Australia no worries…

Cronaca e consigli per organizzare un tour nel sud est-centro-nord est dell’Australia…
Scritto da: imperodelleluci
australia no worries...
Partenza il: 11/08/2010
Ritorno il: 04/09/2010
Viaggiatori: 2
Spesa: 4000 €
Noi abbiamo trascorso in Australia circa 3 settimane e speso, tutto compreso, circa 5000 € a testa inclusi viaggi, hotel, mezzi vari di locomozione, pranzi, cene, souvenirs.

Ecco il nostro tour:

SYDNEY

… ed eccoci finalmente atterrati a Sydney dopo uno scalo di due giorni a Hong Kong (racconto nella sezione dedicata). Atterriamo alle 8 di mattina e subito ci dirigiamo a prendere i bagagli che avevamo imbarcato alla stazione del treno di HK e che ovviamente arrivano puntualmente.

Per raggiungere il centro prendiamo l’aerolink (linea verde) che con circa 15 € ci porta alla stazione di Wynyard in 20 minuti. Questa linea consente di raggiungere in brevissimo tempo tutte le fermate centrali e parte un treno da e per l’aeroporto ogni 15 minuti circa.

Il nostro hotel, il Travelodge Wynyard si trova proprio a pochi passi dall‘omonima stazione, in York St., una parallela di George e Pitt St., le due strade principali di Sydney. L’hotel è semplice ma pulito, i mobili sono abbastanza recenti e il prezzo onesto considerando la posizione centralissima e la comodità con i mezzi pubblici.

Dopo esserci riposati un po’ usciamo e ci dirigiamo verso The Rocks e Circular Quay per vedere subito l’Opera House e il mercatino di The Rocks che è molto carino anche se molto molto turistico e con prezzi abbastanza cari.

Alcuni amici che vivono a Sydney ci hanno poi portati a Watson’s Bay (raggiungibile anche con una bella gita in ferry da Circular Quay) per vedere il tramonto sulla baia e le scogliere. Lì c’è anche un famoso ristorante di pesce con take away (Doyles) per fare un bel pic nic sul prato.

Quindi siamo andati a cena a Mainly in un ristorante sul lungomare.

Il giorno seguente ci siamo mossi a piedi visitando il centro ed arrivando fino al quartiere cinese e al Paddy’s Market che in realtà è un agglomerato di bancarelle di souvenirs vari e neanche troppo a buon mercato, tutte gestite da cinesi e con prodotti made in china. Se cercate artigianato locale originale dubito che lo troverete là. Abbiamo poi presto la Metro Monorail, un trenino monorotaia con il quale è possibile fare un tour circolare sopraelevato nel centro città, passando anche per Darling Harbour: senz’altro turistico ma carino. Dopo essere scesi in George St., abbiamo pranzato nella food court di Mayers, un grande centro commerciale. Le food court dei centri commerciali in generale sono una buona soluzione per il pranzo poiché vi sono numerosissimi corners di cucina etnica di qualità discreta e con una cifra davvero onesta si può fare un pranzo completo.

Il giro è proseguito verso i Royal Botanic Gardens e di nuovo la zona di Circular Quay dove abbiamo visto l’Opera House da vicino.

Il terzo e purtroppo ultimo giorno abbiamo visitato Darling Harbour ed il Museo Marittimo (gratuito e molto interessante), pranzato al Fish Market (per raggiungerlo si prende Union St., la strada dietro il museo Marittimo, e ci si impiega circa 15 minuti a piedi) che in realtà è una sfilza di pescherie/ristoranti dove comprare il pesce a prezzi non così economici e mangiare sulla terrazza esterna facendo molta attenzione ai gabbiani che attaccano gli avventori, in cerca di cibo.

Il vero e proprio Fish Market può essere visitato all’alba quando iniziano le aste e le contrattazioni, chiedendo l’autorizzazione all’interno del mercato.

Il nostro giro si è concluso con una breve gita in ferry da Darling Harbour a Circular Quay da dove abbiamo preso un autobus e siamo andati a Bondy Beach a vedere il tramonto. A quell’ora c’era poca gente, pochi locali aperti e qualche surfista in acqua, però merita comunque un giro.

Rientrati in hotel per riposarci un po’, abbiamo poi cenato a Darling Harbour al Black Bird (cucina australiana e prezzi medi per essere a Sydney). C’è da dire che a nostro parere Sydney, come il resto dell’Australia, non sono affatto a buon mercato sia in generale che per quanto riguarda i ristoranti, che hanno costi assolutamente europei. A buon mercato ci sono solo alcuni fast food e le food courts dove con 10-15 € si riesce a fare un pasto completo, ma la qualità è chiaramente inferiore rispetto ai ristoranti. E’ inoltre importante specificare che la maggior parte delle food court sono aperte solo durante il giorno.

MELBOURNE

Il nostro soggiorno a Melbourne è durato un paio di giorni. Arrivati in aereo da Sydney in mattinata, abbiamo preso uno shuttle bus che con circa 15 € a testa ci ha portati davanti al nostro hotel, il Causeway Inn, in una laterale di Bourke Street, la strada pedonale del centro.

