2007 – In Cina a visitare la ‘canna fumaria’

Avvertenza: questo racconto non è indicato a chi cerca informazioni utili circa hotel,ristoranti, escursioni o, comunque, ad organizzare un viaggio "fai da te". Non descrivo monumenti e la loro storia, per questo le nu-merosissime guide, sono senz'altro più adatte di me. In questo racconto ho voluto solo raccontare le mie sensazioni e le mie...
Scritto da: gcolnaghi
2007 - in cina a visitare la 'canna fumaria'
Partenza il: 04/03/2007
Ritorno il: 22/03/2007
Viaggiatori: in gruppo
Avvertenza: questo racconto non è indicato a chi cerca informazioni utili circa hotel,ristoranti, escursioni o, comunque, ad organizzare un viaggio “fai da te”. Non descrivo monumenti e la loro storia, per questo le nu-merosissime guide, sono senz’altro più adatte di me. In questo racconto ho voluto solo raccontare le mie sensazioni e le mie emozioni. Alcuni aneddoti divertenti e niente più.

Venerdì 23 marzo 2007 Mi sveglio da un lunghissimo sonno, guardo l’orologio, sono le 3:05 di mattina, ma in Cina, dove mi trovavo sino a l’altro ieri, sono le 10:05. E’ evidente che devo riadeguarmi al nostro fuso orario, processo inverso a quello intrapreso venti giorni fa quando sono giunto a Beijing, ovvero Pechino. Ma andiamo per ordine.

PEMESSA Nel novembre 2006 decido finalmente la meta di viaggio del prossimo anno. Le destinazioni in ballo sono Centro America (Messico, Yucatan, Guatemala), Sud America (Perù), Sud Africa (Namibia, Botswana) e Ci-na. Poiché nella nostra democratica famiglia io decido dove andare, ma mia moglie può esercitare il diritto di veto, il Sud Africa, con mio disappunto, è la prima meta ad essere scartata. La mia dolce metà non è pro-pensa a seguirmi per la savana polverosa, a bordo di un fuoristrada, alla ricerca di animali più o meno feroci e a nulla sono valse le mie subdole argomentazioni circa la possibilità di destreggiarsi in uno shopping di alto livello, i diamanti. Messico e Perù sono praticamente immutabili; visitarli ora o fra un anno o due, poco cam-bia. La Cina, invece, è una nazione che si trasforma radicalmente giorno per giorno, tardare a visitarla po-trebbe significare non trovare più nulla dell’immagine di quell’oriente misterioso che ognuno di noi si è figura-to. Quindi… Vada per la Cina.

ORGANIZZAZIONE Per me organizzazione significa decidere il periodo migliore per la partenza, durata del viaggio, visite ed e-scursioni imperdibili, tour operator più affidabile per la destinazione scelta, verificare se la situazione sanita-ria rende necessario od opportuno sottoporsi a vaccini o profilassi e, infine, decidere cosa mettere in valigia. Dopo affannose ricerche in rete giungo alle seguenti conclusioni: 1) il periodo migliore per la partenza è la fine di marzo. Il rigore invernale al nord della Cina dovrebbe comin-ciare a lasciare posto a temperature più miti ed è ancora prestino per imbattersi nel periodo delle piogge monsoniche; 2) Il viaggio non dovrebbe durare meno di 15 giorni (la Cina è immensa e tanto c’è da visitare) e non più di 20 giorni per non creare problemi di ferie a mia moglie; 3) Le mete irrinunciabili, per i miei gusti, sono: Pechino con la sua Città proibita e la Grande muraglia, Shan-ghai la città del futuro, Xian con l’esercito di terracotta, Guilin e le schegge di giada e, visto che mi trovo da quelle parti, non disdegnerei una puntatina ad Hong Kong; 4) Nessuna vaccinazione o profilassi obbligatoria o consigliata; 5) Per l’abbigliamento decido di portare pochissimi capi di media stagione più un giubbotto pesantino per far fronte ad eventuali impreviste basse temperature. Stranamente, per la prima volta in vita sua, mia moglie si adegua di buon grado alle mie decisioni; 6) Nel periodo prescelto un solo T.O. Propone viaggi di durata superiore ai 15 giorni, pertanto la scelta è ob-bligatoriamente ricaduta su “Mistral”. Programma di viaggio: 19 giorni dal 18 marzo al 5 aprile. Mete: Pechino, Nanchino, Suzhou, Hangzhou, Shanghai, Xian, Guilin, Canton ed Hong Kong.

IMPREVISTO PREVIAGGIO E’ il 28 febbraio, quando il mio agente di viaggi mi comunica che per il 18 marzo il T.O. Incontra difficoltà a raggiungere il numero minimo di partecipanti (6) e mi propone di anticipare la partenza al 4 marzo. Fortuna-tamente mia moglie riesce a spostare le ferie, io riorganizzo il mio lavoro e le valige sono già quasi comple-tamente pronte. Accettiamo la proposta, nonostante il brevissimo preavviso, ed attendiamo la conferma per il vettore aereo. Lufthansa, la compagnia aerea prevista dal programma, non ha più posti liberi e veniamo quindi dirottati su Austrian Airline. Unico inconveniente è che raggiungeremo Pechino per le ore 13.00, men-tre il resto del gruppo giungerà alle prime ore della mattina, iniziando le visite.

LA PARTENZA 4 marzo. Di prima mattina raggiungiamo Fiumicino per prendere il volo che ci porterà a Vienna dove, in se-rata, ci imbarcheremo sul volo intercontinentale per Pechino. Sarà l’occasione per dare uno sguardo al capo-luogo Austriaco, dato che non ci siamo mai stati. Su internet ho letto che c’è un treno che collega l’aeroporto di Vienna al centro della città. Decidiamo dunque di avvalerci di questo comodissimo mezzo. Subito comin-cio a litigare con la macchinetta automatica che rilascia i biglietti, cercando di capire le istruzioni fornite in te-desco ed in inglese. Alla fine della litigata, mi ritrovo con una sfilza di biglietti che escono dalla macchina in-fernale ed un addebito sulla carta di credito di € 74,00. Chissà cosa avrò comprato per quella cifra, visto che il biglietto andata e ritorno costa pochi spiccioli. Monto sul treno con il timore di essere forse sprovvisto del titolo di viaggio, ma per fortuna sono passati i controllori e tutto è andato bene. Promemoria: ricordarsi di ri-passare il mio stentato inglese. Dopo la degustazione di qualche specialità viennese ed una breve passeg-giata, decidiamo di tornare in aeroporto per attendere l’imbarco.

Il viaggio. L’aereo è un Airbus A340 nuovo di zecca. Fra un sedile e l’altro c’è uno spazio vitale sufficiente a consentire un volo confortevole anche alle persone di alta statura. Lo schienale di ogni sedile, inoltre, è dota-to di un monitor sul quale il passeggero seduto dietro può scegliere se visionare un film in lingua tedesca, inglese o cinese (meglio lasciar perdere… ), dei videogames giocabili mediante una specie di joystick inserito nel bracciolo della poltrona, oppure, meraviglia delle meraviglie per un appassionato di volo come il sotto-scritto, vedere su mappa la rotta seguita, i parametri di volo e collegarsi a due telecamere poste rispettiva-mente sotto e sul muso dell’aereo. Seguo con attenzione tutte le procedure di decollo e di allontanamento e poi mi unisco a mia moglie fra le braccia di Orfeo.

