Con un piede in Asia
Le persone che in giro per le città vi approcceranno gentilmente chiedendovi da dove venite e se vi piace la Turchia, avranno tutte un secondo fine, o farvi da guida se siete nei pressi dei siti archeologici o portarvi al negozio di tappeti o di souvenir se siete a un incrocio con cartina in mano nel tentativo di orientarvi. Numerosissimi i lustrascarpe che vi vorranno pulire le scarpe anche se avrete ai piedi delle infradito.
Per telefonare in Italia conviene acquistare una carta telefonica. Ce ne sono da 50 scatti e 100 scatti, in vendita presso i punti Turktelecom. Innumerevoli le cabine pubbliche per telefonare in giro per le città. Noi abbiamo comprato una scheda da 100 a 9 YTL e non siamo riusciti a finirla, telefonando in due in Italia un giorno sì e uno no. Davvero economica, mentre il cellulare che comunque prende benissimo dappertutto ha un roaming piuttosto costoso.
13 giugno. Istanbul (4 notti) Partenza e arrivo puntuali alle 16.45 all’Ataturk international airport. All’andata l’Alitalia si presentava come una compagnia affidabile, vedremo che per il ritorno non sarà la stessa cosa. Avevo prenotato via internet l’hotel Beyaz saray ora parte della catena Barcelò, un quattro stelle centralissimo sulla Yeniceriler Caddesi la strada che porta nel cuore di Sultanhamet. Una stanza ampia, arredo nuovissimo in stile minimal, letto king size, bagno enorme in marmo, finestre insonorizzate e vista su moschea per 105 € a notte, meritatissimi (www.Barcelosaray.Com) ah! e ci sono le tende alle finestre. In tutti gli hotel internazionali o comunque 4 stelle le tende per oscurare sono presenti, in quelli tipici o di bassa categoria no. Nell’hotel, a disposizione degli ospiti, c’è un hammam che non abbiamo mancato di provare. Un bagno turco a temperature stratosferiche da cui si esce fradici per poi passare in una stanza in marmo dove seduti lungo la panca perimetrale, anch’essa in marmo, ci si rinfresca rovesciandosi addosso acqua tiepida poi fredda con un catino, attingendo alle numerose fonti presenti. Solo negli hammam degli hotel è permesso a uomini e donne di restare negli stessi ambienti, in quelli pubblici no. Ricordo che nei bagni turchi comunque si indossa il costume, non si sta completamente nudi. Volendo ci sono anche massaggi, scrub e altri trattamenti ma a pagamento. Al mattino colazione a buffet con di tutto di più all’ultimo piano dell’edificio. L’hotel ha molto personale e grande gentilezza. Ah! Servizio importante: per chi pernotta almeno tre notti, trasferimento gratuito dall’aeroporto con auto privata; ci siamo sentiti in obbligo di lasciare una mancia all’autista, anche perché la mia valigia era veramente da ernia lombare. E’ stato molto comodo anche per evitare l’impatto con il caotico traffico di Istanbul. Il quartiere di Sultanhamet è davvero affascinante. Appena scesi in strada il muezzin dal minareto intona il suo canto di invito alla preghiera e subito siamo stati rapiti dall’atmosfera: molta gente in strada e venditori a tutti gli angoli, negozi che invadono il marciapiede con le loro mercanzie, donne velate e donne vestite all’occidentale. L’emozione più forte è ascoltare il muezzin della Moschea blu quando intona l’ultimo canto della sera (sulle 22.30) seduti sulle panchine del giardinetto di fronte, mentre gli uccelli volano senza sosta intorno ai minareti e sembrano avere le piume dorate dalla luce riflessa. Siamo rimasti quattro notti a Istanbul, cercando di visitare le cose più salienti, ma forse sarebbe necessario un po’ più di tempo perché i monumenti chiudono presto, intorno alle 17, il Museo archeologico addirittura alle 16, mentre solo la Basilica cisterna si spinge fino alle 18.30. Tutti gli ingressi ai siti più importanti sono stati parificati a 10 YTL in tutta la Turchia, tranne la Basilica Cisterna che ne costa 5, una visita affascinante, ma piuttosto breve. Comunque nei quattro giorni abbiamo visitato il Topkapi e relativo harem (10 + 10 YTL, si pagano 2 biglietti), la Basilica Cisterna, il museo delle arti islamiche, la Moschea blu, Aya Sofia, il complesso di Suleymaniye, il gran bazar, il bazar delle spezie, la torre dei genovesi a Galata, il palazzo Dolmabahce, dove si paga un ticket aggiuntivo per fare foto che non merita, e il palazzo Beylerbeyi, molto più interessante, dall’altra parte del Bosforo sulla sponda asiatica, facilmente raggiungibile con il traghetto. Non fatevi abbindolare dai soggetti che ronzano vicino agli attracchi a Eminonu e vi propongono le gite sul Bosforo con imbarcazioni private per alcune decine di euro, cifre stratosferiche (per loro). Il traghetto pubblico parte da Eminonu e costa come una corsa in tram, 1,50 YTL; a Eminonu ci sono tre attracchi molto vicini, i traghetti per il Bosforo partono dal terzo, quello più vicino al ponte di Galata per intenderci, oltre ce n’è un altro più piccolo ma è per i privati, lo riconoscete. Chiedete alla biglietteria l’orario per la vostra destinazione, perché non fanno tutti le stesse fermate. Per Beylerbeyi noi lo abbiamo preso alle 11.15, si può scendere anche più avanti per visitare altre cose. A noi interessava proseguire per Arnavutkoy, il villaggio di case in legno all’ultima fermata sulla sponda europea, ma il traghetto c’era solo alle 19.30 (informatevi da Eminonu se vi interessa).
