Assaggi di Sicilia 2

Breve ma intenso on the road nel sud-est della Sicilia, dalla cima dell'Etna a Taormina, visitando le città di Catania e Noto, il borgo di Marzamemi, la riserva naturale di Vendicari e arrivando fino alla punta più a sud d'Italia.
Scritto da: alvinktm
assaggi di sicilia 2
Partenza il: 16/06/2021
Ritorno il: 22/06/2021
Viaggiatori: 3
Spesa: 1000 €
GIORNO 1

Sei notti e sette giorni per esplorare un altro pezzo della nostra meravigliosa Italia. Io, mio marito e nostro figlio Leonardo di cinque anni atterriamo all’aeroporto di Catania Fontanarossa con un volo diretto Ryanair da Milano Malpensa prenotato un paio di settimana prima. Un lasso di tempo molto breve se paragonato alla pianificazione di un viaggio pre-Covid, quando per spuntare il miglior prezzo sulle tariffe aeree bisognava controllare già due mesi avanti. Oggi è diverso e la situazione sanitaria in costante mutamento provoca molta incertezza negli spostamenti. Sistemate le pratiche per il noleggio auto alla compagnia Avis, riservata su internet tramite Autoeurope (https://www.autoeurope.it/), che offre agli iscritti promozioni vantaggiose, partiamo alla volta di CATANIA centro. L’impatto di guida sulle strade sicule è spiazzante. In periferia tanta sporcizia abbandonata sui bordi, man mano che ci avviciniamo al cuore cittadino si viene letteralmente travolti da un traffico caotico, chiassoso e privo di regole. Due o tre persone senza casco in equilibrio sui motorini che sorpassano e sbucano da ogni parte, semafori non funzionanti, un continuo strombazzare di clacson, macchine ferme in seconda e terza fila. Vicoli stretti nei quali passa a mala pena un’utilitaria e parcheggi liberi quasi impossibili da trovare. Quando miracolosamente riusciamo a parcheggiare in strada all’interno delle strisce blu, gratuite di notte, vicino al Mavà Rooms Bed & Breakfast dove trascorreremo due notti, tiriamo un sospiro di sollievo. L’alternativa è lasciare l’auto nell’autorimessa XX Settembre al costo di 15 euro a notte. La pessima impressione iniziale viene compensata dall’accoglienza dell’affittacamere che possiede le caratteristiche di un hotel a quattro stelle, con letti queen size, bagni moderni, ben insonorizzato, offre balcone, macchina da caffè, acqua e deliziosi biscotti alle mandorle, attenzioni molto apprezzate da noi clienti. Così cominciamo già ad assaporare i sapori della Sicilia, gli stessi che ritroviamo a colazione, in prevalenza dolce, con torte squisite e tutto ciò che si può desiderare per caricarsi di energie e buonumore. I valori aggiunti della struttura sono l’estrema gentilezza e la disponibilità della proprietaria, la cui passione per questo lavoro si rispecchia in ogni angolo e situazione.

Ormai sono quasi le sette di sera, orario perfetto per partire alla scoperta di Catania senza soffrire il caldo del pomeriggio. Incamminandoci su viale XX Settembre in qualche minuto varchiamo l’entrata nord dei giardini di villa Bellini dove sono installati i giochi per bambini, subito presi d’assalto da Leonardo. Il profumo delle bouganville e degli oleandri invadono il parco, ombreggiato da un esemplare spettacolare di Ficus macrophylla, piante esotiche e altri alberi centenari. Tante specie popolano la vasta area verde nel cuore cittadino, comprese siepi, aiuole, sculture e fontane, esplorabili passeggiando lungo i vialetti e sostando nelle piazzette. L’ingresso principale si affaccia su via Etnea e avviene tramite uno scalone che sale fino al piazzale occupato da una grande vasca. Sul fianco della collina retrostante vi è un orologio di piante sempreverdi e al culmine della stessa fa bella mostra di sé un chiosco in ferro battuto con tanto di palco. Un tempo i giardini ospitavano pure uno zoo con tante specie di volatili, patrimonio perso per via delle spese e soprattutto per mancanza di lungimiranza e sensibilità nei confronti di flora e fauna.

Per la cena ci spostiamo nella festosa via pedonale Santa Filomena, rallegrata da lucine, piante e fiori, musica e aromi allettanti di cucina che provocano un brontolio nello stomaco. Un susseguirsi di tavoli si dipana ai due lati della strada e i camerieri sorridenti sulla soglia invitano a prendere posto. Su consiglio di una delle dipendenti dell’affittacamere scegliamo Curtigghiu, informale e adatto alle famiglie, i bimbi ricevano fogli, colori e un menù dedicato a loro. La pasta è davvero gustosa, le porzioni sono abbondanti e il rapporto qualità prezzo è buono. Se però viaggiate in coppia potete provare un locale dall’ambiente più romantico e pietanze raffinate come il ristorante Filo d’Esca, anche questo raccomandatoci.