Quando si vola da ovest verso est, come nel nostro caso, si corre incontro all’alba e la notte dura pochissi-mo. Dopo qualche ora di sonno, infatti, vengo svegliato da una fioca luce che filtra dal finestrino. Il sole, an-cora nascosto dietro l’orizzonte, inizia a rischiarare un cielo stracolmo di stelle in una mattinata insolitamente tersa. Il terreno sottostante, completamente ricoperto di neve, sembra una lastra d’argento; ho l’impressione di essere stato catapultato in un mondo fiabesco o di realtà virtuale. Accendo il monitor per vedere la nostra posizione e la rotta. Il piano di volo ci ha portati da Vienna sin sopra Mosca e quindi, dopo una decisa virata verso sudest, eccoci a sorvolare la parte sud occidentale della Siberia. Valuto attentamente se correre il ri-schio di svegliare la mia signora e, dopo alcune titubanze, decido di non seguire i consigli dettati dall’antica saggezza (non disturbare il can che dorme) e la scuoto delicatamente. Il suo sguardo appannato non fa pre-sagire nulla di buono, ma quando le indico il finestrino, vedo la sua espressione tramutarsi da accigliata a stupita ad appagata. Mancano ancora diverse ore al nostro arrivo, quando avverto un leggero aumento di peso. Controllo i parametri di volo riportati sul monitor e mi rendo conto che la mia percezione non è errata; stiamo salendo! Da un rapido sguardo alla mappa ne intuisco all’istante il motivo, davanti a noi si para l’alto-piano Tibetano. Questo volo non può certo dirsi avaro di panorami mozzafiato; siamo ad un livello di 37.000 piedi, circa 11.300 metri, e sembriamo rasentare le vette della catena montuosa, che si stagliano a perdita d’occhio bianche ed incontaminate, sullo sfondo di un cielo color cobalto. Superiamo l’altopiano e sotto di noi scorre veloce il deserto del Gobi. A circa 110 miglia dall’aeroporto della capitale cinese, l’aeromobile inizia la sua discesa e la poesia che sin qui ha pervaso il mio animo, comincia a lasciar posto a ragionamenti più concreti; solo ora mi rendo conto che siamo quasi arrivati e sotto di noi continua a scorrere terreno innevato. La mia mente corre all’abbigliamento quasi primaverile che ho deciso di portare. Per il momento sto zitto, non mi va di sentire Fiorella, mia moglie, pronunciare la fatidica frase “te l’avevo detto di portare qualcosa di pesante!”. Siamo a circa 20 miglia dalla soglia pista, setto il monitor sulla telecamera di prua per gustarmi l’atterraggio, mentre dal finestrino vedo ancora la terra ricoperta di neve, fortunatamente non più compatta ma a macchie di leopardo. Sul monitor si vede distintamente la testata pista che sembra muoversi a destra e a sinistra, quasi volesse mettere alla prova l’abilità del pilota. Evidentemente ci sono forti raffiche di vento a traverso ed avverto nitidamente le generose correzioni di pedaliera del pilota per mantenersi allineato con l’asse della pista. Avviso mia moglie di prepararsi ad un atterraggio non propriamente soffice ed attendo il tocco delle ruote sull’asfalto che, a dispetto delle mie previsioni, è impercettibile. Durante il rullaggio verso il terminal do uno sguardo alla situazione neve che, con mio grande sollievo, vedo presente solo nelle zone in ombra.

5 marzo (ore 13:30) Pechino. Ci dirigiamo verso i nastri trasportatori dove già vediamo spuntare il nostro bagaglio e in quattro e quattr’otto disbrighiamo le formalità doganali. “Ammazza che efficienza ‘sti cinesi!”, l’esclamazione nasce spontanea.

Al di là della barriera doganale notiamo subito un giovanotto cinese alto e magro, con un bel sorriso stampa-to sul volto, che alza un cartello con scritto “Mistral”. Ovviamente è l’incaricato dell’agenzia che è venuto a riceverci. Non è la nostra guida, ci tiene a sottolineare in un buon italiano, il suo collega sta con il gruppo giunto questa mattina ed il suo compito è quello di farci “recuperare” le visite già fatte dagli altri. Usciamo dall’aeroporto, dove ci aspetta un’autovettura, e veniamo investiti da un forte vento gelido siberiano, mille aghi sembrano conficcarsi nelle nostre guance, la temperatura è certamente di qualche grado sotto lo zero. Ci rifugiamo rapidamente in macchina e mia moglie, senza parlare, mi lancia uno sguardo di rimprove-ro, nei suoi occhi leggo la fatidica frase che non volevo ascoltare. L’incaricato dell’agenzia ci dice che anche per Pechino queste temperature sono inconsuete in questa stagione ed io ricambio lo sguardo di mia moglie con uno che vuol significare “che ci posso fare io se ci siamo imbattuti in una situazione imprevedibile? L’ha detto pure il cinese!”. Terminato il nostro silenzioso battibecco ascoltiamo il giovanotto, che ci anticipa il bre-ve programma odierno, ovvero una visita al Tempio tibetano ed una passeggiata per la tristemente nota piazza Tienanmen. Il Tempio tibetano sarà certamente bellissimo, tutto edificato in legno intarsiato e dipinto con colori sgargianti. Al suo interno una statua alta 18 metri in legno di sandalo, ricavata da un unico albero.. Come dicevo tutto bello, ma il gelo che è ormai giunto alle ossa, non ci permette di apprezzare più di tanto quest’opera d’arte… Unico nostro desiderio è di essere portati in albergo. Tentiamo di rinunciare alla prossi-ma tappa, ma il nostro accompagnatore, ligio al dovere, è inflessibile. Magari solo due minuti, ma dobbiamo vedere la piazza più nota dell’intera Cina.

Piazza Tienanmen è immensa ed il freddo vento del nord vi circola liberamente senza incontrare ostacoli anzi no… Gli unici ostacoli che incontra sono rappresentati dai nostri corpi intirizziti. Scatto rapidamente con mano tremante un paio di fotografie e immortalo Fiorella con uno scialle avvolto attorno al capo a mo’ di bur-qa. Siamo portati finalmente in albergo, un bellissimo e confortevole hotel, come tutti gli altri otto che ci ospi-teranno nei prossimi giorni, e qui facciamo conoscenza con la nostra guida nazionale ufficiale e con il resto del gruppo.

La guida. E’ un ragazzino sui venticinque anni bassino e paffutello, un viso simpatico che ricorda la luna piena. Si presenta come Marino. Il suo nome in cinese, ci spiega, è per noi impronunciabile e difficile da memorizzare. Il suo italiano è parlato quasi correttamente, ma con una pronuncia così strana da renderne difficile la comprensione. Ci spiega che, come guida nazionale, ci seguirà per tutto il viaggio, con esclusione di Hong Kong (qui ho scoperto che, nonostante si tratti ormai di territorio cinese, è difficilissimo per i cinesi ottenere un permesso per visitare l’ex protettorato inglese) e che in ogni città che visiteremo sarà una guida locale a farci da Cicerone.