Un’altra cosa per cui stare in occhio: intorno alla torre di Galata una coppia di soggetti turchi avvicinano i turisti con il loro carico di souvenirs, soprattutto libri e cartoline e anche se vi mostrate non interessati a comprare, vi chiederanno di cambiare loro la manciata di euro in monete che gli avrebbero dato i turisti, in cambio delle banconote di carta che voi possederete sicuramente, con la scusa che da loro la banca non accetta gli euro in monete (il che è anche vero). Il mio compagno, mosso da solidarietà, aveva accettato di cambiargli venti euro e loro hanno cominciato il giochetto del conto delle monetine da 2 e 1 euro e varie pezzature di centesimi, ripetendolo davanti ai nostri occhi attenti svariate volte nel palmo della mano come prestigiatori. Peccato che quando ti passano il malloppo nelle tue mani, ti arrivano sì e no la metà delle monetine. Noi ce ne siamo accorti subito ed è bastata la voce grossa che ci hanno restituito i 20 euro di carta, altrimenti basta pronunciare la parola ‘police’, ovviamente prima che siano spariti.
Per quanto riguarda il cibo, in Turchia si mangia bene, i sapori sono abbastanza vicini ai nostri, d’altronde è sempre cucina mediterranea. Per uno spuntino al volo di mezzogiorno, un’immancabile kebab nei tanti chioschi in giro per la città permetterà di sfamarvi per 2,50 YTL, ma in certi posti il prezzo può variare. Nei pressi della Suleymaniye ho pagato 6 YTL, il prezzo più alto mai pagato, ma era un kebab gigante fatto con una mezza baguette. Alcune volte l’igiene non era proprio a norma Haccp e ho pensato che la sera mi avrebbe aspettato qualche puntata di troppo in bagno e invece nulla, nessun problema. A cena a Istanbul si spende mediamente di più che nel resto della Turchia, ma la qualità dei posti segnalati dalle guide (Rough guide, Lonely Planet) è buona, almeno quelli che abbiamo provato: il Rumeli restaurant e il Mosaik, che sono la stessa gestione, uno attaccato all’altro, in una traversa della Divan Yolu a Sultanhamet, mentre a Taksim abbiamo sperimentato Zenicefil, in una stradina laterale della Istikal Caddesi, difficilmente visibile dall’esterno, ma molto carino, nel cortile interno dell’edificio, servizio gentile, ma cucina solo vegetariana, buona ed economica (ottimi i dolci, che non sono smagosi come i pasticcini turchi). I ristoranti sul ponte di Galata sono piuttosto tristi, hanno tutta l’aria dell’acchiappaturisti e noi non li abbiamo sperimentati.
17 giugno. Safranbolu (395 km) Dato il peso inaffrontabile della mia valigia, decidiamo di prendere un taxi per raggiungere l’agenzia Europcar a Taksim. Per fortuna è domenica, non c’è traffico e il tassista vola. Gli lasciamo 22 YTL e siamo pronti alla partenza sulla nostra Renault symbol bianca (il colore più comune delle auto in Turchia).
Per spezzare il lungo viaggio che da Istanbul ci avrebbe portato in Cappadocia, come tappa alternativa ad Ankara che tutti descrivono orrenda, decidiamo di fermarci a Safranbolu, una piccola cittadina poco distante dalla costa del Mar Nero. Un villaggio singolare dove resistono le vecchie case ottomane originali dalla struttura in legno, che hanno iniziato a restaurare per ospitare i turisti. Queste ‘konagi’ sono affascinanti, alcune adibite a museo, nel senso che si possono visitare per avere un’idea di come erano organizzati gli ambienti (noi abbiamo visitato la Kaymakamlar, con arredi originali, anche se un po’ posticci i manichini allestiti nelle varie stanze). Per l’alloggio abbiamo optato per il Cinci Han caravanserraglio, un complesso originale in pietra sviluppato intorno ad un enorme cortile dove a suo tempo sostavano i mercanti in transito con i loro carichi di merci. Questa struttura imponente adibita oggi ad hotel (www.Cincihan.Com) si trova nel nucleo di çarsi, che è la parte vecchia di Safranbolu. Concepita con un unico monumentale ingresso, si presenta completamente chiusa verso l’esterno per proteggere i viandanti durante la notte da possibili attacchi di predoni. L’ambiente è davvero strepitoso, ma le camere tutte disposte al primo piano sul ballatoio che cinge l’enorme cortile, sono piuttosto piccole (a meno che non optiate per la king suite) e le finiture non sono certo di lusso, con fili degli impianti che girano esternamente e un bagno microbico in compesato marino. Comunque 75 € per la standard b&b (da noi te la sogni) e possibilità di cenare in questa bella cornice con un buon menu alla carta a prezzi ridicoli. Safranbolu è una cittadina veramente rilassante, con il suo piccolo bazar dove le donne (stranamente) lavorano oggetti e vendono senza alcuna insistenza. Ovunque invece in Turchia il commerciante (sempre maschio) vi inviterà in maniera pressante ad entrare nel proprio negozio o il venditore di strada vi proporrà la sua merce animosamente, così come il ristoratore cercherà di farvi sedere al suo tavolo. Devo dire però che non sono particolarmente appiccicosi e mai sgarbati, gli arabi sono molto più insistenti. A Safranbolu non mancate di prendere un te nella magnifica cornice della Havuzlu Asmazlar Konagi, dove la stanza principale con enorme vasca centrale tipica delle case lussuose oggi è stata adibita a sala da te. Sembra complicato trovare questi luoghi perché nelle guide non sono indicati, ma se arrivate nella piazza centrale di Safranbolu (çarsi), all’ufficio turistico (vicino alla polizia) una ragazza molto gentile sarà lieta di illustrarvi tutti i luoghi più significativi sulla cartina che vi fornirà. Il ricordo più struggente di questo paesino sono i numerosi cani randagi che rovistano nella spazzatura per trovare qualcosa da mangiare, ma ce ne sono molti in tutta la Turchia. La mattina portavo la colazione (formaggio, salsiccia, uova sode) a due cucciolini meravigliosi color miele che sembravano avere due calzini bianchi sulle zampe anteriori. Avrei tanto voluto portarli a casa con me e l’avrei fatto se non ci fossero problemi per le vaccinazioni obbligatorie.
