Australia di quasi tutta e un veloce contatto con Tokyo

Mare, giungla, deserto, città: Australia, cosa vuoi di più?
Scritto da: Stefano1966
australia di quasi tutta e un veloce contatto con tokyo
Partenza il: 14/08/2011
Ritorno il: 10/09/2011
Viaggiatori: 3
Spesa: 4000 €
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14 agosto ore 15,00 partenza da Roma per Tokyo. 12 ore di volo, niente sonno.

15 agosto

Arrivo a Narita alle 10,00 ora locale, treno Nex per Tokyo station e poi due linee metro per raggiungere Hotel Courtyard Marriott a Ginza. Caldo soffocante: 34/36 gradi con umidità pazzesca. Meglio prendere limousine che costa (per 3) come treno + metro!

Una prima considerazione: se la metropolitana è efficiente e consente di raggiungere tutta la città, non è facile orientarsi tra le moltissime linee e i nomi dei capolinea; fortunatamente le fermate hanno dei numeri progressivi che le indicano. Il vero problema, però, lo troviamo appena mettiamo piede fuori dal metrò: le vie, salvo pochissime, non hanno nome o altro elemento identificativo. I palazzi non hanno indirizzo! Devi solo orientarti rispetto ai quartieri, che si sviluppano tra le poche vie con nome, e al loro interno tra gli isolati che sono raggiungibili mediante una numerazione progressiva (non indicata) della via principale; per raggiungere, poi, il singolo edificio, devi contare i palazzi dell’isolato. In pratica un casino: appena esci dalla metro devi sperare di avete vicino una via con nome, capire da che parte è il nord o il sud, contare gli isolati e prendere la traversa che ti interessa, quindi contare i palazzi e sperare di raggiungere il tuo!

Per arrivare in albergo abbiamo avuto una scorta locale: un signore gentile che ci ha visto smarriti, ci ha materialmente accompagnati dalla fermata del metrò all’albergo, facendosi la passeggiata a 36 gradi con noi.

Distrutti dal sonno, si dorme fino alle 16,30. Fuori e’ ancora impossibile camminare: breve sosta da Starbucks e passeggiata lungo i negozi a Ginza (sfioriamo senza accorgercene Abercrombie, ma recupereremo domani). Entriamo alla Sony, ma e’ un po’ una delusione: prevalgono bambini che guardano tv 3D con pesci ! Nessuna novità hitech: ormai Italia è allo stesso livello. Decidiamo di andare a vedere la zona più folle: Shibuya. Popolata da giovani di tendenza: ragazze abbronzate con minigonne e capelli tinti. Pieno di gente e locali vari. Molto vivo, sempre caldo pazzesco! Anche in questa zona che è piena di vita, tutto pulito e ordinato. Gentili, disponibili, sorridenti: sembra proprio l’Italia! Cena da un cinese (siamo così stanchi che non ci accorgiamo che non è Nippo, ma Cina). Comunque cibo leggero. Stanchi morti torniamo in hotel e ci addormentiamo alle 10,30, per svegliarci alle 2 con gli occhi sbarrati. Si prova a dormire, ma alle 4 sveglia definitiva.

16 agosto

Si coglie occasione dell’alba e si decide di andare a vedere mitico mercato del pesce Tsukiji. Quei grandi lavoratori dei Nippo sono chiusi per una festa simile al nostro Ferragosto! Evitiamo fetido caffè Nippo con angolo fumatori puzzone (qui li odiano e li ghettizzano da morire, ma in questo caffè pare che siano preferiti ai laici) e finiamo al solito Starbucks. Alle 8,30 già in moto per andare a visitare epici giardini imperiali: delusione. O meglio, giardini carini con grosse mure difensive e fossato, il tutto con caldo soffocante che impedisce di fare qualunque cosa. Si riprende metro per andare a Shiniyuku, quartiere con grattacieli tipo Ny. Sempre temperatura folle: breve passeggiata tra i giganti in una via che potrebbe essere Madison Av, ma con zero traffico. Ormai sono le 12,30 e ci fermiamo a pranzo dentro la mega stazione metro nella quale, al mezzanino, ci sono minuscoli e pienissimi localini tipici. Si mangia Sushi speciale!

Si scappa anche da qui e si attraversa tutta la città per andare ad Asakusa a vedere il tempio Shintoista e il tempio Buddista: identici! Fiume di gente e bancarelle tipo suk arabo, ma divertente.

A questo punto si torna a Ginza perché non pare bello non rendere omaggio alla divinità pagana A&F. Stile store di Milano, ma qui sono 11 piani di follia.

Cosa si può acquistare in questo posto folle con una temperatura esterna di 38 gradi? Un bel maglione di lana! Si prova ancora a fare un giro per i negozi, ma siamo cotti e torniamo dal solito Starbuks a rifiatare. Quindi per andare a Narita, questa volta, si prende una comoda navetta da hotel che costa come il treno, ma è molto più veloce. Si decolla alle 21,30 in un A330 della Jetstar che ha un microclima artico.

17 agosto

Ore 5,30, si atterra a Cairns, Australia: controlli di frontiera veloci con funzionario gentile che commenta simpaticamente il nostro programma di viaggio: in 4 settimane vedrete più di quanto io possa vedere del mio paese in una vita! Attesa in aeroporto per volo delle 10,30 diretto a Sidney. Volo di 2,5 ore per Sydney che si presenta coperta di nubi e con pioggerellina fine, ma non fastidiosa: ci sono circa 17 gradi. Prendiamo pulmino privato che ci porta in hotel: si tratta di edificio di 30 piani organizzato in vari appartamenti; il nostro – 22* piano – è grande (80/90 mq), con due camere, due bagni, cucina, lavanderia, soggiorno e bellissima vista su grattacieli. Subito a spasso per la città: un po’ Ny, un po’ Londra, molto carina. Spesa e cena in hotel, dove ci addormentiamo subito (alle 20, qualcuno anche prima).

