Alla scoperta del West
Itinerario: arrivo Salt Lake City, Grand Teton Park, Yellowstone Park, Cody, Little Big Horn, Devils Tower, Rushmore Mountains, Custer Park, Durango, Mesa Verde, Manitou Springs, 3 giorni in N.Y.C., sosta parenti in New Jersey.
Prenotato tramite agenzia: voli aerei, pernottamenti a Salt Lake City e N.Y.C., noleggio dell’auto.
16/8 Domenica Partenza da Bologna per Parigi con Air France; da Parigi a Salt Lake City volo diretto Delta Airlines, forse un po’ lungo nelle sue 11.45 ore, ma l’allestimento del Boing 767 è tale da permettere sia a me che al mio amico, ambedue extralarge, un volo tutto sommato confortevole. La giornata è limpidissima e la rotta semipolare ci porta a sorvolare l’Islanda, la Groenlandia e tutto il Canada, in particolare la baia di Hudson: il divertimento è incominciato già prima di toccare terra.
All’arrivo, sono le 3 p.M. Locali; disbrigate le pratiche dell’immigrazione, molto rapide in quanto l’aeroporto è sì internazionale, ma con volumi di traffico non certamente paragonabili a N.Y. O San Francisco, ci rechiamo al bancone della Alamo per il ritiro dell’auto. La classe prescelta dell’auto è classificata MiniSuv, e ci ritroviamo una Chevrolet Equinox di quasi 5 metri: vedendo i nostri sguardi divertiti, ci informano che la classe SUV prevede veicoli fino a 6 metri: veramente gli Usa “are a big country” in ogni dettaglio.
Entriamo in città e, senza l’uso di particolari strumentazioni, se non una cartina dettagliata e alcune stampe di Google maps, troviamo l’albergo prenotato. A questo proposito, viaggio sempre senza navigatore: a parte la comodità indubbia di avere indicazioni dettagliate, soprattutto per le grandi città, forse mi toglie un po’ di spirito d’avventura, e poi mia moglie mi dice: “se c’è il navigatore, io cosa faccio?” e vi assicuro che potrebbe mettersi a discutere anche con la vocina dell’apparecchio.
L’albergo è il Peery Hotel: it’s very nice, fa parte degli edifici storici certificati e l’arredo è d’epoca West; una doccia, un minimo di riposo ed usciamo a fare quattro passi. E’ domenica pomeriggio, e la città è semideserta. S.L.C. È la capitale dello Utah e fu fondata dai Mormoni; attualmente è il centro mondiale di questo movimento religioso molto ortodosso, e pertanto la domenica viene veramente considerata giorno di riposo e santificazione. Ci rechiamo presso il Mormon Center, complesso di edifici che rappresenta il centro nevralgico ed organizzativo, nonché fondativo per i Mormoni; all’ingresso veniamo accolti da una serie di volontari che ci fanno la domanda che sarà il ritornello dalla nostra vacanza: where are you from? Sono organizzate visite guidate in tutte le lingue, italiano compreso, e facciamo il primo incontro con Americani che hanno soggiornato in Italia: non potete immaginare quanto sia famosa l’Italia nell’immaginario collettivo degli Americani che abitano le Praterie. Piccolo giro turistico nella città, con visita al Capitol Hill, immediatamente riconoscibile in quanto somigliantissimo all’omonimo di Washington, cena veloce ed un po’ di riposo per smaltire il jet lag.
17/8 Lunedì Verso Yellowstone Park Ed ora verso nord. Tappa di avvicinamento a Yellowstone Park. Poco fuori Salt Lake City, in una propaggine del Grande Lago Salato, visitiamo una zona umida che è riserva naturale: per gli appassionati di bird watching il divertimento è assicurato. Al visitor center veniamo accolti da un cortesissimo volontario che, oltre ad illustrarci alcune caratteristiche della riserva, ci dà interessanti notizie sul Wild West: nella zona, un grande altipiano circondato dalle montagne, avvenne lo storico incontro delle due ferrovie che congiunsero le due coste: la Central Pacific e la Union Pacific; ci mostra anche una copia del chiodo d’oro con cui venne fissata l’ultima traversina al binario. Anche lui ci magnifica the Italian food, e tesse lodi sugli spaghetti alla Bolognese (sigh… sigh…) Vi svelo un segreto: sono Bolognese di nascita e di residenza, bolognese da almeno quattro generazioni. Ebbene, gli spaghetti alla Bolognese li troverete in quasi tutti i menù del mondo, tranne che a Bologna!!!! Con il ragù (all’americana meat sauce) a Bologna si mangiano esclusivamente le tagliatelle, come vi potranno confermare Syusy e Patrizio. Scusate lo sfogo.
Lasciamo lo Utah ed attraversiamo parte dello stato agricolo dell’Idaho, famoso per la produzione di patate (c’è anche scritto sulla targa automobilistica, quando non esiste storia…): bellissimi panorami, alternanza di campi di grano giallo (stanno mietendo) e verdi campi di patate che arrivano all’orizzonte. Spuntino veloce da Subway lungo la strada (questa catena ci aiuterà molto durante il viaggio) e verso sera entriamo in Wyoming, arrivando a Jackson Hole, nostra meta prestabilita. Cerchiamo alloggio con l’aiuto delle guide al seguito, Lonely Planet e Routard, e facilmente troviamo. Devo dire che in tutto il viaggio non abbiamo mai avuto difficoltà a trovare il pernottamento, forse di più il pasto serale, per l’inconciliabile abitudine degli Americani di mangiare presto (nei piccoli paesi dell’interno i Deli, i caffè e ristoranti chiudono alle 9 p.M.) ed il vizio tipicamente italico di tirare tardi la sera. Ma, ovviamente, basta prendere le misure.