18 giugno. Bogazkale (circa 500 km) Strade praticamente deserte. In questa zona guidi per centinaia di chilometri senza incontrare un insediamento, solo qualche casa di contadini sparsa per queste aride terre rossastre. Bogazkale è il nome moderno dell’antica Hattusha, dove gli ittiti stabilirono la loro capitale nel 1350 a.C. Dopo aver conquistato l’Anatolia. Dell’antico insediamento resta tutto il tracciato arroccato sui colli, con le fondamenta dei vari edifici in pietra e parte della cinta muraria, con resti delle decorazioni delle porte di ingresso alla città. La vista dall’alto del sito è molto affascinante. Il sito è vasto e si può girare con l’auto, altrimenti sono 6 km di scarpinata piuttosto irta. Il villaggio di Bogazkale non esiste, ci sono due case scalcagnate, due piccole moschee e nessuna strada per il passeggio. Quattro gli hotel possibili, tutti di bassa categoria. Noi abbiamo scelto il Baykal, perché diceva di essere nella piazza principale, ma sinceramente definirla piazza mi sembrano parole grosse! Comunque i costi sono irrisori, 65 YTL (36 €) per una camera matrimoniale con bagno, sicuramente ristrutturata da poco, con letto nuovo, ma le finiture sono quelle che sono (www.Hattusha.Com). Alternative alla cena presso l’hotel non ce ne sono, perché non esistono altri ristoranti o caffè. Comunque abbiamo cenato bene a costo simbolico ed eravamo gli unici ospiti. Molto interessanti anche i siti di Yazilikaya (a 3 km), dove restano i rilievi scolpiti sulle rocce a rappresentazione delle divinità di questo tempio suggestivo e Alacahoyuk (25 km a nord), dove la porta delle sfingi resiste al tempo e all’usura. Credo che i siti in generale in Turchia abbiano subito parecchi danni dopo il terremoto del 1999, perché da molte parti abbiamo trovato zone sgretolate con pietre ammassate, di cui nelle guide non si trova cenno.
19 giugno. Goreme (225 km) 3 notti L’arrivo in questo paesaggio fiabesco lascia a bocca aperta. I coni di tufo modellati dal vento sbucano improvvisamente dietro la curva mentre cerchiamo di raggiungere Goreme. Il paesello di Goreme è sicuramente il più carino della zona e ve lo consiglio caldamente se volete visitare la Cappadocia. L’hotel in cui abbiamo alloggiato è stato la migliore scelta di tutta la vacanza: il Kelebek hotel, una casa ottomana ristrutturata con camere scavate nella roccia (www.Kelebekhotel.Com). La cornice è strepitosa e il complesso fatto di scale e antri, giardinetti e personale giovane e accogliente che parla benissimo inglese. La parte più bella è quella dell’hotel, dove le stanze sono più ampie ed accessoriate, nella pensione invece le stanze sono veramente piccole. Ogni stanza ha un nome: noi avevamo Sirhane: per 85 € a notte, una salotto ingresso con camino in pietra e tipici divani turchi, niente narghilè perché era la non-smoking, un bagno enorme in pietra con ampia cabina-doccia da un lato e vasca dall’altro e la stanza da letto scavata nella roccia, tipico letto in legno e luce soffusa. Premetto che io sono un’amante del minimal, ma questa struttura tipica è veramente strepitosa. Il giardinetto esterno con fiori curati, sdraio e tavoli, davvero rilassante e una stanza colazione con vista sui coni di tufo solo per gli ospiti di questa parte dell’albergo. La colazione migliore della vacanza, molto curato il buffet. L’hotel resta nella parte alta di Goreme, ma stiamo parlando di un paesino talmente piccolo che basta scendere una strada che si arriva nella piazza dove si concentrano tutti i ristoranti. Su consiglio di altri turisti per caso abbiamo cenato al ristorante ‘Alaturca’ e non posso che confermare che è ottimo: cucina più sofisticata dei soliti posti, piatti ben presentati, vino a prezzi abbastanza ragionevoli e posto davvero incantevole. Dopo aver provato ‘Somine restaurant’ a Urgup la seconda sera, che resta comunque un buon posto con ottimo servizio e ampia scelta di meze, la terza sera abbiamo deciso di bissare Alaturca (il miglior ristorante della vacanza). Calcolate sulle 80 YTL in due con bottiglia di vino (circa 45 €), ma sono meritati. Nelle tre giornate a disposizione abbiamo visitato: Goreme. Open air museum con le chiese rupestri meglio conservate, davvero affascinante. Ortahisar. La rupe-fortezza attorno a cui si sviluppa il paesino è chiusa al pubblico, ma il proprietario del caffè ai suoi piedi vi inviterà a visitarla, mostrandovi come aggirare la rete. Fantastico! D’altronde gli hanno chiuso l’unica attrazione del paese! Comunque la salita presenta solo un punto esposto all’inizio dove io ho avuto qualche difficoltà, ma all’interno il percorso è tutto attrezzato con scale metalliche saldamente ancorate. Dall’alto si gode tutto il panorama e al rientro una bella birra fresca da Ottoman cafè.