18 agosto

La mattina il tempo è migliorato e spunta un bel sole. Visitiamo il centro e arriviamo alla Sudney Opera House e al Circular Quay, di fronte c’è il ponte di ferro (Harbour Bridge). Vogliamo fare le foto con la mitica Nykon, ma durante il viaggio è rimasta accesa e la pila è scarica: siamo sicuri che domani, una volta caricata, il tempo sarà fetente!

La baia è bellissima; anzi la più bella anche rispetto a Frisco e NY. Foto con Iphone e macchinetta Canon, filmino HD con videocamera.

Facciamo due passi sulla banchina e ci fermiamo a pranzo di fronte all’imbarco dei traghetti che solcano la baia per raggiungere le varie località della città. Prendiamo il traghetto che raggiunge Darling Habour; il viaggio è molto carino: si attraversa la baia e si passa sotto il ponte, poi si prosegue all’interno e si raggiunge DH che è davvero carino con il suo ponte girevole di legno. Tutto il porticciolo è circondato di locali e ristoranti. Visita da Hard Rock Café per comprar la magliettama non hanno la taglia: ci accontentiamo di portachiavi, dopo avere saputo che non ci sono altre sedi salvo una sulla costa ovest (dove proprio non andremo) e una a Surfers Paradise, vicino Brisbane: vedremo! Ancora passeggiata in città per raggiungere Oxford Street che è un po’ una delusione. Stanchi rientriamo verso Hotel passeggiando per vie residenziali con casette a due piani di tipo inglese. Spesa per cena e cena a casa. Si vede il TG di SKY sull’Ipad e si scarica il Corsera.

19 agosto

La giornata inizia presto (un po’ di insonnia); il tempo è brutto (piove) anche se speriamo che cambi presto perché l’idea era di andare con il battello a Manly e con il bus a Bondi Beach. Ora finisco questi appunti e usciamo. Visto il brutto tempo decidiamo di prendere la monorotaia sopraelevata che va verso Darling Harbour e poi la metropolitana leggera che ferma a Fish Market. Appena arrivati, gabbiani che ‘urlano’ e odore di pesce, entriamo al mercato. Montagne di ostriche di varie tipologie e forma (pare che gli abitanti di Sydney siano i più grandi consumatori), gamberi, aragoste, altri crostacei, pesci giganteschi. Scopriamo l’esistenza delle aragoste di Tasmania: dei mostri enormi (2/3 kg) scure e fortissime che lottano furiosamente quando vengono messe sulla bilancia per la vendita. Facciamo uno spuntino al banco che vende pesce da asporto e da cucinare: mezza aragosta (al di sotto delle aspettative) ottimi gamberoni alla griglia e fritti.

Continua il giro nel mercato multicolore che si estende anche al settore frutta e verdura. Compriamo una aragosta della specie locale (ci assicurano essere buonissima), gamberoni, filetto di tonno crudo, anelli di calamari. La cena stasera sará ottima.

Non potendo andare a Manly, ripieghiamo su una zona interna che viene indicata come interessante: King’s Cross. Prima uno spuntino in un localino italiano “Olivetti” che fa ottimi hamburger, poi acquisto di originale boomerang con relative istruzioni di lancio. La zona e’un po’ malfamata, con anche tratti eleganti, ma decidiamo di andarcene. Raggiungiamo nuovamente Circular Quay e visitiamo l’antico quartiere The Rocks, proprio sopra il porto. Vicoletti carini, con case a mattoni rossi, ora riconvertito in negozietti e ristoranti. Proseguiamo su Harbour Bridge (detto Attaccapanni), il gigantesco ponte che attraversa la baia. Sarebbe possibile anche fare una arrampicata sui tralicci di acciaio che sorreggono la campata, ma visto che è tardi, minaccia pioggia e c’è un gran vento, ci accontentiamo di percorrerlo a piedi nella corsia pedonale. La vista è bellissima e il ponte meraviglioso. Mentre lo percorriamo veniamo superati de decine di runner che sfidano le intemperie solcando quel tratto di mare.

Come previsto viene giù il diluvio e, questa volta (e la terza della giornata) ci prende in pieno mentre usciamo dal negozio Ugg n.2 dopo avere comprato le mitiche scarpe. Facciamo la strada a piedi sotto la pioggia scrosciante insieme ad altre centinaia di abitanti di questa città sempre in movimento. Giunti a casa prepariamo la cena di pesce che ottiene grandi consensi. Aragosta splendida, gamberoni ottimi!

20 agosto

Dopo avere fatto le valigie (ed avere scoperto che una si è rotta) prendiamo il treno sotterraneo per Circular Quay dove saliamo sul traghetto per Manly, un paesino dal lato opposto della grande baia, vicino all’oceano. Il viaggio in traghetto è movimentato da 10 minuti di onda oceanica che investe la nave mentre attraversa il tratto di mare che porta all’oceano. Manly è carina e può giovarsi di due spiagge di cui una, quella verso l’oceano, molto ventosa ed esposta al mare tanto da essere il paradiso dei surf che l’affollano tutto il giorno. Torniamo al wharf e dopo piccolo spuntino, prendiamo un paio di ore di sole seduti sul molo. Il traghetto, con lo stesso momento di ondosa emozione, ci riporta a Syd. Facciamo ancora due passi sul molo e poi ci avviamo lentamente, attraverso il centro, verso l’hotel, dopo avere acquistato una valigia tecnica in sostituzione di quella che si è rotta (era stata acquistata due anni fa a Frisco e ci aveva seguito in molti viaggi). Con il treno andiamo all’aeroporto dove, con un po’ di ritardo dovuto ad un passeggero del volo precedente che sentitosi male è rimasto a bordo fino all’arrivo dei medici, si parte alla volta di Adelaide (1,45 di volo). Ritiriamo l’auto (mitica Mitsubishi Outlander) e andiamo nel modesto hotel scelto per la nottata. Si cena in una pizzeria di Glenelg (palindromo) che fa pizze biologiche niente male. Qui comincio a essere preso dall’ansia per non avere informazioni circa gli orari del traghetto per Kangaroo Island e per non averlo prenotato: passerò la notte in bianco per questo.