Da via Santa Filomena comincia la visione notturna di Catania. L’aria è tiepida e le strade sono tranquille, connubio ideale per una passeggiata rilassante. Puntando verso sud e percorrendo un dedalo di incroci e viuzze sbuchiamo in Piazza Duomo, la principale della città. Ad accogliere il visitatore spunta nel centro ‘U Liotru’, come lo chiamano i catanesi, ovvero l’elefantino simbolo cittadino, poggiato su un basamento decorato in mezzo alla fontana e sopra la cui schiena si erge l’obelisco. Il legame dei catanesi con la statua è forte, primitivo, legato a numerose leggende, a essa attribuiscono il potere magico di proteggere Catania dalle eruzioni dell’Etna. Un abbraccio di edifici antichi in stile barocco incornicia la piazza, fra cui spicca il Palazzo degli Elefanti, sede del Municipio e chiamato così per via degli elementi decorativi sulla facciata a forma di pachiderma. C’è poi il Palazzo del Seminario dei Chierici collegato tramite Porta Uzeda a quello arcivescovile e quindi alla Cattedrale. Questo è l’altro simbolo di Catania, ancora chiuso per Covid sebbene il resto d’Italia stia aprendo tutto, accessibile ai fedeli solo durante le funzioni liturgiche e non ai turisti. Posso perciò parlarvi dell’esterno, protetto dalla cancellata di ferro (come la maggior parte delle chiese della città) e dalla balaustra in candida pietra. La facciata è contraddistinta da colori chiari, bianco e grigio tenue, e le forme barocche suddivise da colonne corinzie, vi sono decori, elementi in marmi di carrara e la statua di Sant’Agata, patrona della città. Non solo pomposi edifici, anche una fontana cinge piazza Duomo, è quella dell’Amenano, raffigurante il fiume che scorre nei sotterranei di Catania, e qui ben visibile, nelle sembianze di un giovane con in mano un vaso a forma di corno da cui zampilla l’acqua. Oltre di essa si apre lo spazio dedicato al folcloristico mercato del pesce, animato ogni mattina dal vociare dei pescivendoli e dall’odore intenso dei banchi ammassati del pescato fresco. E’ la Pescheria, caotico, multicolore e animato, dall’ambientazione simile a un suq arabo, così ci dicono. L’abbiamo esclusa dal nostro personale tour sia per mancanza di tempo, sia per l’aver visitato negli anni precedenti svariati mercati spagnoli dalle atmosfere affini.

Tornando verso il Mavà Rooms Bed & Breakfast percorriamo la prima parte della lunga via Etnea, chiamata così per il fatto di puntare in direzione del vulcano. Attraversiamo piazza Università, con i palazzi di San Giuliano e dell’Università degli studi, poco oltre ammiriamo l’elegante facciata concava della splendida Collegiata, quindi svoltiamo a sinistra per far capolino in via dei Crociferi. In realtà ha inizio oltrepassando l’arco delle Benedettine in piazza San Francesco d’Assisi e dal punto di vista architettonico è famosa per le quattro chiese raccolte in soli 200 metri. Fra loro quella di San Benedetto è fra le più importanti testimonianze del barocco siciliano e fra le più belle d’Europa. E’ celebre per la scalinata degli angeli che conduce al portale d’ingresso, costruita in marmo e decorata con statue di angeli. Edifici religiosi a parte, ciò che contraddistingue via dei Crociferi sono le trattorie tipiche con le tavolate all’aperto. Tante chiacchiere, allegria, luce, contrapposte alla poco illuminazione del resto della strada, alle cartacce abbandonate, all’aria di trasandatezza aumentata dal grigiore della cenere espulsa dall’Etna che crea una patina sopra tutto. GIORNO 2

E’ arrivato il grande giorno dell’ESCURSIONE SUL VULCANO più alto d’Europa e tra i più attivi al mondo. L’emozione è forte e durante il viaggio in auto di circa un’ora fino al Rifugio Sapienza, punto d’inizio del trekking, già veniamo catturati dallo splendore del luogo. Continui sbuffi fuoriescono dai crateri sommitali, formando pesanti nuvoloni grigi che si stagliano nel blu del cielo di una giornata limpida, perfetta. La strada si snoda come un serpentone sui fianchi neri della montagna modellati dalle eruzioni di migliaia di anni. Le colate di lava incandescente giunte fino al mare hanno creato un paesaggio lunare composto da grandi rocce, piccoli ciottoli e sabbia scura su cui crescono distese di muschi verdissimi, ritagli di boschi, pinete e magnifiche ginestre di un giallo spettacolare. La presenza di tutti questi colori accesi crea una visione mozzafiato da fotografare decine e decine di volte. L’escursione antecedentemente prenotata con il gruppo guide alpine Etna sud, sito internet: https://www.etnaguide.eu/, dovrebbe partire tra le 9 e 9:30 del mattino dal piazzale del rifugio Sapienza a 1910 metri di quota, proprio davanti alla Baita delle guide. Vista la forte attività vulcanologica la partenza è però posticipata di un’ora, abbiamo così il tempo di girovagare tra i tanti negozi di souvenir, bere un caffè e indossare con calma l’attrezzatura fornita in loco, ovvero calze, scarponcini a collo alto, giacche e caschi, compresa nella quota d’iscrizione. Finalmente siamo pronti per salire con la cabinovia a 2500 metri di altitudine e da lì cominciare il trekking che occuperà l’intera giornata. Pian piano prendiamo quota intervallando il camminare con soste durante le quali la brava e preparata guida, Luciano, elargisce spiegazioni sulla formazione dei vari coni vulcanici man mano visibili, sulle eruzioni più imponenti e le personali esperienze vissute scalando l’Etna. La salita fino ai 2920 metri della Torre del Filosofo è impegnativa, si cammina su ghiaioni ripidi e scivolosi, accompagnati da enormi coccinelle, una delle poche forme di vita presenti. Per garantire la sicurezza non è possibile proseguire oltre ma già da quassù la vista sulla costa sud orientale della Sicilia è meravigliosa e ancora più incredibile è la visione verso i crateri sommitali in continua attività. La discesa lungo un canalone in cui sembra a ogni passo di corsa di sprofondare nelle sabbie mobili è di certo la parte più divertente. Segue una risalita in un canyon di lava solidificata i cui lati, a tratti, si congiungono sopra le nostre teste formando bassi passaggi, ricchi di suggestione. Persino il pranzo al sacco è particolare, divoriamo i panini accanto a una bocca effusiva dalla quale fuoriesce l’aria calda e scaviamo nel terreno attorno a noi scoprendo la neve ben conservata sotto lo spesso strato di sassi e sabbia. La ciliegina sulla torta è la fascinosa valle del Bove, dalla caratteristica forma a ferro di cavallo rivolta verso il mare. Dal punto di vista tecnico si tratta di una depressione vulcano-tettonica e per la sua conformazione consente agli scienziati di leggere la storia dell’Etna, che è poi uno dei vulcani più studiati al mondo grazie alla rete di sorveglianza sismica, di monitoraggio dell’attività e di scambio di dati con le altre stazioni internazionali.

