CAMBOGIA – Tra storia e natura
Così ho potuto conciliare i vantaggi del viaggio di gruppo (guida in lingua italiana e automezzo con autista sempre a disposizione) con quelli della vacanza in solitaria (flessibilità nella scelta dei luoghi da vedere e dei tempi di visita). L’unico aspetto negativo di questa soluzione è il prezzo, perchè logicamente alcune spese fisse possono essere suddivise solo qualora vi siano più partecipanti.
In poco più di una settimana si possono visitare tutti i principali siti della Cambogia, con un percorso di viaggio che, partendo ed arrivando a Phnom Penh, la capitale, compie una sorta di circumnavigazione del grande lago Tonlé Sap, che si trova al centro del paese.
La meta principale del viaggio è sicuramente rappresentata dal complesso archeologico di Angkor; ma, pur riconoscendo l’importanza storico-artistica dei templi di Angkor, bisogna dire che la Cambogia è in grado di offrire al turista molti altri luoghi di interesse.
Arrivato a Phnom Penh via Bangkok (non ci sono voli diretti dall’Europa alla Cambogia), trovo ad attendermi il sig. Sor, una delle pochissime guide cambogiane parlanti italiano, che si è rivelata una persona molto gentile e professionale; mi ha illustrato molti aspetti dei luoghi visitati, permettendomi di capire meglio la cultura, la storia e l’arte del paese. Anche se cerco sempre di prepararmi mediante letture prima di affrontare un viaggio in un paese dove non sono mai stato, soprattutto se così diverso dal nostro, cercando di acquisire il maggior numero di informazioni possibile, ritengo che il contributo di un professionista del luogo, se competente, sia difficilmente rinunciabile.
Dopo una breve sosta all’Hotel Cambodiana, grande albergo di stampo occidentale situato in una bella posizione sulla riva del fiume Mekong, inizia la visita della capitale, che durerà due giorni.
Phnom Penh è una città caotica ma in alcune zone affascinante: pur non avendo la bellezza di altre metropoli asiatiche, merita sicuramente una visita.
Il primo giorno è prevista una gita in battello sul Mekong, importantissimo corso d’acqua della regione indocinese. Il fiume è imponente per le sue dimensioni e in città le sue rive sono orlate da palme; fuori città la natura è più rigogliosa e prevale il verde degli alberi, interrotto solo da alcuni villaggi dove si fa sosta per una breve passeggiata.
Nei villaggi visito alcune attività artigianali tra le quali mi colpisce una tessitura dove dei ragazzi lavorano con grande abilità con dei telai in legno, come facevano i nostri nonni tanti anni fa.
Tornato in città mi reco al mercato Psar Thmei, ardito edificio in stile art deco caratterizzato da una cupola centrale di notevoli dimensioni, forse una delle più grandi al mondo, e da quattro ali che convergono nella sala centrale. Al suo interno vi sono innumerevoli bancarelle dove si può trovare un po’ di tutto, dai gioielli agli alimentari, dall’abbigliamento agli orologi falsi.
La vita notturna è piuttosto movimentata e molti, soprattutto sul lungofiume, sono i locali dove si può trascorrere una serata.
Il secondo giorno inizia con la visita al Palazzo Reale, il complesso di monumenti più importante della città, al cui interno si possono visitare la Sala del Trono, utilizzata in passato per le incoronazioni, e la bellissima Pagoda d’Argento, che prende il nome dal pavimento ricoperto da oltre 5000 piastrelle d’argento pesanti un kg ciascuna. Fa una certa impressione camminare su un pavimento così prezioso, seppur protetto da molti tappeti. All’interno vi sono numerose statue di valore, tra le quali spicca un Buddha completamente in oro, decorato da migliaia di diamanti.
Lo stile esterno degli edifici è di chiara ispirazione thailandese; nel cortile si trova anche una casa in ferro, riccamente decorata, donata al re da Napoleone III, che attira l’attenzione per il suo aspetto completamente diverso da tutti gli edifici circostanti.