21 agosto

La mattina, con l’aiuto della receptionist dell’Hotel, prenotiamo il traghetto delle 12,00 da Cape Jervis. Dopo un ora e mezzo di strada (100 km di nulla in un bellissimo paesaggio verde, con mare, scogliere, campi coltivati, pecore, ecc.) arriviamo nel paese fantasma cresciuto intorno al moletto da cui parte il traghetto. È una giornata spettacolare, piena di sole, calda e senza vento: il mare è una tavola. Dopo 45 minuti di traversata arriviamo sull’isola. Ci accorgiamo subito di essere in un posto speciale: nessuno in giro, sole, mare, facce rilassate. Pranziamo in un bellissimo ristorante affacciato sul mare e immerso nel sole.

Dopo circa 1 ora di auto arriviamo a Kingscote non prima di avere visto alcuni canguri, oltre a milioni di pecore! Hotel carino che si affaccia su una baia bellissima. Decidiamo di andare subito su una spiaggia che viene definita la più bella dell’isola: Emu Bay. Effettivamente si tratta di una gigantesca baia di sabbia bianca circondata da una scogliera alta e da dune di sabbia. Le auto (3) degli altri gitanti sono in spiaggia. I più coraggiosi fanno il bagno: acqua fredda, ma bellissima ma non si può resistere. Finalmente possiamo provare il nostro boomerang: Guglielmo è bravissimo e impara subito a lanciarlo. Si tratta di una operazione tutt’altro che semplice. Si cena nell’unico ristorante aperto a Kingscote, visto che l’unica alternativa (stazione di servizio con annesso piccolo ristorante/vendita) stava per chiudere alle 19.

22 agosto

La mattina il sole è bello caldo e il cielo splende; si parte per Flinders National Park, sul lato sud dell’isola a 100 km da Kingscote: strada bellissima che costeggia campi verdi pieni di pecore e circondati da foreste di eucalipti. Nel parco visitiamo la colonia di otarie della Nuova Zelanda che popolano il capo che chiude a meridione l’isola. Un posto spettacolare che ci consente di avvicinarci molto alle seals e di vedere lo spettacolare arco naturale creato dalle onde nella scogliera. Nelle vicinanze si trova una enorme formazione granitica posta su un capo che sovrasta il mare: la roccia è stata disegnata dagli agenti atmosferici e si presenta in varie forme e colori. Il viaggio prosegue a ritroso sul versante sud dell’isola con una prima sosta per vedere i Koala. In un bellissimo boschetto di eucalipti, un contadino ha realizzato un Koala Walk per accedere al quale è richiesto un contributo di 2,5 $ a testa (ma non viene effettuato alcun controllo): all’inizio del percorso ci siamo imbattuti in un canguro che riposava sotto un albero; per nulla infastidito dalla nostra presenza si è fatto fotografare. Lungo il percorso, circondati da odorosa essenza di eucalipto, abbiamo avvistato molti koala che sonnecchiavano sulle cime degli alberi di eucalipto. Il viaggio è proseguito con la visita alle Kelly Hill Caves, una serie di gallerie sotterranee realizzatesi a seguito della espulsione, ad opera del mare, dello strato sabbioso depositatosi tra due strati rocciosi; in pratica una serie di caverne sotterranee (scoperte alla fine del 1800 da una contadino che non riusciva a ritrovare il suo cavallo Kelly scomparso nel bush, ma in realtà precipitato nelle grotte) poste poco sotto il piano di campagna nelle quali si sono formate stalattiti e stalagmiti ed altre formazioni che sfidano anche la gravità. Nella caverna sono presenti rocce trasparenti di vario colore che conducono la luce (se si appoggia una torcia elettrica si illuminano). Abbiamo avuto il privilegio di visitare le grotte da soli con una gentile guida australiana in tenuta da ranger. È stato molto bello ed emozionante lo spegnimento totale della luce per qualche minuto facendosi immergere nel buio e nel silenzio assoluti.

Abbiamo, quindi, proseguito verso Seal Bay, una bellissima baia di sabbia bianchissima dove dimora una colonia di oltre 1000 foche australiane: si tratta di una specie che conta solo 14.000 esemplari in tutto il mondo è che è avvicinabile in questa baia grazie agli accompagnatori del Parco. Si scende verso il mare su un ponte di legno che sovrasta le dune di sabbia nelle quali trovano riparo dal sole alcuni esemplari di otaria. Sul bagnasciuga, invece, si trova il grosso della colonia. Ci avviciniamo a pochissimi metri da maschi enormi (oltre 350 kg) o da femmine con il cucciolo in allattamento: si lasciano fotografare a breve distanza.

Concludiamo la giornata tornando a Kingscote per la cena, non riuscendo neppure oggi ad andare in quel ristorante di pesce presso il benzinaio: chiude alle 19,00!!