E qui, cari amici, c’è il primo impatto con il West. Nel nostro immaginario, frutto soprattutto della filmografia e dei racconti epici, quando parliamo del Far West, ci viene subito in mente il Texas, e gli indiani seminudi ed urlanti che tendono agguati alla diligenza fra i monoliti della Monument Valley (che peraltro di trova tra Arizona e Utah). In realtà, l’espansione pionieristica avviene molto più a nord, appunto nelle Grandi Pianure, seguendo in gran parte quella pista tracciata proprio dai Mormoni che fondarono Salt Lake City. Dicevo che a Jackson Hole c’è il primo impatto con il West vero e quello turistico: Pick up enormi da cui scendono farmer con cappello e stivali, enormi archi formati da corna di cervo ed alce che delimitano i quattro angoli da cui si accede al piccolo parco al centro della cittadina, Stage Coach rossa con tiro a quattro che gira per la cittadina per la delizia dei turisti (soprattutto gli Americani), Christmas Gifts con decorazioni dell’albero di filo spinato a forma di sheriff star o di stivale, luci per l’albero di Natale fatte con le cartucce da caccia usate…Al di là del Kitch, forse sottolineato un po’ troppo da chi, come noi Italiani, si sente sicuro dei suoi tremila anni di storia alle spalle, l’impatto emotivo è forte: i paesaggi stupendi, le grandi dimensioni in tutto ed a cui noi non siamo abituati, lo stupore per quello che vediamo e le aspettative per il viaggio appena cominciato, ci rendono felici. Ci sono tutte le giuste premesse per una ottima cena in un locale “tipico”: il Cow Boy Breakfast Buffet dove dalle pareti incombe, assieme a selle, finimenti, attrezzi vari da minatore, una grande sagoma di John Wayne nella vera parte di John Wayne: il cow boy di Ombre Rosse. Andiamo a dormire, non senza prima rabbrividire: la temperatura, dopo il tramonto scende rapidamente attorno ai 4 gradi celsius.
18/8 Martedì e 19/8 Mercoledì Grand Teton Park e Yellowstone Park Descrivere il Parco di Yellowstone a parole è quasi impossibile: la visita a questo parco vale da sola la fatica del viaggio. Tutto il resto che vedi è regalato.
Procediamo per ordine. Lasciata Jackson Hole dopo una abbondante colazione sempre sotto gli occhi vigili di John Wayne, partiamo per il Teton Park, itinerario obbligatorio per l’ingresso meridionale dello Yellowstone (il biglietto è unico e vale come al solito 7 giorni come in tutti i parchi federali). Cime frastagliate e picchi tutti abbondantemente sopra i tremila metri si susseguono a laghi, foreste e panorami infiniti. Si narra che il Grand Teton Park ha preso il nome dalle fantasie di un cacciatore di pelli francesi che, agli albori del 1800, raggiunse per primo il sito e paragonò la lunga e regolare catena di cime montuose ai capezzoli femminili che non vedeva più da un bel pezzo. Raggiungiamo Yellowstone e ci rechiamo subito in una delle zone più famose per assistere alla puntuale eruzione (ogni 90 minuti) del geyser Old Faithfull: indescrivibile. La zona è lunare e dà la situazione esatta della conformazione di Yellowstone: una enorme caldera vulcanica in abbondante attività; a Pozzuoli o nell’isola di Vulcano le fumarole o le pozze di fango bollente sono alcune: qui sono alcune decine moltiplicate per dieci (it’s a big country!). Attraversiamo il parco verso l’uscita ovest, non senza sostare in uno luogo dov’è allestito un piccolo museo che racconta i momenti salienti del disastroso incendio negli anni ’80. Il fuoco si sviluppò per autocombustione a seguito di una tempesta di fulmini: furono distrutti più di un terzo degli alberi di Yellowstone e la colonna di fumo era visibile dai satelliti in orbita attorno alla terra; l’incendio scoppio in giugno e fu domato definitivamente solo a novembre. Arriviamo nella cittadina di West Yellowstone, Montana, duecento metri dall’ingresso del parco. Cerchiamo alloggio e dopo una buona cena, il meritato riposo.
Sveglia di buon mattino; nel parcheggio del Motel mia moglie e Stefano, il nostro amico compagno di viaggio, si entusiasmano a fotografare le targhe delle auto parcheggiate: sono variopinte, diverse per ogni stato degli USA e di ogni stato riportano il “motto proprio”. Inizia da questo momento una specie di gara “all’ultimo scatto” che durerà per tutto il viaggio: vince chi dei due riuscirà a fotografare il maggior numero di targhe dei vari stati USA. Facciamo colazione in un piccolo negozio di fornaio con alcun tavolini: servono caffè fatto al momento ed anche alcune brioche appena sfornate, oltre alla nostrana american breakfast: sinceramente, con tutta la buona volontà, dopo tre mattine di pancake cotti nel burro o uova strapazzate il nostro stomaco ed il mio colesterolo hanno già acceso la spia rossa. Rientriamo nel parco con il saluto del ranger all’ingresso: welcome back Sir…La giornata passa fra le magnificenze naturali del parco: ricorderò solo Mammoth Hot Springs, sorgenti con forte contenuto di calcio che formano e scolpiscono concrezioni di travertino su di una intera parete della montagna, e lo Yellowstone River, che scorre verso il Missouri a nord, con il suo Gran Canyon. Capitolo a parte per quanto riguarda la wild life. I bisonti pascolano tranquillamente ai bordi della strada, e, se non disturbati, sono molto placidi. Cervi e wapiti (una specie di antilope) sono avvistabili soprattutto al mattino e alla sera per l’abbeverata; in alcuni punti abbiamo avvistato anche nidi di rapaci con i piccoli nel nido. I rangers ci dicono che gli animali da cui bisogna guardarsi non sono orsi e lupi, perché nei mesi estivi salgono verso le cime per cercare pace e temperature più fresche, ma gli alci. Ci vengono descritti come horse with horns, per darne la dimensione, e soprattutto sono famosi per il carattere collerico; se vengono avvistati, si raccomandano di stare a debita distanza, visto i danni che spesso fanno alle automobili con calci e cornate. Non proviamo questa emozione, in quanto non ne vediamo neanche uno. Dopo aver percorso i due loop che attraversano il parco, ci ritiriamo nuovamente a West Yellowstone per la notte.
20/8 Giovedì Da Yellowstone a Cody Alle 7,30 siamo già entrati nel parco e, dopo aver avvistato diversi ungulati che scendono verso i fiumi per l’abbeverata mattutina, raggiungiamo un’altra zona di geyser, fumarole e laghi di acqua calda; i colori e la limpidezza delle acque, risaltati dalla luce del primo sole del mattino, ci fanno vivere nuovamente forti emozioni; con questi ricordi, costeggiamo lo Yellowstone Lake e ci avviamo verso l’uscita Est del parco. Il pasto di mezzogiorno, come per le altre giornate nel parco, consiste in alcuni panini che ci siamo auto confezionati facendo la spesa nel General Store di West Yellowstone: non fatevi ingannare dal nome, non è il negozio del West con la pancetta appesa e i sacchi di farina e fagioli davanti al bancone; si tratta di un modernissimo supermercato dove non manca nulla, nemmeno dieci – dico dieci – metri lineari di celle frigorifere contenenti ghiaccio, altro must americano insieme alla air conditioned sparata al massimo. Consumato il pasto in una area picnic lungo lo Yellowstone Lake, comincia la discesa che ci porterà a Cody, la città di Buffalo Bill.