Le mete successive son il Museo Nazionale, che all’interno di un gradevole edificio di colore rosso contiene la più ricca collezione al mondo di sculture khmer, e il Wat Phnom, un tempio situato in cima ad una collinetta a cui si accede percorrendo una maestosa scalinata. Il luogo è interessante non tanto per il tempio in sé quanto per la sua genesi: secondo la leggenda, infatti, fu eretto per ospitare alcune statue di Buddha scoperte da una donna di nome Penh e da qui fu poi fondata la città, il cui nome significa appunto “Collina di Penh”.
L’ultima visita della giornata fa parte di quelle che non potrò mai dimenticare. Il museo Tuol Sleng è la testimonianza di uno dei più grandi crimini recenti dell’umanità: il genocidio perpetrato da khmer rossi. Nella seconda metà degli anni settanta, la Cambogia è stata il teatro delle follie di Pol Pot e dei suoi uomini, i quali hanno instaurato un regime dittatoriale la cui ferocia ha pochi precedenti nella storia e che ha causato un numero altissimo di vittime, forse alcuni milioni di persone.
Il museo è stato ricavato nella scuola che all’epoca del regime era stata trasformata dai khmer rossi in carcere di sicurezza (noto come S-21), dove le vittime venivano torturate ed uccise. All’interno si possono vedere le reti di filo spinato che chiudevano i corridoi, le celle strettissime (un metro di larghezza) ricavate dentro le aule con muri divisori supplementari, le stanze e gli strumenti di tortura, un gran numero di teschi a ricordo di tutte le persone che qui hanno trovato la morte, e una ricca collezione fotografica delle fosse comuni e di tantissime vittime.
Ciò che più di ogni altra cosa toglie il respiro durante la visita è il contrasto asperrimo tra l’assoluta ordinarietà del luogo (la scuola, i prati) ed il pensiero delle barbarie che qui sono state commesse. L’emozione si fa ancora più intensa al pensiero che i fatti sono abbastanza recenti da averli “vissuti” da casa seguendo le notizie del telegiornale, ed ora mi trovo proprio nei luoghi ove essi si verificavano, dove sono state scritte purtroppo pagine importanti della storia.
Il giorno seguente lascio Phnom Penh in direzione Battambang. In Cambogia vi sono probabilmente le peggiori strade del mondo, quindi viaggiare in automobile non è facile (fortemente consigliata una jeep o una 4×4); tuttavia negli ultimi anni qualche progresso c’è stato e le strade che collegano la capitale a Battambang (lato ovest del lago) e a Siam Reap (lato est) sono in buone condizioni; di sicuro però, quando si deve lasciare la strada principale per qualche escursione, bisogna rassegnarsi a sterrati più o meno battuti, ricchi di buche di ogni dimensione e quindi il viaggio si fa molto “movimentato”, nel vero senso dell’aggettivo (causa sobbalzi). Addirittura nella stagione delle piogge molte strade diventano impraticabili.
Lungo il trasferimento per Battambang si visitano la collina di Udong, sulla cui cime vi sono alcuni stupa (monumenti funerari buddhisti) interessanti, e la città di Kampong Chhnang, dove si possono vedere le palafitte dei pescatori lungo il fiume.
A Battambang, dove non c’è molto da vedere ma che rappresenta una buona base per una serie di escursioni nella regione, pernotto a La Villa, che dovrebbe essere il miglior albergo della città. Si tratta di un edificio di epoca coloniale ristrutturato, in cui l’ambiente è stato mantenuto il più fedele possibile all’originale. Le stanze, quindi, sono molto caratteristiche, con il letto a baldacchino, la scrivania d’epoca, gli interruttori elettrici antiquati, la vasca da bagno in legno, le cartine dell’Indocina appese alle pareti. Sembra veramente di rivivere i tempi delle colonie. Peccato per i pasti, che non erano un gran che.
Il quarto giorno visito una serie di templi nei dintorni di Battambang, tra i quali i più interessanti sono il Wat Banan ed il Wat Sampeau.