Uchisar. La rupe-fortezza è agibile e visitabile. Ai suoi piedi una simpatica bambina di nome Aishe, l’unica venditrice non insistente che ho incontrato. Le abbiamo acquistato una retina decorativa per ben 1 YTL e ha un posto nelle nostre foto ricordo.
Urgup, la cittadina più anonima del contesto la valle di Devrent: dovrebbero esserci i coni di tufo a forma di animale. Noi abbiamo riconosciuto un cammello, la testa di un elefante e un rapace appollaiato su un picco. la Pasabagi valley: qui ci sono i ‘mushroom chimneys’ la Rose Valley, una passeggiata fra le rocce rosate di queste stratificazioni, dove i locali coltivano la vite. Dispersa fra questi picchi c’è persino un punto di ristoro: è l’abitazione di appoggio dei contadini di queste aspre terre e sotto un pergolato è possibile sorseggiare bibite fresche servite da uno stuolo di simpatiche bambine. Kaymakly e Derinkuyu, le città sotterranee. Vista la prima che è più suggestiva, con percorsi più tortuosi e antri più angusti, potete evitare Derinkuyu se non avete tempo. Inoltre davanti all’ingresso, una fauna umana disperata vi seguirà cercando di vendervi qualcosa. In entrambi i siti potete fare a meno delle guide che vi si proporranno, perché vi raccontano le solite due cavolate che sentirete dagli innumerevoli altri gruppi di visitatori e perché il percorso sotterraneo è obbligato, indicato da frecce ed è impossibile perdersi.
Ilhara Valley: è una bella scarpinata alla ricerca delle chiese scavate nella roccia, sono 7 km da percorrere a piedi in fondo al canyon, passando alternativamente a destra e a sinistra del fiume. Scarpe da trekking e scorta d’acqua consigliate.
Mustafapasa. Il villaggio greco abbandonato quando c’è stato lo scambio di popolazione tra Grecia e Turchia, un po’ dimesso.
22 giugno. Konya (240 km) Sosta durante il tragitto al caravanserraglio selgiuchide di Sultanhani. Prezioso il portale di ingresso e davvero gigantesca l’area di ricovero degli animali, con soffitto a volte amplissime, ma parte dell’interno è stato ricostruito per farne un set cinematografico. Me lo aspettavo disperso nel nulla, non so perché nella mia mente era figurato così, invece si trova sulla sinistra della strada principale poco dopo Aksaray. La strada diritta e noiosa prosegue fino a Konya, una città industriale con una periferia enorme. Puntiamo direttamente al ‘Sehir Merkesi’, il centro: è questo il cartello che bisogna seguire in Turchia quando si cerca il centro storico di una città. Ci dirigiamo a caccia dell’hotel Selçuk (www.Otelselçuk.Com.Tr), un 4 stelle nuovo e centralissimo con cui non era riuscito il consueto scambio di mail, perché a Konya le e-mail (anche quelle inviate ad altri hotel) mi tornavano tutte indietro ‘undelivered’. Lo avevo comunque contattato per telefono (con Skype naturalmente), ma ero solo riuscita a lasciare il mio nome e ad avere il prezzo, 70 €. Appena varcata la reception e spiegate le difficoltà di prenotazione, il tipo mi inquadra subito: Miss S…! Good morning! Insomma nessun problema, ci danno la camera più grande che hanno, tutta sul tono del beige, ma è nuova e l’aria condizionata va a palla. Sì, perché da questo momento in poi il caldo si farà sentire e il sole turco sarà inesorabile. Se in Cappadocia la sera ci voleva una giacca, qui la temperatura non cambierà più di un filo fra il giorno e la notte. Comunque l’optional più singolare del Selçuk hotel è il tappetino per la preghiera! Eh sì, Konya è una città molto religiosa, donne coperte fino ai piedi e velate, mentre in tutto il circondario non si servono alcolici. L’unica cosa da visitare a Konya è il mausoleo dei dervisci, l’ex monastero di Mevlana, chiuso con l’istituzione della Repubblica di Ataturk. Oggi ospita le tombe del Mevlana, del padre e di altri illustri. Le tombe sono ricoperte di stoffe decorate e le volte del mausoleo tutte dorate, ricche di iscrizioni. I Turchi sono molto devoti al Mevlana e molta gente si reca a pregare al Mausoleo. In questa sorta di rito catartico non è insolito trovare persone che piangono e si disperano. La cerimonia del ‘sema’ con i dervisci rotanti è visibile solo a dicembre in occasione del festival. La zona centrale di Konya è tutta qui, una strada la Alaaddin Caddesi che collega la collinetta con il parco circondato dalla Allaaddin Bulvari, al mausoleo. Nel parco c’è una moschea (Alaaddin Cami) carina, con la sala disseminata di colonne di recupero di varie epoche, greche, romane, selgiuchide… tutte diverse fra loro. Il museo archeologico invece era chiuso per restauro. Se andate a Konya alloggiate necessariamente in zona perché fuori non c’è nulla. Anche i ristoranti scarseggiano, perché la gente qui non si dà certo alla pazza gioia, ma i prezzi sono veramente simbolici. Noi abbiamo cenato spendendo circa 10 euro in due con due piatti di carne riso e verdura e bevendo solo acqua naturalmente. I doner kebab da asporto in giro costano 1 YTL, mentre una bottiglietta d’acqua 30 cent di lire turche! 