La giornata sull’Etna non poteva essere più appagante e ha valso il viaggio in Sicilia. Con l’adrenalina ancora in corpo consumiamo l’ultima cena a Catania all’Uzeta Bistrot, su una via appartata eppure piacevole e caratteristica che, dopo una scalinata, diventa la ben più nota via Crociferi. Il locale è adatto alle famiglie, gestito da personale giovane e propone piatti sfiziosi come la vellutata fredda e il baccalà, molto buoni e dal giusto rapporto qualità prezzo. E poi ancora un giro nel centro storico per rivedere le bellezze della sera precedente e scoprire qualche altra viuzza laterale comunque ricca di fascino.

GIORNO 3

Oggi partiamo alla scoperta della RIVIERA DEI CICLOPI, quel particolare tratto di costa compreso tra Acicastello e Acireale da percorrere in auto ad andatura lenta, per potersi affacciare dal finestrino lasciando che la brezza e il profumo del mare ci accarezzino il viso. Il nome deriva da tenebrose leggende, una su tutte è quella legata alla formazione degli imponenti faraglioni che sbucano tra le onde proprio di fronte alla frazione di Acitrezza, un piccolo borgo marinaro e seconda tappa della giornata. Stando al mito pare che le particolari formazioni rocciose siano pietre lanciate dal rabbioso ciclope Polifemo contro Ulisse, colpevole di averlo reso cieco. Storie a parte, la riva estesa oltre Catania è il frutto delle eruzioni dell’Etna la cui lava ha plasmato un territorio fertile, ricco di valli e insenature. Prima di giungere ad Acitrezza però fermiamo la macchina nel paese limitrofo di Acicastello. Come ricorda il nome il posto è famoso per il suo castello normanno, costruito in posizione suggestiva aggrappato su un promontorio a picco sul mare. Fortunatamente è visitabile e con l’esiguo costo di 3 euro a persona saliamo la scalinata scavata nella pietra lavica nera per raggiungere le terrazze della fortezza da cui, è superfluo dirlo, si gode di una vista incantevole. Oggi ospita un piccolo eppure grazioso giardino botanico e il museo civico con vetrine nelle quali sono raccolti minerali, fossili e reperti archeologici prodotti dall’uomo dalla preistoria al Medioevo. Il loquace addetto alla biglietteria ci guida tra i ruderi del maniero narrandone in versi poetici le vicende e guidandoci al pozzo dei desideri in cui bisogna lanciare una monetina sperando ardentemente che le nostre aspirazioni si realizzino. La costruzione nella quale camminiamo risale al 1071 e il 1081, anni della conquista dell’isola da parte dei normanni. Nella sua lunghissima e travagliata storia è curioso ricordare l’immensa eruzione del 1169 che andò a riempire il canale marino tra il paese e la rupe del maniero, andando di fatto a creare una piccola penisola e ponendo fine all’isolamento prima colmato da un ponte levatoio. A pochi chilometri di distanza è d’obbligo un’altra fermata nel borgo di Acitrezza, dove lo scrittore Giovanni Verga ambientò il famosissimo romanzo ‘i Malavoglia’. Davanti al lungomare si stagliano l’isola Lachea e i Faraglioni dei Ciclopi, uno scenografico arcipelago protetti da una riserva naturale istituita nel 1998. E’ possibile raggiungerli in barca, a nuoto o in pedalò e distendersi in ritagli di zone non soggette alla caduti di massi. A noi basta contemplarli dalla riva con una piacevole passeggiata e una sosta rinfrescante con bibita gelata acquistata allo storico chiosco Luna Rossa.

Proseguiamo lentamente il viaggio lungo le strade statali, effettuando di tanto in tanto delle deviazioni per cogliere dei bei paesaggi. Così si allunga il percorso per TAORMINA che altrimenti si coprirebbe in nemmeno un’ora di autostrada, ma la fretta ce la siamo dimenticata in Lombardia e qui la parola d’ordine è rilassarsi. Il cuore della nota località siciliana si distende sopra un balcone naturale a picco sul mare e le viuzze, intervallate da strette scalinate, si arrampicano in salita per unire le case attaccate le une alle altre. Casa Aurora è il semplice affittacamere dove passeremo la notte, ubicato su via Guglielmo Marconi limitrofa al centro, con possibilità di lasciare la macchina in strada e non distante dal capolinea della funivia Taormina-Mazzarò mare. E’ proprio lì che vogliamo andare. La discesa di un quarto d’ora però la affrontiamo a piedi partendo proprio dal nostro alloggio perché credetemi, gli scorci sull’isola Bella ne valgono la pena. Incastonata fra Capo Taormina e il promontorio di Capo S. Andrea, deve il nome al fotografo tedesco Von Gloeden e la sua notorietà alla nobildonna inglese che la acquistò nel 1890, Miss Florence Trevelyan, della quale vi parlerò più avanti. La signora vi costruì una villetta e introdusse delle specie di piante esotiche, ora protette da una Riserva Naturale Orientata istituita nel 1998. Purtroppo non è possibile visitarla ma è comunque emozionante avvicinarsi a piedi nudi nell’acqua, camminando sulla sottile striscia di ciottoli collegata alla costa.