Durante il viaggio, una volta finiti i boschi e le zone fertili, si entra in una zona semi desertica, ed oplà!! Compare il cartello Shoshone Reserve. Nei viaggi negli States, anche questa è un’altra certezza: le riserve indiane sono per la maggior parte locate in zone semidesertiche. Una ragione ci sarà…
Arriviamo a Cody nel tardo pomeriggio. Troviamo il Motel, una veloce doccia e ci dirigiamo verso il centro della cittadina dove alle 6 p.M. Tutti i giorni è allestito lo spettacolo del duello di pistoleri: avete capito benissimo: duello di pistoleri, con tanto di sceriffo, cattivo, donna fatale del saloon ecc.
Non godiamo per intero dello spettacolo che si protrae molto con dettagliate spiegazioni della location a favore dei tanti turisti americani che affollano la piazza. Andiamo a cercare qualcosa da mangiare in un caffè perché alle 8 p.M. Ci aspetta un altro tuffo nel wild West: il Rodeo. A Cody, definita nei cartelloni pubblicitari “USA Rodeo Capital”, nei mesi estivi tutte le sere c’è lo spettacolo: dura due ore e mezza ininterrotte e devo dire che la visione è un’altra forte emozione, sicuramente da non perdere. Vengono presentati tutti i numeri classici, compreso la cavalcata dei tori, animali sicuramente poco simpatici sia per dimensioni che per carattere. Di fianco a noi tipica famigliola americana: padre, madre, tre figli biondi in scala di età ravvicinata e ciascuno con una catinella di popcorn con immancabile cola. All’uscita incontriamo alcuni ragazzi italiani che avevamo conosciuto al Motel di Jackson, e con loro scambiamo alcune impressioni sul viaggio. Facciamo alcune compere nel supermercato Wall Mart aperto 24 ore ed andiamo a goderci il meritato riposo.
21/8 Venerdì Little Big Horn e l’epopea del generale Custer Ce la prendiamo un po’ comoda (la pagheremo questa sera) e consumiamo con calma la colazione all’aperto nel Motel dove abbiamo pernottato. Cominciamo a macinare miglia, e durante il viaggio riflettiamo sul fatto che probabilmente Cody meritava qualche attenzione in più: la vastissima area museale sui nativi americani, inaugurata da qualche anno, avrebbe meritato certamente una visita. La mattinata passa in automobile, fra soste per la benzina e fermate lungo la ferrovia che costeggia la strada per ammirare un altro must americano: il treno merci. Letteralmente giganteschi. Al traino anche di quattro locomotive con altre due macchine in coda di spinta, sono riuscito a contare fino 150 carri merci: vicino ai binari la terra trema al loro passaggio. Passiamo nel Montana e verso l’1 p.M. Arriviamo al Little Big Horn National Park. Visitiamo l’interessante museo al visitor center dove realmente vengono proposte tutte due le versioni della vicenda, non solo quella da parte delle giubbe blu. Brevemente: la nazione Sioux (formata da diverse tribù) sconfina dalla riserva assegnata e si accampa lungo il fiume nel fondo della vallata, dove c’è verde ed acqua; il 7° cavalleggeri formato da uomini scarsamente addestrati (su oltre 250 morti, 90 non erano ancora americani, erano immigrati irlandesi, tedeschi, francesi, italiani ed anche un greco, parlavano male l’inglese e si arruolavano nell’esercito con la promessa della cittadinanza…) viene inviato per ristabilire l’ordine. Cominciano le scaramucce e la battaglia vera e propria dura una settimana circa: Toro Seduto (capo della nazione Sioux) e Cavallo Pazzo con circa duemila guerrieri incalzano le truppe regolari e le sterminano, inseguendole su una vasta area delle colline circostanti. Con l’auto, sotto un sole cocente, percorriamo la strada che porta a visitare i luoghi salienti dello scontro, segnalati dalle lapidi dei caduti (le lapidi indiane sono state aggiunte solo di recente). Durante la visita al museo, ci intratteniamo con un cortesissimo ranger che conosce l’Italia: ha “servito” tre anni nei Marines e li ha trascorsi a Roma a guardia dell’ambasciata Usa. Pur con qualche difficoltà linguistica (il nostro inglese sicuramente è molto limitato per una conversazione) ci vengono raccontati alcuni aneddoti sulla vita odierna nelle praterie. Racconto solo questo: le dimensioni dei pascoli sono talmente vaste che, al momento di radunare le mandrie per l’inverno, i moderni cow boys salgono a cavallo e, con il carro che segue per la cucina ed i bisogni primari, rimangono in giro fino a dieci giorni, con tanto di pernottamento all’aperto e coreografia Western a noi ben nota. La domanda finale rivoltaci è stata: “Do you understand why people are armed?”Al di là della voglia di stupire il turista “ocone”, l’argomento della vita in questi posti ancora oggi “ai confini” tiene banco tra di noi mentre consumiamo i nostri panini su di un tavolino all’esterno di un complesso che accoglie strutture di assistenza e socializzazione per i nativi americani, guardando tra il divertito ed il perplesso i cartelli di pericolo: “don’t confidence with rattlesnakes”. Prima di risalire in macchina, ragioniamo su quale strada sia la migliore per raggiungere la meta dell’indomani: Devils Tower; decidiamo di non tornare indietro per riprendere l’highway, ma di attraversare la riserva Cheyenne e proseguire per la statale. Ci attendono una lunga attraversata di terreni aridi e deserti (quelli della riserva) e di “verdi praterie” (fuori dalla riserva dei nativi) che in circa quattro ore ci porterà nelle prossimità del parco. La vastità del paesaggio che ci circonda, ancora oggi quasi totalmente non abitato, ci pone alcuni interrogativi sulla ragione vera dello sterminio dei nativi: di terra qui ce ne era certamente per tutti… Quando arriviamo al posto dove pensavamo si alloggiare, ci accorgiamo che la località segnata sulla cartina come Alzada, non è altro che un distributore di carburante ad un incrocio con qualche trascurata casa in legno. Mia moglie chiede informazione nell’immancabile store annesso al distributore di benzina ed alla sua domanda se ad Alzada ci sia un motel, sia la commessa che l’agente della stradale fermo a bere un caffè rispondono con una sonora risata. Ci dicono che near near c’è una zona turistica con tutte le attrezzature che ci servono. Partiamo di gran carriera e sulla carta capiamo che near near significano altre 45 miglia. Attraversiamo nuovamente il confine con il Wyoming: siamo ora nella sua propaggine nord orientale. Il sole comincia a calare e, non senza aver evitato una collisione con un wapiti enorme tranquillamente fermo al centro della strada dopo una curva, arriviamo ad Hullet alle 8,30 p.M. Troviamo da dormire ed alla domanda sulle possibilità di ristoro, la cortesissima proprietaria del motel guarda l’orologio ed esclama: It’s a problem. Per farla breve, riusciamo al pelo a farci servire un sandwich (peraltro assolutamente sufficiente, viste le dimensioni) in un dely ormai giunto all’orario di chiusura. Stanchi, ma contenti, andiamo a dormire, non senza aver notato la macchina della polizia locale che gira insistentemente attorno ad un bar da cui giungono canti, urla, risa e schiamazzi assortiti (è venerdì sera) di chiara matrice alcoolica.