Il gruppo. Il resto del gruppo è costituito da due coppie di consuoceri di Tarquinia, una ridente località a nord di Roma, una coppia di veronesi ed una coppia di Trieste. A parte i friulani che sono giovani, gli altri hanno più o meno la nostra età, diciamo tutti fra i 50 ed i 65.

Dopo cena, stanchi del viaggio, andiamo in camera per tentare di prendere sonno. Sono quasi le 22:00, ma il nostro orologio biologico ci dice che è ancora primo pomeriggio. In Italia, infatti, sono le 15:00. Sarà difficile addormentarsi questa sera, ma ancor più difficile svegliarci domani, più o meno a mezzanotte ora italiana. Le sette ore di differenza di fuso, le assorbiremo non prima di quattro o cinque giorni.

6 marzo. Alle otto ci troviamo tutti puntuali per la colazione, i nostri visi sono segnati dalla stanchezza, ma i nostri animi sono eccitati per la prima vera giornata cinese. A nostra disposizione c’è un pullmino con trenta posti e nessuno ha difficoltà a trovare una comoda sistemazione. Marino si impossessa del microfono e co-mincia ad dispensare le prime informazioni utili. In primo luogo ci insegna il modo di salutare cinese, ovvero “ni hao”, che tutti noi pronunciamo come un lungo e ridicolo miagolio. Quindi ci spiega come allontanare i venditori fastidiosi con la parola magica che si pronuncia “pu siesie”, che dovrebbe significare “no, grazie, non mi interessa”. Faccio, anzi, facciamo molta fatica a capire l’italiano di Marino, il quale continua spiegan-doci che il nome cinese di Pechino, Beijing, si traduce letteralmente in “capitale del nord” a differenza di Nanchino, in cinese Nanjing, che sta per “capitale del sud”. Dopo queste informazioni ci illustra il programma odierno. La prima visita, annuncia con aria solenne, è alla “canna fumaria”. Rimango interdetto e, guardando i visi degli altri componenti il gruppo, mi rendo conto dall’espressione che anche loro sono disorientati. Leggo il documento di viaggio fornitomi dal T.O.; è vero che vi è scritto che le visite possono subire delle variazioni per motivi organizzativi, ma da nessuna parte è fatto cenno a “canne fumarie”. Nonostante tra di noi non si sia ancora instaurato un clima di confidenza, piano piano si propaga un bisbiglio… “hai capito dove andia-mo?”… “Mi sembra di aver capito che andiamo a visitare la canna fumaria”… “ma non è in programma.”… Quello di Tarquinia fa: “Boh! Mo’ vedemo…”. Prima di raggiungere la nostra misteriosa destinazione ci fer-miamo in un laboratorio di lavorazione della giada. Conoscendo il vizio della bestia, impartisco le prime rac-comandazioni a mia moglie. Non comprare oggetti pesanti o inutilmente ingombranti, in aereo abbiamo una peso da rispettare e poi ci attendono altre nove città. Se cominci adesso come ci ritroveremo ad Hong Kong? Fatto sta che la giada è magistralmente modellata e devo dirmi fortunato se me la cavo con non me-no di quattro o cinque chili di souvenir. Rimontiamo in pullman e ci inerpichiamo su una strada di montagna. La neve ai lati della strada si fa abbondante e si fanno abbondanti anche dei cartelli con un disegno inequi-vocabile “La grande muraglia cinese”. Mi alzo e chiedo a Marino: “Adesso andiamo alla grande muraglia”?. “Si” risponde Marino “Io avele detto, oggi la plima visita è alla canna fumalia”. Mistero risolto! Dopo circa mezz’ora di viaggio, ci fermiamo in un grande piazzale pieno zeppo di bancarelle e di turisti. La grande muraglia è lì. Il vento è cessato e la temperatura, seppur ancora rigida, è più sopportabile. Il cielo è sereno e l’aria è limpidissima. Dovendo attraversare quel mare di bancarelle, rinnovo le mie raccomandazio-ni a Fiorella, nei cui occhi già leggo la concupiscenza.

La grande muraglia appare all’improvviso innevata ed imponente. Immagino che l’aggettivo imponente sia abusato per descrive quest’opera dell’uomo, ma non riesco a trovarne altri adeguati. Marino, con grande or-goglio, afferma trattarsi dell’unica opera costruita dall’uomo visibile ad occhio nudo dallo spazio. A dire il vero questa cosa l’avevo già sentita, ma, pur non essendo mai andato a zonzo per lo spazio, sono poco propenso a crederci. E’ già difficile distinguere autostrade larghe 50 e più metri da un aereo in volo a livello di crociera, com’è possibile vedere una muraglia larga non più di dieci metri, ancorché lunga oltre seimila chilometri, da un’altezza di gran lunga superiore? Tengo per me i miei dubbi, non voglio disilludere Marino e poi, qui in Ci-na, tutto sommato fa piacere anche a me cedere a questa suggestione. Ascoltiamo l’affascinante storia, in-trisa di verità e leggenda, di come e perché è stata costruita quest’opera difensiva, dell’organizzazione dei turni di guardia e degli ingegnosi sistemi di comunicazione, dopo di che siamo lasciati liberi di passeggiare su uno dei simboli della Cina. Saliamo una ripidissima scala in pietra per raggiungere il camminatoio sulla sommità della muraglia, da lì possiamo godere di un paesaggio bellissimo e surreale. Sin dove giunge lo sguardo, e in una giornata come questa lo sguardo giunge lontano, possiamo vedere montagne imbiancate attraversate dalla grigia cicatrice rappresentata dalla muraglia. I costruttori non hanno badato a difficoltà, non hanno scelto la strada più co-moda, sono andati dritti per la loro strada innalzando il muro anche su crinali con pendenze vertiginose.

Il camminatoio, utilizzato nell’antichità dalle guardie, è largo circa due o tre metri ed è stato parzialmente ri-pulito dell’abbondante neve, ricavandone al centro un sentiero asciutto per permettere ai visitatori di cammi-nare in tutta sicurezza. Solo mia moglie cammina ai lati, forse perché si sente più sicura per la presenza di un corrimano, o forse, più probabile, perché è il classico bastian contrario e non vuole ascoltare i miei consi-gli; fatto sta che dopo pochi metri fa un volo pauroso, atterrando fortunatamente sull’apposito cuscino di cui la natura ci ha dotati. Assicuratomi che non si è fatta nulla, non trattengo una fragorosa risata ma, cavallere-scamente, mi trattengo dal rinfacciarle un: “te l’avevo detto”.

Terminata la visita ci rechiamo al punto d’incontro stabilito che, caso vuole, è al centro delle bancarelle. A costo di apparire petulante rammento nuovamente a Fiorella di non acquistare oggetti inutili ed ingombranti. Come al solito parole sprecate, dopo pochi istanti si ripresenta trionfante con un cappello tipico delle mondi-ne cinesi; uno di quei cappelli di paglia a cono, dalla base larga almeno 50/60 centimetri. Quel cappello da solo occupa un’intera valigia. Rinuncio a protestare tanto, come si dice a Roma, “è de coccio”! Ci dirigiamo verso Pechino per il nostro primo pranzo in un vero ristorante cinese (in hotel i pasti sono inter-nazionali). La tavola è il luogo ideale per far confidenza e se per il momento i convenevoli ancora si spreca-no, la conversazione fra di noi diventa più familiare. Ci rilassiamo e tutti, veronesi esclusi, i quali secondo me hanno partecipato ad un master in galateo cinese propedeutico al viaggio, lasciano i bastoncini in favore del-le più comode posate. Quasi tutti, ancora veronesi esclusi, sono delusi dalla cucina cinese cinese che, a dif-ferenza della cucina cinese italiana, fa troppo uso di zucchero, o comunque di qualcosa di molto dolce.