Taormina è davvero costosa e il lusso si respira a ogni passo compiuto su Corso Umberto, accessibile da Porta Catania da una parte e Porta Messina sull’estremità opposta. Per questo accettiamo ben volentieri il consiglio del proprietario di Casa Aurora di provare gli arancini dell’antica rosticceria da Cristina, l’originale, collocata su via Strabone. E’ un takeaway con qualche tavolo sistemato nel terrazzino antistante il locale. La qualità dei prodotti e la gentilezza del personale, unita alla varietà e alla bontà degli arancini ci fanno innamorare del piatto tipico siciliano. Le varianti da sperimentare sono tante, dai classici al ragù a quelli con le verdure, oppure con i gamberetti o i pistacchi, in qualsiasi modo sono squisiti.

La prima impressione di Taormina è quella di un borgo ricco e fastoso votato al turismo. D’altronde in un ambiente talmente idilliaco come questo non poteva essere diverso e gli antichi siculi lo sapevano bene, insediandosi qui fin dal 700-800 a.C., epoca antecedente allo sbarco dei greci. L’atmosfera è da sogno, le strisce di carta argentata appese sopra le teste dei passanti creano un impatto visivo speciale e, mosse dal vento, generano un melodioso fruscio. E’ un susseguirsi di bar, ristorante, costose boutiques, negozi d’arte e soprattutto fiori, moltissimi fiori sistemati sui balconi, i gradini, le finestre e persino le biciclette. Assieme alle piante verdi rendono il luogo ancora più elegante. Ogni vicolo che si dipana dal centrale Corso Umberto è una sorpresa, a ogni angolo c’è qualcosa da ammirare. Nelle vetrine tutto è esposto con classe e non acquistare nulla diventa una sfida difficile. La bellezza del paese culmina in piazza IX Aprile con la chiesa barocca di San Giuseppe eretta nel XVII secolo e sovrastata da due promontori rocciosi sui quali svetta in uno la croce del santuario Madonna della Rocca e sull’altro il castello saraceno, una seconda chiesa edificata nel 1448 e oggi sede della Biblioteca Comunale e la Torre dell’Orologio eretta nel XII secolo, più volte distrutta eppure sempre ricostruita. Il gioiello della piazza però è la balconata dalla vista mozzafiato ed estremamente romantica la sera, quando le luci delle barche sembrano lucciole e il cielo si confonde con il mare. Poco oltre arriviamo in piazza Duomo con la piccola fontana abbellita da quattro cavallucci marini e la basilica possente, seria, priva di fronzoli. A Taormina è facile perdere il senso del tempo e la quotidianità appare più che mai lontana, rilegata in un angolo del cervello. Significa che ci troviamo nel luogo ideale per trascorrere una vacanza.

GIORNO 4

La mattina inizia nel modo migliore possibile grazie alla colazione semplice, eppure abbondante, lasciata con discrezione dal gestore del b&b fuori dalla porta e gustata da soli nel patio antistante l’appartamento. Poi siamo pronti a risalire le strade ripide di TAORMINA. Stavolta però non svoltiamo per il centro, bisogna continuare in via Circonvallazione fino all’inizio del sentiero-scalinata della via Crucis che imbocchiamo di gran lena. La pavimentazione è rovinata e il tracciato non è in generale ben tenuto, tuttavia gradino dopo gradino il panorama compensa il contesto trasandato, stridente con la ricchezza cittadina. Il terrazzo naturale a strapiombo sul mare sopra cui si adagia Taormina si mostra nella sua interezza, fino ai bordi rocciosi in cui è stato scavato il Teatro Greco, da qui ben visibile. Dovrebbe risalire tra il 100 e il 300 a.C. e nella sua lunghissima storia si sono succedute rappresentazioni classiche, combattimenti fra gladiatori e bestie feroci, secoli di abbandono, trasformazione in residenza nel Medioevo, fino alla rinascita del 1600 quando Taormina diventa tappa obbligata per i viaggiatori amanti della storia e dell’arte, impegnati nel personale Grand Tour. Per noi la veduta d’insieme è sufficiente a evitarne la visita che comunque non durerebbe più di mezz’ora. In venti minuti di camminata esposta al sole siamo sul balcone del Santuario della Madonna della Rocca dal quale la vista è ancora più vasta. L’accesso alla chiesa è interdetto ma infondo non siamo qui per visitare gli interni bassi e modesti, bensì per godere di uno degli scorci più ameni della Sicilia sud-orientale che ci si spalanca davanti agli occhi una volta aggirato il piccolo complesso religioso. L’Etna si impone sullo sfondo continuando a sbuffare ceneri e fumi su una costa variegata e un entroterra collinare. Imprimiamo per bene questa immagine nella mente prima di ridiscendere in centro nei giardini della Villa comunale dove lasciar sfogare Leonardo tra i giochi ombreggiati. Se pensate che il parco pubblico si riduca a un’area bimbi con qualche piante vi sbagliate. In realtà era il giardino privato di Lady Trevelyan, nobildonna cugina della regina Vittoria, che vi si trasferì dal 1884 dopo il matrimonio con il sindaco di quel tempo. L’aristocratica creò un bellissimo spazio all’inglese affacciato sul mare con viali, statue, fontane, numerose specie di piante rare, nonché eccentriche costruzioni soprannominate ‘victorian follies’. E’ un luogo dove rilassarsi, passeggiare, ammirare il paesaggio e apprezzare le follie volute da Lady Trevelyan.

