arriviamo fino alla partenza di una camminata che in circa 2 ore ci porterà alla cascata di Lower Calf Creek. Il percorso andata e ritorno è di circa 9 km, molto bello in mezzo a pareti a strapiombo lungo il Green River, in gran parte sabbioso e fattibile sebbene non facilissimo soprattutto a causa del caldo. La cascata è alta una trentina di metri, il laghetto alla sua base non è limpido probabilmente a causa della pioggia, ma il posto è comunque molto piacevole. Ci riposiamo un po’ e poi prendiamo la via del ritorno. Dopo poco tempo, siamo costretti ad accelerare: tuona, e dei nuvoloni neri si stanno accumulando a gran velocità. Arriviamo senza un secondo di anticipo: facciamo appena in tempo a toglierci gli scarponi e ad entrare in macchina in tutta fretta, e inizia il diluvio. Ancora una volta, dobbiamo modificare il nostro itinerario: saltiamo il Burr Trail (sterrato) e la Cathedral Valley, inoltre non possiamo percorrere la Hole in the Rock Road. Il maltempo ci ha quasi completamente impedito di visitare il Grand Staircase Escalante National Monument. La prendiamo con filosofia, sará una buona scusa per ritornare… Decidiamo quindi di proseguire fino a Moab. Percorriamo la UT24, molto bella, e dopo un’ora e mezza arriviamo al Goosenecks Overlook, uno strapiombo mozzafiato che fa parte del territorio del Capitol Reef National park (che non visiteremo, lo abbiamo giá visto e non vale una seconda visita). Da lí, andiamo dritti alla Goblin Valley, dove siamo praticamente da soli e trascorriamo un’oretta a girovagare tra le strane formazioni rocciose. E’ un parco poco conosciuto, ma è veramente carino e siamo contenti di essere passati di qui. Arriviamo a Moab in serata: la cittadina è molto cresciuta rispetto a come la ricordavamo. Per il pernottamento abbiamo solo l’imbarazzo della scelta nonostante l’alta stagione. Troviamo alloggio al Motel6, e dopo un’ottima cena da Denny’s (proprio di fronte al Motel6, aperto 24 ore su 24) andiamo a dormire: domani iniziamo l’esplorazione di Canyonlands!

20/08/2010

Strada percorsa: 215 Mi – 346 Km

Partiamo presto per Island in the Sky, distante una quarantina di miglia da Moab, armati di mappe e depliant informativi recuperati da internet. Ci fermiamo comunque al visitor center a prenderne altre, e a chiedere informazioni sullo stato delle strade. Ci dicono che purtroppo la White Rim Road, che percorre in basso Island in the Sky lungo il Colorado e il Green River, è chiusa a causa di una frana, ma possiamo comunque raggiungere gli overlook e fare qualche trail. Assistiamo a un’interessantissima introduzione alla natura e alla geologia di questi posti fatta da un ranger, e poi andiamo subito a fotografare dall’alto la Shafer Trail Road, che collega la parte superiore di Island in the Sky con la White Rim Road con una discesa vertiginosa, 10 miglia di curve a strapiombo sul canyon. Questo è il nostro programma per la giornata di domani, tempo permettendo… Proseguiamo verso il Mesa Arch, un arco in pietra sul quale si puó camminare; è il primo overlook che si incontra, ed è affollatissimo, ma molto bello; riusciamo incredibilmente a fare una foto dell’arco senza inquadrare nessun turista. Poi è la volta del Green River Overlook, un’incredibile viewpoint sul parco, da vedere per rendesi conto di quanto sia enorme (sconsigliato se si soffre di vertigini). A questo punto decidiamo di fare qualche trail: in circa 1 ora mezza, percorriamo il Upheaval Dome, raggiungendo sia il primo che il secondo overlook. Infine, andiamo al Murphy Point, un’altra ora e mezza di cammino, e al Grand View Overlook, molto breve ma spettacolare – come tutto il resto. Tutto questo ha richiesto una giornata intera: il parco è sterminato, e gli spostamenti in auto per andare da un punto di osservazione all’altro richiedono del tempo di cui bisogna tenere conto quando si programmano le passeggiate. Gli overlook si raggiungono tutti facilmente su strada asfaltata, e richiedono pochi minuti di cammino; i trails invece sono faticosi. Noi abbiamo cercato di camminare il più possibile nonostante il caldo, e consigliamo assolutamente di fare lo stesso; lo spettacolo è oltre qualunque aspettativa, non si può credere ai propri occhi, e viverlo “da dentro”, camminando tra le rocce circondati da queste meraviglie della natura, vale la fatica. Stanchi ma soddisfatti, andiamo a goderci il tramonto a Dead Horse Point (10 USD d’ingresso, ma li vale tutti), prima di rientrare in albergo.