L’ultima visita della giornata è dedicata alle tombe imperiali della dinastia Ming (oggetto di qualche battuta pecoreccia da parte del più estroverso del gruppo) con la loro via sacra.

La stanchezza si fa sentire ed il ritorno in hotel è ben accolto da tutti.

7 marzo. Anche stamani tutti puntualissimi. Saliamo sul pullman e Marino ci illustra il programma odierno, che contempla la visita del giardino d’estate in mattinata, pranzo in ristorante, nel pomeriggio la città proibita e la sera cena in un tipico ristorante pechinese, dove degusteremo l’omonima anatra. Per il dopo cena ci suggerisce, fuori programma, di assistere ad uno spettacolo di Kung fu.

Fra un trasferimento e l’altro Marino ci dà delle anticipazioni su ciò che vedremo, ma parla anche di sé, rive-landosi un ragazzo dolcissimo e sensibilissimo. Parla con tenerezza e riconoscenza dei suoi genitori che con grandi sacrifici gli hanno permesso di studiare e di assicurarsi così un posto di lavoro gratificante e ben re-munerato (€ 300,00 mensili). Parla del suo paesino di origine e della suo percorso scolastico. Sollecitato da noi racconta del modo di vivere della popolazione. Alla fine questi trasferimenti si dimostrano interessanti, almeno quanto le visite ai luoghi d’arte e di storia.

Il palazzo d’estate è molto bello, con i suoi giardini, il suo lago ancora completamente ghiacciato, i suoi pon-ticelli di legno che scavalcano i numerosi ruscelli, la sua pagoda e tanto tanto verde. Insomma, un eccellente luogo di villeggiatura riservato agli imperatori Ming. Nel pomeriggio la città proibita non delude le nostre aspettative. Tutta edificata in legno finemente intarsiato e colorato. Più volte distrutta dal fuoco e ricostruita. Marino ci dice che il complesso conta 9.999 stanze, mentre on line si parla di 8.886. Non le ho contate tutte e, in ogni caso, anche se le stanze fossero meno di novemila, l’imperatore non poteva certo lamentarsi per la carenza di spazio. Trascorriamo tutto il pomeriggio ad ascoltare interessati le spiegazioni di Marino che, quasi per incanto, è diventato più comprensibile. E’ mi-gliorata la sua dizione o noi ci siamo abituati ad interpretarlo? Rivisti i video e riascoltati i dialoghi, opto per la seconda ipotesi. Mi ha molto colpito la descrizione del ruolo e del reperimento degli eonuchi. In un primo tempo erano costituiti esclusivamente da prigionieri nemici, ma successivamente erano gli stessi giovanotti cinesi a far la fila per farsi castrare e, se sopravvivevano, per servire il sovrano, assicurandosi in tal modo una vita priva di stenti. Impressionante! La serata si conclude alla grande. L’anatra laccata è davvero gustosa, forse l’unico piatto cinese che abbia veramente apprezzato e lo spettacolo di Kung fu, con tutti quei colori, quelle luci e quei suoni, ci fa trascorre-re piacevolmente un paio d’ore, prima del meritato riposo.

8 marzo. Ultimo giorno a Pechino, nel pomeriggio voleremo a Nanchino. Ci siamo svegliati un po’ prima per preparare le valige che dobbiamo far trovare fuori dalla camera. Come temevo il cappello da mondina cinese ci crea dei problemi. Le valige giunte dall’Italia semivuote, sono ormai quasi piene e quel maledetto souvenir non sappiamo proprio dove collocarlo. Decidiamo che sarà il nostro bagaglio a mano e, in caso di contesta-zione, mia moglie lo dovrà indossare alla stregua di un fungo porcino.

La prima visita della mattinata è al Tempio del Cielo, immerso in un amplissimo e stupendo parco, nel quale sembrano essersi riversati tutti gli unmiliardoetrecentomilioni di cinesi. In questo parco la popolazione dà sfogo alla propria creatività e ai propri hobbies. A migliaia giocano a carte suddivisi in gruppi di quattro, c’è chi canta in coro, chi gioca palleggiando con delle strane palline di plastica, chi si dedica ad una specie di ginnastica, il Taijiquan, simile ad una lenta danza, chi crea suggestivi disegni nel cielo con dei nastri sgar-gianti legati a un bastone. Una cinese, probabilmente di etnia mongola, ha addirittura montato un impianto HiFi danzando sulle note di melodie popolari. Il bello di queste persone è che si esibiscono sotto gli occhi di cinesi e turisti curiosi, senza mostrare imbarazzo alcuno. In mezzo a tutta questa frenetica attività si erge solenne il Tempio del Cielo che ha una struttura circolare co-lor mattone, con il suo triplice tetto a forma di cono ricoperto da 50.000 tegole blu che ricordano il cielo, all’a-pice del quale svetta una sfera dorata rappresentante il sole. Di malincuore lasciamo questo stupendo parco tanto ricco di variegata umanità e con un rickshaw percorriamo i vicoli della vecchia Pechino, scampata forse alla convulsa ricostruzione proprio per diventare attrazione turistica.

Siamo in aeroporto e procediamo con il ceck in. Consegno il bagaglio che va imbarcato e sul display appare il peso di Kg. 55. Porcaccia miseria! Nemmeno siamo partiti e già superiamo di 15 chili il consentito. Vorrei fulminare Fiorella con uno sguardo, ma lei fa la vaga fingendo di interessarsi all’architettura aeroportuale. Nei voli interni cinesi non fanno caso al carico pertanto decolliamo senza intoppi alla volta di Nanchino.