Un ultimo giro tra le meravigliose viuzze di Taormina fino a Piazza IX Aprile per entrare nella Biblioteca Comunale, ex chiesa di S. Agostino che accoglie una parte del museo diffuso delle Arti e la Cultuta contemporanea. Vi scopriamo delle opere particolarissime realizzate in legno, ceramica, argento e ceralacca, come l’arzigogolata Madonna dei Pescatori e la sontuosa Lumiera raffigurante la Vara di Sant’Agata.

Il sole è ancora alto e non vogliamo andarcene senza un tuffo in mare. Ascoltando i consigli di alcune mamme del posto incontrate al parco giochi scendiamo al lido re del Sole con l’auto, parcheggiandola a lato della limitrofa strada statale. La spiaggia attrezzata composta da piccoli ciottoli occupa uno spazio ridotto ma dispone di tutto ciò che serve per rilassarsi, compreso il ristorantino sulla terrazza dove pranziamo nel pomeriggio con insalata di mare, toast e pomodorini. Prezzi onesti per il luogo e sapori buoni.

140 chilometri, la maggior parte dei quali su autostrada gratuita e consumati in un’ora e mezza di guida, ci consentono di arrivare a NOTO per cena. Ad accoglierci il sorriso e la gentilezza dei padroni di casa del b&b Alberini, Paola ed Enzo, situato nella parte alta della cittadina in una zona molto tranquilla durante la notte, e con posto auto disponibile in strada proprio davanti al portone d’ingresso. Camere e bagno sono pulite e ben organizzate, e un televisore extralarge regala a Leonardo la possibilità di guardare Masha e Orso a grandezza naturale! Di mattina la colazione casereccia composta da bruschette, brioche, succhi e frutta, pane e marmellata, è servita nel giardino interno abbellito da piante verdi e fiori. Il tempo di una doccia veloce e stiamo camminando in discesa nei vicoli stretti e tortuosi di Noto per varcare la soglia del ristorante Tannur. Il locale raccomandatoci dai proprietari del bed and breakfast non delude le nostre aspettative. Ricavato in un vecchio edificio egregiamente restaurato, l’ambiente appare elegante e curato, così come i piatti ordinati di cui merita una menzione d’onore l’antipasto Tannur di terra e mare, con dieci assaggi davvero squisiti. Rapporto qualità-prezzo-location ottimo.

La serata è interamente dedicata alla scoperta di Noto, descritta come un giardino di pietra dallo storico dell’arte e saggista Cesare Brandi, conosciuta come la capitale del barocco e dichiarata Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco nel 2002 assieme ad altre otto cittadine della val di Noto. La prima chiesa che abbiamo il piacere di ammirare dopo essere sgusciati dalle viuzze semibuie e tortuose per incrociare il dritto, largo e ben illuminato Corso Vittorio Emanuele, è quella dedicata a San Francesco d’Assisi all’Immacolata. Siamo vicini a Porta Ferdinandea, o Reale, la versione siciliana dell’arco di trionfo e punto d’accesso alla parte ricca e aristocratica della città. Pochi passi verso la periferia si trova il giardino comunale, tappa obbligata se siete con dei bambini per via del parco giochi e delle giostrine a pagamento. Torniamo nel cuore pulsante del barocco lasciandoci ubriacare dalla pomposità dei decori che raggiungono la più alta espressione in via Corrado Nicolaci, chiusa da un lato dal Palazzo Nicolaci di Villadora. Per apprezzarne la facciata bisogna rivolgere lo sguardo al cielo e ammirare stupefatti le grottesche, ovvero figure come sirene, leoni e sfingi, scolpite sui mensoloni che sorreggono i balconi e descrivono le finestre. L’edificio simboleggia le fastosità artistiche ed economiche della famiglia nobile. Risalendo via Nicolaci e poi svoltando a sinistra s’intravede la scalinata via Dante Alighieri che da lontano appare come un originale dipinto. Questo perché le alzate dei gradini sono state ricoperte di dipinti in occasione della quarantaduesima edizione dell’Infiorata, regalando così uno speciale colpo d’occhio. La manifestazione svoltasi a maggio 2021 e intitolata ‘e quindi uscimmo a riveder le stelle’ ha voluto omaggiare il celebre poeta Dante Alighieri. Bisogna andare indietro di due secoli per vederne la nascita, quando gli infioratori della provincia di Roma coprivano con i fiori il percorso del Corpus Domini per dimostrare la propria devozione. 200 anni dopo le strade vengono ancora coperte di magnifiche composizioni floreali per ammaliare turisti e abitanti. Nel ‘giardino di pietra’ di Noto sono sbocciati 50 edifici religiosi e 15 palazzi nobiliari. Fra di essi molti colpiscono per la perfezione delle loro linee curve, come la facciata concava della chiesa di San Carlo o quella convessa scandita da venti arcate di Palazzo Ducezio, sede del Municipio. Proprio di fronte a quest’ultimo, in cima a un ampissimo scalone a tre rampe popolato di statue bronzee dello scultore polacco Igor Mitoraj, si staglia la Cattedrale di San Nicolò. Non colpisce per l’opulenza dei decori, ma piuttosto per la sua semplicità inscritta tra due torri laterali, slanciata da colonne corinzie e tre maestosi portali. Con il gelato appena comprato nel vicino caffè Costanzo ci sediamo sulla gradinata per assistere a uno spettacolo inscenato da artisti di strada. Ridiamo, battiamo le mani, gridiamo il bis, felici per la libertà e la spensieratezza ritrovate dopo tanti mesi di freddo lockdown. Ora è tempo di ricominciare a vivere, ora è tempo di ricominciare a viaggiare!