Il Wat Banan si trova in cima ad una collina, da cui si può ammirare un bel panorama delle campagne circostanti. Il sito si raggiunge mediante una lunga scalinata, con numerose sculture ai lati, piuttosto ripida nella parte finale. L’ascesa non è facile, se non si è un po’ allenati, soprattutto a causa del caldo e dell’elevata umidità presenti in tutto il paese. Però i cambogiani lo sanno e cercano di aiutare il malcapitato turista: all’inizio della scalinata ho avvertito delle presenze alle mie spalle e infatti, voltandomi, ho visto che ero seguito da quattro-cinque ragazzini che la mia guida, con mia grande sorpresa, ha definito “i miei ventilatori”. Subito non ho capito che cosa intendesse dire, ma dopo pochi gradini i ragazzi hanno cominciato a sventolare vicino a me dei ventagli artigianali e così mi hanno rinfrescato per tutta la salita! Si sono proprio meritati una bella mancia.
Il Wat Sampeau sorge anch’esso in cima ad una collina, ma può essere raggiunto in macchina. Lungo la strada è d’obbligo visitare una grotta vicino ad un campo di sterminio dei khmer rossi; nella parte alta c’è un’apertura dalla quale le vittime venivano gettate nel baratro dopo essere state torturate. Un dipinto all’ingresso della grotta e alcuni teschi al suo interno ricordano questi tragici fatti.
Per il giorno successivo è in programma il trasferimento da Battambang a Siam Reap. Dato che sono l’unico elemento del gruppo, la guida mi dice che posso scegliere se farlo in auto o in barca, lungo il fiume Stung Sangker, precisando che se scelgo l’auto (che comunque porterà i miei bagagli) il viaggio sarà disagevole, dato che la strada è in pessime condizioni.
Prima di prendere una decisione chiedo di poter visionare la barca, perchè voglio rendermi conto se è un natante sicuro: così alla sera mi reco all’imbarcadero di Battambang dove mi mostrano un’imbarcazione in legno, con copertura, larga 3 metri e lunga circa 20 metri, che mi fa una buona impressione e quindi opto per il trasferimento via fiume, anche per avere la possibilità di vedere i paesaggi selvaggi del cuore della Cambogia, non raggiungibili con le strade.
Il quinto giorno inizia quindi di buon mattino, dato che la barca per Siam Reap parte alle sette. Quando arrivo all’imbarcadero e vedo la barca con cui farò il trasferimento, sono scioccato perché questa volta è piena di gente e di mercanzia varia, e l’impressione che ne ricavo è opposta a quella della sera prima! Ma ormai non mi posso più tirare indietro…
Quello che non sapevo è che il viaggio da Battambang a Siam Reap non avviene con un mezzo turistico, ma con la stessa imbarcazione usata dalla popolazione locale per arrivare ai villaggi dell’entroterra, alcuni dei quali raggiungibili solo via fiume. Quindi mi sono trovato su una barca colma di cambogiani (con al massimo quattro o cinque turisti) e piena di bagagli e di merce varia, che i locali portano dalla città ai villaggi, seduto su una porzione piccolissima di una scomodissima panca di legno (raggiunta a fatica saltando tra un sacco e l’altro), schiacciato tra le persone che si trovavano ai miei fianchi, senza la possibilità di potermi muovere per assoluta mancanza di spazio, il tutto per l’intera durata del viaggio, “appena” sette ore! Per la verità a metà percorso abbiamo fatto sosta in un mini ristorante galleggiante e c’è stata quindi la possibilità di sgranchire un po’ le gambe; per il resto è stato un viaggio un po’ sofferto, movimentato dal trasbordo dei passeggeri su piroghe più piccole in corrispondenza dei vari villaggi incontrati, e dallo spirito “sportivo” del conducente, che, un paio di volte, ha portato la parte posteriore della barca a sbattere contro gli alberi a riva, per avere preso alcune curve un po’ allegramente.
Il paesaggio che si ammira durante il viaggio non è eccezionale ma comunque piacevole, soprattutto nella prima parte (verso Battambang) quando il fiume ha un andamento molto tortuoso; nell’ultimo tratto verso Siam Reap, invece, quando si raggiunge il lago Tonlé Sap, questo è talmente grande che quasi non si vede più la terraferma e sembra così di trovarsi in mare.