22/8 Sabato Devils Tower National Monument, Mt Rushmore National Memorial La colazione consumata al Poonderosa Caffè di Hullet sulle appiccicaticce tovaglie di plastica a scacci banchi e rossi vale la pena ricordarla. Sono le 7,30 e ci avviamo per cercare un locale: l’unico con un po’ di movimento attorno è questo Poonderosa Caffè, che ha davanti parcheggiati numerosi Pick Up. Il mio amico Stefano butta un occhio all’interno e ci domanda: Sicuri? Dopo essere stato quasi insultato da noi, apre la porta ed appare una scena da film: cameriera che pulisce il bancone con l’immancabile matita sull’orecchio per le ordinazioni, tavolo tondo centrale con i locali farmer e cow boys con cappello calzato intenti a sorbirsi il loro coffee; al nostro ingresso tutti si zittiscono e ci guardano interrogativi; mio colpo di genio: saluto con un Goodmornig everybody e la situazione si rianima; qualcuno bofonchia un aih, qualcun’altro un goodmornig to you; forse abbiamo superato l’esame del turista maleducato verso i locali, e così possiamo procedere con il breakfast. Affascinante. E’ l’unico aggettivo che mi viene in mente per descrivere il Devils Tower National Monument. Dopo l’ingresso del parco, che raggiungiamo in pochi minuti (senza volerlo ed al buio la sera precedente siamo arrivati proprio vicinissimi al sito), percorrendo una strada che attraversa una vasta zona abitata da innumerevoli cani della prateria, arriviamo al visitor center, dove ci aspettano alcune spiegazioni molto interessanti sull’origine del luogo. Sicuramente il nome di Devils Tower dice poco, ma se vi dicessi Incontri ravvicinati del terzo tipo? Molti di voi si ricorderanno del film di Spielberg della fine degli anni ’70: Devils Tower è il sito dove avviene l’incontro finale, su questa montagna tronco conica che sbuca all’improvviso dalla pianura. Tralascio le origini geologiche. Il luogo è sacro per i nativi americani; nel bosco che circonda il loop che percorriamo a piedi attorno alla base della montagna, si vedono striscioline di carta o stoffa colorata appesi ai rami: sono segni votivi che vengono lasciati durante l’annuale raduno che avviene tutt’ora. Il nome di torre dei diavoli è stato naturalmente dato dai bianchi per spregio alle cerimonie sacre dei nativi; esiste tuttora un contenzioso con lo stato per la modifica del nome.
Partiamo verso la nostra prossima destinazione: Mt Rushmore, i visi di quattro presidenti scolpiti nel granito delle montagne. Oltrepassiamo il confine del South Dakota e ci rifocilliamo velocemente in un Subway a Rapid City. Arriviamo al Memorial verso le 4 p.M. Di una giornata limpidissima ed anche qui lo spettacolo che ci si presenta è notevole. Tutto il complesso è molto solenne e, da quello che possiamo capire, rappresenta per gli americani l’ideale di Patria e Bandiera e pertanto, non si scherza. Ammiriamo i volti di Washington, Jefferson, Theodore Roosevelt e Lincoln scolpiti sulla montagna con il sole pomeridiano che li illumina senza ombre, visitiamo il dettagliato museo che spiega le ragioni e le tecniche di costruzione sicuramente all’avanguardia per gli anni venti. Dopo un giro nell’immancabile gift shop (mai nominati fino ad ora, ma sempre ben presenti durante tutto il viaggio) ci rilassiamo nel vasto caffè restaurant e verso sera, andiamo alla vicina e turistica Keystone, dove alloggeremo. E’ sabato ed i prezzi degli alloggi sono cari. Alla richiesta di 99,90 $ per una stanza, la mia reazione è stata un immediato Thank you, it’s too expansive; non ci crederete, l’impiegata, dopo breve conciliabolo, ci ha offerto la camera a 76,75 $. Il motel fà parte di una grossa catena, che incentiva il personale con percentuali sulle camere occupate. Hanno considerato la possibilità di far occupare le due stanze ad un prezzo inferiore, piuttosto che lasciarle vuote, visto l’ora un po’ tarda. Ho già accennato alla vocazione turistica di Keystone, cittadina famosa per l’attività mineraria, ormai del tutto abbandonata. La serata trascorre tra negozi dove facciamo alcuni acquisti ed un family restaurant dove assaporiamo una notevole steak con relativi contorni.