L’hotel è in ottima posizione, veramente centrale e a pochi passi da tutte le principali attrazioni, anche se a dire il vero il centro di Melbourne è molto compatto e semplice da girare. Ci hanno assegnato una stanza da poco rinnovata all’ultimo piano: le dimensioni sono alquanto limitate però la stanza è nuova e pulita ed in effetti va più che bene considerando che si gira tutto il giorno e si sta in hotel solo per riposare.

Abbiamo iniziato con il Victoria Market che è aperto solo alcuni giorni la settimana dalle 9 alle 14 (sicuramente il martedì e il giovedì) dove purtroppo rispetto all’ultima volta che ci ero stata i venditori cinesi si sono moltiplicati esponenzialmente. Anche qui si trovano souvenirs cinesi finto-australiani a prezzi abbastanza economici, Ugg a buon prezzo (gli stivali di pelle e pelo di pecora australiana), frutta, verdura e alimenti vari, abbigliamento, etc… Di fronte c’è una piccola food court dove si può pranzare. Da qui abbiamo preso il tourist bus gratuito (la fermata è proprio dietro il mercato) che in circa un’ora e mezza fa fare il giro del centro. Si tratta di una sorta di hop-on hop-off dove si può scendere a piacimento alle varie fermate e risalire sul bus successivo. Il giro arriva fino ai docklands e prosegue poi verso Southbank, i giardini botanici e il museo d’arte moderna per poi tornare verso il centro passando anche per Carlton, il quartiere italiano.

Noi siamo scesi a Federation Square dove si trovano vari bar, ristoranti e musei (appena aperto quello dedicato agli Abba!), la cattedrale di St. Peter (la più antica d’Australia) e quindi siamo rientrati in hotel passando per Swanston St. e facendo un po’ di shopping nei tanti negozi che ci sono in quella zona. Per cena siamo andati nel lungo fiume al Blue Train (una sorta di pub ristorante al primo piano di un centro commerciale che dà sullo Yarra River), quindi abbiamo concluso con una birra all’Irish Pub che si trova all’interno dello stesso centro commerciale.

Il giorno seguente visto il maltempo abbiamo deciso di non visitare i giardini botanici (che però credo sicuramente meritino una visita) e ci siamo persi tra le strade e stradine nel centro tra bar e negozietti di tutti i generi: i prezzi a Melbourne mi sono sembrati leggermente inferiori a quelli di Sydney, a parte per quanto riguarda i ristoranti che hanno sempre prezzi abbastanza salati.

Il pomeriggio visto che continuava a piovere abbiamo approfittato della late night del museo d’arte moderna dove era in corso una bella mostra sugli artisti europei delle avanguardie del ‘900 nonché di un concertino di un gruppo jazz stile anni ’20 d’ispirazione tedesca proprio nella sala adiacente all’ingresso principale, con soffitti dai vetri cloisonnés colorati. Informandosi prima si riesce a partecipare a dei bellissimi eventi a tema, sia gratuiti che a pagamento, organizzati dal museo in occasione delle varie mostre in corso. Inoltre accanto si trova il teatro di Melbourne, dalla fitta scaletta per quanto riguarda prosa, poesia e soprattutto balletto.

L’ultima cena è stata davvero tragica: seguendo i consigli di alcuni articoli pubblicati in TPC e anche nella Lonely Planet abbiamo deciso di cenare al Movida, un ristorante di tapas spagnolo molto apprezzato e frequentato da turisti e dai locali. Il locale è senz’altro carino, le tapas gustose e originali, ma di tapas si tratta in tutti i sensi (le porzioni sono ridicole) con prezzi da nouvelle cuisine. Anche ordinando una raciòn (piatto principale, che in Spagna è sempre molto abbondante) ci si alza con la fame (a noi hanno presentato 8 bocconcini di tentacolo di polpo e un quadratino di agnello), nonostante si spendano tra i 30 e i 40 € a testa. Così abbiamo deciso di provare anche la cucina italiana del Solito Posto: anche lì prezzi alti (un piatto di gnocchi fritti nell’unto si aggira attorno ai 18 €), le porzioni sono sempre molto calibrate, però la qualità è abbastanza buona.

Dopo le batoste culinarie abbiamo finito la serata allo Cherry, un famoso locale rock (molto rock in tutti i sensi) in AC/DC lane, dove c’era un concerto live tra nostalgici dei gruppi metal anni ’80. Da vedere per appassionati del genere come mio marito.

GREAT OCEAN ROAD

L’indomani mattina abbiamo ritirato la macchina a noleggio e siamo partiti per la Great Ocean Road. Col senno di poi consiglio di partire verso le 9 di mattina (noi tra una cosa e l’altra abbiamo perso un po’ di tempo e siamo partiti alle 11) per sfruttare il più possibile le ore di sole e fare le cose con calma. Prima tappa Geelong, dove ci siamo fermati a prendere un caffè al Victoria Pub sul lungomare (noi non abbiamo mangiato ma credo si trattasse di un ottimo indirizzo visti i piatti che servivano e la quantità di clienti), quindi abbiamo proseguito per Torquay per vedere le varie spiagge di surfisti (Bells Beach, dove hanno girato anche Point Break, è davvero impressionante, arroccata su una scogliera in mezzo al verde). Quindi abbiamo proseguito per Lorne dove ci siamo fermati per pranzo a mangiare un fish&chips di dimensioni mastodontiche proprio in centro e per vedere le cascate (Erskine Falls), che si trovano a circa 8 km dal centro.