GIORNO 5

Siamo pronti a immergerci in un’oasi meravigliosa a soli 15 chilometri dal centro di Noto, la RISERVA NATURALE ORIENTATA di VENDICARI. Creata nel 1984 per consentire la nidificazione e il rifugio della fauna, comprese le tartarughe che si spingono tra le dune bianche per depositare le uova, e il ripristino della tipica vegetazione mediterranea, è un vero paradiso terrestre. Comprende una costa particolare e variegata sviluppatasi tra Pozzallo, Pachino e Avola, per circa 8 km, con un sistema di pantani costieri e una ricca biodiversità ambientale e faunistica. Non solo gli animali, pure l’uomo ha lasciato un segno importante e la sua presenza risale all’età del Bronzo. Vi sono strutture di interesse storico-archeologico come la Torre Sveva, eretta nel XIII secolo per avvistare gli attacchi dei saraceni, e i suggestivi ruderi della Tonnara, ovvero quel complesso d’impianti creati sopra e sotto la superficie del mare per la pesca del tonno. Rimasta in attività fino al 1944, i suoi ruderi identificano il paesaggio e ricordano i templi greci. Il tutto si staglia sopra i fondali cristallini, pianeggianti e tranquilli, ideali per lasciar divertire Leonardo. Accanto c’è pure un piccolo ma grazioso museo naturalistico nel quale sono raccolte immagini di repertorio della pesca al tonno, gli attrezzi del mestiere, una presentazione di specie di flora e fauna autoctone. Queste meraviglie si raggiungono a piedi dopo aver lasciato la macchina nell’area di parcheggio vicino all’ingresso principale dell’oasi, per intenderci quello con il punto informazioni. Ricordatevi di portare bottiglie d’acqua, viveri per il pic-nic e il necessario per il bagno perché all’interno dei confini di Vendicari non vi sono aree attrezzate. I sentieri sono molti e dalla Tonnara è possibile incamminarsi verso nord, magari per raggiungere la famosa spiaggia di Calamosche, oppure in direzione opposta, in entrambi i casi sostando ai punti di osservazione e godendosi le calette isolate, di roccia o sabbia, isolate dal resto del mondo. Un’esperienza assolutamente da provare.

Dopo una giornata così piena di emozioni fatichiamo a staccarci dalle acqua limpide di Vendicari. A pomeriggio inoltrato torniamo alla macchina e puntiamo verso sud. Poco più di venti chilometri percorsi in un territorio plasmato dall’agricoltura, fatto di serre dove si produce il pomodoro pachino e distese collinari di campi coltivati, ci separano dalla punta più meridionale d’Italia, a Portopalo di CAPO PASSERO. Scesi dall’auto, oltre le dune di sabbia, vediamo comparire pian piano la sagoma del faro e i resti dell’edificio militare appollaiati sull’isola delle Correnti. Separata dalla terra ferma da una sottile striscia di pietre che durante la bassa marea diventa facilmente percorribile, si protende verso il continente africano rimanendo al contempo ancorata all’Italia. Pochi passi e siamo al cospetto della statua candida del Cristo Redentore. Sotto di essa la targa riporta queste parole: “avventore ricorda, sei in un luogo magico. Qui approdò Ulisse tornando da Troia, e vi consacrò un cenotafio a Ecuba. Qui approdò San Paolo nel suo viaggio da Malta verso Roma.” E ancora un’ulteriore incisione identifica il luogo come il punto più a sud d’italia. In questo confine ideale due mari s’incontrano, mescolando le onde in uno scontro fomentato dai venti forti. La differenza con il mare di Vendicari è stridenti. Qui l’acqua è molto agitata, appare meno pulita così come la spiaggia, e i fondali s’inabissano rapidamente. Non è il posto ideale per far nuotare i bambini, ma un castello di sabbia si può sempre costruire.