23 agosto

La mattina, dopo aver lasciato l’hotel, ci dirigiamo verso il centro dell’isola in una località (Parndana) dove si possono avvicinare gli animali e dar loro da mangiare. È una grande fattoria dove gli animali selvatici stanno liberi e si prestano ad essere avvicinati, seppure con cautela, dall’uomo. Abbiamo toccato la pelliccia dei koala, sonnacchiosi orsacchiotti abbarbicati sugli alberi (una femmina stringeva in grembo il cucciolo appena nato), abbiamo dato da mangiare ai canguri dell’isola (una piccola comunità autoctona che prende il nome dall’isola), che si sono fatti anche accarezzare, e ai grandissimi canguri rossi, mentre gli wallaby, molto timorosi, non si sono avvicinati. Stefano ha cercato anche di dare da mangiare ad un emu, ma si è spaventato per il verso mostruoso che l’enorme uccello faceva avvicinandosi minaccioso (ci hanno poi spiegato che non sono cattivi: solo brutti e con un pessimo tono di voce). Ci siamo quindi diretti, attraverso un tratto di strada in terra battuta rossa, a Stoke Bay, una bellissima baia al nord dell’isola. Al centro della baia vi sono sassi neri rotondi che si protendono nel mare: su di essi vive una colonia di pinguini alla quale, come dice il cartello presente sul posto, non è possibile avvicinarsi. La spiaggia più bella è raggiungibile inoltrandosi in un tunnel scavato nello sperone di roccia calcarea che chiude la insenatura: si arriva ad una baia splendida con una ampia porzione di sabbia bianca protetta da un frangiflutti naturale che consente una comoda balneazione: non abbiamo saputo resistere e abbiamo fatto un tuffo nelle acque davvero fredde ma bellissime della baia. Tutta la spiaggia, di sabbia bianchissima, è contornata da una alta scogliera di calcare bianco. Dopo il bagno e un po’ di sole, abbiamo ripreso la macchina e abbiamo attraversato l’isola su un lungo tratto di strada sterrata rossa, raggiungendo la costa sud fino ad un baracchino posto all’ingresso di Vivonne Bay dove, dopo uno spuntino abbastanza squallido, abbiamo noleggiato delle tavole da surf appositamente modificate per consentire lo scivolamento sulla sabbia: infatti il nostro obbiettivo era una formazione di dune sabbiose, denominata Little Sahara. Ci siamo trovati di fronte ad uno spettacolo del tutto inatteso: grandissime ed altissime dune di sabbia bianchissima nel bel mezzo del bush e della foresta di eucalipti. Portando le tavole sulla spalla come veri surfisti abbiamo scalato la duna più alta e, dopo avere lubrificato con un pezzo di candela il fondo della tavola, Stefano e Gu si sono lasciati scivolare a rotta di collo giù dalla montagna di sabbia. La sabbia è entrata ovunque, ma la discesa è stata bellissima tanto che, nonostante la salita sia molto faticosa, ne abbiamo fatte diverse. Stanchi e pieni di sabbia abbiamo riportato le tavole al noleggiatore e, percorrendo strade sterrate, abbiamo raggiunto Pennshaw per prendere il traghetto che ci deve riportare sulla terra ferma. Un piccolo momento di panico quando, giunti al molo, abbiamo visto gli orari di partenza: erano esposti gli orari solo del giorno dopo e per un attimo abbiamo temuto di dover cercare da dormire sul posto invece di raggiungere Adelaide! Dopo aver osservato un bellissimo tramonto infuocato e cenato all’orario australiano (18,30), abbiamo preso il traghetto e percorso i 100 km che mancano per la città. Abbiamo alloggiato in un bellissimo posto: una sorta di piccolo campus alla moda di Yale con corte comune e edifici in stile vittoriano a due piani. L’appartamento, molto elegante e confortevole avrebbe meritato una maggiore frequentazione, ma purtroppo la tabella di marcia è tiranna: il cambio di programma derivante dalla impossibilitá di rientrare, come previsto, il primo pomeriggio da Kangaroo Island (l’unico traghetto era quello delle 19,30) ha ridotto a pochi minuti e ad un rapido giro in auto la nostra visita ad Adelaide, città che pare molto elegante, verde e ariosa.

24 agosto

Dopo una notte disturbata per l’ansia della partenza, siamo partiti con il primo volo per Melbourne. Dopo l’atterraggio abbiamo proseguito subito per la Great Ocean Road: bellissima strada, in larga parte costiera, che ci porterà fino ai Dodici Apostoli. La strada è effettivamente molto panoramica e la costa molto varia; ci fermiamo a pranzo a Lorne, in un bellissimo ristorante sulla spiaggia baciato dal sole. Durante il percorso deviamo per raggiungere il faro di Otway (non breve deviazione attraverso boschi e campi verdi con mucche nere, come se fosse Svizzera) che è carino, ma non vale la fatica (e il costo) se si ha in programma di fare il giro fino ai Dodici Apostoli e ritorno in giornata. In ogni modo, dopo altri numerosi e tortuosi km di verde intenso e colline e con il concreto pericolo di investire un koala che sta attraversando la strada, raggiungiamo la spettacolare costa a picco dalla quale si possono ammirare, nel sole del tramonto, queste meraviglie della natura. I monoliti di calcare (così dice la guida, anche se sembrano di arenaria rossa) e la scogliera sono battuti da onde lunghe oceaniche che raggiungono la bellissima spiaggia deserta. Dalla ottima posizione elevata dalla quale si possono apprezzare questi giganti di pietra, scattiamo una quantità infinita di foto, emozionati per la incomparabile bellezza naturale di fronte alla quale ci troviamo: la sensazione che tutti noi proviamo è paragonabile solo all’emozione avvertita davanti al Grand Canyon due anni fa. Un luogo che ti lascia senza parole e che ti fa sentire piccolo, ma felice. Una esperienza che vale il viaggio. E meno male perché per tornare a Melbourne dobbiamo fare circa 280 km! Alle 17,30 comincia il viaggio di ritorno, non prima di avere visitato l’altro spettacolare sito distante pochi km: Loch Ard Gorge è costituito da un fiordo naturale scavato dal mare che termina in una deliziosa spiaggetta; all’ingresso della baia si trova anche un arco naturale, denominato scherzosamente London Bridge. Il viaggio di ritorno a Melbourne è più breve del previsto perché riusciamo a percorrere strade interne più dritte e che consentono velocità largamente superiori. Siccome non era disponibile il navigatore satellitare, tocca a Gu farci da guida: se la cava benissimo e riesce a portarci all’hotel attraverso autostrade, strade statali, vie cittadine, limiti alla circolazione e strade a pedaggio. Hotel pessimo, purtroppo. Cena in ristorante molto carino (Orange) consigliato dalla Lonely Planet, che finora non ha sbagliato un colpo.

25 agosto

Oggi si gira per Melbourne, sempre guidati dal nostro navigatore personale. Giriamo tutta la città e i quartieri che la LP segnala, senza però comprendere come mai la guida dia tanto valore alla città ed ai posti, tutto sommato normali, che ci mostra; ci domandiamo se gli autori non siano di Mel in quanto riescono ad esaltare cose alquanto banali e a proporre di dedicare alla città almeno tre giorni (mentre per Syd, che è incomparabilmente più interessante, ritengono sufficiente un giorno o due). Ad ogni modo la giriamo tutta, anche aiutati dalla disponibilità dell’auto (una comodissima e scattante Ford G6). Pranzo nella simpatica Acland Street di St Kilda presso una pescheria che fa scegliere cosa cucinare e che dispone di qualche tavolo lungo la strada dove consumare il pasto ed interessante sosta alla Monarch International Cake: deliziosa pasticceria del 1938 che fa dolci strepitosi. Gu si dimostra non solo un grande navigatore, ma anche un intenditore di locali alla moda: sceglie per cena un bellissimo, elegante e innovativo locale con cucina maltese, israeliana e libanese “Maha”; una fusione molto interessante. Ottima cena in posto bellissimo.