Siamo poi passati per Apollo Bay senza fermarci perché iniziava a piovere e la strada fino a Warrnambool, dove dovevamo pernottare, era lunga. Siamo passati per il Cape Otaway National Park sotto un diluvio universale che purtroppo ha continuato ad imperversare anche al nostro arrivo ai 12 Apostoli. La bufera e il buio che avanzava ci hanno proprio impedito di fermarci e quindi abbiamo proseguito per Warrnambool ripromettendoci di ritornare l’indomani mattina. A questo proposito credo, vista la mole di cose da vedere in questo tratto di strada (nel giro di una decina di km ci sono ben 7 punti di osservazione che meritano assolutamente di essere visti e per i quali, se visti con calma, si “perdono” circa 3 ore), io consiglierei di fermarsi a dormire a Port Campbell in modo tale che se non si riesce a vedere tutto il primo giorno si può proseguire con la visita il giorno successivo.

Arrivati stremati a Warrnambool dopo km sotto la bufera in mezzo alla campagna più profonda abbiamo cenato al nostro hotel, il Best Western South Maritime, e siamo andati a letto. L’hotel è in posizione centrale per poter visitare la marina e gli edifici storici (che però non sono niente di speciale), mentre ad una decina di km dal centro si trova il punto dove osservare le balene (quando ci sono). Noi siamo stati fortunatissimi e nei 10 minuti che siamo stati lì siamo riusciti a vederne una sbattere la coda 2-3 volte, ma ammetto che non sia così semplice, soprattutto perché è una zona molto ventosa con mare molto mosso e non sempre gli avvistamenti sono facili.

Spuntato il sole siamo tornati sui nostri passi verso Port Campbell (sono circa 60 km) non senza fermarci a comprare un po’ di formaggio allo spaccio della Warrnambool Cheese&Butter Factory, la fabbrica di formaggio che credo dia lavoro alla maggior parte degli abitanti della zona, visti i migliaia di litri di latte che trasforma ogni giorno.

Le scogliere che abbiamo visto lasciano senza fiato, e vista la mutevolezza del tempo (il vento è fortissimo e le nuvole si muovono velocissime) capiamo subito perché l’abbiano chiamata la Shipwreck coast (costa dei naufragi): una quantità impressionante di navi infatti si sono incagliate o infrante sulle scogliere tentando di approdare ai porti di Melbourne o Warrnambool. La storia delle varie tragedie navali è ampiamente spiegata da pannelli illustrativi presso i vari lookout, e devo dire che oltre ai 12 apostoli (ormai rimasti 8) la tappa che ci è piaciuta di più è stata The Grotto: un arco all’interno del quale si infrangono onde altissime e che dà davvero l’idea della potenza della natura.

Come dicevo per vedere tutti i punti interessanti della costa servono circa 3 ore, quindi verso ora di pranzo siamo tornati verso Warrnambool dove abbiamo fatto la spesa al supermercato sulla statale e abbiamo proseguito per il Tower Hill National Park mangiando un panino in macchina.

Questo parco nazionale, a torto poco pubblicizzato dalle guide, è a dir poco sensazionale: adagiato in mezzo ad un lago di origine vulcanica, il cui splendore si nota già all’arrivo, consente di percorrere alcuni tratti in macchina e di fare il giro di tutto il parco, mentre volendo ci sono anche 3-4 percorsi a piedi di varie difficoltà e durate. Tutte le informazioni sono su alcune brochures che si trovano al centro informazioni all’interno del parco. Dal centro informazioni siamo partiti in macchina e abbiamo fatto il giro del parco, che dura circa mezz’ora. Poco dopo le prime curve ci siamo imbattuti nei primi canguri del viaggio: vivono liberi nel parco e bisogna fare un po’ d’attenzione per vederli. A noi un paio hanno attraversato la strada proprio mentre c’eravamo fermati ad osservare un gruppo d’emu non lontano da noi. La sorpresa e l’emozione sono state grandi perché non ci aspettavamo di vedere dei canguri liberi così da vicino. Io però mi ero fissata e volevo vedere assolutamente i koala, che sono ben più difficili da identificare perché se ne stanno raggomitolati sui rami più alti degli alberi di eucalipto. Quando arrivati quasi al termine del parco davamo ormai per certo che non saremmo riusciti a vederli, ecco che mi accorgo di due koala che dormivano su un albero proprio vicino alla strada. Con enorme euforia ci fermiamo e scattiamo un sacco di foto. Poi ripartiamo verso Mount Gambier, la nostra prossima tappa.

