Il miracolo della Calabria: tra i vigneti e gli alberi d’ulivo c’è un’isola felice dove si parla la stessa lingua da 3000 anni

Francesco De Luca, 30 Set 2024
il miracolo della calabria: tra i vigneti e gli alberi d'ulivo c'è un'isola felice dove si parla la stessa lingua da 3000 anni

Sia ben chiaro, quando si parla di cultura tout court, non è nostra intenzione generalizzare o semplificare, ma, realmente, in questo caso non c’è molto da dire: la Calabria, considerata a 360º, e, dunque, dal versante territoriale, enogastronomico, folkloristico e linguistico, è un miracolo.

Antiche tradizioni e ricorrenze, che, nonostante il tempo e il progresso, sono state custodite gelosamente, come la Varia di Palmi, festività divenuta UNESCO dal 2013, la processione dei battenti di Verbicaro e di Nocera Terinese, le singolari celebrazioni di paesi come Civita, Frascineto o San Demetrio Corone, borghi in cui vive da secoli la minoranza arbereshe.

Gemme enogastronomiche, come i panicelli d’uva, il vino greco di Bianco e Moscato di Saracena, il formaggio musulupu d’Aspromonte, il biondo tardivo di Trebisacce, una pregiatissima varietà d’arancio, la leucolea, l’oliva bianca utilizzata dai monaci greci durante e per le celebrazioni eucaristiche.

Territori e monumenti unici, dal Pollino all’Aspromonte, passando per la Costa degli Dèi, luoghi che emanano storia e sacralità, come la Cattolica di Stilo, il Castello Normanno di Squillace, che diede i natali all’illustre intellettuale Cassiodoro, e ancora, i Bronzi di Riace, la fortezza di Le Castella a Isola di Capo Rizzuto, il battistero bizantino di Santa Severina.

Insomma, un susseguirsi di tesori, che, come in poche parti d’Italia, hanno saputo resistere all’avanzare del tempo, non invecchiando e scomparendo, ma, anzi, accrescendo il loro valore e la loro esclusività.

Fra le righe di questo breve articolo, in particolare, daremo voce a una minoranza linguistica, una delle più preziose e affascinanti che si contano nel panorama italiano, quella greca di Calabria; in tal senso, giusto per avere un’idea, è utile ricordare che, da nord a sud, l’Italia possiede uno fra i più importanti e variegati patrimoni linguistici d’Europa e del mondo.

La Bovesìa: una Grecia in miniatura sulla punta dello Stivale

pentedattilo

Non tutta la Calabria è interessata e attraversata dalla minoranza greca. Al contrario, questa piccola isola linguistica ha sede unicamente sulla punta del nostro Stivale, in una zona nota come Bovesìa, e conta non più di quindici comuni, anche se, de facto, sono solo cinque o sei ad aver mantenuto vivo l’idioma, che, infatti, ad oggi, conta pochissimi parlanti, fra i 500 e i 2000.

Paesi come Bova, Condofuri, Roghudi, Roccaforte del Greco, Gallicianò, Pentedattilo – quest’ultimo, tradotto dal greco, “cinque dita” – sono i centri in cui il dialetto greco-calabro è ancora abbastanza sentito, tramandato e, soprattutto, parlato. Nel piccolo borgo di Gallicianò, ad esempio, il nome della piazza è riportato direttamente in greco – e non in italiano –, così come molte altre indicazioni presenti fra i vicoli e i centri d’interesse.

Magari ve lo state chiedendo, o magari no; in ogni caso, qui una domanda sorge spontanea: di che tipo di greco parliamo? è un greco antico, bizantino, moderno? La questione non è proprio semplice, perché, in realtà, si tratterebbe di un mix di tutti e tre i tipi, ma andiamo per ordine e cerchiamo di riassumere.

Fino al XVI secolo, il grecanico era parlato in gran parte delle Calabria, e solo a partire da quel momento venne progressivamente sostituito dalla lingua nazionale, o, comunque, da dialetti derivati dall’italiano. Il greco di Calabria presenta parecchi parallelismi con il greco moderno, anche se, bisogna dirlo, sopravvivono molte parole – dei veri e propri fossili linguistici – derivate direttamente dal dialetto greco dorico; per intenderci, quello scritto e parlato ai tempi di Platone, Aristotele, Alessandro Magno.

Parole come agoléo, “uccello di notte”, sono infatti dirette derivazioni del greco arcaico, ad oggi del tutto scomparse nell’idioma greco moderno.

Anche la variante bizantina – su per giù, quella del periodo medievale – ha avuto un peso nella formazione del grecanico, e questo perché i monaci greci basiliani abitarono, e, in parte, abitano tutt’oggi, gran parte del sud Italia; in particolare, fu proprio la Calabria a essere fra le zone maggiormente interessate, e dove, dunque, il monachesimo greco lasciò buona parte della sua eredità linguistica, culturale e religiosa.

In conclusione, per dare un’idea della distanza fra la lingua italiana e il greco di Calabria, motivo per cui sarebbe giusto parlare di vera e propria lingua, e non di dialetto, riportiamo un breve passo di una filastrocca:

To gadaro ce o liko – Mia mera àsce purrì èna gadàro

L’asino e il lupo – un mattino un asino pascolava beato

Uno sguardo alle tradizioni e ai cibi della Calabria Greca

bergamotto

Se, come abbiamo visto, esiste una minoranza di lingua greca in Calabria, questo significa che esistono anche delle tradizioni culturali e culinarie legate a questa piccola comunità.

Fra tutti, tra i vari prodotti di punta della zona, spicca in primis il bergamotto, il cosiddetto oro verde di Calabria, la cui produzione è strettamente limitata a questo spicchio di territorio e in cui è proprio il microclima a giocare un ruolo fondamentale e a permettere la crescita del raro e prezioso agrume in questione.

Pensate un po’, gli oli essenziali del bergamotto vanno a comporre le essenze delle acque di colonia e dei più pregiati profumi del mondo.

Altre “chicche” del territorio grecanico sono indubbiamente il formaggio musulupu, eccellente prodotto caseario che, come da tradizione, prevede di essere messo all’interno di appositi stampi in legno – le musulupare – intarsiati a formare delle figure femminili; la lavorazione del maiale, da cui, oltre a salsicce e capocollo, ancora si ricavano preparati di più antica e popolare memoria, come la frittolata e il sanguinaccio; l’arte della panificazione, che, prima dell’impiego della segale e del grano, prevedeva l’utilizzo di “frutti” poveri locali sapientemente lavorati, quali ghiande e castagne.

Insomma, un territorio e una storia da tutelare, e a cui, fortunatamente, dal 1997, è dedicato uno specifico festival culturale e musicale, la Paleariza, massima espressione dello spirito, delle radici e della tradizione grecanica.

Alcuni dei titoli più belli e suggestivi delle edizioni passate, solo per dare un’idea, parlano da sé: To mèli, i Grecia ce to fengari (Il miele, la Grecia, la luna); Sto centro olò ton pramàto stekete o iglio (Al centro di tutte le cose risiede il sole); Ti porpatì stràtandu em betti mai (Chi cammina per la sua strada non cade mai).



Leggi ancheLeggi gli altri diari di viaggio