Nanchino. Atterriamo in serata e siamo immediatamente portati al nostro Hotel che è forse il più bello, ele-gante e confortevole di tutto il viaggio. Per la cena siamo liberi ed ognuno si organizza come meglio crede in base ai propri gusti, con l’impegno di ritrovarsi più tardi per una passeggiata. Mia moglie ed io decidiamo di fermarci al ristorante dell’hotel dove ho intravisto un buffet particolarmente ricco. L’appetito non manca, oggi abbiamo mangiato poco o niente, anche perché il cibo cinese comincia a stancarci. Spolveriamo il tavolo degli antipasti, tutti di pesce e molto sfiziosi, poi Fiorella si fa preparare un’aragosta e quindi, inappagata, una seconda. Io, invece, ho voglia di carne e mi faccio cuocere una bisteccona, il tutto innaffiato da un buon vino rosso australiano. Una simile cena pantagruelica in un hotel a cinque stelle, è costata l’esorbitante somma di ben € 11,00 (diconsi undici) a persona. Più tardi il gruppo si riunisce ed andiamo a spasso per la città tanto illuminata da sembrare un luna park. I negozi sono tutti aperti con i venditori sulla porta per ri-chiamare clienti. I venditori cinesi non sono petulanti come quelli arabi o come quelli trovati in India. Ovvia-mente ci provano, ma basta pronunciare per un paio di volte la frase magica “pu siesie” e ti lasciano in pace. Nanchino di notte è veramente bella e festosa, con vaste zone pedonali, e i caratteristici palloni rossi di carta appesi ovunque. Oltre ai venditori autorizzati, ci sono quelli abusivi che di norma vendono i Rolex “taroccati” (il “tarocco in Cina è un’arte, ma ne parleremo più approfonditamente quando giungeremo a Shanghai). Questi abusivi non portano la merce con sé, se li pescano sono guai, bensì dei veri e propri depliants sui quali il cliente può scegliere. Il solito più estroverso e “caciarone” del gruppo, che per inciso è un medico di Tarquinia, si ferma a parlare con uno di questi abusivi e sfoglia il catalogo dei gioielli, i cui prezzi variano da 3 a 10 euro. Fa capire che potrebbe essere interessato, ma mostra i pochi spiccioli che ha in tasca, per un totale di 9 yuan (circa 90 centesimi). Il venditore si accontenta e gli porta l’orologio più economico che, nono-stante il prezzo, esteticamente è veramente carino. Marino ci ha poi detto che questi oggetti sono garantiti tre mesi… Nel senso che dopo tre mesi è garantito che non funzioneranno più. La serata è bella e la tempe-ratura è mite, ma si è fatta l’ora di andare a riposare.

9 marzo. La mattinata è dedicata alla visita della città. Più o meno ripercorriamo la stessa strada di ieri sera. Nanchino è bella anche alla luce del sole, ma la mancanza di luminarie la rende meno affascinante. Più tardi andiamo a vedere il grande ponte sul fiume Yangtze, nelle cui vicinanze c’è una galleria dove abili artisti di-pingono con grande perizia degli oggetti in cristallo, utilizzando una tecnica mai vista. In pratica decorano bottigliette ed altre cose simili, inserendo un pennellino dall’esterno e disegnando le figure sostanzialmente al contrario. Qui ho fatto il mio primo acquisto. Mi sono infatti innamorato di una piccola teiera dentro la quale è raffigurato un bosco di bamboo e delle scritte in cinese. Ho poi saputo che è stata realizzata da un famoso maestro… Chissà se è vero! Dopo pranzo ci rechiamo alla stazione per prendere il treno per Suzhou. Le stazioni cinese sono immense, almeno le tre che ho visto, e sono costituite da tantissime sale d’aspetto dove i viaggiatori attendono l’arrivo del treno. A questi, infatti, non è permesso di accedere ai marciapiedi se non quando il treno sta già entran-do in stazione. Il viaggio di circa due ore è abbastanza confortevole.

Anche a Suzhou dopo cena ce ne andiamo a spasso per conto nostro e scopriamo che le mille luci da parco divertimenti, non è solo una prerogativa di Nanchino, ma in tutta la nazione le città sono più illuminate di not-te che in pieno giorno… Ecco perché la Cina è divoratrice di tanto petrolio! 10 marzo. Programma del giorno: in mattinata visita al giardino dell’amministratore umile e al giardino del maestro delle reti, quindi pranzo in ristorante cinese e nel pomeriggio visita alla pagoda della tigre.

I giardini cinesi sono tutti realizzati con largo utilizzo di rocce ed acqua, sotto forma di ruscelli, piccole casca-te e laghetti colmi di pesci rossi. I giardini oggetto della nostra visita mattutina sono molto simili e mirabilmen-te realizzati, sono attraversati da sentieri che si addentrano in una vegetazione rigogliosa. Vedo tante specie di piante a me sconosciute, attraverso angoli che sembrano fatti apposta per scattare suggestive istantanee. Ho l’impressione di essere stato catapultato in un tempo remoto. Proseguendo su questi sentieri attraverso ponticelli in legno che scavalcano laghetti e ruscelli e quindi giungo alla dimora dell’antico padrone di casa che, nonostante la bellezza e la preziosità degli oggetti artigianali in essa contenuti, per quanto mi riguarda colloco in secondo piano.

La Pagoda della Tigre è alta 47 metri e dopo la sua realizzazione, causa un cedimento del terreno, pende un pochetto (alla sommità si discosta di 2 metri dall’asse verticale) analogamente alla nostra torre di Pisa. An-che qui la cosa più bella è il parco circostante; concettualmente molto simile ai giardini visti in mattinata, ma molto più vasto. Qui le rocce sono alte decine di metri, i ruscelli sono fiumiciattoli e le cascatelle cascate. Al-l’interno del parco c’è una mostra di stupende piante bonzai, alcune di centinaia d’anni. La più vecchia sem-bra avere 700 anni. Non basterebbe un’intera giornata a visitare tutto il parco, ma il tempo stringe ed abbia-mo deciso di non farci mancare una gita in barca per i canali di Suzhou, che l’hanno resa famosa come “la Venezia d’oriente”. Saliamo sulla tipica barca coperta, quando inizia una leggera pioggerellina, che conferi-sce ai piccoli e grandi canali che attraversano la città un che di misterioso. Suzhou, a dispetto del sopran-nome di cui si fregia, non ha nulla della nostra città lagunare, ma a suo modo è bella e merita di essere visi-tata.

11 marzo. In mattinata escursione al villaggio di Tongli, nella campagna di Suzhou, pranzo in ristorante ci-nese, nel pomeriggio partenza in treno per Hangzhou.

Siamo tutti curiosi di visitare il piccolo villaggio rurale e in pullman, visto che oramai la confidenza non man-ca, il solito medico intona una canzone in romanesco, alla quale, infine, ci accodiamo tutti. Poi è la volta dei veneti e dei friulani con le loro melodie popolari. Quest’escursione assomiglia sempre più ad una gita parroc-chiale. Giunti alla nostra destinazione rimaniamo stupiti; ciò che noi ci prefiguriamo come villaggio rurale è in contrasto con i canoni cinesi. Tongli ha due milioni di abitanti… Alla faccia del villaggio! Tongli è famosa per la coltura delle perle di fiume. Qui mia moglie può sbizzarrirsi a comprare qualcosa per sé e per le figlie; grazie a Dio si tratta di roba leggera e poco ingombrante ed anche abbastanza economica. Nel pomeriggio prendiamo il treno per Hangzhou. Marino è eccitato poiché il treno farà una fermata al suo paese natale per il tempo sufficiente a fargli incontrare gli amati genitori. Ancora una volta il termine paese ci ha tratti in inganno, il paesino di Marino conta sei milioni di abitanti (quasi due volte Roma!).

Hngzhou by night, con tutte le sue luci colorate, non ci sorprende più, siamo ormai abituati.

12 marzo. Programma: gita in barca sul lago dell’Ovest, visita al parco Huangang, alla pagoda delle sei ar-monie, al Monastero buddhista e all’antica farmacia. Pranzo in ristorante cinese e cena libera.