26 agosto

Sveglia presto e volo per Alice Springs alla volta di Ayers Rock: speriamo ne valga la pena, sia per il costo, sia per la fatica. Una curiosità ai controlli di sicurezza di Mel: Stefano viene sottoposto, per la terza volta da quando siamo su suolo australiano, al controllo per la ricerca degli esplosivi ed il simpatico tecnico addetto che apprende della nostra destinazione dice: “tutto questo viaggio per un sasso in mezzo al deserto: meglio se vai a farti una birra a Melbourne”. Oggi si vola Qantas: molte aspettative per la leggendaria compagnia di bandiera australiana che vanno frustrate già all’imbarco quando ci tocca fare tutto da soli: sia check-in, sia etichettatura bagagli, sia drop bag su avveniristico sistema automatico (troppo sensibile). Aereo Boeing 737/800 del tutto normale; hostess vecchie carampane, seppur gentili ed efficienti, freddo artico a bordo (ma questo è un classico). Presa auto cinese (Holden, 3.6) e partiti per i 470 km che ci separano da Uluru. Dopo 4 ore di viaggio (siamo andati molto veloce) nella interminabile savana del centro Australia, superando giganteschi camion con 4 rimorchi, siamo arrivati al Resort e immediatamente ripartiti per Uluru, la montagna sacra agli aborigeni. Durante il viaggio abbiamo incontrato una bellissima montagna, alta, rossa, squadrata e con i fianchi verticali che ci era sembrata Uluru; poco dopo sono sorti i primi dubbi. Il vero Uluru è più piccolo, ma non meno emozionante, anzi la sua superficie levigata lo fa sembrare del tutto irreale e magico: è piantato nella savana come se fosse caduto dal cielo. Appena arrivati abbiamo fatto un piccolo giro intorno alla base, seguendo il percorso dei siti sacri (caverne dove si raccoglievano gli uomini, le donne e gli anziani), una parte dei quali non può essere nemmeno ritratta in foto. A Ste e Gu è venuta voglia di fare la scalata fino alla vetta, ma ormai era troppo tardi e la Sabina si è subito opposto ricordando che la guida riferisce di 39 morti e del forte suggerimento di non compiere l’ascesa sia per motivi di sicurezza sia per rispetto della popolazione aborigena che custodisce, insieme al governo federale, il sito. Abbiamo proseguito per il punto da cui si può osservare il tramonto: è stato molto bello ed emozionante. Dalle auto parcheggiate a 3/4 km di distanza da Uluru e con il sole alle spalle si può godere uno spettacolo naturale unico; anche l’atmosfera dei turisti è magica: la gente resta silenziosa in osservazione, anche dai tetti di auto, camper e pick-up, del cambiamento di colore della roccia rossa che, dapprima, si infiamma e, poi, si scurisce lentamente con mille sfumature. Dopo la cena nell’appartamento si programma la giornata seguente, escludendo, data la distanza e la stanchezza, di andare a King’s Canyon (circa 650 km andata e ritorno), e si preferisce puntare sulla scalata di Uluru e poi la visita a Kata Tjuta, altra montagna sacra nelle vicinanze.

27 agosto

Dopo avere ottenuto l’assenso alla scalata da parte della Sabina, scopriamo che la vetta è chiusa per troppo vento: ripieghiamo per il percorso di 7,4 km nella valle dei venti di Kata Tjuta. La gita è bellissima e noi siamo professionali e veloci: 2 ore bastano (la guida stima 4 ore di cammino e minaccia crisi di insolazione, disidratazione e morte). Corriamo come una gazzella tra sassi e rocce rosse infestate di serpenti velenosi. Nel pomeriggio decidiamo di prendercela calma e riposare ai margini della piscina leggendo libri e ascoltando musica. Torniamo a Uluru per il tramonto.

28 agosto

Si lascia l’appartamento e si scala Uluru in due ore. A sentire la guida e a vedere come fanno il percorso i giapponesi, c’è da aver paura. La guida stima non meno di 3 ore e fa ogni tipo di raccomandazione; i nippo sono vestiti da alta montagna, con guanti che li proteggono dalla catena alla quale si abbarbicano come scimmie impazzite; per scendere utilizzano una tecnica particolare: si lasciano scivolare accucciati sulle scarpe e sempre attaccati alla catena di sicurezza. Salita molto dura, con catena di sicurezza, poi bellissimo percorso in quota tra saliscendi e creste. Noi procediamo spediti ed anche di corsa. Facciamo un sacco di foto bellissime. Appena a terra, si corre verso l’aeroporto di Alice Springs, non dopo aver fatto un breve giro in questa triste città ove percepiamo la presenza, e la difficoltà nell’integrazione, degli aborigeni. Volo Qantas per Darwin in ritardo: si scrivono questi appunti in sala d’attesa. Arrivo a Darwin, noleggio Jeep Patriot e riposo all’hotel dello scalo aereo.