23 giugno Antalya 360 km (2 notti) La strada per Antalya si fa particolarmente trafficata solo quando si arriva lungo la costa. Antalya è una grande città, ma la zona turistica è micro. Noi abbiamo alloggiato all’Alp Pasha hotel nel quartiere storico di Kaleiçi, dove ci sono le case tradizionali e i negozi per turisti. La zona ha l’accesso per le auto a pagamento, ma se alloggiate in un hotel sarà gratuito. Solo parte di questo abitato originale è ristrutturato, il resto è davvero cadente. L’Alp Pasha è appunto una konak restaurata: la casa si sviluppa attorno ad una serie di cortili interni con piccole piante. Le camere sono carine, tutto legno. Noi avevamo una luxury room, che non è enorme, però ha la vasca idromassaggio in bagno. Io non sono una patita dell’idromassaggio, ma vi assicuro che con i caldi che faceva era una pacchia rientrare la nel tardo pomeriggio sfiniti e spararsi una vasca. L’unico inconveniente era che l’esposizione della stanza non era delle migliori: ci batteva il sole tutto il giorno, non c’erano persiane per ripararla e non era possibile lasciare il condizionatore acceso, perché era necessario inserire una scheda metallica all’interno che non si riusciva a separare dalla chiave della porta d’ingresso. Le tariffe sono necessariamente half board (90 €) e la cena é servita intorno alla piscina, atmosfera chic. In realtà è un buffet e ti servi da solo, le bevande sono escluse e i prezzi sono da rapina. Il vino è inavvicinabile e un bicchiere di Carlsberg costa 5,70 YTL (3 €), davvero esorbitante per loro. Insomma, paghi l’ambiance! Il posto è davvero carino, ma la gestione vuole darsi un tono extralusso che poi non è in grado di sostenere: il personale con l’auricolare, il ‘guard’ massiccio che ti porta le valigie, la piscina con l’happy hour. Ma poi ogni minima cosa è extra e la paghi sonoramente. Quando siamo arrivati erano le tre del pomeriggio e la stanza non era pronta. Ci hanno chiesto se volevamo accomodarci al bar nell’attesa a bere qualcosa. Abbiamo pensato al bel gesto dell’ospitalità turca e invece dopo averci versato una birra e un succo ci hanno presentato il conto. Che carini! Comunque per noi Antalya era la base per visitare i siti archeologici in zona e fare anche un salto al mare. Devo dire che Kaleiçi non è subito comoda per fare vita di mare perché si affaccia sul porto e la costa è rocciosa. Le spiagge sono a qualche km, quindi ci vuole un mezzo. Noi abbiamo fatto un salto alla spiaggia libera di Lara, sabbiosa, in direzione sudest, dove vanno i turchi. Il panorama è davvero interessante: famiglie intere polleggiate sul loro mega tappeto persiano con ombrellone, tutte equipaggiate con barbecue e vettovaglie da pasha. La maggior parte delle donne era vestita e faceva il bagno così, con tanto di velo in testa, ma nessun problema per noi mettersi in costume. Il mare quel giorno era un po’ agitato e dato il fondale sabbioso l’acqua non era limpida. Noi non eravamo molto rilassati e temevamo ad abbandonare le borse per farci un bagno insieme. La temperatura era sui 45° e al sole abbiamo resistito una mezz’ora, poi siamo fuggiti. Un salto a vedere le cascate di Kursunlu che sono poco prima, c’è un affaccio dall’alto nei pressi di un ristorante. Le abbiamo trovate per caso e così ci siamo risparmiati la gita con la barca che parte dal porticciolo di Kaleiçi e che spenna ai turisti minimo 30 € a testa per 2 ore, ma forse la vista dal mare è tutta un’altra cosa (le cascate sono davvero piccole). In una giornata abbiamo visitato il sito di Perge e il teatro di Aspendos, che è il meglio conservato, ma il caldo era davvero torrido e mi sono presa un eritema alle braccia nonostante avessi la protezione solare. Il sole turco è inesorabile e non va sottovalutato anche se si è di pellaccia dura.
25 giugno Pamukkale (350 km) Poco fuori Antalya sulla strada per Pamukkale, si passa nei pressi del sito di Termessos. E’ immerso nel parco (Termessos Milli Parki) e la visita è una camminata in salita. Si può entrare nel parco con l’auto pagando un biglietto aggiuntivo, si percorrono 9 km e si arriva all’entrata del sito ( 19 YTL in tutto in due). Bello salire scoprendo man mano i resti, anche se la segnaletica non è eccellente. All’entrata volendo vendono una piccola piantina per 4 YTL in più. Il teatro che rimane nella parte più alta è un po’ malmesso, ma suggestivo il panorama così in mezzo alle montagne. Valide anche le tombe nella roccia che si scoprono scendendo dal percorso in alternativa a quello fatto in salita.