Durante la strada attraversiamo distese di pianure, piccoli villaggi, lunghi tratti di foreste. Ci fermiamo a Port Fairy a scattare qualche foto ai pescherecci del piccolo porto proseguendo poi per Ocean Drive, una strada che costeggia l’oceano e che rapisce per la violenza delle onde che si infrangono sulla costa.

Abbiamo attraversato luoghi davvero sperduti e all’imbrunire abbiamo iniziato a vedere alcuni canguri sul ciglio della strada, vivi, e purtroppo anche alcune carcasse, investiti dalle auto. Di sera guidare può diventare molto pericoloso perché non c’è alcuna illuminazione fuori dai centri abitati e si fa molta fatica a scorgere gli animali che attraversano la strada.

SOUTH AUSTRALIA

Arriviamo a Mount Gambier verso le 18.00, pernottiamo al Quality Inn Residential, un hotel a pochi minuti in auto dal centro, dallo standard medio, niente di eccezionale. Ceniamo al Vanilla Bean, un ristorante su Commercial St. abbastanza frequentato dai locali: i ristoranti non sono molti e questo è molto carino e si mangia bene a prezzi onesti.

Il giorno dopo aver fatto la spesa al Woolworth in centro, ci fermiamo a vedere uno degli sinkholes della zona, situato proprio dietro Commercial St., accanto al municipio: si tratta di ampi buchi nel terreno all’interno dei quali sono stati coltivati in maniera impeccabile degli splendidi giardini. Ce ne sono diversi in zona che vale la pena visitare. Dopo una veloce fermata al Blue Lake proseguiamo verso la Fleurieu peninsula per imbarcarci per Kangaroo Island.

Lungo la strada abbiamo fatto una sosta a Robe, grazioso villaggio sul mare brulicante di turisti, dove abbiamo assistito ad una delle numerose auctions per la vendita di terreni e abbiamo acquistato una bottiglia di Shiraz in un negozio specializzato (nei normali supermercati non vendono alcolici). Proseguiamo attraversando il Coorong National Park che comprende circa 150 km di lagune, laghi e pianure, fino ad arrivare a Meningie, dove abbiamo mangiato un panino seduti sulle panchine in riva al lago. E’ l’unico villaggio per molti km e quindi sosta quasi obbligata per riposarsi o utilizzare le pulitissime toilette pubbliche. E’ incredibile come tutti i paesini, anche i più piccoli e sperduti, abbiano delle toilette pulitissime, sempre fornite di carta igienica, sapone, salviette e acqua calda. Il paragone viene spontaneo con l’Italia…

Proseguiamo per Murray Bridge, dove attraversiamo il fiume su una sorta di chiatta che fa la spola da una riva all’altra, quindi, tra gli splendidi vigneti della Fleurieu Peninsula, terra che fece la fortuna di diverse famiglie di viticoltori italiane e francesi immigrate nel XIX secolo, raggiungiamo le belle cittadine marittime di Port Elliott e Victor Harbor. Purtroppo non abbiamo molto tempo per fermarci perché alle 18.00 ci attende il traghetto per Kangaroo Island da Cape Jervis.

KANGAROO ISLAND

Dopo circa un’ora arriviamo a Kangaroo Island. Fortunatamente il nostro hotel, il Kangaroo Island Lodge, si trova a pochi passi dal molo, perché siamo molto stanchi. Ci assegnano un bellissimo lodge nel verde, completo anche di salottino e angolo cottura. Ceniamo nel ristorante dell’hotel, facciamo una breve passeggiata sperando di vedere qualche pinguino e poi andiamo a dormire.

Il giorno dopo partiamo in direzione del Seal Bay Conservation Park e per raggiungerlo azzardiamo una pista non asfaltata, fattibile solo se non piove da tanto, perché altrimenti la strada di terra battuta sarebbe inagibile. Ci perdiamo un paio di volte visto che le indicazioni non abbondano, poi da una casa spersa nel nulla esce una signora molto gentile che ci spiega quale direzione prendere per raggiungere la strada asfaltata. Un’esperienza divertente, da fare solo di giorno, di sera sarebbe allucinante senza insegne né illuminazione. Raggiungiamo Seal Bay e andiamo a vedere le colonie di leoni marini che spiaggiano. Ci è piaciuto molto perché gli animali si vedono abbastanza da vicino anche se si è costretti a rimanere sulla passerella. Alcune volte al giorno, in orari prestabiliti, ci sono anche visite guidate che consentono di raggiungere la spiaggia e vedere i leoni ancora più da vicino. Ripartiamo alla volta del Flinders Chase National Park, fermandoci a vedere la Koala Walk: vedere bene i koala è impossibile perché sono abbarbicati sui rami più alti, ma in compenso si vedono benissimo canguri e wallabies nel prato antistante. Al Flinder Chase, dopo aver acquistato il biglietto d’ingresso, proseguiamo per vedere Remarkable Rocks: si tratta di alcuni massi molto imponenti situati proprio sulla scogliera a picco sul mare. I venti molto intensi li hanno scolpiti nel tempo dando loro delle forme e delle curve impressionanti. Davvero suggestivo. Ci dirigiamo quindi verso Admirals Arch, un arco di roccia scolpito dalle onde, attorno al quale si spiaggiano numerose lontre della Nuova Zelanda: sono davvero tante e si possono vedere e, purtroppo, annusare, dalle passerelle in legno costruite appositamente. Noi siamo arrivati poco prima del tramonto e devo dire che anche questo punto merita davvero il viaggio. Siamo rientrati col buio, dribblando le carcasse di canguri sulla strada. Kangaroo Island da un punto all’altro è lunga circa 150 km e dunque siamo tornati a Penneshaw stanchi ed affamati. Prima di cenare però siamo andati al Penneshaw Penguin Center dove una guida dall’accento australiano strettissimo e quasi incomprensibile ci ha accompagnati sulla costa armati di torce a scoprire i pinguini e i loro nidi. I pinguini di Kangaroo Island sono piccolissimi (per questo si chiamano “minori”) ed è davvero difficile vederli nella notte, però è stato divertente, nonostante il freddo. Stanchissimi della giornata abbiamo mangiato in appartamento un’ottima porzione di lasagne al microonde acquistata al supermercato dietro l’hotel, annaffiata dal buonissimo Shiraz acquistato a di Robe e siamo andati a dormire.