29 agosto

Si parte alla volta di Kakadou National Park; lungo la strada si fa una bellissima sosta sul fiume Adelaide per fare un giro in barca allo scopo di vedere i coccodrilli estuarini (di acqua salata) che fanno i salti per afferrare il cibo offerto. Prima dell’imbarco Stefano si fa stritolare da un pitone verde gentilmente offerto dalla guida australiana. Il giro in barca è bellissimo: si avvicina un enorme esemplare di coccodrillo (simpaticamente chiamato Hannibal the Cannibal) di circa 4 metri: la guida usa una canna con appeso 4 enormi pezzi di carne per indurre l’animale ad azzannare il boccone, spiccando un salto. In effetti il gigantesco rettile, velocissimo, guizza fuori dall’acqua e inghiotte velocemente la carne. Foto molto vere e ravvicinate. La caccia prosegue lungo il fiume: si avvicina un esemplare più piccolo, ma molto veloce e l’operazione è altrettanto impressionante; la belva salta letteralmente fuori dall’acqua e afferra l’esca. Lungo il percorso si incontrano altri rettili appisolati sulla riva: una di questi ha subito, probabilmente a causa di uno scontro con un simile, un danno alla coda. Il giro si conclude con l’alimentazione, sempre al volo e con barca in veloce movimento, di un gruppo di falchi che picchiano sulla barca ed afferrano al volo i bocconi di carne lanciati dalla guida. Lo spettacolo è davvero pazzesco quando, questa volta utilizzando la canna con appeso un pezzo di carne grosso come un pugno, entra in gioco una bellissima aquila dal collo bianco che, dopo un picchiata, afferra il boccone e si ferma su un albero a consumare il pasto. Si riprende il viaggio verso il Parco: molti km di pianura alluvionale con vegetazione tropicale e enormi termitai, alti anche 3 metri! Prima di raggiungere Jabiru, dove si trova l’hotel, si prosegue per Ubirr un sito con rocce ed arte rupestre. Il caldo e l’umido ci stroncano fisicamente, ma riusciamo a visitare il luogo che presenta pitture rupestri che coprono un ampio periodo di tempo: da 50.000 a 2.000 a.C.: la cosa interessante è scoprire come, in realtà, in questo ampio margine temporale la pittura rupestre sia rimasta sempre la stessa; se poi si pensa a cosa facevano gli egizi nel 2.000 a.c. si resta un po’ basiti. Arriviamo alla sistemazione a Jabiru: una specie di cottage in lamiera, sollevato da terra, e con bagno esterno privato. Il posto, in realtà, non è così male, anche se per il costo si poteva pretendere qualcosa in più, ma la zona non consente molta scelta. Si cena a casa usando il grill disponibile.

30 agosto

Oggi si parte alla volta di Twin Falls e Jim Jim Fall, due siti naturali raggiungibili dopo circa 55km di strada sterrata e 10 km di fuoristrada estremo. Questa ultima parte del viaggio è davvero bella anche se in alcuni tratti pericolosa: la pista, sconnessa da morire, è spesso fatta di morbida sabbia nella quale la Jeep affonda, ma procede comunque anche appoggiando il fondo sulla piccola collinetta di sabbia che si forma al centro. Le emozioni del viaggio sono completate da diversi guadi di torrenti nei quali il veicolo entra senza timore, venendo immerso oltre i mozzi delle ruote. Al bivio per Jim Jim Fall proseguiamo, come suggeritoci dal ranger che ci ha venduto i biglietti per la barca che deve farci attraversare il lago formato dalle Twin Falls, per questa ultima destinazione: ma non ci arriveremo mai perché ci imbattiamo in un torrente profondo oltre 70 cm che può essere attraversato solo se il veicolo è diesel e dotato di snorkel (l’avviso, secondo il costume locale, è posizionato solo alla fine del percorso). La delusione è forte, ma si inverte la marcia e, proseguendo ancora per qualche km di orribile pista sabbiosa e guadi per Jim Jim Fall, si arriva al parcheggio e si procede a piedi nella foresta tra enormi sassi neri che costeggiano il ruscello che nasce dalla bellissima cascata, una enorme parete di roccia nera a forma circolare, alta almeno 215 mt da cui, in questa stagione, cade solo un piccolo rivolo di acqua. Lo spettacolo naturale è bellissimo: prima della cascata si trova una bellissima spiaggia bianca con un laghetto verde smeraldo, e sotto la cascata un ampio laghetto di montagna, con acqua freddissima, circondato da rocce nere levigate. È il momento del bagno, non consentito nel ruscello per la possibile presenza dei coccodrilli estuarini, invece qui è davvero meraviglioso. Al ritorno si fa il bagno anche sulla spiaggetta bianca e si affrontano i 10 km di pista con rinnovata fiducia. La sera si cena, a bordo piscina, al bistrot del vicino lodge a Jabiru: Stefano assaggia il canguro che non si fa notare per particolari caratteristiche.

31 agosto

In mattinata si affronta la gita a Maguk, dove ci aspettano una cascata e una piscina naturale: il posto è molto bello perché la cascata è attiva e le rocce a picco circondano il laghetto nel quale si fa un bellissimo bagno; anche il percorso a piedi è molto bello perché si snoda in una foresta monsonica con ampie parti acquitrinose percorse dal ruscello (infestato da coccodrilli) generato dalla cascata. Sulla strada del ritorno si fa una breve puntata a Yellow Water, un bellissimo Billabong con fiori gialli e un sacco di uccelli colorati. Per tornare a Darwin la strada consigliata prevede di percorre 130 km di sterrato: la Old Jim Jim Road che consente di risparmiare oltre 150 km di strada asfaltata. Viste le raccomandazioni dei cartelli stradali e della guida che richiedono un veicolo 4WD, ci avviamo serenamente. Dopo oltre 50 km di sterrato ci troviamo davanti un fiume: il South Alligator River. Non si tratta di un ruscello di montagna, ma di un fiume vero e proprio che, in questo punto, è largo almeno 50 metri, anche se non sembra molto profondo. In compenso è pieno di cartelli che segnalano la presenza di coccodrilli estuarini e che vietano l’ingresso in acqua! Stefano prova a saltare su alcune rocce che attraversano un tratto di fiume allo scopo di valutarne la profondità nei vari punti, ma l’impresa si rivela impossibile: l’unica possibilità sembra quella di attraversarlo con un veicolo dotato di snorkel. Con un certo timore si tenta, comunque, di entrare nel fiume con la Jeep, ma dopo i primi metri si scopre che, nonostante all’inizio non sia tanto profondo, il fondo è cedevole e le ruote sprofondano più del dovuto. L’impresa è abbandonata con un certo disappunto per le scarse informazioni fornite da guida e cartelli e per la schizofrenica attitudine degli australiani ad essere eccessivamente didascalici in merito ai rischi per la vicinanza degli animali (mai incontrati, in realtà), ma del tutto generici nel descrivere le orribili strade che si percorrono. Si torna in dietro a tutta forza perché si deve raggiungere Darwin prima del tramonto (non si può viaggiare su strade extraurbane durante la notte per il pericolo di investimento di animali, anche grossi) e si devono fare oltre 300 km. Data la scarsa presenza di stazioni di rifornimento rischiamo anche di restare senza benzina, ma, alla fine, arriviamo a Darwin in tempo per accomodarci nel bellissimo ristorante Hanuman che propone le principali cucine asiatiche (India, Cina, Thai) in una fusion davvero interessante. Ottima cena e posto davvero bello. Come ormai abbiamo capito la LP, quando si tratta di descrivere le città australiane, esagera in lodi: Darwin è un agglomerato di case abitato da solo 70.000 persone che, a prima vista, non offre nulla, ma la guida suggerisce di passarci 3 giorni! Si riconsegna l’auto, con patema di ricevere una contestazione per i danni causati alla marmitta (che per la pressione con il fondo stradale di sabbia si è troppo avvicinata al fondo del veicolo), e si dorme nell’albergo dell’aeroporto.