21/08/2010

Strada percorsa: 89 Mi – 143 Km

Secondo giorno a Island in the Sky: andiamo al visitor center a prendere informazioni e ci comunicano che la Shafer Trail Road è ancora chiusa a causa di alcuni massi che non sono riusciti a rimuovere dopo le piogge, ma la Potash Road è aperta! Una nota per chi volesse percorrere tutta la White Rim Road: è sterrata, lunga 120 miglia, non è in perfette condizioni e secondo il ranger bisogna programmare come minimo un pernottamento, due se si vogliono anche fare delle camminate. Non ci sono punti per chiamate di soccorso o stazioni dei rangers, quindi bisogna essere esperti e molto ben attrezzati. Prima di tutto prendiamo la bella US 128 che corre lungo il Colorado e andiamo a vedere Castle Rock, formazione rocciosa di colore rosso molto intenso in tipico stile western, molto simile a quanto si può vedere nella Monument Valley. Ritorniamo verso Moab e imbocchiamo la US 279: alla fine di una decina di miglia di strada asfaltata comincia la Potash Road, sterrato che ci porterà fino a Musselman Arch: procediamo relativamente tranquilli fino alle pozze di raccolta per l’estrazione del potassio – l’acqua è di un azzurro intensissimo- ma poi la strada peggiora decisamente. Nonostante la Jeep, rischiamo seriamente di impantanarci in una pozza lasciata dalle recenti piogge. Impieghiamo 2 ore per percorrere le 15 miglia che ci separano da Musselman Arch, la strada è seriamente danneggiata in molti punti e bisogna fare molta attenzione. Durante il tragitto incontriamo in tutto altre 3 macchine: siamo completamente soli, e una volta di più restiamo ad ammirare ad occhi spalancati questi paesaggi desolati e meravigliosi. Se si vuole scendere nel canyon lungo gli sterrati, è necessario avere esperienza di guida in fuoristrada, ed è assolutamente necessaria una Jeep 4×4 con le ruote alte. E’ altrettanto necessario informarsi sullo stato delle strade presso i visitor centers, e studiare con cura il percorso su una buona mappa (quelle che distribuiscono ai visitor centers vanno bene). Infatti lungo le piste non ci sono quasi indicazioni, e se non si sa sempre con precisione dove si sta andando si rischia di perdersi o di finire impantanati o bloccati nel mezzo del nulla. Noi abbiamo incontrato un tipo – italiano – che seguiva una mappa approssimativa con delle note scarabocchiate che lo avrebbe portato dritto nel fiume Colorado. Purtroppo non abbiamo un giorno in più per fare altre escursioni e alle 16:00 dobbiamo partire per Monticello, che sarà la nostra base per la visita del distretto di Needles. Monticello è un paesino piccolissimo: troviamo una stanza al 6-INN, carino e pulito (60 USD), e dopo aver ripulito la macchina da tutto il fango accumulato, andiamo a cena all’MD Ranch Cookhouse, dove una cameriera scorbutica poco più che dodicenne ci serve una abbondante e saporita cena. Andiamo presto a dormire, anche perchè non avevamo molta scelta: la ragazza che ci ha affittato la stanza ci ha raccontato che il consiglio cittadino ha recentemente fatto chiudere l’unico pub del paese, perché gli avventori erano troppo rumorosi.