Oggi la giornata è uggiosa e la nebbiolina non ci permette di ammirare il paesaggio visibile dal lago, che si dice essere stupendo. Quando raggiungiamo il parco Huangang un raggio di sole squarcia la foschia e pos-siamo godere di tutta la smagliante bellezza di questo stupendo giardino. Cigni e pavoni che circolano liberi in un abitat fiabesco. Non mi stupirei di vedere qualche folletto balzare fuori dai cespugli.

Ci fermiamo poco alla pagoda delle sei armonie. Quando hai visto una pagoda…

Per raggiungere il monastero buddhista dobbiamo percorrere un lungo sentiero che si snoda tra boschi, col-line e caverne. Il monastero è completamente realizzato in legno e al suo interno, come già visto di sfuggita nel tempio tibetano di Pechino, ci sono delle enormi statue lignee.

E’ il tardo pomeriggio quando giungiamo all’antica farmacia, che vende tutti prodotti della medicina tradizio-nale cinese. Ormai sono pochi i cinesi che si affidano a questi antichi rimedi, privilegiando i più moderni ed efficaci antibiotici. Voglio solo segnalare una curiosità: all’interno della farmacia è esposta una vecchissima radice di ging seng, il cui prezzo richiesto è di circa 80.000,00 euro. La farmacia sorge al centro di una vasta area pedonale piena zeppa di negozietti e bancarelle. La zona non è molto turistica e qui possiamo davvero apprezzare il modo di vivere e di essere della popolazione che, a dire il vero, per quanto riguarda i giovani è molto simile a quello degli occidentali. Ragazzine in minigonna con i cellulari all’orecchio e ragazzetti tutti ve-stiti in jeans, anch’essi muniti dell’immancabile cellulare. 13 marzo. Questa mattina prendiamo per l’ultima volta un treno cinese. La nostra prossima meta è Shan-ghai, che raggiungiamo all’ora di pranzo. La guida locale, Giacomo, è un giovanotto di una trentacinquina d’anni, molto colto e molto acuto. Parla un italiano fluente e quasi senza accenti. Detiene la quota di una so-cietà a responsabilità limitata di Milano, che si occupa di importazioni dalla Cina e, rarità per un cinese, è proprietario di due appartamenti a Shanghai. Da lui riusciamo ad ottenere risposte esaustive sulla politica locale. Ci parla delle vessazioni subite dalla popolazione dopo la grande rivoluzione culturale e ci racconta di raccapriccianti fatti accaduti in quei tempi. Tornando al presente parla della legge che impone il limite di un figlio per ogni famiglia e della politica abitativa. Ciò che mi stupisce è il sistema adottato per limitare l’enorme traffico delle megalopoli cinesi. Ogni città decide il numero massimo annuale di targhe che può essere rila-sciato e quindi le targhe sono vendute all’asta. Con questo sistema la targa viene a costare quanto un’auto-vettura di media cilindrata, con la conseguenza che è antieconomico partecipare all’asta a chi intende acqui-stare una piccola ed economica utilitaria ed ecco, infine, la motivazione per cui in Cina circolano quasi e-sclusivamente costose vetture di grossa cilindrata… Alla faccia del comunismo! L’unica visita prevista per la giornata è al Buddha di Giada, una scultura stupenda e di inestimabile valore. Anche qui, come ormai abbiamo imparato, interessantissimo l’oggetto della visita, ma altrettanto stupendo il luogo in cui è collocato.

Dato che Giacomo è un tipo piuttosto esplicito, qualcuno del gruppo azzarda domande circa i “tarocchi” e la possibilità di acquistarne di buoni. Giacomo ci spiega che anche le imitazioni risentono della “serietà” del produttore, nel senso che ci sono produttori di “tarocchi” da quattro soldi ed altri il cui prodotto finale, a volte, può superare in qualità l’originale. Giacomo ci spiega che anche in Cina si tratta di un’attività vietata e, con aria sorniona, dice di non poterci dare indicazioni in tal senso proprio perché illecito. Si fa supplicare per al-meno un minuto e quindi, stressato dalle nostre preghiere, cede e ci accompagna da alcuni suoi conoscenti. Con aria circospetta, neanche dovessimo andare ad acquistare stupefacenti, saliamo al primo piano di un palazzo dove si trova un grande appartamento stracolmo di ogni ben di Dio. Io devo acquistare un trolley, le valige non bastano più, e decido per una purissima imitazione di Mont Blanc rosso. Per essere un “tarocco” non è economicissimo, anche considerata la provvigione per Giacomo, ma davvero ben fatto ed elegante. Freno a stento mia moglie, mentre mi rendo conto che un altro del gruppo è affetto da quella mania che por-ta ad effettuare acquisti compulsivi, è Giuseppe, il solito medico di Tarquinia. Già l’avevo notato in altre oc-casioni, tant’è che avevo pensato che fosse in competizione con Fiorella, ma in questo magazzino ha com-prato di tutto e di più, financo un autentico finto abito Armani che si è fatto aggiustare e consegnare in hotel.

Dopo la cena in hotel, abbiamo appuntamento con Giacomo che ci farà visitare i posti più suggestivi della Shanghai notturna. La prima sosta è nella zona commerciale chiamata Pudong, dove sorge la famosa an-tenna televisiva alta 499 metri e il Jinmao il grattacielo attualmente più alto della Cina e il terzo al mondo, con i suoi 421 metri. Saliamo all’ultimo piano del grattacielo dove restiamo senza fiato per lo scenario che si presenta ai nostri occhi. E’ indescrivibile! Dopo il Pudong, è la volta del Bund, un grande viale che fiancheg-gia la riva sinistra dello Huangpo, ricco di lussuosi ed inavvicinabili negozi. Ultima tappa della serata è u-n’ampia zona pedonale piena di ristoranti e locali multietnici dove notiamo e memorizziamo un ristorante ita-liano, non si sa mai, domani sera la cena è libera.

14 marzo. La giornata odierna è rilassante. Il programma prevede soltanto una passeggiata al giardino di Yu, breve visita alla città vecchia, pranzo in ristorante e tutto il resto della giornata libera. Il giardino di Yu è come al solito incantevole, ma non ha nulla di più dei giardini visti sin qui. La visita alla città vecchia lo fac-ciamo in pullman in quanto è iniziato a piovere e il pomeriggio libero, su suggerimento di quel furbetto di Giacomo, lo utilizziamo per anticipare la visita al museo di Sghanghai prevista per domani mattina, che sosti-tuiremo con un’escursione fuori programma, a pagamento, organizzata dalla nostra lungimirante guida. Il museo di Shanghai è interessante, anche se non particolarmente coinvolgente.

Come prevedibile per la cena la scelta è ricaduta sul ristorante italiano, con esclusione della coppia verone-se che da quando siamo giunti in Cina si è sempre nutrita di cibo locale. Ci facciamo scrivere da Giacomo l’indirizzo del ristorante in cinese e chiamiamo due taxi. Ci vogliono quarantacinque minuti per arrivare a de-stinazione ed il tassametro segna il controvalore di 2,20 euro (in Italia nemmeno mi ci sarei seduto sul taxi per quella cifra). Do 30 Yuan (3 euro) al ragazzo dicendogli di tenere il resto, ma rifiuta quasi offeso e a forza mi consegna il resto. Cosa analoga è successa agli occupanti del secondo taxi.