Si riparte per Pamukkale. La strada è un po’ montagnosa, ma abbastanza scorrevole: sembra di essere nel massiccio centrale della Francia, solo la terra qui è più arsa. A Pamukkale avevo prenotato online una pensione che mi ispirava, tanto per abbattere un po’ i costi visto che finora avevamo viaggiato su un target 4 stelle. Il Melrose Allgau otel ha una parte tutta nuova con stanze confortevoli, letto duro e aria condizionata (www.Allgauhotel.Com). Noi avevamo preso ‘la suite’ (ma anche le doppie standard hanno lo stesso comfort) per 35 € a notte con colazione. La pensione ha una piscina gradevole e degli alberi secolari su cui il proprietario, un tipo davvero ospitale, ha costruite casette di legno per i figli. I turisti ne vanno pazzi, dice, ed è vero: sono carine e ci si può prendere qualcosa da bere. Qui ci siamo trovati meravigliosamente e ci abbiamo anche cenato, data la gestione familiare che ci ispirava parecchio. E così è stato: la moglie ci ha cucinato costolette d’agnello con riso e verdure e un’insalata (tipo greca) molto buone. Con una boccia di vino rosso turco molto profumato e una minerale abbiamo pagato una cinquantina di lire turche. Alla fine ci ha offerto il te e della frutta. Ma veniamo a Pamukkale. Il paesino inesistente ruota intorno alle vasche calcaree originate da un’antica fonte termale, un paesaggio affascinante se non fosse che per scarsità d’acqua non è più possibile farci il bagno. Sono praticamente prosciugate e per preservarle non è possibile nemmeno camminarci. Si gira su una passerella di legno e una miriade di guardiani è pronta a fischiare non appena osi scendere. L’unica parte in cui è possibile bagnarsi è una serie di vasche create artificialmente. Per entrare nell’area si pagano 5 YTL a testa ed è compresa la visita al sito archeologico di Hierapolis, in cui resiste sostanzialmente il teatro. C’è anche uno stabilimento termale, ma per farsi il bagno nella vasca termale in cui sono immersi resti originali di colonne e altri reperti si paga la bellezza di 18 YTL.
Il problema della mancanza di acqua è dovuta proprio agli hotel termali che la intercettano a monte e impediscono a questo luogo di modificarsi. Peccato che il luogo man mano perda il suo fascino e il turismo sia nettamente calato. Sinceramente noi siamo rimasti piuttosto delusi: eravamo partiti con l’idea di farci un bagno immersi in questo paesaggio bianchissimo che sembra ricoperto di neve. L’area è piuttosto piccola e alla fine si passa il tempo a fare due foto sotto il sole cocente.
26 giugno Kusadasi (210 km) 2 notti Si riparte in direzione mare, verso questa cittadina che viene definita la Rimini turca. Devo dire che me la aspettavo peggio e dopo aver visto Antalya ha conquistato punti. Il nucleo storico è piccolino, c’è l’isola dei colombi con un castello visitabile solo esternamente, la spiaggia sabbiosa (Ladies’ beach) è vicina, ma si può fare il bagno anche nei pressi del porticciolo. E’ abbastanza carina e a noi serviva come base per visitare Efeso. Purtroppo la scelta della pensione non è stata delle migliori: la Sezgin pension non ve la consiglio, è piuttosto lozza almeno la zona colazione, dove le persone prendevano il cibo con le mani, le tazze erano indecorose (il mio compagno ne ha beccata una con il rossetto), i piatti sbeccati, niente tovaglioli per pulirsi e le tovaglie sui tavolini avevano smarrito da tempo il colore originale. La nostra camera, al contrario, era molto spaziosa e all’apparenza pulita, parquet in legno, materassi nuovi, peccato solo che c’era un lenzuolo da sotto che arrivava a pelo del bordo dei materassi, mancava l’armadio o qualunque mobile per riporre le cose, ma in compenso split per l’aria condizionata molto efficiente. E questo era fondamentale visto che in quei due giorni Kusadasi ha raggiunto la temperatura di 48°, da squagliarsi. La vista ad Efeso è stata una prova di sopravvivenza per il caldo torrido e questo non ha permesso di apprezzarla pienamente. C’erano orde di turisti intruppati tra cui comitive di vecchietti che non so come facessero a stare sotto al sole cocente. I banchetti all’entrata del sito vendono l’acqua a 3 YTL, una rapina e noi ci siamo rifiutati di cedere nonostante la lingua felpata. Selçuk è vicinissima e lì i prezzi sono davvero turchi. Abbiamo mangiucchiato omlette e insalatone in un ristornatino (sul lato sinistro della strada che proviene da Efeso, non appena entrati a Selçuk, pochi metri dopo il museo archeologico, proprio sull’incrocio) spendendo 13 YTl, con due birre Efes ghiacciate da 50cl che erano un sollievo. Il museo archeologico di Selçuk è interessante, piccolo ma con alcuni reperti significativi, come le statue della dea della fertilità, quella con innumerevoli seni, che poi abbiamo scoperto essere in realtà rappresentazioni di testicoli. Non paghi della cottura sotto al sole, abbiamo fatto una puntatina anche al sito di Priene e dal simbolico importo del biglietto di ingresso (2 YTL) si capisce che poco resta in piedi. Le posizioni strategiche di queste antiche città sono comunque spettacolari e camminare fra resti che hanno una tale storia è sempre emozionante.