23/8 Domenica Verso Cheyenne Durante l’organizzazione del viaggio, ci era balenata l’idea di poter visitare la Mesa Verde, che si trova nell’estremità meridionale del Colorado, quasi al confine con lo Utah. Fatti alcuni calcoli, vista la buona viabilità e la comodità dell’auto in dotazione, decidiamo di procedere. Così, dopo aver bighellonato ancora un po’ a Keystone, partiamo verso sud. Attraversiamo il Custer State Park che ci permette di avere diverse vedute sul Rushmore Memorial che si allontana; qui incontriamo altra wild life; interessanti gli asini selvatici endemici di questa zona, che si avvicinano alle automobili per cercare cibo con grande letizia di grandi e piccini; su di un piccolo rialzo ai margini della strada un bisonte adulto con un esemplare più giovane si fanno fotografare in tutte le pose. Avanziamo l’ipotesi che siano finti o addomesticati, visto la quantità di gente che hanno attorno, con le solite esclamazioni oh my God e wonderful. Facciamo velocemente picnic e rientriamo in Wyoming. E’ domenica pomeriggio, le strade sono letteralmente deserte. Percorriamo quasi 70 miglia senza incrociare nessuno, con curve della strada quasi inesistenti; l’asfalto corre con alcune ondulazioni davanti a noi fino all’orizzonte. Sicuramente il nostro viaggio è on the road. Le mandrie di bestiame sono solo macchie scure sopra il giallo riarso della prateria alla fine di agosto. La strada fiancheggia per un lungo tratto una linea ferroviaria a doppio binario, dove circolano lunghissimi treni carichi di carbone, provenienti dalle miniere a cielo aperto esistenti in zona e diretti alle centrali termo elettriche. Ci fermiamo su di uno spiazzo per sgranchirci un po’ le gambe e fotografare un convoglio che noi pensiamo sia fermo ad un segnale. Fotografiamo le gialle locomotive della Union Pacific che esibiscono grandi bandiere americane ed il motto “we are building America. Dopo alcuni minuti, vediamo il macchinista che scende e si avvicina: pensiamo subito di aver fatto qualcosa che non si doveva fare; invece cerca solo compagnia, e dopo aver ribadito la bontà del cibo italiano, spiega che the train is broken. Una squadra di meccanici sta aggiustando i locomotori al centro del treno. In un primo momento non capiamo, ma quando ripartiamo comprendiamo tutto: per gioco, visto che non sto guidando, comincio a contare i vagoni: non ci crederete, ma il convoglio era formato da due locomotive, centocinquanta vagoni, quattro locomotive al centro, centocinquanta vagoni, due locomotive di spinta in coda: con l’auto abbiamo impiegato 15 minuti per scorrerlo tutto!!! Verso sera arriviamo a Cheyenne, capitale del Wyoming, posta nell’estremità sud est dello stato. Troviamo facilmente alloggio, non altrettanto facilmente cerchiamo un locale per il dinner, ma quando riusciamo ad incocciare la strada dei ristoranti, non abbiamo che l’imbarazzo della scelta. Il motel è in vista di una importante arteria ferroviaria, così mi metto a “guardare il treno” (forse avete già capito che si tratta di una mia vecchia passione). Si avvicina il proprietario che, notando il mio interesse, mi indica una strada poco distante con un grande ponte che attraversa lo scalo merci della Union Pacific: per gli appassionati una vera pacchia. Ovviamente commenta favorevolmente la cucina italiana e facciamo quattro chiacchiere: durante il servizio militare è stato tre anni in Italia, a Vicenza e Verona, presso i comandi della Nato presenti sul ns. Territorio.
24/8 Lunedi Verso Durango e la Mesa Verde La partenza è fissata verso le 6,30. Quando ci presentiamo al locale della sera precedente alle 6.10 per la colazione, una cameriera simpatica e stralunata ci fa accomodare e ci spiega che the kitchen isn’t ready. Poco male: siamo seduti, in buona compagnia e facciamo chiacchiere, ovviamente all’italiana, cioè rumorosamente. Con qualche decina di minuti di ritardo sulla tabella di marcia partiamo alla volta di Durango che si trova nell’estremità sud occidentale del Colorado. Sarà una giornata trascorsa quasi totalmente in auto, attraversando in diagonale tutto lo stato. Nei dintorni di Denver troviamo un po’ di fila in autostrada: è l’ora di punta mattutina. Superato il nodo di Denver, ci inoltriamo verso le Rocky Mountains e fra paesaggi indescrivibili ci avviciniamo alla meta. Breve sosta per rifocillare noi ed il serbatoio dell’auto nei dintorni di Aspen, dove veniamo a contatto brevemente ma significativamente con alcuni esemplari della razza middle superior class americana in vacanza, riconoscibili dalle auto (spopolano le tedesche Mercedes, BMW e Audi) e dall’abbigliamento griffato da far invidia a Via Montenapoleone. La scelta dell’itinerario, per non farci mancare nulla e non percorrere due volte la stessa strada andata e ritorno, è caduta sul percorso più panoramico, ma più difficoltoso. Lasciata l’autostrada, imbocchiamo un percorso che mano a mano si trasforma in una vera e propria strada di montagna, con tanto di curve e tornanti. Dovremo attraversare due passi sopra i 3.300 metri, e la guida degli americani, abituati al cambio automatico ed alle grandi strade larghe e dritte non è certo delle migliori. Contro tutte le nostre aspettative, l’itinerario è molto frequentato ed attraversa una serie di paesi ed insediamenti minerari su cui spicca Silverton, famosa per le miniere di argento. Verso le 6 p.M. Ci si mette pure il tempo ed arriviamo a Durango sotto un temporale battente. Troviamo alloggio in un motel discreto, scarichiamo i bagagli e ci rinfreschiamo. Facendo un bilancio della giornata di viaggio, faticosa certamente, siamo tutti concordi che la varietà di panorami e la bellezza dei paesaggi ci ha ampiamente ripagato della fatica. Pernotteremo due notti a Durango, così da recuperare un po’ la fatica che comincia a farsi sentire dopo 10 giorni on the road.
Dicevo che arriviamo a Durango sotto una pioggia battente. Il tempo della doccia e comincia a spiovere. Scendiamo in centro ed alle 7,30 p.M. Assistiamo ad uno spettacoloso tramonto rosso fuoco con tanto di rainbow in the sky. Durango è certamente un altro nome del mito del West. Il centro città è molto accogliente, ed accanto ad innumerevoli negozi di articolari vari, presenta anche numerosi locali affollati da giovani universitari: apprendiamo che il semestre è iniziato proprio in quella settimana. Passeggiando per lo streap troviamo in un negozio di antiquity l’oggetto che verrà a gran voce proclamato il re del kitch di tutto il viaggio: una poltrona fatta esclusivamente di corna di vacca con tappezzeria in pelle pezzata marron e bianca. Un vero must! Notevoli gli Historical Building ottocenteschi molto ben conservati. All’interno di un albergo c’è un saloon tutto in stile, con tanto di entrata ad ante a molle, barman calvo, ragazze in giarrettiere e pianista in camicia con ferma maniche. Consumiamo la cena in un bel locale dove, per sbaglio, viene ordinato un piatto di pasta sotto mentite spoglie: stranamente, vista la nostra avversione al cibo italiano a tutti i costi in tutti paesi del mondo, apprezziamo.
25/8 Martedì La Mesa Verde Ci siamo ritagliati tutta la giornata per visitare il parco della Mesa Verde. Alle 9 p.M. Partiamo dopo una rapida colazione fatta con gli approvvigionamenti acquistati la sera prima in un Super Store aperto tutta la notte. Beviamo caffè self made con la macchina che è presente nella camera di quasi tutti i Motel. Mesa Verde è l’unico sito archeologico degli Usa, ed è curato in maniera maniacale. L’ingresso si trova a 10 miglia dal visitor center, da cui partono varie visite guidate. Noi siamo un po’ allergici al tourist group e decidiamo di organizzarci la visita con i depliant a disposizione e le infallibili guide al seguito. Capiamo subito che il primo sito si visita solo con la guida dei rangers. Decidiamo di soprassedere, in quanto il più affollato: scelta azzeccatissima, perché nel pomeriggio, alla fine del tour, incontreremo un altro sito free visit, altrettanto bello e molto meno affollato.
