La regione ‘poliglotta’ d’Italia: dalla lingua di Dante a quella dei Cavalieri, ecco perché qui si parla una lingua che risale a 800 anni fa
“Totes los èssers umans nàisson libres e egals en dinhitat e en dreites”, in lingua occitana, formano le prime parole della Dichiarazione universale dei diritti umani. Detta in questi termini, non ci sarebbe nulla di strano, se non fosse che ci troviamo in Calabria, per la precisione, nella provincia di Cosenza e ancor più precisamente a Guardia Piemontese, il paese protagonista del nostro articolo. Un luogo poco conosciuto, ma che costituisce l’unica isola linguistica occitana del sud Italia; ricordate, fra i banchi e le lezioni liceali, le famose lingue d’oc e d’oil?
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Ecco, la lingua d’oc, in particolare, quell’idioma dolce ed elegante, che i trovatori provenzali preferivano al latino, e con cui erano soliti comporre e recitare poesie d’amore a damigelle e cortigiane, vanta ancora una grande comunità di locutori e un vivace insieme di tradizioni. Ad oggi, la diffusione della langue d’oc, cioè, quella anticamente parlata in Provenza – da distinguere da quella d’oil, la cui zona d’interesse era la Francia settentrionale –, è circoscritta alle Valli occitane del Piemonte, al Midi francese (sud), e alla Valle d’Aran in Spagna.
Guardia (così la chiamano i locals, risparmiandosi l’origine sabauda del nome) rappresenta dunque un caso a sé, un piccolo e fragile scoglio in mare aperto, e questo perché costituisce l’unico caso di minoranza occitana fuori dal Piemonte, dal Midi e dalla Spagna orientale.
Perché mai, però – così come vale per i galloitalici di Sicilia –, esisterebbe un’isola linguistica così lontana dalla sua zona d’appartenenza? Per rispondere, e ancor prima di arrivare fra i vicoli del piccolo borgo calabrese, è necessario andare un po’ indietro nel tempo, e raccontare una storia di fede, lotta e speranza.
Da Lione alla Calabria
Il mare davanti Guardia Piemontese è lo stesso che bagna la vicina Paola, la città del San Francesco “dei meridionali”
Tutto ha inizio intorno alla metà XII secolo, con un poverello, ben più povero del futuro San Francesco, Valdo di Lione; l’epoca è quella delle grandi riforme ecclesiastiche, del sorgere degli ordini mendicanti e dei cosiddetti movimenti pauperistici, tutti accomunati da un obiettivo chiaro e preciso: il ritorno alla povertà evangelica originaria, e, dunque, la critica alla corruzione e all’arricchimento delle istituzioni ecclesiastiche. Il messaggio dei Poveri di Lione – nient’altro che i Valdesi –, e, in primis, del loro fondatore, da cui prendono il nome, si inserisce a pieno titolo dentro a questo nuovo sentimento di fede, critica e riforma.
Al povero Valdo, però, nonostante le buone intenzioni e la lotta al fianco del papato contro i vari eretici di turno – Catari e Patarini in particolare –, non va come andrà, qualche decennio dopo, a San Francesco o a San Domenico di Guzman, del cui movimento si faranno portavoce e promotori nientedimeno che il papa e la Chiesa di Roma. È infatti qualche anno dopo l’inizio della predicazione, nel 1184, che, con la bolla Ad Abolendam, arriva la scomunica da parte del pontefice Lucio III.
Le motivazioni? Mai del tutto chiarite, anche se è piuttosto probabile che il nodo della questione fosse la predicazione in pubblico, che i Poveri di Lione, nonostante i vari richiami, avevano continuato a praticare. Da lì in poi, il futuro dei Valdesi si alterna fra divisioni e migrazioni; nascono i Poveri Lombardi – un sottogruppo, appunto, di quelli di Lione –, mentre gran parte di loro subirà parecchie persecuzioni fino al XVI secolo.
È in questo clima di terrore che molti decidono di lasciare i territori francesi e del nord Italia – Piemonte, Lombardia, Provenza, Delfinato e altri – per trovare riparo nel Meridione. Guardia Piemontese costituisce, fra i tanti che ospitarono i profughi valdesi, l’ultimo luogo in cui la minoranza occitana resiste, e, a distanza di più di 700 anni, ancora mantiene vive le sue tradizioni.
Gli Occitani di Calabria
L’ingresso a Guardia Piemontese è segnato dalla “Porta del Sangue”, che ricorda l’eccidio dei Valdesi del 5 giugno 1561, nel quale vennero uccise almeno 2mila persone
Avevamo già specificato, in un articolo precedente, che la Calabria, “considerata a 360º, e, dunque, dal versante territoriale, enogastronomico, folkloristico e linguistico, fosse un miracolo”. In quel caso si parlava della minoranza greca della Bovesìa, distribuita lungo la punta dello Stivale.
Se vogliamo pensarla in termini quantitativi, la minoranza occitana di Guardia Piemontese rappresenta una rarità ancor più evidente di qualsiasi altra; e questo perché non parliamo di un insieme di paesi o di una piccola provincia, bensì di un unico centro, che, ad oggi, conterà non più di 300 parlanti.
Il fatto incredibile, poi, è che quello di Guardia non è l’occitano che si può trovare nelle Valli Piemontesi o nel Midi; a conti fatti, invero, ne condivide solo parte dei vocaboli e della pronuncia. In tal senso, piuttosto che di occitano “puro e distillato”, sarebbe giusto parlare di dialetto guardiolo, un peculiare mix fra langue d’oc e dialetto calabrese locale. Differenze non abissali, certo, ma che tuttavia rendono parole come “chiave” o “chiesa” – in occitano, clau, glèisa – uniche e irripetibili in dialetto guardiolo: rispettivamente, quiau e guieisa.
A ben pensarci, e avviandoci alla conclusione di questo prezioso “diario di viaggio linguistico”, la storia di Guardia può essere spiegata e compresa anche solo dando uno sguardo al nome e alla tradizione vestiaria e musicale. “Guardia”, che fa riferimento nientedimeno che alla “torre di guardia” utilizzata sin dal Medioevo per sventare gli attacchi nemici, si intreccia all’aggettivo “Piemontese”, un chiaro rimando alla regione da cui, fra i secoli XII e XIII, la comunità valdese fuggì.
Ad oggi, lo spirito occitano di Calabria, oltremodo vivace e radicato, svetta soprattutto nelle vesti e fra le melodie di antichi strumenti: “la tramontana” e “lo dorn”, indumenti per occasioni di tutti i giorni, di festa e di lutto, si impreziosiscono nella musicalità medievale della ghironda occitana, uno strumento che non oltrepassa i confini di Guardia, ma che scavalca i secoli, se pensiamo che, nel periodo medievale, questo veniva suonato alle corti di grandi personaggi, re, o imperatori.