Il ristorante è gestito da due italiani, un bellunese e l’altro fiorentino (?). Ordiniamo per tutti delle fettuccine al tartufo e un eccellente filetto al pepe verde per secondo, il tutto innaffiato da un buon Chianti. Il conto è di 50 euro a persona, un costo esorbitante per la Cina, ma adeguato per noi.

15 marzo. L’escursione suggeritaci da Giacomo è in una piccola località vicina a Shanghai. Una cittadina (massimo due o tre milioni di abitanti), di cui non ricordo il nome, che, come Suzhou, sorge su dei canali. In pratica tutta la città è un grande mercatino all’aperto, per la gioia di Fiorella e di Giuseppe. Il programma pre-vede che nel primo pomeriggio il pullman ci dovrà accompagnare all’aeroporto per prendere il volo per Xian, ma essendomi ricordato di aver letto da qualche parte di uno specialissimo treno che copre la tratta Shan-ghai aeroporto, propongo al resto del gruppo di optare per questa alternativa. Tutti sono d’accordo e per Giacomo non ci sono problemi.

Sono le 14:30 quando veniamo fatti scendere alla stazione del treno a levitazione magnetica. Si tratta dell’u-nico mezzo di questo genere al mondo, a fare regolare servizio di trasporto passeggeri. Il treno non ha ruote in quanto, utilizzando la forza magnetica, viaggia sollevato di qualche millimetro da terra. Non ha nemmeno un conduttore, poiché è tutto manovrato da computers. Potenzialmente potrebbe raggiungere i 600 Kmh, ma la tratta è troppo breve per permettergli la massima velocità. Perciò ci accontenteremo di coprire i 30 Km. Che ci separano dall’aeroporto, in 7 minuti esatti, così ripartiti: 3 minuti per raggiungere la velocità di 431 kmh, 1 minuto nel quale mantiene questa velocità e i restanti 3 minuti per frenare. Quando il treno arriva si-lenzioso in stazione siamo tutti pronti a scattare fotografie e girare filmati. Già dall’aspetto si intuisce la sua natura corsaiola. Da ogni porta che si apre automaticamente scendono delle hostess elegantissime. Non vi dico l’emozione di veder sfrecciare il terreno senza avvertire rumore alcuno, se non un leggerissimo ronzio. In ultimo è interessante sottolineare che questo viaggio fuori programma ci è costato solo 5 euro.

In volo verso Xian già ci emozioniamo pensando alla visita di domani al famosissimo esercito di terracotta.

16 marzo. Tutta notte Fiorella è stata sveglia. La famigerata maledizione di Montezuma l’ha violentemente colpita ed oggi dobbiamo rinunciare alle visite in programma. Avviso della nostra defezione Marino, il quale si preoccupa come non mai. E’ veramente dolce questo ragazzo. Anche gli altri del gruppo quando hanno avuto notizia della cosa, ci hanno fatto gradita visita. In special modo gradita la visita di Giuseppe che ha da-to diverse medicine a mia moglie, assicurandoci che per il giorno dopo si sarebbe ristabilita. Fiorella sonnec-chia tutto il giorno, mentre io mi leggo la guida al capitolo in cui parla dell’esercito di terracotta.

17 marzo. Le medicine di Giuseppe sono state miracolose. Fiorella stamattina è pimpante e, visto che ab-biamo qualche ora prima di prendere il volo per Guilin, vuole che la porti fuori per una visita della città e, ma-gari, a guardare qualche vetrina. Nulla troviamo da acquistare e quindi si accontenta di comprare frutta sec-ca e liofilizzata, che tutti insieme sgranocchieremo sul volo per Guilin, che raggiungiamo in serata.

18 marzo. Oggi è la giornata che più ho atteso. Come si è forse sin qui capito, sono più sensibile agli spet-tacoli della natura che non alle opere d’arte e, da quanto letto, sono certo che Guilin non deluderà le mie a-spettative. Il programma odierno prevede una crociera di quattro ore sul fiume Li, sino al villaggio agricolo di Yangshuo. Pranzo a bordo della motonave.

Delle nuvole basse coprono il cielo, anche se l’aria è limpida e pulita. Ci imbarchiamo alle 10:00 e prendiamo posto a quello che sarà il nostro tavolo da pranzo. Abbiamo già consumato una ricca colazione in hotel, ma l’atmosfera… La voglia di far passare velocemente il tempo che ci separa dalla partenza, ci fa decidere di or-dinare qualcosa dal bar. Marino ci suggerisce scherzando una grappa di serpente, ma la sua provocazione, non cade nel vuoto e davvero ci facciamo portare al tavolo una bottiglia di grappa nella quale sono immersi cinque serpenti. Solo mia moglie ed io non cediamo alla tentazione, tutti gli altri la bevono davvero. Il co-mandante aziona la sirena che preannuncia la partenza ed io, armato di foto e videocamera, salgo sul ponte. Il fiume Li, è anche chiamato fiume delle schegge di giada perché scorre tra formazioni montuose calcaree, che l’erosione dell’acqua e del vento ha modellato con una fantasia che solo madre natura è in grado di e-sprimere, chiamate per l’appunto “schegge di giada”. Se non si tratta di leggenda, pare che siano state cen-site 33.333 schegge. Le colline sono ricoperte da una fittissima vegetazione similtropicale. Sembrerebbe di essere in navigazione su un fiume cambogiano o vietnamita. La nostra non è l’unica motonave, ma un lun-ghissimo serpentone di barche scende dolcemente il fiume quasi in secca, in fila indiana. Le basse nuvole che nascondono le cime e lambiscono le chine delle colline più alte, conferiscono al variegato paesaggio un aspetto irreale e, al contempo, affascinante. Il vento che mi investe è fastidioso e comincia a scendere una leggera pioggerellina. In pochi resistiamo stoicamente all’aperto, la maggioranza delle persone si è rifugiata al caldo della sala ristorante. Non riesco a staccarmi da questo miracolo della natura nemmeno quando mi chiamano per il pranzo. In prossimità di Yangshuo la pioggerellina diventa pioggia, per diventare diluvio quando attracchiamo. La visita del villaggio non è possibile e saliamo sul pullman per tornare a Guilin. In se-rata decidiamo di assistere ad uno spettacolo di canti e danze cinesi. Lo spettacolo è passabile, ma è diven-tato storico quando una ballerina, dopo un attento sguardo alla platea, invita Fiorella sul palco, che diventa così una delle poche italiane a calcare un palcoscenico cinese.

19 marzo. La prima sosta della giornata è presso un laboratorio della seta. Ci è mostrato tutto l’interessante processo di lavorazione, dal bozzolo al prodotto finito. Dopo la visita del laboratorio siamo ovviamente portati nel reparto vendite. Qui, questa volta io consenziente, compriamo due stupendi copriletti in seta pura, imbot-titura compresa, ed una giacca e camicia per mia moglie, anch’esse in seta. Mi piace acquistare prodotti dif-ficilmente reperibili in Italia per manifattura e qualità. Lasciato il laboratorio andiamo alla grotta del flauto di bamboo. Non è una grotta all’altezza delle nostre di Postumia, Frasassi o Castellana, ma vale la pena esse-re vista, soltanto per la strana e simpatica illuminazione utilizzata (molto uso di luci bianche verdi e rosse).