1 settembre

Sveglia alle 5,30 e corsa a prendere il volo delle 6,40 per Brisbane. Arrivo, ritiro Audi A4 nuovissima, e partenza per Noosa Heads, posta a nord a circa 150 km di distanza. Posto bellissimo: cittadina di mare molto elegante, senza essere pretenziosa, e silenziosa. Bellissima spiaggia dove facciamo bagno e prendiamo il sole, con intervallo di pranzo al raccomandatissimo e carino Le Monde, posto sulla strada principale Hastings Street, alle spalle del mare. Lussuosissimo Noosa Blue Resort, con splendido appartamento con Spa (whirpool) in stanza. Cena sul lungomare al ristorante Berardo’s on the beach.

2 settembre

La mattina si passeggia un po’ sulla via principale dove ha luogo il Noosa Jazz Festival ed affluiscono i gruppi che suonano live tutto il giorno. Ancora spiaggia con bellissimo sole. A pranzo sulla strada principale ad ascoltare il jazz. Si parte per Brisbane dove si arriva allo splendido 4 On Astor e si occupa elegantissimo ed enorme appartamento arredato minimal, con ampio terrazzo. Si cena a casa e si fa lunga passeggiata sul bellissimo lungo fiume, pieno di locali, e nel centro della città piena di vita.

3 settembre

Oggi si fa un salto al mercato cittadino di Fortitudo Valley e poi si raggiunge South Bank, dove è stato realizzato un bellissimo parco lungo il fiume, con piscine, giardini, locali, musei, mostre. Oggi inizia il Brisbane Festival e la città è piena di gente, di musica ed iniziative culturali. Nel pomeriggio si fanno ancora due passi in centro e poi aperitivo a casa in tempo per raggiungere il lungo fiume alle 19 dove si tengono spettacolarissimi fuochi artificiali. Tutta la città occupa la bellissima passeggiata che costeggia per molti km il fiume, tra Story Bridge e Victoria Bridge. I fuochi sono bellissimi e spettacolari; gli abitanti di Brisbane occupano i posti dal pomeriggio e fanno banchetti lungo il fiume fino a sera.

4 settembre

La mattina si parte alla volta di Dunwich dove parte il traghetto per “Straddie” o meglio North Stradbroke Island, una gigantesca isola di sabbia, ricoperta di vegetazione. Dopo un’ora di traghetto si arriva sull’isola e si raggiunge Point Lookout da dove si dovrebbero avvistare balene megattere e delfini, ma le condizioni del mare sono tali che non si vede granché. Il cielo è molto mutevole e a tratti minaccia anche pioggia, ma decidiamo di raggiungere Cylinder Beach, baia riparata dove, se il tempo assiste, si può fare il bagno. Prendiamo un paio d’ore di sole, inframmezzato da nuvole che corrono veloci, mentre decine di surfers si esercitano sulle facili onde che raggiungono la spiaggia dopo essersi infrante su un gigantesco banco di sabbia costiero che smorza la violenza del Pacifico meridionale. Inizia a piovere e decidiamo di anticipare il rientro con il traghetto. Cena a casa e preparativi per la crociera che ci attende domani.

5 settembre

Si parte in aereo alla volta di Proserpine (aeroporto fantasma) per poi raggiungere, con auto, Arlie Beach da dove parte il nostro catamarano per Whitsunday Island. Svolte le operazioni preliminari all’imbarco, si pranza al sole e si riposa tra le palme. Alle 16 si parte: il gruppo è composto da due coppie di ragazzi tedeschi (Mirko e Anja, e Markus e Jacqueline), Sabina – una gentile ragazza tedesca -, Stefano – un ragazzo italiano di 24 anni che sta cercando se stesso in giro per il mondo -, un tizio americano sui 40, oltre allo skipper Jessie – cieco da un occhio, sempre scalzo – e dal suo assistente Steve, alto, biondo e gentile. La barca, un bellissimo catamarano di 16 metri denominato On Ice, è nuova e comoda; a noi tocca la cabina di poppa a tre letti (matrimoniale e cuccetta), con bagno annesso. La giornata, appena prendiamo il largo, si guasta, ma la navigazione procede bene, in parte a motore e in parte a vela, con onda e vento di 20/25 nodi. Durante la crociera incontriamo una grossa balena megattera solitaria che fa delle evoluzioni davanti a noi, ed altre due megattere appaiate che avvistiamo un po’ più lontane. Avvistiamo anche un delfino e una grossa tartaruga. La navigazione dura 4 ore (e quindi si svolge per metà di notte) con somministrazione di veloce spuntino. Mentre navighiamo il mitico Jessie avvia la griglia posta a poppa e cucina il pollo per la cena mentre Steve fa la pasta e il resto. Ormeggiamo in una bellissima baia ridossata sull’isola Whitsunday e, preparandoci per la notte, osserviamo le stelle e la luna (storta, in questo emisfero) nel silenzio più assoluto, solo interrotto dalle chiacchiere dei nostri compagni di viaggio che, davvero carini e gentili, parlano inglese anche se in larga parte tedeschi. Appena si va a letto inizia a piovere e continuerà tutta la notte ed anche buona parte della mattina seguente.