Poco prima di arrivare a Siam Reap la barca attraversa il villaggio galleggiante di Chong Kneas: è interessante vedere come case, negozi, chiesa, scuole siano stati costruiti su piattaforme galleggianti sul fiume e come le persone vivano in un ambiente così particolare, che si sposta a seconda delle stagioni e del livello del fiume.
Dopo sette estenuanti ore di viaggio, finalmente arrivo a destinazione; l’attracco si trova ad una decina di km da Siam Reap. Qui l’atmosfera è estremamente caotica a causa del numero di barche eccessivo rispetto allo spazio disponibile: il risultato è che, una volta che la barca si è fermata, devo letteralmente saltare su quella adiacente, poi su un’altra, poi su un’altra ancora per poter infine raggiungere la terraferma! Siam Reap deve la sua fortuna alla vicinanza al sito archeologico di Angkor e per questo motivo è la più sviluppata della Cambogia dal punto di vista turistico. Numerosi sono gli alberghi di ottimo livello. In città non c’è molto da vedere, a parte un paio di musei, ma praticamente tutti i turisti stabiliscono qui il loro “campo base” per la visita dei numerosissimi templi vicini.
Dopo il trasferimento in barca, c’è ancora qualche ora del pomeriggio da sfruttare e quindi è il momento di iniziare la visita del sito di Angkor, che rappresenta senza dubbio e con merito l’attrazione della Cambogia più famosa nel mondo, per i suoi moltissimi templi, alcuni dei quali di sconvolgente bellezza.
Prima di entrare nel sito si passa da una grande biglietteria, dove si fa un pass di accesso con foto valevole uno, due o tre giorni: per poter visitare bene almeno i templi principali, è consigliato il biglietto valido tre giorni.
I templi di Angkor rappresentano, per la loro maestosità e bellezza, l’espressione più elevata dell’antico impero khmer, che raggiunse il suo massimo fulgore circa mille anni fa. Per sottolineare quanto fosse sviluppato ed importante, le guide sono solite citare il fatto che all’epoca nell’antica capitale Angkor viveva un milione di persone, quando contemporaneamente a Londra c’erano appena cinquantamila abitanti.
Molti templi sono immersi nella foresta, e ciò contribuisce ad aumentarne i loro fascino. A causa del loro stato di conservazione, che in molti casi non è buono, a qualcuno potranno sembrare solo dei cumuli di vecchie pietre: ma chi ama la storia, l’archeologia e l’arte resterà sicuramente estasiato da queste prove tangibili di una cultura e una civiltà millenarie.
Il primo tempio che visito è Ta Prohm, che alla fine risulterà essere il mio preferito. L’atmosfera è eccezionalmente suggestiva, grazie ai giochi di ombre dovuti alla luce che filtra attraverso la fitta vegetazione e soprattutto per effetto degli alberi che con le loro maestose radici si sono arrampicati sulle mura del tempio. Ovunque, in questo tempio, posso osservare stupefacenti abbracci tra la vegetazione e gli edifici. Contrariamente agli altri templi, dove l’uomo ha conquistato la natura sottraendo gli spazi alla giungla, qui è avvenuto anche il processo inverso, cioè la natura si è riappropriata dei suoi spazi vincendo la sua battaglia nei confronti dell’opera umana. Tutto ciò dona al luogo un’atmosfera di straordinaria poesia, che mi ha molto emozionato.
Arrivato in un angolo, dove un albero dal tronco possente si è impossessato delle mura circostanti con i suoi rami e le sue lunghe radici, mi sembra di rivivere una delle scene del film Tomb Raider, che proprio qui è stata girata.
Dopo così tante emozioni, è il momento di tornare in albergo.
Il sesto giorno è interamente dedicato ad Angkor, con la visita di numerosi templi di primaria importanza, tra cui Bayon, Baphuon, Phimeanakas e le terrazze ricche di sculture denominate “del re lebbroso” e “degli elefanti”, fino ad arrivare al tempio che da il nome all’intero sito, l’ Angkor Wat.