Alcuni cenni sul posto. Molti di voi hanno letto i fumetti di Tex: ricordate le casette indiane scavate nella roccia? Si tratta proprio di questo. Il parco è formato da alcuni canyon sulle cui pareti sono costruiti – e non scavati – i villaggi. La vera storia rimane ancora in parte misteriosa. Attraverso l’ausilio del Carbonio 14 si è arrivati alla datazione dei reperti: dall’1 d.C. Al 1250 d.C. Questa civiltà si è evoluta senza conoscere l’uso del ferro e, soprattutto, senza conoscere la scrittura: da qui la difficoltà a ricostruirne la storia. Le soste lungo il percorso che si protrae per tutta la giornata, ci mostrano l’evolversi delle tecniche di costruzione: da rifugi scavati nel sottosuolo ricoperti da tetti di frasche e paglia a livello del suolo, fino ad elaborate costruzioni in conci di pietra regolari con tanto di sistema di smaltimento delle acque reflue. La fine degli insediamenti avviene in modo improvviso. Le tesi più ardite ipotizzano che queste popolazioni migrarono verso il nord sospinti da sconfinamenti degli Aztechi provenienti dal non lontano Messico, fieri guerrieri in cerca di conquiste e vittime sacrificali per le loro cerimonie. Da stanziali e dediti all’agricoltura, diventano nomadi e cacciatori, espandendosi verso le Great Planes e dando origine a buona parte delle popolazioni di nativi americani che troverà nei secoli successivi l’uomo bianco. I rangers con cui ci intratteniamo ci sottolineano che sono solo ipotesi, nulla di certo è stato verificato storicamente. Solo attraverso alcuni miti tramandati oralmente e riscontrabili in diverse tribù delle grandi pianure, sembra poter ricondurre le origini a questo comune denominatore. Da non perdere il museo etnografico con una quantità di reperti ben catalogati e spiegati in maniera chiara ed essenziale dai cartelli molto didascalici. Mangiamo il solito fritto misto stomaco killer americano nel self service di fronte al museo, su di una terrazza dal panorama, tanto per cambiare, mozzafiato. Sopra di noi volteggiano rapaci neri, che capiamo essere avvoltoi ricordando gli esemplari impagliati visti nel museo. La giornata si conclude con un incontro veramente singolare: una coppia di attempati bikers, alla guida di uno strano veicolo, che non potrebbe assolutamente circolare in Italia. Provo a spiegare. Si tratta di un triciclo formato dalla parte posteriore di una Pontiac con tanto di codine, ed il davanti di una moto. Il tutto mosso dal motore automobilistico con radiatore e ventola ben in vista, ovviamente targato ed immatricolato. Ultimo tocco: il colore del veicolo è giallo canarino e gli occhi di Titti ti fissano giganteschi dal cofano posteriore. Anche i caschi degli occupanti sono in tinta, con contorno di borchie e giubbotti in pelle.
Durante il ritorno a Durango, mentre proviamo di cantare, bistrattandola, la famosa canzone di De Andrè, ci fermiamo in un View Point: la pioggia della sera precedente ha liberato il cielo dalla foschia, e con l’aiuto di un binocolo riusciamo a vedere i monoliti della Monument Valley, già meta nel 2007 di un nostro precedente tour nei parchi californiani e dello Utah.
Doccia, riposino e di nuovo struscio nello streap, con cena nel medesimo locale della sera precedente.
26/8 Mercoledì Verso Manitou Springs Vi ho già detto della mia passione per il treno. Con fare casuale, nel depliant di tourist information presenti nella camera del motel, l’occhio cade sugli orari del treno turistico a vapore che effettua fino a quattro corse giornaliere andata e ritorno da Durango a Silverton. Dopo una veloce colazione in motel, non senza aver ammirato i colibrì che volano da un fiore all’altro con il loro sbattere d’ali quasi invisibile (se ne incontrano moltissimi anche in città) andiamo alla stazione della ferrovia turistica per vedere partire i due treni che sono previsti stamane: 8,15 e 9,00. Gli amici, e soprattutto mia moglie, sono scettici sullo spettacolo a cui assisteremo. Ma non siamo arrivati neanche alla stazione che parte la botta di entusiasmo: non hanno mai assistito alla “spunto”, pardon, alla partenza di una locomotiva a vapore; e vai con le foto ed i filmati. Vengono verificate dal vivo le parole di Guccini della arcinota canzone: la locomotiva sembrava cosa viva. La location poi è da film: una mattinata frizzante ma bellissima, il personale del treno nei costumi d’epoca, con il chief train con orologio da tasca ed inserviente che posiziona il panchetto sotto al predellino della carrozze, scena vista mille volte nei film. L’afflusso dei turisti è impressionante: siamo in un giorno feriale, ed i treni partono quasi completi con gente soddisfatta che non si trattiene da salutare gli astanti dal finestrino. Visitiamo il bel museo della ferrovia, pieno di oggetti di tutti i tipi, con due locomotive a vapore tirate a lucido ed alcuni carri e carrozze. Mentre sono seduto aspettando gli altri che fanno visita alle restrooms, attacco discorso con l’inserviente della stazione, che sta spazzando i marciapiedi, ovviamente in divisa fiammante ed immacolata. (altro cult americano: la divisa civile o militare è un forte segno di appartenenza ad una comunità organizzata, strano in un paese che è fondato sull’intraprendenza individuale). Appena capisce che siamo italiani, mi dice subito che I served in US Air Force for three years a Sigonella in Sicilia: forse qualcuno si ricorderà le polemiche per l’insediamento di missili nucleari in Italia durante l’era Reagan, proprio a Sigonella. Dopo alcune battute sulla crisi economica che attanaglia gli States, ci avviamo verso l’auto: ci aspetta un’altra giornata di viaggio. Cominciamo a risalire verso Denver, dove tra qualche giorno ci aspetta un aereo, la strada scelta è quella più comoda che passa per Pueblo. Dobbiamo dire che vediamo ormai i “soliti” panorami immensi… Fortunosamente evitiamo un grosso temporale che vediamo girare attorno a noi senza mai incontrarlo se non di striscio, ma, in compenso, ci godiamo una serie di arcobaleni sulla prateria.