6 settembre

Ci svegliamo alle 7,30 sotto la pioggia, ma seguendo le indicazioni del folle Jessie, senza fare colazione (già pronta), corriamo a fare la prima escursione: ascesa al Lookout che domina la baia affianco e che consente, dopo avere attraversato in ciabatte e sotto il diluvio un tratto di foresta pluviale, di godere della vista sulla bellissima spiaggia lunga km 7,5 di Whitehaeven e il vicino fiordo naturale anch’esso orlato di sabbia bianchissima. Certo, sotto la pioggia la visione è meno splendente di come sarebbe sotto il sole, ma almeno siamo i soli (folli?) a godere dello spettacolo: il mare è così trasparente che possiamo avvistare dei piccoli squali che riposano, vicini a Stinger Ray, sul fondo bianco della baia. Appena tornati in barca, mentre si fa colazione, salpiamo proprio alla volta di Whitehaeven e, potendo giovarci della marea giusta (Jessie le sa proprio tutte), ci avviciniamo tantissimo alla spiaggia tanto che usando delle tavole munite di grande remo e con una piccola lezione teorica del solito Jessie che ci stimola a essere avventurosi (non gli bastava averci fatto fare la levataccia e la doccia sotto il diluvio prima di colazione!), raggiungiamo questa davvero incredibile spiaggia. La sabbia è del tutto diversa da quelle che abbiamo mai visto prima: Jessie ci spiega che si tratta di silice bianchissima e che si trova solo qui. È tutto così bello che cominciamo a camminare lungo la spiaggia per raggiungerne gli estremi, ma si tratta di troppi km e dopo un po’ torniamo indietro. Nel frattempo il tempo migliora e, sempre con incessante vento da sud, esce un bel sole: per tornare in barca qualcuno usa le tavole (ma ora la corrente è davvero forte), altri il tender e alcuni a nuoto. Si riparte per una navigazione di circa 3 ore, in larga parte a vela, diretti a nord fino a raggiungere Hook Island dove facciamo un bellissimo snorkeling sulla barriera corallina: il corallo è bellissimo, vivo, colorato (il blu è incredibile, quasi indaco) e ci sono un sacco di pesci. L’acqua è davvero fredda (21 gradi) e anche con la muta da 3mm si soffre parecchio. La navigazione prosegue verso una baia bellissima dove passiamo la notte: lungo il tragitto un gabbiano gioca con noi e sta quasi per appoggiarsi sulla mano di Stefano che, per timore, la ritrae all’ultimo minuto; dobbiamo essere simpatici all’uccello che si posa sul tender e resta con noi per un tratto di veleggiata.

7 settembre

Dopo colazione, i più coraggiosi possono fare un po’ di snorkeling sfidando alcune inoffensive (così dice il mitico Jessie) meduse e il freddo glaciale del mare (19 gradi). Il vero punto di immersione è poco distante ed è davvero all’altezza delle parole spese da Jessie per descriverlo: si tratta di una bellissima baia formata da una lingua di sabbia che con l’alta marea è quasi del tutto coperta dal mare, che noi raggiungiamo in condizioni di bassa marea anche molto favorevoli per vedere da distanza ravvicinata la barriera corallina. Snorkeling davvero bello con pesci e coralli unici. Avvistiamo una enorme Stnger Ray adagiata sul fondo a pochi centimetri da noi; l’americano incrocia anche una tartaruga. Ormai è tempo di tornare ad Airlie Beach, ma Jessie ci informa che la crociera, se siamo d’accordo, può proseguire per qualche ora oltre il previsto perché l’armatore vuole fare un film pubblicitario e delle foto della barca in navigazione e sta dirigendosi verso di noi a bordo del bellissimo 16 metri da regata Iceberg: ovviamente acconsentiamo volentieri e, dopo esserci rifatti il ciuffo, il trucco e il look, avere avvistato due balene ed un delfino, siamo pronti a fare un po’ di pubblicità. Per favorire le riprese facciamo diversi bordi a vele spiegate, con molte virate strette. Siamo tutti sopra coperta in posizioni plastiche e sportive. Alle 15 si rientra in porto; breve saluto e partenza per Townsville che dista circa 250 km di strada terribile, spesso fiancheggiata da enormi campi di canna da zucchero e relativi trenini per il trasporto. Si cena e dorme a Townsville e si ha conferma che la LP è inaffidabile quando descrive le città australiane: elegante, piena di vita ! È un posto provinciale, morto e un po’ squallido, almeno troviamo da dormire (non pianificato) in un appartamento del Grand Mercure che si rivela molto carino e comodo.

8 settembre

Ci si rimette in viaggio per Cairns (altri 400 km) con l’idea di fermarsi a Mission Beach. Anche durante questo percorso si susseguono campi di canna da zucchero, trenini e paesi fantasma cresciuti attorno agli zuccherifici; il paesaggio muta verso Mission quando si presenta una bellissima foresta tropicale dalla quale dovrebbero uscire, così dicono migliaia di cartelli minatori, enormi casuari (gigantesco uccello non volatile). Mission è molto carina, tranquilla e sonnacchiosa, con casette (già spazzate via nel 2006 da un ciclone) sulla lunghissima spiaggia orlata di palme. Si pranza in un posticino carino e si fanno due passi in spiaggia, apprezzando – data la bassa marea – il lavoro di intarsio fatto nella sabbia da milioni di minuscoli granchi che scavano piccoli buchi ed estraggono piccolissime palline di sabbia che disegnano motivi damascati sull’arenile. Si raggiunge finalmente Cairns e, dopo un cambio di appartamento dovuto a scarsa pulizia, si fanno due passi in città in vista della cena. La cittadina è carina e vivace, piena di negozi e di turisti (in specie giapponesi); si torna da Hanuman per una ulteriore esperienza di cucina asiatica fusion.

La mattina del 9 settembre c’è rimasto poco da fare: si va all’aeroporto e si parte per Tokyo.

Si dorme vicino all’aeroporto di Tokyo e la mattina dopo si decolla per Roma.



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