A Kusadasi abbiamo cenato per due sere in un posticino ‘nella piazzetta’ sulla Barbaros, lo slargo che si forma incrociando l’altra via del passeggio. Dall’esterno il posto non è nulla di che, molto piccolo, con 4/5 tavoli all’esterno. La cucina invece era buona e davvero economica: molta scelta di varietà di kebab, pizze turche, insalate (anche pasta volendo) e birra Efes a 3 YTL. Lo riconoscete dal cartello che pubblicizza il prezzo della birra, ma anche i piatti principali hanno buoni prezzi: si cena con 30 YTL in due. Il cameriere è un ragazzo simpatico che parla inglese e socializza con i clienti senza essere invadente e vi offre gentilmente un drink a fine pasto.
Il tour ormai volge al termine e dopo l’ultimo bagno in mar Egeo nella Ladies beach, dove turchi e turisti vestono costumi occidentali, ci si prepara alla partenza per l’ultima tappa di ritorno.
28 giugno Bursa (460 km) La tappa è lunga e così si parte di buona mattina e si rinuncia a visitare Pergamo. Siamo davvero stanchi e il caldo non aiuta. La strada è buona nel primo tratto, poco fuori Izmir, poi le due corsie per senso di marcia si interrompono. La strada più stretta e la presenza di camion rallenta un po’ il percorso fino a Bursa e forse era meglio se era così anche prima visto che proprio sulla superstrada ci siamo beccati la fantomatica multa per eccesso di velocità. Comunque arriviamo a Bursa nel pomeriggio e raggiungiamo il Gonluferah hotel, un quattro stelle nuovo di pacca con tanto di portieri in livrea che ti parcheggiano pure l’auto (www.Gonluferahhotel.Com – 90 € la doppia). Ci voleva per riprendersi dalla lurida pensioncina! L’hotel è nel quartiere di Cekirge, zona residenziale, per raggiungere il centro ci vuole un mezzo. Il centro di Bursa è davvero trafficato ed è l’unico in cui vediamo i parcheggi a pagamento. Bursa è una città ai piedi dell’Uludag, la montagna dove i turchi vanno a sciare e vive soprattutto di turismo invernale. E’ carina e molto verde, poco battuta dai circuiti turistici. Da visitare la moschea, il grande bazar dai portali d’ingresso decorati e una serie di verdi corti interne su cui si affacciano diversi caffè, ideali per una sosta rinfrescante. Non indispensabile inserirla in un viaggio turco, ma a noi serviva come tappa di rientro e piuttosto che buttarsi verso Canakkale per poi fare lo stretto dei Dardanelli, abbiamo preferito avvicinarci ad Istanbul via terra. L’indomani il volo ci attendeva all’Ataturk airport alle 14.10 e ancora non sospettavamo quale epopea ci avrebbe sorpreso.
29 giugno Istanbul (230 km) Partiamo sulle 8.30 dopo un’abbondante colazione nella mega sala dell’hotel. La strada inizialmente è buona, l’autostrada si imbocca solo a Kocaeli e per un bel tratto scorre, ma arrivati nei pressi di Istanbul il traffico si blocca. Quattro corsie intasate 50 km prima dell’aeroporto. Peraltro prima di imbottigliarci sbagliamo anche uscita e finiamo al Sabina airport un aeroporto secondario. Ci viene subito il sospetto perché abbiamo fatto troppo presto a raggiungerlo e non abbiamo passato il ponte sul Bosforo. Il problema è che i cartelli in autostrada segnalavano solo uscita international Havalimani, che in turco significa aeroporto e non davano altre direzioni. Riprendiamo l’autostrada e poco dopo finiamo imbottigliati. Si procede a passo d’uomo e a tratti fermi bloccati. Comincia a salire l’ansia perché il tempo stringe. Riusciamo a raggiungere l’Ataturk solo alle 13, sicuri che non ce l’avremo mai fatta a prendere il volo. Davanti al terminal degli arrivi decidiamo di mollare un attimo l’auto per andare ad imbarcare subito le valigie. Non l’avessimo mai fatto! Innanzitutto c’è una fila sterminata ai controlli metal detector, poi al check in la tipa ci dice che il volo per Roma parte con due ore di ritardo e che non sono in grado di garantirci la coincidenza per Roma. Quindi bisogna fare la fila stratosferica al desk dell’Alitalia per vedere se c’è un altro volo. Nella sfortuna ci è andata bene, pensiamo, così abbiamo tempo di riconsegnare l’auto. Usciamo di corsa con le valigie e ci affacciamo davanti al terminal. Ma non avevamo parcheggiato qui? Gira che ti rigira, l’auto non c’è. Panico! Mi rivolgo al poliziotto di guarda all’inizio della strada e lui non parla inglese, ma mi risponde ‘Otopark police’ e a quella parola magica capisco: ci hanno rimosso l’auto!??!!? Non si può sostare neanche un millisecondo davanti al terminal, c’è un carroattrezzi che fa la ronda e sposta auto in continuazione. Trasciniamo le pesanti valigie fino alla police in fondo alla strada e lì parte la spiegazione ai pulotti turchi che non parlano l’inglese. Gli mostro il foglio del noleggio e dopo alcune consultazioni fra loro ci dicono che dobbiamo pagare la rimozione. Mi aspettavo già una cifra da capogiro