Bayon è un altro luogo di incredibile bellezza. Di dimensioni ragguardevoli, esso è caratterizzato dalla presenza di 216 volti enormi, scolpiti su tutte le guglie, che dovrebbero assomigliare al sovrano dell’epoca. L’espressione è leggermente sorridente, quasi enigmatica; ovunque si volga lo sguardo in questo tempio, se ne vedono sempre alcuni e per questo motivo gli studiosi ritengono che essi rappresentino il controllo, sereno ed autoritario allo stesso tempo, del sovrano sui suoi sudditi.
Angkor Wat è il monumento più famoso dell’intera Cambogia. Esso colpisce per la sua grandiosa e spettacolare imponenza: secondo alcuni è il più grande edificio religioso del mondo. Il tempio è circondato da un enorme fossato, largo quasi 200 metri, che forma un rettangolo i cui lati sono lunghi quasi un chilometro e mezzo, che ha qualche similitudine (dimensioni a parte) con i castelli europei. All’interno delle mura, anch’esse lunghissime (rettangolo da un chilometro per 800 metri), il tempio si sviluppa su tre piani ed al centro si erge una torre alta 55 metri.
Oltre ai labirinti di gallerie, si possono ammirare i bellissimi bassorilievi, le decorazioni e le statue, tra le quali spiccano le oltre tremila ninfe celesti chiamate apsara. Il fatto che questo sia il tempio meglio conservato di tutto il sito contribuisce poi ad esaltarne la solennità. Si può dire pertanto che la fama di Angkor è del tutto meritata, anche se nella mia personale classifica al primo posto rimane Ta Prohm; per Angkor Wat, alla fine, ci sarà un onorevole terzo posto.
Anche il settimo giorno è dedicato ai templi situati nei dintorni di Siam Reap, principalmente Banteay Srei, Preah Khan ed il gruppo di Roluos.
Banteay Srei è un tempio piccolo ma nonostante ciò è un autentico gioiello. Realizzato con pietre di colore rosato, è ricchissimo di straordinarie decorazioni, così finemente scolpite che secondo i cambogiani possono essere state realizzate solo da mani femminili, da cui il nome del tempio, che significa “cittadella delle donne”. Anche qui la bellezza dell’opera umana mi ha regalato intense emozioni: secondo posto nella mia personale classifica dei templi cambogiani.
Al Preah Khan ritrovo alcuni angoli che ricordano il Ta Phrom, perché anche qui alcuni alberi sono ricresciuti sulle mura, anche se nel complesso il tempio risulta meglio conservato: la natura qui non ha ancora completato la sua battaglia contro l’uomo per la riconquista dei suoi spazi.
Il complesso di Roluos si trova ad est di Siam Reap ed i suoi templi sono tra i più antichi tra quelli costruiti dalla civiltà khmer.
La giornata si conclude in un ristorante della città dove, dopo la cena, un gruppo di ballerini si esibisce nella danza classica apsara. Bellissimi sono i costumi ed i copricapi tradizionali; affascinanti le movenze delle danzatrici che, con lenti movimenti, le mani arcuate ed un piede sollevato con la gamba piegata all’indietro, assumono la tipica posizione delle ninfe celesti, figure scolpite più volte viste in questi giorni nei templi di Angkor.
La mattina successiva (ottavo giorno) è giunto il momento di lasciare Siam Reap in direzione Kompong Thom. Ma prima di andarmene ho l’opportunità di fare un volo in elicottero sopra Angkor: l’avevo prenotato tre giorni prima, ma è rimasto in forse fino all’ultimo a causa della mancanza di altri partecipanti (bisogna essere almeno in tre). Alla fine si aggregano due turiste giapponesi e quindi il volo si può fare. Un’esperienza indimenticabile: seduto di fianco al pilota, indossate le cuffie e ascoltate le istruzioni di sicurezza, decolliamo per un breve (otto minuti) ma intenso volo sopra i cieli di Angkor. Dall’alto si domina tutta la foresta, che nasconde al suo interno e rende perciò poco visibili la maggior parte dei templi; tuttavia, al contrario degli altri, l’Angkor Wat si vede magnificamente, circondato dal suo enorme fossato d’acqua. Da qui il tempio sembra un modellino e quasi non ci rende conto della sua maestosità: è comunque fantastico osservarlo da questa posizione privilegiata. Appena atterrati all’aeroporto di Siam Reap, già cresce il rimpianto di non avere potuto fare un volo più lungo… Ma sarebbe effettivamente costato troppo.