Dopo pranzo prendiamo il nostro volo per Canton che raggiungiamo in serata. La cena è libera. Ad esclusio-ne dei soliti veronesi, che vanno alla ricerca di un ristorante cinese, noi ci fermiamo a cena in hotel, dove gu-stiamo squisiti cibi occidentali. D’altro canto si dice che a Canton si mangia tutto ciò che ha quattro zampe, ad esclusione delle sedie. Meglio non rischiare.

Dopo cena andiamo a piedi alla via principale della città, Via Pechino, seguendo il tragitto che ci ha spiegato in precedenza Marino. Qui si danno tutti allo shopping più sfrenato. Giuseppe torna carico come un mulo. Fiorella, soddisfatta degli acquisti mattutini, si accontenta di comprare solo un altro trolley di cui, ormai, ab-biamo impellente necessità. 20 marzo. La mattinata è all’insegna degli acquisti. La prima tappa è presso un laboratorio di perle di mare coltivate. Anche qui, prima di essere accompagnati al reparto vendite, siamo invitati in una saletta dove ci vengono servite delle bevande e dove proiettano un filmato in cui è spiegato in italiano il sistema di far pro-durre una perla ad un’ostrica. E’ spiegato il motivo della diversa colorazione delle perle che è in funzione dei diversi minerali presenti nell’acqua ed il motivo per cui una perla di mare è molto più preziosa di una perla di fiume. Quest’ultima spiegazione ha dato risposta ad un interrogativo che mi ero posto a Tongli. La risposta è semplice; mentre un’ostrica d’acqua dolce produce numerosissime perle (anche una ventina) un’ostrica di mare ne produce una ed una soltanto. Nel reparto vendite sono io che insisto, per la verità non più di tanto, per regalare a mia moglie una parure composta da collana, braccialetto ed orecchini di perle bianche rosa e nere. Anche alla sosta successiva, in un laboratorio di porcellane, sono io che mi innamoro e compro un va-setto di finissima porcellana, alto si e no una ventina di centimetri. La porcellana è tanto fine che la fiammella di un fiammifero traspare attraverso il vaso.

Dopo aver salutato ed abbracciato Marino, che non è riuscito a trattenere una lacrima,ognuno di noi gli con-segna una busta con la meritatissima mancetta e nel pomeriggio ci imbarchiamo su un catamarano che in un paio d’ore ci fa sbarcare ad Hong Kong. Hong Kong di sera è un incanto, ma dobbiamo rientrare presto per cominciare a dare una sistemata definiti-va ai bagagli, dato che domani sera ripartiremo per l’Italia. La guida di Hong Kong, inoltre, ci avvisa che le compagnie aeree sono molto severe sul peso in eccesso (costo € 30 per ogni chilogrammo di eccedenza), in particolare la Lufthansa. Ti pare, a me è capitata proprio la Lufthansa sulla cui severità ho avuto conferma l’anno scorso al ritorno dall’India. Beati quelli di Tarquinia ed i triestini che tornano con Airfrance mentre i ve-ronesi, che tornano con Austrian, non hanno alcun problema di sovrappeso. In serata nasce una discussione con mia moglie per quel maledetto cappello da mondina che da venti giorni ci trasciniamo per tutta la Cina e che ora non sappiamo proprio come sistemare. La discussione ha termine quando Fiorella rompe finalmente il cappello e lo butta nel cestino. Da un’attenta analisi il nostro bagaglio è così composto: due valigioni rigidi e due trolley stracolmi, i due piumoni pressati e confezionati a mo’ di valigia, la macchina fotografica e la vi-deocamera e infine la borsetta, per usare un eufemismo, di mia moglie.

21 marzo. La giornata è soleggiata e calda. D’altro canto Hong Kong si trova a sud del Tropico del Cancro, circa alla stessa latitudine delle Hawaii e di Bahamas. La guida ci accompagna in un punto della baia dal quale, con un solo colpo d’occhio, si abbraccia tutta la skyline dell’isola. Migliaia di volte il sole si riflette sulle finestre a specchio dei grattacieli. In quanti films avrò visto questo spettacolo, ma essere qui è tutt’altra cosa. Le nostre macchine fotografiche sono sottoposte a superlavoro. Il tempo a disposizione è poco e subito an-diamo ad ammirare la città da un’altra prospettiva, dalla vetta del Victoria Peak, la collina che si trova alle spalle del centro abitato. Anche da qui, come in una sorta di déjà vu, il paesaggio non mi è nuovo. Dalla no-stra posizione possiamo vedere tutta la città e la famosissima baia. Per riuscire a fare qualche fotografia dal balcone devo fare non meno di mezz’ora di fila. A fine mattinata, a bordo di una barca, facciamo un piccolo giro nella baia di Repulse dove centinaia d’imbarcazioni ancorate, sono adibite ad abitazione. Le visite mat-tutine sono terminate e siamo lasciati liberi per il resto del pomeriggio. Fiorella ed io andiamo a mangiare in un eccellente ristorante all’aperto, dopo di che facciamo una passeggiata per le caotiche vie della città. Sono in crisi d’astinenza da fumo; ad Hong Kong è vietato fumare anche nei giardini pubblici, o meglio, ci sono po-che e minuscole zone fumatori, difficili da trovare e inoltre fumare qui non dà soddisfazione.

Alle 18:00 ci ritroviamo tutti nel magazzino dell’hotel per controllare i bagagli che vanno caricati sul pullmann e via verso l’aeroporto. Ognuno di noi si reca al banco della propria compagnia per il ceck in, dandoci appun-tamento a più tardi per i saluti. La guida mi accompagna perché sono il primo a partire, ricordandomi ancora una volta che la compagnia teutonica non si è mai dimostrata elastica sul peso in eccesso. Al banco c’è una cinesina gracilina, che strabuzza gli occhi quando pongo sulla pesa il primo valigione, che da solo assorbe quasi tutto il consentito. Per farla breve valige e trolley pesano complessivamente un’ottantina di chili. Quindi la cinesina insiste per pesare i piumoni che a gesti cerco di far capire che si tratta del mio bagaglio a mano. Non c’è verso di convincerla. Pesati i piumoni fa cenno a mia moglie di porre sulla bilancia il borsone traspor-tato a mo’ di borsetta. Sempre a gesti cerco di farle capire che dentro la borsetta ci sono i trucchi, mimo il gesto di mettermi il rossetto ed il mascara. Devo esserle apparso davvero buffo; scoppia in una fragorosa risata e appone su tutti i miei bagagli l’OK all’imbarco. Come mi ha detto bene! Il gruppo si sta riunendo, all’appello mancano solo i consuoceri di Tarquinia che stanno effettuando il ceck in con Airfrance. Passa parecchio tempo quando torna la guida che ci comunica di andarcene. I nostri amici hanno incontrato dei problemi. Giuseppe ha dovuto pagare 1.500 euro di supplemento peso, mentre Anto-nio, il consuocero, sta riaprendo tutte le valige per buttare tutto ciò di pesante che ha poco valore.

E’ giunta l’ora di imbarcarci. Domani a mezzogiorno saremo a casa.

Giovanni Colnaghi



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