ADELAIDE

L’indomani mattina ci siamo imbarcati nuovamente per tornare a Cape Jervis, da dove abbiamo raggiunto Adelaide nel pomeriggio. La città per quel poco che siamo riusciti a vedere sembra carina e compatta: il centro ha una pianta rettangolare suddivisa perfettamente in strade perpendicolari. Abbiamo fatto una passeggiata nella pedonale Rundle Mall e poi siamo andati a riposarci in hotel, il Mercure Grosvenor: carino ed in posizione abbastanza centrale, vicino alla stazione centrale.

Per cena ci siamo diretti verso Rundle St., che pullula di bar e ristoranti per tutti i gusti, dove abbiamo mangiato dell’ottima carne alla griglia al The Stag, all’angolo con East Tce. Qui si può mangiare a metà prezzo anche a cena, in base alle promozioni della settimana.

Il giorno seguente abbiamo riconsegnato la nostra Toyota Camry all’aeroporto e ci siamo imbarcati per Alice Springs.

RED CENTRE

Atterriamo verso l’una e andiamo subito all’Aurora Resort. L’hotel è a 15 minuti a piedi dal centro e non è assolutamente niente di speciale, ma per una notte può andare bene. Andiamo subito in centro e pranziamo in uno dei centri commerciali situati in una delle tre strade principali. Qui finalmente vediamo i primi aborigeni e con molta tristezza ci accorgiamo che non sono assolutamente integrati con il resto della popolazione, girano in gruppi, trasandati e sciatti, alcuni sono ubriachi. Ci rendiamo subito conto dei danni provocati dalla colonizzazione violenta di questo territorio sulle popolazioni locali. Visitiamo qualche negozio di souvenirs e alcune belle gallerie d’arte che vendono opere di artisti aborigeni. Dopo un po’ d’indecisione cediamo alla tentazione di acquistare un quadro e, contrattando con la gallerista, ci accaparriamo davvero un bel pezzo, dipinto da un’artista che avrebbe esposto in una personale di lì a poco. Speriamo diventi famosa e che il nostro bel quadro decuplichi il suo valore… J

Rientrando in hotel passiamo all’agenzia AAT King con la quale avevamo prenotato il nostro tour del Red Centre e scopriamo che avevano cambiato il giro ed annullato la nostra notte a King’s Canyon. Questo tour operator ha praticamente il monopolio delle escursioni nella zona e quindi cambia i tour a seconda di quanti passeggeri ha e di come deve incastrare andate e ritorni. Noi dovevamo visitare Kings Canyon, pernottarvi e il giorno dopo raggiungere Ayers Rock. Invece nonostante le mille insistenze l’indomani avremmo raggiunto direttamente Ayers Rock.