22/08/2010

Strada percorsa: 226 Mi – 363 Km

Mattinata seminuvolosa: andiamo ugualmente fino al visitor center di Needles, che si trova a 70 km da Monticello, e prendiamo qualche informazione. La ranger ci consiglia di tenere costantemente d’occhio il cielo, perché le piogge possono essere intense e provocare allagamenti improvvisi. Forniti di mappa, partiamo per l’unica passeggiata di oggi, visto il cielo nuvoloso e la lunghezza dei trails in questa zona. Va detto che qui sono considerati brevi i trails da 10 km, e che sono veramente duri. Abbiamo scelto il Chesler Park Viewpoint, un percorso di circa 10 km a/r, segnalato solo dai cairns (mucchietti di sassi che indicano la strada dove non c’è sentiero); ci si arriva alla fine di un tratto sterrato che porta alla base di Elephant Hill. Quest’ultima è uno sterrato quasi impossibile anche con le Jeep ”high clearance” (quelle rialzate con sospensioni modificate), al contrario di quanto avevamo letto su un resoconto trovato in rete. Probabilmente chi lo ha scritto si riferiva alla prima parte, che in effetti è facilmente percorribile anche da macchine normali. E ad ogni modo, Elephant Hill oggi è chiusa a causa degli smottamenti provocati dalla pioggia. Il trail dura circa 2 ore e mezza, l’ultimo tratto (circa 1,5 km) è molto ripido e abbiamo dovuto anche arrampicarci in certi punti. Però ne è valsa la pena, perché il percorso è bello e molto vario, siamo passati attraverso uno slot canyon, e arrivati alla fine, abbiamo potuto riposarci godendo la vista spettacolare ei needles, le formazioni calcaree rosse e bianche simili a enormi bastoncini di zucchero a strisce, che si ergono come pilastri e dai quali prende il nome questo distretto di Canyonlands. Nel primo pomeriggio ripartiamo in direzione Muley Point. Superata Blanding prendiamo la US95 a ovest e dopo 40Km circa la US261 a sud; dopo altri 40km circa, giriamo a destra in una strada sterrata, non segnalata per chi viene da nord. Dopo un quarto d’ora circa, arriviamo a uno spettacolare punto di osservazione dal quale si vede un panorama mozzafiato: la mesa si stende a perdita d’occhio e in lontananza si riesce a vedere la Monument Valley. Qui troviamo anche una pothole, una pozza d’acqua piovana dove vivono trilobiti e altri piccoli organismi acquatici che sono in grado di sopravvivere a lunghi periodi di siccità, per poi riprendersi quando la pozza viene di nuovo allagata dalla pioggia. Ci hanno spiegato che la pozza non va toccata, per non contaminare l’acqua e pregiudicare la sopravvivenza degli organismi che la abitano: noi restiamo per un po’ a guardare questo piccolo ecosistema. Lungo la strada per Mexican Hat, facciamo ancora una deviazione verso il Goosenecks State Park, un viewpoint molto suggestivo su una serie di anse create dal San Juan River.

A Mexican Hat troviamo una stanza presso il Canyonlands Motel (55 USD) molto spartano e con il solito condizionatore rumorosissimo (che comunque non funziona molto bene…). Purtroppo per chi vuole vedere la Monument Valley non resta che alloggiare a Mexican Hat, e gli abitanti hanno deciso di approfittarne: la scelta è scarsa, e in genere tutto è molto costoso. Ceniamo alla Swinging Steak Steakhouse, la bistecca è abbastanza buona ma servita con degli orrendi fagioli in scatola, e costosissima (80 USD).

23/08/2010

Strada percorsa: 260 Mi – 418 Km

Sveglia ben prima dell’alba per andare a fare foto in direzione Monument Valley, ma non è stata una buona idea, dal momento che il cielo è coperto e i monoliti sono controluce. Molto meglio andare a fare foto al tramonto. Ritorniamo indietro per andare nella Valley of the Gods, una specie di Monument Valley in miniatura, cercando di riconoscere le varie formazioni rocciose confrontandole con la mappa. Purtroppo il cielo è ancora nuvoloso, ma man mano che il tempo passa la situazione migliora. Arriviamo alla Monument Valley con il sole: le cose sono molto cambiate anche qui rispetto a come la ricordavamo: al posto dei banchetti dall’aspetto precario dove i nativi vendevano cianfrusaglie, c’è un moderno visitor center con albergone annesso, e un edificio dedicato alla vendita di souvenirs e artigianato. Quasi tutte le baracche all’interno del parco sono state abbattute: l’impressione che ne abbiamo tratto, è che finalmente i nativi abbiano deciso di sfruttare al meglio le attrattive turistiche della zona, cosa che non potrà che migliorare le loro condizioni di vita. Facciamo tutto il giro del parco, scattiamo decine di foto, e poi partiamo in direzione Page. All’arrivo, ci accoglie il panorama surreale del Glen Canyon allagato – ora si chiama Lago Powell – con alle spalle le tre ciminiere della centrale a carbone. Ci fermiamo come al solito al visitor center, dove ci viene data una lista degli hotel e dei ristoranti di Page, e qualche indicazione su come vengono organizzate le visite all’Antelope Canyon e al Paria Canyon. Troviamo una stanza al IT”>Quality Inn (90 USD), poi andiamo all’ingresso dell’Antelope Canyon: il Lower Antelope è parzialmente allagato, quindi optiamo per l’ Upper, e prenotiamo per domani, la visita delle 12:00. Non è necessario rivolgersi alle agenzie che organizzano i tour: si può andare con la propria auto all’ingresso del parco e si paga il biglietto di ingresso (6 USD), che dà accesso al parcheggio e non serve assolutamente a niente perchè poi bisogna per forza fare l’escursione con le guide, che costa altri 25 USD a testa e dura circa 1 ora. Chissá perché non chiedono direttamente 31 dollari all’ingresso… Noi abbiamo prenotato il giorno prima perché volevamo essere sicuri di entrare nel canyon con il sole a picco per apprezzare al meglio i giochi di luce sulle pareti, comunque per quanto abbiamo potuto vedere c’erano ancora posti liberi e noi eravamo in altissima stagione. Non è necessario prenotare con mesi di anticipo come avevamo letto su qualche racconto.