Lasciamo sulla destra Colorado Springs ed arriviamo nella raffinata Manitou Springs, località di villeggiatura montana di livello medio-alto. La cittadina si sviluppa principalmente su una strada, con bei palazzi d’epoca e bei negozi. Troviamo alloggio in un complesso che noi crediamo un motel ed invece si rivela una serie di cottage immersi nel verde con tanto di cucina attrezzatissima. Ci balena subito un pensiero “questa sera mangiamo la pasta”. Affittiamo un cottage per due notti con ampie camere matrimoniali. Subito ci fiondiamo a fare la spesa al supermercato e, verso le 9.30 p.M., ci sediamo a tavola davanti ad un piatto di pasta fumante Self made ed ad una insalata condita finalmente con olio e non con sauce.
27/8 Giovedì Manitou Springs e Pikes Peak Railroad Rapida colazione e ci avviamo alla stazione della Pikes Peak Railroad. Si tratta di una ferrovia a cremagliera che sale fino a 14.115 piedi (4.304 mt) ed è una delle ferrovia turistiche più alte del mondo. Prenotiamo la partenza per le 12 e visitiamo la cittadina. Molto ben tenuta, con edifici classificati Historical Building, bei negozi dove facciamo alcuni acquisti di artigianato locale certificato. Entriamo in un Christmas Gift ed il proprietario ci accoglie con giovialità: è la fotografia di Babbo Natale. Manitou Springs prende il nome da sette sorgenti del luogo sacre ai nativi. Si possono ancora vedere trasformate in laghetti nel parco o fontanelle lungo le strade. Ci presentiamo puntuali per la partenza: il treno è pieno e capiamo subito che questo è un luogo turistico esclusivamente americano. Il viaggio procede senza incidenti, accompagnati dai consigli della hostess su come respirare durante la salita. Arrivati alla sommità del Pikes Peak, ci godiamo il panorama; è una giornata limpidissima e rimaniamo quasi senza parole sia per la view, sia per la pesantezza nel respiro a quella altitudine. La sosta del treno dura solo 40 minuti, proprio per evitare al massimo problemi ai passeggeri. Nel grande rifugio ci ristoriamo con un coffee: anche la temperatura non scherza. Terminata la discesa, rapido pasto con hot dogs e ci dirigiamo verso il nostro alloggio, dove arriviamo abbastanza provati. Commentiamo la resistenza del personale della ferrovia che sale e scende 4 volte al giorno. La cena è a base di bistecche cotte sul barbecue presente appena fuori alla porta dell’ingresso del cottage: anche questo ci sembra “american typical”. La serata passa piacevolmente e realizziamo che la nostra vacanza on the road è giunta al termine; domani ci trasferiamo a New York: altro genere.
Dal 28 al 31/8 New York City.
Sveglia all’alba e preparativi per la partenza. Ad un tratto sentiamo un urlo: Stefano è uscito per fumare una sigaretta e da dietro gli si avvicinano, quasi materializzati dal nulla, una coppia di cervi enormi con tanto di maschio con impalcato di corna, che lo fissano interrogativi. Essendo tranquillamente soprapensiero, lo stupore si trasforma in moto di paura; quando esco vedo gli animali che con grazia saltano la recinzione e si allontanano in tutta tranquillità.
Partenza per Denver, dove lasciamo la macchina: il contamiglia segna 2.950 mgl percorse. Un volo della United ci catapulta, con un po’ di ritardo, nella Grande Mela. Arrivo al La Guardia, scelto strategicamente per la maggior vicinanza a Manhattan: è venerdì pomeriggio ed il traffico del week end è sempre molto intenso. L’avventura dei taxi a N.Y. Ormai fa parte della letteratura. Penso che solo a Kabul possa succedere quello che succede qui. L’hotel prenotato è il Thirty Thirty, sulla trentesima tra Park e Madison Ave. Buona accoglienza, camere piccole ma con tutto il necessario, posizione centrale.
Alla sera gironzoliamo per Times Square e la cornice multicolore e rumorosa dell’ombelico del mondo, ci stordisce un po’ dopo gli spazi enormi delle grandi praterie.
Il sabato trascorre veloce con la visita di alcuni siti più noti: Greenwich Village, Ground Zero, Financial District, Pierre 17, Ponte di Brooklin… La domenica la trascorriamo al Central Park, non senza un’occhiata al Rockfeller Center e dopo aver assistito alla Messa alle 10,15 in S.Patrick Cathedral. Il parco è veramente notevole. La pioggia che ci ha accompagnato sabato è scomparsa, lasciando il cielo terso con un sole dai colori accesi. Il parco è pieno di gente che si trastulla in mille modi. Attenzione agli attraversamenti dei viali: sembra che i ciclisti partecipino a gare di regolarità. Consumiamo il picnic acquistato presso Whole Foods al seminterrato del Time Warner Center in Columbus Circus e passeggiamo tra campi sportivi, viali, laghi, boschetti, prati, scoiattoli che si avvicinano speranzosi di ottenere cibo. Sul lago ci sono parecchie barche ed ecco compare il must: gondola veneziana con tanto di gondoliere in maglia a righe e cappello di paglia che canta con voce baritonale e grande accento italo-americano non “la Rosina in Gondoleta”, ma bensì “Torna a Surriento”. Il tutto è foto documentato. Dopo i doverosi sghignazzi, ci avviamo verso l’uscita ovest, per visitare Strawberry Field, luogo che ricorda John Lennon. La piazzola con il piccolo mosaico con scritto Imagine si trova di fronte al Dakota Building, dove venne assassinato il Beatle e dove vive ancora Yoko Ono.
Ci incamminiamo verso l’uscita e lì troviamo un gruppo di musicisti di strada che interpreta brani del quartetto di Liverpool: ci sediamo ed assistiamo a diverse esecuzioni, oltre che a girare qualche filmato. Veniamo anche avvicinati da alcuni fans che ci sottopongono una petizione: il sindaco Bloomberg ha emanato una direttiva molto restrittiva sulle esecuzioni musicali in quel luogo, sollecitato dagli abitanti della Central Park West, la strada che costeggia il parco abitata da personaggi del calibro di Madonna, Banderas e co.. Pensate, è domenica pomeriggio e nonostante questo, il rumore del traffico è assordante: però ci sono lamentale per la musica, fra l’altro eseguita senza alcun metodo di amplificazione!!. Naturalmente firmiamo. Ci passiamo una bella ora ascoltando nostalgicamente musica, osservando il via vai dei newyorkesi che entrano ed escono dal parco, contornati da un numero incredibile di risciò multicolori (l’ultima moda di New York) condotti da aitanti ragazzoni multietnici in cerca di clienti per un giro nel parco. Cena al Virgil’s Real Barbeque sulla 44th praticamente in Times Square: offrono carne al barbecue secondo la tradizione degli stati del sud; frequentato da locali, lo consigliamo vivamente: rapporto qualità prezzo premiante, soprattutto per Manhattan.