Un po’ amareggiati per il cambio di tour andiamo a cena al Red Ochre Grill dove assaggiamo grigliata di emù, canguro e coccodrillo ad una cifra non proprio economica, ma ormai siamo abituati ai prezzi dei ristoranti. Il giorno dopo ci alziamo ben prima dell’alba perché alle 5 ci attende una vichinga in divisa da Giovane Marmotta per portarci in bus ad Ayers Rock. Arrabbiatissima perché avevamo 4 minuti di ritardo, non ci rivolge parola fino a mattina inoltrata. Nel frattempo ci fermiamo a bere un caffè da Jim’s Place e abbiamo l’onore di sentire le performances canore del singin’ Dingo: si tratta di un dingo ammaestrato dal proprietario del bar, che quando è in vena sale su un vecchio pianoforte, cammina su e giù sulla tastiera ed ulula. Mi ha fatto più pena che piacere ma pare da quelle parti sia un’istituzione. Il viaggio è stato molto confortevole, soprattutto visto che eravamo in 4 in un bus da 52 persone. Abbiamo raggiunto in tarda mattinata il centro visitatori di Uluru, dove c’è un piccolo museo che spiega brevemente usi e costumi degli aborigeni del luogo, un bar molto costoso (noi avevamo, come sempre, i nostri panini comprati da Woolworth) e un negozio di artigianato locale. Dopo una pausa abbiamo raggiunto l’Uluru insieme alla vichinga, che ci ha fornito qualche breve spiegazione sulle leggende secolari basate su questo magico luogo. La montagna riflette dei colori diversi in base alla luce del sole e devo dire che, forse per la carica di aspettativa che avevamo, è un bello spettacolo ma non eccezionale. Ci dirigiamo quindi ai monti Olgas, a circa venti minuti in bus dall’Uluru. E’ impressionante vedere come ad una tale distanza, nel bel mezzo del deserto, ci siano due promontori così simili. Qui abbiamo passeggiato attorno ed all’interno, tra i due monti. In nessuno dei due casi consiglio di salire, poiché si tratta di luoghi sacri agli aborigeni e scalarli significherebbe mancare loro di rispetto. Siamo quindi tornati all’Uluru per vedere il tramonto: la vichinga ci ha consegnato il vassoio stile aereo con la cena e ci siamo gustati il tramonto in mezzo a comitive chiassose di greci, italiani, australiani, giapponesi. La nostra impressione è che la magia del luogo si sia persa tra le frotte di turisti che a tutte le ore ammirano questo promontorio. E’ straordinario vedere quanti colori diversi possa assumere la roccia a seconda dei momenti della giornata e della diversa intensità di luce, ma purtroppo la magia aborigena non si percepisce più, divorata dal turismo di massa che ogni giorno dell’anno passa di qua…

Dopo il tramonto veniamo lasciati a Yulara, il villaggio costruito per i turisti che visitano Uluru, dove pernottiamo all’Outback Pioneer Lodge in una stanza molto spartana con letti a castello e bagno privato: davvero molto basic ma ci dormiamo solo una notte e comunque all’alba ci dobbiamo alzare per il tour al Kings Canyon. Vista la parca cena fredda offerta da AAT Kings decidiamo di andare al ristorante del lodge, dove a prezzi per nulla economici ci cuciniamo della carne alla griglia. L’atmosfera è molto easy and friendly perché si mangia sotto una specie di tensostruttura su panche di legno ascoltando un chitarrista che canta cover famose. Sembra di essere ad una sagra di paese.

L’indomani partiamo all’alba per Kings Canyon dove arriviamo dopo circa tre ore e mezza di viaggio, sempre con AAT Kings. Il tour a piedi del Canyon è di due tipi: c’è un percorso breve, di circa un’ora e mezza e molto semplice, e quello più lungo che dura circa tre ore. A parte il tratto iniziale, tutto in salita, questo percorso non è per niente impegnativo e senz’altro molto suggestivo, per cui consiglio senza dubbio il più lungo dei due. Meglio portarsi da bere perché durante il percorso non ci sono luoghi di ristoro. Premetto che non ho mai visto i Canyon americani, ma devo ammettere che questa escursione ci è piaciuta moltissimo: la giornata era splendida ed i colori delle rocce incredibilmente intensi. La guida che ci accompagnava ci ha spiegato la genesi del Canyon e la sua storia. Siamo arrivati ad un punto molto suggestivo con cascatelle ed acqua corrente, mentre altri punti panoramici erano veramente mozzafiato.

Nel pomeriggio siamo rientrati a Yulara dove finalmente ci attendeva una vera e propria camera sempre all’Outback Pioneer ma stavolta all’hotel. La sera abbiamo cenato nuovamente al ristorante con un hamburger ed una birra nell’atmosfera conviviale ed internazionale del lodge.

La mattina seguente, prima di andare all’aeroporto, siamo andati a piedi al centro commerciale dove abbiamo fatto colazione, un po’ di spesa ed un po’ di shopping nei negozietti di artigianato.

Con circa due ore di volo abbiamo finalmente raggiunto Cairns, non senza lasciarci alle spalle qualche riflessione sul Red Centre: sicuramente è una tappa interessante per chi si recasse in Australia, ma la magia dei luoghi, del popolo aborigeno e delle sue ancestrali leggende è assolutamente offuscata dalla mole di turisti che ogni giorno dell’anno visitano la regione. Anche per questo la qualità del servizio turistico è scarsa in proporzione ai prezzi, e si ha proprio la percezione di arrivare in un ambiente creato apposta per spillare denaro ai visitatori.

QUEENSLAND

A Cairns ritiriamo la macchina a noleggio e ci dirigiamo verso Palm Cove, dove per due notti pernotteremo agli Elysium Apartments, a due passi dal lungomare e dal centro del paese.

Gli appartamenti sono belli, nuovi, con tutti i confort e ad un prezzo abbastanza ragionevole. Ci cambiamo ed usciamo per cena: sul lungomare ci sono parecchi ristorantini. Ci facciamo attrarre da un locale molto carino dove mangiamo ostriche e pesce buonissimo quasi in riva al mare.