In serata approdiamo nel bel borgo di pescatori di MARZAMEMI, distante appena una quindicina di chilometri. Su consiglio dei proprietari del bed & breakfast in cui trascorreremo la notte posteggiamo nel parcheggio la Diga in via Corrado Deodato. Da lì 350 metri ci dividono da Casa Memi in pieno centro storico e quindi in area ZTL. I proprietari Francesca e Corrado hanno creato un ambiente di puro relax scegliendo tonalità chiare per gli arredi e aggiungendo dettagli di gusto. La colazione varia e di qualità è servita nella saletta a piano strada di fianco all’ingresso del b&b. Il cuore antico del paese è piccolo ma estremamente caratteristico, soprattutto quando inizia a calare il tramonto e le lucine dei ristoranti e delle lampade illuminano le mura delle case color ocra, le porte e le sedie azzurre, le piante grasse avviluppate alle pareti, i fiori rossi e lillà, i pergolati verdi. La fondazione di Marzamemi si deve addirittura agli Arabi, nell’anno mille, che vi eressero la tonnara, della quale restano i ruderi. L’attuale disposizione risale però al XVIII secolo, alle modifiche apportate dalla famiglia Villadorata. Il paese abbraccia la meravigliosa piazza Regina Margherita, con le chiese dedicate al patrono San Francesco di Paola e il Palazzo dei Villadora. Il luogo va vissuto la sera, col buio e la frescura della notte imminente, se ne rimane catturati, di giorno invece, complice la calura spesso insopportabile e la luce abbagliante del sole, il fascino sbiadisce per rifiorire di nuovo al tramonto, un po’ come la fiaba di Cenerentola. Il prezzo da pagare per vivere un luogo così è l’elevato costo delle strutture ricettive e dei ristoranti, assieme all’ingente flusso di persone, perlomeno nei locali in centro o appena limitrofi. Per questo scegliamo la via appartata ma comunque caratteristica de i Pupi Bistrot. Il personale giovane e cordiale serve piatti gustosi che vanno dalle pinse e gli hamburger gourmet ai secondi di carne. C’è persino il pupi meal per i più piccoli con tanto di sorpresa e panino di qualità, subito scelto e apprezzato da Leonardo. La tappa obbligata del dopo cena è invece la gelateria Don Peppinu sul lungomare, proprio accanto al piccolo parco giochi, in posizione defilata rispetto al centro. Lì vi si ritorna in pochi passi e con un cono tra le mani assaporando, assieme ai gusti sfiziosi di gelato, l’atmosfera di rilassata e gioiosa di quest’angolo di Sicilia.

GIORNO 6

Le previsioni sull’arrivo della prima ondata di caldo africano si sono avverate. Già di mattina la calura riflessa dalle lastre di pietra in piazza Regina Margherita è insopportabile, almeno per noi valtellinesi poco abituati a temperature simili. L’afa non ci consente di godere al meglio della Marzamemi diurna e ripieghiamo presto sul vicinissimo LIDO SAN LORENZO, uno stabilimento balneare affacciato su una spiaggia bianca dai fondali bassi e l’acqua cristallina. Vogliamo concederci una giornata di mare con tutti i confort: sdraio e ombrellone, giochi per i bambini, bar, ristorante, gelateria, bagni e docce, non mancano neppure i venditori ambulanti di cocco, cappelli, palloni e racchette. Alterniamo passeggiate sul bagnasciuga a tuffi per rinfrescarci, costruzioni di sabbie e pisolini all’ombra: ore talmente riposanti da volare via velocissime! E nel tardo pomeriggio abbandoniamo a malincuore la brezza marina per rinchiuderci in macchina con l’aria condizionata e giungere dopo un’ora sull’isola di ORTIGIA, la parte antica di Siracusa e collegata alla terra ferma dai ponti Umbertino e Santa Lucia. I gestori del b&b Aretusa ci attendono in largo Aretusa per guidarci al parcheggio custodito convenzionato in cui posteggiare una notte al costo di 15 euro. La struttura ricettiva si trova a trecento metri, in un palazzo storico del XVII secolo ristrutturato nel 2020 e dotato di ascensore. Le camere ampie dai soffitti alti conservano dettagli signorili e insieme ai bagni moderni si presentano confortevoli con un tocco di eleganza. Il tempo di una doccia per lavare via la salsedine dalla pelle e siamo subito in strada, direzione Piazza Archimede sul cui incrocio con via Roma si colloca il ristorante A Putia. I tavolini in strada non offrono alcuna privacy da auto e passanti, ma di chiuderci all’interno non se ne parla. Prezzi contenuti e porzioni abbondanti, ottima la pasta alla norma e gustosi i pani cunzatu, ovvero conditi, con svariati ingredienti, dalle acciughe al tonno affumicato, dal paté di olive ai pomodorini. Il luogo è adatto a una cena veloce, perfetta con i bambini, se viaggiate in coppia e volete trascorrere una serata romantica assaggiando piatti di pesce allora si può trovare di meglio. Col calare della sera il frastuono di auto e motorini si smorza, venendo sostituito da quello più piacevole del ticchettio delle posate sui piatti e del discorrere allegro dei clienti di bar e ristoranti. E’ il momento migliore della lunga e afosa giornata estiva per girovagare in Ortigia. facciamo capolino in Piazza Archimede, rinfrescandoci con gli spruzzi della fontana di Diana, realizzata nel 1906 e narrante la leggenda della ninfa Aretusa (questa figura mitologica è ricorrente in città) che scappa dal dio del fiume Alfeo, aiutata da Diana, signora delle foreste. La circonda un abbraccio di palazzi signorili fatti con la pietra bianca del siracusano, la stessa che contraddistingue l’attigua via delle Maestranze che vale la pena di percorrere con la testa rivolta verso l’alto, sulle decorazioni delle facciate. Proseguendo su viuzze animate da piccoli locali dai quali sfuggono i profumi di pesce e di fritto, torniamo in corso Matteotti riempito dai negozi, arrivando in largo XXV Luglio. Qui sorge quel che rimane del Tempio di Apollo in stile dorico e risalente al VI secolo a.C.. Subì diverse trasformazioni e ora è un museo a cielo aperto, sempre visibile ma non accessibile e, aggiungo io, poco valorizzato e disseminato di erbacce, tanto da sembrare abbandonato a sé stesso. La brezza marina ci attira sulla dritta banchina del Foro Italico, di recente realizzazione fa parte del progetto di riqualifica del Porto grande. Da un lato vi attraccano lussuosi yacht e mastodontiche navi da crociera, dall’altra, sotto la preziosa ombra degli alberi si trovano caffè, ristorantini, qualche giostra per bambini e l’accesso tramite scalinata al panoramico Passeggio Adorno sui muraglioni spagnoli. A essi si accede pure attraversando Porta Marina, dell’identico periodo storico, impreziosita dalla decoratissima edicola posizionata sopra il portale. La prossima, e principale attrazione di Ortigia, è Fonte Aretusa, uno specchio d’acqua particolarmente romantico la notte, quando la luce arancione dei lampioni rischiara le verdissime piante acquatiche che spuntano dalla superficie scura. E’ incredibile pensare si tratti di acqua dolce che sgorga da una sorgente a pochi metri dal mare. Il luogo è molto fascinoso, tanto d’aver ispirato poeti, scrittori, pittori, ed è dedicato al ridondante mito di Aretusa. La ninfa in fuga dalle attenzioni insistenti del dio Alfeo chiese aiuto alla dea Diana la quale la trasformò nella fonte siracusana. Proseguendo sul lungomare si giunge all’estremità dell’isola di Ortigia, occupata per intero dal Castello Maniace. Eretto nella prima metà del 1200 come residenza signorile muta nel corso dei secoli in prigione, per poi essere inglobato nel possente piano di fortificazione spagnola. Semidistrutto nel 1704 da una devastante esplosione all’interno della polveriera, viene in parte recuperato e ricostruito per rivivere in età napoleonica con funzione militare. Con l’ultima ristrutturazione del 2010 la fortezza rinasce imponente ed elegante davanti ai nostri occhi che la vediamo scaturire dalle onde. Dopo aver inspirato l’odore del mare ci tuffiamo di nuovo tra due ali di mura adornate di terrazzini, fiori e piante grasse, per scoprire l’ultimo gioiello della passeggiata serale. Il Duomo spunta tra il Municipio e il palazzo Arcivescovile, di fronte ad altri edifici di interesse architettonico disposti sull’altro lato della piazza. Il luogo fin dal VI secolo a.C. era destinato a occupare un complesso di culto, dai templi greci di cui sono ancora visibili le imponenti colonne doriche, all’edificio cristiano del VII secolo d.C. La facciata distrutta durante il terremoto del 1693 venne ricreata nel pomposo stile barocco tra il 1728 e il 1754 e oggi impone la sua presenza al culmine di una scalinata. Causa l’orario e le norme anti Covid non è possibile accedervi ma ammirarlo dall’esterno ci basta. Prima di andare a dormire rinfreschiamo i sensi con una tipica granita siciliana ai fichi d’india, questi sapori ci mancheranno quando saremo a casa!