Kompong Thom è una città situata ad est del lago Tonlè Sap, a circa metà strada tra Siam Reap e Phnom Penh. Non c’è niente di interessante da vedere, quindi posso finalmente riposarmi dopo le lunghe camminate dei giorni precedenti. L’albergo è modesto, perché qui il turismo non è sviluppato: pazienza, si tratta di una sola notte.
La tappa a Kompong Thom è comunque importante perché permette di visitare degli importanti monumenti di epoca pre-angkoriana che si trovano in questa regione, a Sambor Prei Kuk.
Perciò la prima parte del giorno seguente è dedicata alla visita di questa località, ed in particolare dei templi Prasat Sambor, Prasat Kuha Nohor e Prasat Yeay Peau. Quest’ultimo è caratterizzato da un piccolo edificio, posto all’ingresso, che è stato completamente avvolto dalle migliaia di radici tentacolari di un enorme albero che si è sviluppato proprio sopra la costruzione. Secondo la guida, l’albero non può essere eliminato perché, a parte la sua bellezza, senza di esso l’edificio crollerebbe: minato dall’età e dalle intemperie, ora rimane in piedi proprio grazie alle radici. Ciò significa che qui natura e opera dell’uomo si sono talmente fuse da creare un’ideale sinergia; inoltre, non è azzardato affermare che non solo la natura si è riappropriata del suo spazio, come a Ta Phrom, ma lo ha fatto in maniera talmente efficace e pietosa da essere essa stessa sostegno per il suo avversario sconfitto, cioè l’opera umana.
Lungo la strada che mi riporta a Phnom Penh, l’ultima tappa è la cittadina di Skuon, che deve la sua notorietà a delle abitudini alimentari dei suoi abitanti un po’ … Particolari.
Dopo un breve pranzo in una modesta locanda, vengo avvicinato da una ragazza con un vassoio colmo di animaletti fritti che non riesco a riconoscere: la guida mi spiega che sono grilli, e che qui sono considerati una pietanza prelibata da ricchi. Anche se non mi fanno molta impressione, dopo aver visto negli anni scorsi in Cina ed in Tailandia gli scorpioni e le cavallette fritti, preferisco declinare l’offerta.
Ma la sorpresa maggiore doveva ancora arrivare.
Mi portano a visitare il mercato, dove molte donne vendono vassoi ricolmi della specialità del luogo: ragni bolliti! Allucinante! Sono animali di colore nero intenso, di circa dieci centimetri di diametro, zampe comprese; vengono serviti con un sugo giallo non meglio identificato. No grazie: non fa per me. A un certo punto si avvicina una bambina e anche lei vende queste “leccornie”: mi porge il suo vassoio dicendomi “Spider! Spider!”. Io le rispondo in inglese che ho capito, ma non li voglio; lei però, probabilmente pensando che non avessi compreso bene, mi mostra la sua mano con il palmo aperto, sulla quale zampetta allegramente una di queste bestiole… Viva. Che schifo! E pensare che io odio i ragni…
Ritornato quindi a Phnom Penh, trascorro la mia ultima notte nello stesso hotel dove ero stato i primi due giorni.
Domani mattina mi aspetta il volo per tornare a casa: il mio viaggio in Cambogia è finito. Nel mio bagaglio di esperienza rimarranno per sempre una serie di immagini e di emozioni che non si possono dimenticare: la maestosità e la raffinatezza dei templi, testimonianza artistica ed archeologica di un’antica civiltà che ha fatto la storia; la forza della natura; l’allegria della gente, che essendo appena uscita (e sopravvissuta, nel vero senso letterale della parola) da un periodo storico tremendamente tragico, vive la sua povertà con dignità e spensieratezza, perché prevale la gioia di essere vivi, rappresentando con questo atteggiamento un insegnamento dal quale noi occidentali dovremmo prendere esempio. Sempre.