Il giorno dopo ci dirigiamo verso Daintree per visitare la foresta tropicale. Lungo la strada, dopo il villaggio di Mossman dove purtroppo non abbiamo fatto in tempo a vedere le famose Mossman Gorges, abbiamo fatto un tour di circa un’ora sul Daintree River alla scoperta di coccodrilli e serpenti in mezzo alle mangrovie. Il luogo dove imbarcarsi è sulla strada per Cape Tribulation, poco prima dell’imbarcadero per la chiatta per attraversare il fiume in auto. Vi sono escursioni diverse di durata variabile ma grossomodo il tour è sempre lo stesso.

Proseguiamo quindi in direzione nord verso il Daintree Discovery Centre: la strada è bella, in mezzo alla foresta tropicale e in alcuni punti vi sono dei tratti panoramici splendidi dai quali si vede la costa e l’oceano.

Il Discovery Centre è interessante perché si passeggia su passerelle aeree ammirando la flora tropicale con il supporto di un’audioguida disponibile anche in italiano. Purtroppo non siamo riusciti a vedere nessun animale, neanche i famosi Casuari, che tanto speravamo d’incontrare.

Sfortunatamente inizia a piovigginare, ma del resto siamo nella Wet Forest… quindi decidiamo di rientrare passando per Port Douglas, dove ci fermiamo a bere un aperitivo. Il centro è molto carino e movimentato, pieno di locali e negozi e molto più grande rispetto a Palm Cove. Però quest’ultima ci sembra molto più raccolta e romantica. Dopo esserci riposati decidiamo di mangiare una pizza dal famoso Il Forno, una pizzeria gestita da italo-australiani al Paradise Village, una sorta di piccolo centro commerciale all’aperto con qualche ristorante e negozio, sempre sul lungomare. Devo dire che è la migliore pizza mangiata in Australia e se avete nostalgia di casa, vi consiglio di cenare qua…

Il giorno seguente il tempo è pessimo ma decidiamo comunque di partire per l’Atherton Tableland, dove ci fermiamo a Lake Barrine e quindi Lake Eacham, popolato di tartarughe e pesci che si possono ammirare dalle balaustre in legno del sentiero che costeggia il lago. E’ pieno di famiglie e amici che preparano il barbecue in riva al lago, ed il profumo di carne alla griglia ci fa venire l’acquolina in bocca. Ripartiamo alla volta di Malanda, dove all’unico supermarket aperto compriamo il necessario per il pranzo. Il paese sembra un villaggio di cent’anni fa nel far west. Oltre al centro che vende il latte ed i formaggi delle fattorie locali, ci sono pochi negozietti ed una specie di saloon dove i locali stavano giocando alla corsa degli scarafaggi. Un po’ scioccati ripartiamo verso le famose Millaa Millaa Falls ma sulla strada troviamo una sorta di laghetto sportivo dove promettono di far avvistare gli ornitorinchi… avvistati o rimborsati! Io non resisto: è dai tempi dei cartoni animati giapponesi ambientati in Australia che sogno di vedere un ornitorinco e quindi costringo Marco a fermarci e aspettare la prossima visita. Purtroppo inizia a piovere ma noi, stoici nonostante il freddo, rimaniamo impalati sulla riva del laghetto insieme ad una coppia di giovani australiani e al proprietario vestito da Indiana Jones che insiste per convincerci che quelle macchioline nere che appaiono e scompaiono in mezzo al laghetto siano davvero degli ornitorinchi. Dopo circa venti minuti sotto il diluvio Marco si spazientisce e quindi decidiamo di risalire in macchina e proseguire il viaggio.

Arriviamo finalmente alle Millaa Millaa e devo dire che sono davvero suggestive: in mezzo alla foresta, un po’ nascoste tra la vegetazione, lasciano davvero senza fiato. Purtroppo il maltempo rovina un po’ l’atmosfera e quindi ripartiamo alla volta di Cairns, dove pernottiamo all’Heritage Hotel. L’hotel è abbastanza centrale e seppur non lussuoso ci viene assegnata una bella stanza con idromassaggio, del quale approfitto subito.

Per cena andiamo in centro sul lungomare ma purtroppo ceniamo in un locale dove la qualità del cibo è veramente scarsa. Il pesce viene quasi sempre fritto e quindi, anche se sarebbe molto gustoso, il sapore viene coperto dalla frittura. Consigliamo quindi di chiedere sempre se il pesce viene servito fritto e farselo invece grigliare. Proprio in centro ci sono moltissimi negozi di souvenirs a prezzi convenienti, per cui Cairns si rivela un ottima soluzione per acquistare regali da portare a casa.

Vicino al lungomare c’è anche il night market, che però ormai è popolato di bancarelle e negozietti gestiti da cinesi, quindi non c’è praticamente più nulla di realmente originale od artigianale.

Il giorno dopo prendiamo il motoscafo per Green Island sotto una pioggia torrenziale. Il tragitto è tragico a causa del mare mosso, intere comitive di giapponesi si sentono male ma io resisto sperando che il viaggio sia breve. Arriviamo in questo atollo tropicale splendido e subito ci assegnano una camera nei lodge che compongono il resort. Le stanze sono spaziose, arredate in stile etnico e con una bella terrazzina che si affaccia sulla piccola foresta che occupa il centro dell’isola.