Il lunedì mattina è dedicata ad una visita approfondita alla Statua della Libertà e soprattutto al museo di Ellis Island. Non saliamo sulla corona della statua: oltre alla folla, porta via troppo tempo. Lo skyline è mozzafiato. Ad Ellis Island ci dotiamo di audio guide per poter apprezzare meglio il sito ed alla fine del giro ci avviciniamo al bancone degli archivi, scopo non secondario della visita. Mia moglie è di origine siciliana; la famiglia materna ha alle spalle una lunga storia di emigrazione dal paese di Ventimiglia di Sicilia, sulle montagne dietro a Termini Imerese in provincia di Palermo, verso New York ed il New Jersey. Con la spesa di 5$ si ha accesso tramite un p.C. All’immenso archivio computerizzato dove sono registrati gli sbarchi dalle navi e tutti i transiti da Ellis Island. Non senza emozione, digitiamo il nome della bisnonna di mia moglie, che arrivò negli States nel settembre del 1905 con una figlia di 45 giorni, la nonna di mia moglie. Incredibile, ma vero: non solo rintracciamo il manifesto di sbarco del piroscafo con i dati anagrafici dei parenti, ma ci viene fornita, per il modico prezzo di 45,75 $ – all inclusive – anche una litografia della nave. Soddisfatti ed anche un po’ commossi rientriamo a Manhattan, e dopo uno spuntino da Subway, salutiamo i nostri amici. Per me e mia moglie non è la prima vola che visitiamo New York: mentre loro rimangono altri tre giorni, noi, recuperati i bagagli, prendiamo l’autobus della New Jersey Transit al Port Authority Bus Terminal sulla Eighth angolo 41st, e partiamo alla volta del New Jersey, in visita parenti. Dopo un ora e mezza di viaggio giungiamo a Lakewood, ospiti dello zio di mia moglie, che vive qui ormai dal 1960.
1 e 2 Settembre Cape May, Wildwood , Atlantic City (New Jersey).
Durante la permanenza nel New Jersey, letteralmente rimpinzati di cibo dalla zia che è un’ottima cuoca, proprio per non stare con le mani in mano, abbiamo fatto alcune gite sull’oceano.
La visita a Cape May, sulle foci del fiume Delaware, è consigliata. Oltre alle spiagge bellissime ed ormai deserte (le scuole sono già iniziate dappertutto ed il turismo locale si è ridotto al solo week end), il centro storico è costruito in stile vittoriano, con una serie di Historical Bulding notevoli. Wildwool è un centro prettamente turistico, con costruzioni nuove ed ora quasi del tutto chiuse, ma vanta una spiaggia favolosa. Atlantic City è una Las Vegas formato ridotto, con la sua serie di alberghi casinò, luna park, negozi di ogni tipo e dimensione, il tutto però in riva al mare, il ché non guasta. Visitiamo il Taj Mahal, gigantesco complesso di proprietà del gruppo Trump, noto magnate. Il tema della costruzione si ispira ad un tempio indù, pertanto traetene le dovute conseguenze. Dopo aver versato l’obolo di rito alle slot machines, tra un tripudio di lampadari in cristallo, tappezzerie multicolori, scale mobili, negozi e ristoranti, oltre naturalmente tavoli da gioco, lasciamo Atlantic City e ci avviamo a trascorrere l’ultima notte sul suolo americano.
3/9 Giovedì Rientro in Italia Lo stato del New Jersey, per incrementare il commercio, non applica tasse sugli articoli dell’abbigliamento. Lungo tutte le strade e quasi a tutti gli incroci, sorgono centri commerciali e outlet di ogni dimensione e tipo. Ci viene raccontato che nei week end dagli stati vicini, New York, Maryland, Delaware e Pennsylvania, organizzano autobus per portare la gente a far compere. Ovviamente non possiamo esimerci, e la mattinata passa a saccheggiare una serie di negozi, per soddisfare le richieste dei figli rimasti a casa. Spuntata la lista degli acquisti, pranziamo e veniamo accompagnati all’aeroporto di Newark, dove alle 5 p.M. Ci aspetta il volo di rientro della Delta verso Amsterdam e da lì coincidenza KLM verso Bologna. Scaricati i bagagli, cominciano i doverosi saluti. All’improvviso, alle nostre spalle, una voce con fortissimo accento napoletano/americano ci chiede “Siete italiani?”. Ci giriamo e ci troviamo di fronte ad un ragazzo di colore alto quasi due metri, con la divisa da assistente dell’aeroporto. Alla nostra risposta positiva un po’ perplessa ci apostrofa con un allegro “ciao Paisà” e mette mano ai nostri bagagli. Durante il chek in elettronico, che praticamente disbriga lui, ci scioglie l’arcano. La sua parlata ha un’inflessione fortissima ma very fluenty: ci racconta che ha fatto la ferma di tre anni nella US Navy, ed ha prestato servizio a Napoli, dove ha imparato l’italiano. La simpatica accoglienza ed il servizio prestato valgono sicuramente i 5$ di mancia che intasca fra sorrisi e ringraziamenti.
Il viaggio di ritorno procede regolare ed il giorno successivo alle 11.00 siamo a Bologna. I bagagli arrivano regolarmente: il viaggio è proprio finito.
Forse avete già intuito che siamo dei fans degli USA. Anche se è un paese con mille contraddizioni ed anche alcune palesi ingiustizie, le nostre esperienze di viaggio ci hanno sempre portato riscontri ampiamente positivi. Gli spazi enormi, la molteplicità dei paesaggi naturali, la possibilità di muoversi attraverso strade ben percorribili, che ti porta a coprire distanze enormi in tempi prevedibili, la disponibilità della gente, la ricettività alberghiera infinita con prezzi per tutte le tasche, ci hanno fatto trascorrere in passato ed anche in questo ultimo viaggio, esperienze da ricordare.
Ah, dimenticavo: la gara di fotografie alle targhe l’ha vinta mia moglie; è riuscita a scovarne 47, che al ritorno ha composto in due poster che ora campeggiano su di una parete in casa.
Saluti a tutti, e Enjoy your life!!