Ci rilassiamo in piscina fino all’ora di cena, che consumiamo al Fiesta Mexicana (ottimo e come sempre super abbondante).

24/08/2010

Strada percorsa: 126 Mi – 203 Km

Partiamo presto per arrivare entro le 8:30 alla ranger station dove parteciperemo alla lotteria per visitare The Wave, nel Paria Canyon. Insieme ad altre 40 persone, compiliamo un foglio con i nostri dati e aspettiamo che estraggano i 10 permessi disponibili, senza i quali non si può assolutamente entrare nel parco. Non veniamo estratti, peccato. Ci riproveremo domani. Ritorniamo aPage, e alle 11.30 siamo in partenza per la gita nell’Antelope Canyon. L’ora è perfetta, ma il canyon è veramente affollatissimo e fa molto caldo. Gli spazi sono davvero ridotti, e siamo spesso costretti a farci largo tra la folla per scattare fotografie. Ci attardiamo sulla via del ritorno e riusciamo a passeggiare per il Canyon vuoto – o quasi – assieme a pochi altri ritardatari, ma purtroppo il sole non è più a picco e la luce non crea più quei meravigliosi effetti. Nel pomeriggio, percorriamo il breve tragitto fino a Horseshoe Bend (circa 30 min, ma sembrano molti di piú sotto il sole), dove si vede un’ansa molto stretta del fiume Colorado, e infine andiamo al Wahweap Overlook dopo la Glen Canyon Dam (in direzione Kanab), a vedere il tramonto sul lago Powell. E’ davvero un’ottima posizione, con il sole alle spalle e la marina di Wahweap davanti, e scattiamo moltissime foto. Il lago, con i moli per l’attracco delle barche, ha veramente un aspetto strano perché ci si rende conto che si tratta di un canyon, e che non ci dovrebbe essere acqua lí; tuttavia, il panorama è bellissimo.