Verso sera, sempre sotto la pioggia, assistiamo al fish feeding dal pontile: gli animatori del resort portano piccoli pesci che lanciano nell’oceano in modo da attirare i pesci da far ammirare ai turisti. Arrivano piccoli squaletti grigi, red snappers, altri splendidi pesci colorati e rientrando vediamo anche un paio di tartarughe proprio vicino alla riva. Ci viene offerto un aperitivo e quindi ceniamo all’unico ristorante presente sull’isola, quello del resort. La cena non è economica ma ogni sera mangiamo benissimo: il pesce è ottimo, i piatti gustosi ed originali. Considerando che non c’è altra scelta devo dire che è uno dei posti in cui abbiamo mangiato meglio.

L’indomani lo trascorriamo nella bella spiaggia dell’isola tra snorkeling e bagni di sole: nuotando ci imbattiamo in alcune tartarughe e da lontano pare di vedere anche un dugongo!

Purtroppo a causa di due maleducatissime e rumorosissime famiglie bresciane nostre vicine di stanza, siamo costretti a farci cambiare camera: mi chiedo come sia possibile che anche dall’altra parte del mondo noi italiani riusciamo a distinguerci per non saper rispettare la privacy altrui…

Il giorno seguente invece partiamo con una motonave che ci porta in mezzo all’oceano a fare snorkeling, proprio sulla barriera corallina. L’esperienza è davvero fantastica anche se assolutamente turistica: attracchiamo su una sorta di chiatta galleggiante in mezzo al nulla, super attrezzata con tavoli, sedie, angolo buffet e tutto il necessario per affittare le mute e cambiarsi. Ci tuffiamo e a pochi metri da noi ci troviamo sopra la barriera corallina a nuotare tra splendidi pesci. Purtroppo dopo meno di un’ora inizia a piovigginare e il mare si fa mosso, quindi risaliamo, pranziamo e poi approfittiamo della barca dal fondo di vetro per vedere ancor meglio flora e fauna sottomarina. Rientriamo a Green Island per la nostra ultima notte sull’isola: sfortunatamente l’indomani pomeriggio rientreremo a Cairns, non prima di aver trascorso la giornata sulla spiaggia.

A Cairns alloggiamo nuovamente all’Heritage nella nostra stanza con idromassaggio, ceniamo in un altro locale del lungomare e poi rientriamo a fare le valigie.

L’ultimo giorno in Australia lo trascorriamo facendo un po’ di shopping prima di prendere il volo che ci porterà a Singapore per l’ultimo stopover prima di rientrare.

CONCLUSIONI

Ci sono alcuni lati dell’Australia che ci sono piaciuti moltissimo: una natura così diversa da quella che siamo abituati a vedere, animali bizzarri, spazi sconfinati ed incontaminati, splendide città moderne come Sydney e Melbourne, la barriera corallina e gli atolli tropicali. Altri aspetti ci sono piaciuti un po’ meno: i cadaveri di canguro sul ciglio delle strade, la cucina un po’ monotona e pesante, i prezzi non più così economici, gli australiani non sempre così friendly come ce li immagineremmo, e poi, in alcuni luoghi sembra di essersi fermati a cinquant’anni fa, con i pro ed i contro della cosa.

Si tratta di un Paese comunque accogliente, e semplice da girare, ma il viaggio è senz’altro costoso sia per i voli che ovviamente incidono parecchio, sia anche per gli hotel ed i ristoranti, assolutamente equiparabili nei prezzi ad una capitale europea. In ogni caso è molto semplice organizzare il viaggio in autonomia: l’agenzia non serve per nulla. La guida a sinistra non è così tragica e c’è il vantaggio che le strade sono poco trafficate, anche se poco illuminate di sera.

Consiglio anche di acquistare una scheda sim australiana appena arrivati all’aeroporto, per poter effettuare le chiamate locali per confermare hotel, traghetti e prenotazioni varie.

Per ridurre sensibilmente i costi noi abbiamo scelto di pernottare in hotel di media categoria e di pranzare la maggior parte delle volte al sacco, facendo la spesa nei supermercati. Per cena invece siamo quasi sempre andati al ristorante, ma anche l’appartamento potrebbe essere un’ottima soluzione per mangiare un po’ più sano e contenere i costi.

Un ultimo consiglio che ci sentiamo di dare è che non vale la pena visitare l’Australia e poi fare l’estensione mare in Polinesia o alle Fiji come consigliano tante agenzie: il Queensland ha una miriade di isolette splendide proprio sulla barriera corallina che possono essere raggiunte facilmente in ferryboat o con un breve volo dalla costa, risparmiando tempo, altrimenti perso inutilmente per raggiungere altre mete senz’altro bellissime ma a cui dedicare eventualmente un altro viaggio.

Senz’altro contiamo di tornare in Australia per poter visitare la West Coast, i territori del Nord e qualche altra splendida isoletta della barriera corallina, nel frattempo ci accontentiamo di riguardare le tante foto che hanno immortalato questo splendido viaggio.



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