GIORNO 7

Ultime ore in terra sicula, tanti ricordi collezionati in sette giorni di sorprese e momenti spiazzanti, ma soprattutto di numerosi luoghi e persone che ci rimarranno impresse nella mente. Dopo aver consumato la colazione deliziosa nella terrazza sul tetto con vista mare del b&b Aretusa sfruttiamo quel che resta della mattina girovagando per Ortigia. Nonostante il termometro superi già i trenta gradi, per i vicoli ombreggiati del centro si cammina senza soffrire troppo il caldo, accarezzati dalla brezza marina che si incanala tra le mura dei palazzi. Ripercorriamo il dritto Foro Italico, ci affacciamo di nuovo su Fonte Aretusa dove alla luce del sole è possibile ammirare gli unici papiri spontanei in Europa, i tanti pesci, le anatre e i cigni: un vero divertimento per i bambini. Torniamo fino all’ingresso di Castello Maniace sperando in una sua apertura mattutina, invece i cancelli si spalancheranno solo dopo le 11, tardi per visitarlo con un bimbo sotto il sole cocente. Chiediamo a un passante come siano gli interni e lo scoprire che è l’imponente visione esterna a impressionare ci consola. Veniamo ancora inghiottiti dal caos dei viottoli per poi sbucare sulla costa al belvedere San Giacomo. Un’altra incursione in piazza Duomo per cogliere i particolari della cattedrale e degli edifici storici disposti tutti intorno, a conferma però che è la notte a caricarli di fascino. Alla fine recuperiamo l’auto puntando verso il centro commerciale Centro Sicilia, distante nemmeno dieci chilometri dall’aeroporto Fontanarossa di Catania, e dove la calura è sconfitta dall’aria condizionata. Negozi, qualche gioco e una food court con perlopiù ristoranti di catene nazionali e internazionali. Un luogo omologato alla globalizzazione, tuttavia ideale per consumare un pranzo e sgranchirsi le gambe poco prima di salire in aereo, pure perché il secondo aeroporto della Sicilia è davvero piccolo e non offre opportunità di svago.

La maggiore isola d’Italia, talvolta caotica e spiazzante, con i suoi contrasti, le bellezze naturali e artistiche, i sapori, un clima e una quotidianità diversi rispetto al settentrione, ha ampiamente esaudito le nostre aspettative. Torneremo un giorno per visitare le vulcaniche Eolie, e rivivere la splendida esperienza sperimentata sull’Etna.

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Isola Bella a Taormina

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i colori di Taormina

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Sbuffi di cenere dall'Etna

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i colori di Marzamemi

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Cristo Redentore nel punto più a sud d'Italia e sullo sfondo isola delle correnti

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Corso Umberto a Taormina

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Fonte Aretusa a Ortigia, Siracusa

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Cattedrale di Noto

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scalinata via Dante Alighieri a Noto



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