e invece la pulotta turca mi dice 40YTL. Vai, sospiro di sollievo. Peccato che non abbiamo più lire turche, dato che siamo in partenza e non accettano carte di credito. Dopo una lunga meditazione dei poliziotti sulla conversione in euro, li convinco che 20 euro possono bastare. Fiuh! Si caricano le valigie e si esce con l’auto. Ma ora comincia il vero incubo: dove è la riconsegna della Europcar? Sul depliant era indicato ‘terminal arrivi’ e così torniamo sul ‘luogo del delitto’, ma di insegne non c’è l’ombra, accostiamo e chiediamo a un poliziotto di guardia e quello ci spiega a gesti di rifare la rotonda e imbucare l’ingresso dall’altro lato. Gira che ti rigira torniamo sempre allo stesso punto. Vado dall’omino dell’otopark per le auto e lui mi indica che sì Europcar è lì, ma con l’auto devo entrare dall’altra parte. E si riparte, altro giro altra corsa! Non appena cerchiamo di accostare lungo la corsia, l’auto della polizia attacca la sirena e spara qualcosa in turco con l’altoparlante. Alla faccia delle norme antiterrorismo! Sale la disperazione e la tensione. Allora decido di rientrare nel terminal, quindi significa rifare la fila al metal detector, e andare al punto informazioni, dove dopo breve fila l’addetto, l’unico che parla inglese, mi spiega che l’agenzia Europcar si trova all’otopark, al secondo livello interrato. Semplice…No? Ritorniamo all’ingresso dell’otopark e lo stesso omino di prima mi guarda con aria perplessa. Io sto per mettermi a piangere, è un’ora che frulliamo e nessuno sa dirci per il verso dov’è ‘sta cavolo di Europcar. Cerco di spiegargli la situazione e al mio ‘I’m desperated’, l’omino mosso da pietà mi accompagna da un altro guardiano, il quale mi porta dall’addetto del secondo livello interrato del parcheggio, il quale mi conduce al cabinotto della Europcar! Ma è possibile che una compagnia internazionale di car rental non abbia un ufficio al terminal come tutte le altre ma sia imbucato sottoterra senza neanche un’insegna? Esco con l’omino europcar a raggiungere l’auto dove il mio compagno stava trattando la tregua con la police per poter sostare. Per fortuna non fa storie sullo stato dell’auto, che è solo sporca, ma manca il pieno di diesel e così gli lasciamo ben 60 €, una follia, per chiudere la faccenda. Umanamente ci accompagna con l’auto davanti al terminal delle partenze e così possiamo almeno accantonare la faccenda auto. Dopo lunga fila al desk Alitalia ci cambiano i biglietti aerei dirottandoci su Milano, partenza immediata, ma coincidenza a Malpensa per Bologna solo alle 20.30. Va be’, pensavamo di non farcela. A Fiumicino ronziamo per l’aeroprto per quasi 4 ore, mangiucchiando qualcosa e comprando riviste. Si fanno le 20.30 e al gate non c’è ombra di imbarco. Alle 20.35 si presenta un addetto dell’aeroporto e annuncia che l’aeroplano è rotto e si va a Bologna in autobus! Volano gli insulti, la gente è davvero arrabbiata. Nessuno ci accompagna all’autobus e così ritirati i bagagli che dobbiamo portare a mano cominciamo a vagare in cerca del terminal autobus. Alitalia non si presenta nemmeno e solo alle 21.30 arriva l’autobus. Ci era venuta una mezza idea di noleggiare un auto insieme ad altri passeggeri, ma la stanchezza prevale e allora autobus. Ci carichiamo le valigie da soli ed è il caos. Una tipa sale sull’autobus e ci fa fare il check in come fossimo sull’aereo, spuntando i nominativi da una enorme lista cartacea. Ridicolo. Si fanno le 22.10 e finalmente l’autobus parte. Ce la dormiamo tutta, perché siamo davvero devastati. La strada per fortuna è libera e arriviamo a Bologna alle 24.40. Ho una sete allucinante, perché ovviamente non ci hanno dato nulla. Chi mi aspettava in aeroporto dalle 21.30 ha fatto la muffa, ma almeno andiamo a casa in auto, anche perché a quell’ora il treno te lo scordi. A parte il viaggio di rientro allucinante, tutto è filato liscio. Il beauty che avevo preparato dotato di ogni sorta di medicinale per le emergenze è tornato a casa inutilizzato, per fortuna e con esso l’assicurazione sanitaria stipulata online. La Turchia non è convenzionata con l’Asl, per cui è necessario sottoscrivere un’assicurazione. Noi abbiamo pagato 82 euro in due con Elvia della mondial assistance, una e-care che copriva un po’ tutto, ma sull’affidabilità dei rimborsi non ho titolo per testimoniare. Il viaggio nel complesso è stato abbastanza faticoso, ma appagante. 17 giorni forse sono pochi per un giro così lungo, le tappe erano molte e spostarsi quasi ogni giorno stanca parecchio. Il tempo è stato clemente per i primi 10 giorni con temperature sui 27 gradi, mentre l’ultima settimana sulla costa ha raggiunto i 48° e, sebbene il clima sia secco, sono davvero troppi. Forse è meglio partire a maggio o a settembre, ferie permettendo. Saluti a tutti i tpc!