25/08/2010

Strada percorsa: 353 Mi – 568 Km

Riproviamo la lotteria per The Wave, ma va male anche stavolta. Ci informiamo con il Ranger e compriamo il permesso per visitare il Coyote Gulch South, una zona dove la morfologia delle rocce è simile a quella che si trova al piú famoso The Wave. Imbocchiamo la pista sterrata seguendo le indicazioni dateci dal Ranger, ma queste sono abbastanza approssimative e rischiamo di perderci. La strada è sabbiosa e non facilissima da percorrere. Comunque, dopo un paio d’ore arriviamo all’imbocco del trail – se cosí si puó dire: qui non ci sono indicazioni di nessun genere. L’unica cosa che si può fare, è seguire le tracce lasciate da altri escursionisti (ben pochi, per la verità, siamo soli!) e voltarsi indietro abbastanza spesso per ricordare da dove si è passati. Riempiamo gli zaini di acqua e barrette energetiche, e partiamo alla scoperta di quello che si rivelerà un posto fantastico da esplorare. Capiamo perché siano tanto severi nel limitare l’accesso ai turisti in queste zone: le rocce coloratissime sulle quali camminiamo non sono altro che granelli di sabbia compattati dal vento e dall’acqua, infatti strofinandoli con le dita si sgretolano! I colori sono straordinari, il senso di solitudine è assoluto, camminiamo a lungo nel silenzio facendo attenzione a non perderci. Incontriamo un solo gruppo di escursionisti. Stanchi ma felici, dopo circa 3 ore ritorniamo alla macchina e ripercorriamo la pista fino alla statale 89. Partiamo in direzione Las Vegas: vogliamo rilassarci un po’ prima di tornare a casa! A Fredonia ci fermiamo in un Burger King per collegarci wifi su internet e prenotare l’albergo per le ultime tre notti del nostro viaggio. Abbiamo scelto l’Harras, dove per 50 USD a notte abbiamo avuto una stanza spaziosa, silenziosa e pulita. L’unica nota negativa è stata la piscina, molto piccola rispetto a quelle di altri grandi alberghi e quindi molto affollata. Inoltre dopo le cinque di pomeriggio era già in ombra, ma non siamo negli Stati Uniti per restare in albergo, perció non è stato assolutamente un problema. Nel tragitto per Las Vegas passiamo per Colorado City, piccola cittadina piuttosto inquietante dove pare viga ancora la poligamia. Fa un certo effetto passare per le vie di questa comunità mormone tradizionalista e vedere i giardini delle case con tre o quattro donne che seguono decine di bambini, tutti vestiti con abiti tradizionali. Facciamo anche una piccola sosta a St. George per vedere il bianchissimo St George Temple, dedicato ai Santi dell’Ultimo Giorno, che ammiriamo solo da fuori: non possiamo entrare in quanto l’accesso è consentito solo ai mormoni. Arriviamo a Las Vegas tre ore dopo aver imboccato la US89.

Dopo aver scaricato le valige in albergo, andiamo a cena al Treasure Island Gilley, niente di particolare.

26/08/2010

Strada percorsa: 41 Mi – 66 Km

Cominciamo la giornata al McDonald, e per una volta decidiamo di non scroccare la connessione wifi, e di consumare qualcosa: proviamo la colazione completa che dividiamo in due, ma è pesantissima, facciamo fatica a finirla. Passiamo un paio d’ore al Las Vegas Outlet facendo un po’ di shopping, anche se non tutti i negozi sono convenienti. Nel pomeriggio andiamo a Downtown Las Vegas, la “cittá vecchia” dove sono nati i primi casinò come lo storico Golden Nugget. La zona è molto carina, ma nulla a che vedere con lo sfarzo degli alberghi della Strip. Anche qui le cose bizzarre non mancano: vediamo un chiosco che vende dei biscotti “Ringo” fritti, e una macchinetta come quelle con cui al luna-park si pescano i pupazzi, ma qui con le pinze si prendono aragoste vive! Per la serata abbiamo deciso di vedere uno spettacolo del Cinque du Soleil che si tiene in uno dei teatri dell’MGM: arriviamo con un certo anticipo, ceniamo al buffet dell’albergo (decisamente ottimo) e andiamo a vedere i leoni che solo una settimana più tardi avrebbero assalito (senza gravi conseguenze) uno degli addestratori. Lo spettacolo scelto è Ka, magnifico, anche se costoso ne è valsa la pena.

27/08/2010

Oggi è l’ultimo giorno a Las Vegas: la giornata passa in relax tra piscina, qualche passeggiata e i preparativi alla partenza. Anche stavolta, rientriamo in Italia con la memoria e gli occhi pieni di immagini straordinarie di una natura talmente vasta, e in qualche modo ancora incontaminata, al cui cospetto ci si sente insignificanti: e anche stavolta, abbiamo lasciato indietro qualcosa, quindi posso dire che quasi sicuramente, ci torneremo!

Note su Las Vegas: i buffet “all you can eat”, contrariamente a quanto ricordavamo, sono ottimi. Noi abbiamo fatto un pass che al costo di 40 USD ci ha permesso di mangiare per 24 ore nei buffet di 7 alberghi di Las Vegas, tra cui il nostro. In hotel, abbiamo fatto anche la tessera Total Reward, è gratuita e permette di usufruire di vari sconti e offerte. Noi abbiamo prenotato entrambi gli alberghi via Internet, anche il giorno stesso del check-in, senza alcun problema e a tariffe vantaggiose.



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