Escursione sulla diga del Vajont
Nella fantastica cornice delle Dolomiti friulane, tra la provincia di Pordenone e quella di Belluno, alle pendici del monte Toc, si trova una profonda gola scavata nei secoli da un torrente tristemente famoso: il Vajont. Questo luogo è stato infatti scenario di una terribile tragedia avvenuta il 9 ottobre 1963, raccontata egregiamente in uno spettacolo teatrale di Marco Paolini.
Proprio perché avevamo visto questo spettacolo, io e il mio amico Andrea, compagno d’avventure fin dai tempi dell’università, abbiamo deciso di andare a visitare quei luoghi.
Andando sul sito www.parcodolomitifriulane.it è infatti possibile trovare i contatti per prenotare telefonicamente o via Whatsapp una visita guidata più o meno lunga.
Noi abbiamo scelto la visita guidata al coronamento della diga e ai luoghi della memoria della durata di 3 ore, al costo di 15 euro.
L’escursione non è per niente difficoltosa, adatta anche ai bambini, l’ideale è affrontarla con un panino e dell’acqua nello zaino e delle scarpe comode, meglio ancora se da trekking, ai piedi!
Siamo arrivati in auto nel comune di Erto e Casso alle 9 del mattino al punto di ritrovo, una piccola chiesetta dedicata alla memoria delle vittime del disastro, dove abbiamo incontrato Giuliano, la nostra guida naturalistica, che ci ha accompagnati in questo percorso tra storia e natura.
La visita inizia con la camminata sul coronamento, ovvero la parte superiore, della diga attraverso un percorso su un ponte metallico protetto anche ai lati. Imboccando questo camminamento lo spettacolo è quasi surreale: affacciandosi da un lato, si vede la gola profonda 262m sul fondo della quale scorre il torrente Vajont, così distante che lo si può soltanto ascoltare; girandosi dal lato opposto il paesaggio è invece in salita, poiché la frana si trova ad un livello più alto della diga.
Il coronamento sembra quasi la giunzione di due mondi differenti, quello antico scavato dalla lenta erosione dell’acqua e quello più recente creato dal distaccamento della montagna.
Là, dove secondo il progetto della diga doveva esserci il lago artificiale che sarebbe dovuto essere riempito o svuotato secondo necessità, ad oggi c’è una collina in piena regola, sulla quale abbiamo proseguito la nostra escursione. Camminando in salita su piccoli ammassi di rocce si arriva a vedere bene la parete rocciosa da cui si è staccata la frana, ma al contrario di quello che immaginavo, non è solo un cumulo di macerie: essendo passati più di sessant’anni dal franamento, la natura ha ricominciato a farsi strada tra le rocce.
Gli alberi, franati insieme alla terra, hanno ricominciato a crescere, dando vita ad un curioso bosco, chiamato Bosco Vecchio, dove gli alberi stesi a terra hanno fatto di un antico ramo un nuovo tronco.
La passeggiata continua sulle parole di Giuliano, che ci racconta le dimensioni del disastro, non solo con i numeri, ma anche con la dignità della memoria, che va conservata e diffusa. La storia della diga e dell’impatto che ha avuto sulle piccole comunità del posto, sia durante la costruzione che dopo il disastro può essere approfondita visitando il museo dedicato al centro visite di Erto e Casso, che presentando il biglietto dell’escursione costa soltanto 1 euro.
Per completare questa piccola gita, vi consiglio di andare a Longarone, il paese a valle della diga, dove il Vajont si getta nel Piave, anch’esso colpito dalla tragedia.
Andando in piazza Pietro Gonzaga, è possibile vedere la diga incastonata tra le montagne, che da lontano appare così piccola.
In una mezza mattinata potete fare questa passeggiata per ammirare l’imponenza sia di una grande opera architettonica che dello scenario naturalistico che la circonda, contribuendo a ricordare ciò che non andrebbe dimenticato.