Cuba, l’isola dei colori e della gioia di vivere
Quest’estate avevo voglia di trascorrere le mie settimane di ferie a Luglio in una destinazione calda, colorata e vivace, con possibilità di fare attività all’aria aperta e divertirsi la sera. Il tutto, ovviamente, stando alla larga da villaggi vacanze e simili. Ho subito puntato l’America Latina, e iniziando a scorrere tra le mete possibili, due cose mi hanno convinto a far pendere l’ago della bilancia verso Cuba: la prima è il Carnevale di Santiago, che si tiene proprio a fine Luglio ed è considerato la più grande festa di tutti i Caraibi; la seconda ragione è il fatto che presto Cuba potrebbe cambiare, con tutti i pro e i contro che ne conseguono, e questa potrebbe essere una delle ultime occasioni per vederla così com’è ora. O meglio, così come è stata negli ultimi sessant’anni, visto che in quest’isola, la più grande dei Caraibi, sembra di immergersi in una cartolina degli anni ’50. Nel suo burrascoso passato ha visto conquistadores, schiavitù, guerre, dittature, e più di recente razionamenti e un embargo quasi totale che l’ha lasciata praticamente sola a combattere per la sopravvivenza, contando solo sulle proprie forze. Proprio per la sua storia, Cuba è un mondo a sé, tutto da esplorare e spesso non facile da capire. Quello che tiene vivo questo meraviglioso Paese è senza dubbio lo spirito fiero, solare e festoso dei cubani, in assoluto il popolo più caloroso e ospitale in cui mi sia mai imbattuto.
PRIMA DI PARTIRE
Giusto per dare alcune informazioni pratiche, Cuba è un Paese incredibilmente sicuro e facile da girare in autonomia. La politica interna punisce duramente la corruzione, lo spaccio di droghe e in generale le truffe ai danni dei turisti (ma tenete comunque gli occhi aperti, non comprate sigari in strada e controllate sempre il resto quando pagate…). La sensazione di sicurezza è davvero alta, anche a tarda notte. Quello a cui bisogna invece bisogna rassegnarsi sono i ritardi dovuti alla macchinosa burocrazia (necessaria anche per cose estremamente semplici) e i frequenti guasti meccanici che possono capitare a qualsiasi mezzo di trasporto, vecchio o nuovo che sia.
L’altro aspetto con cui bisogna prendere confidenza è la doppia valuta: a Cuba infatti sono attualmente in circolazione sia i Pesos Cubanos (CUP, detti anche Moneda Nacional) che i Pesos Convertibles (CUC). I primi sono riservati ai cubani, hanno un cambio che si aggira su 1€=25CUP, e sono i soldi con cui lo stato paga loro stipendi e pensioni. Tecnicamente agli stranieri non è concesso usarli, ma capita di riceverne come resto nei piccoli empori e ristoranti a gestione statale. Ai turisti invece sono riservati i CUC, con cambio praticamente 1€=1CUC; questa è la valuta che userete per pagare taxi, pernottamenti, musei, pasti, escursioni, eccetera. Spesso sono indicati i prezzi in entrambe le valute, o comunque vicino alle casse si possono trovare le tabelle di conversione. Per i pernottamenti e i ristoranti c’è comunque una netta distinzione tra luoghi per cubani e luoghi per turisti, in quanto lo stipendio medio per un cubano è spesso sotto i 20 CUC (si, avete letto bene…) e perciò i locali solo di rado possono permettersi certi prezzi, quindi non si rischia così spesso di confondersi. Questo non significa però che uscendo alla sera troverete solo turisti: ogni posto dove ci sono musica e mojitos è sempre pieno di cubani, che al contrario degli stranieri pagano però in Moneda Nacional.
Non è comunque possibile ottenere Pesos Convertibles fuori da Cuba: le uniche opzioni sono ritirare direttamente ai bancomat in aeroporto o nelle città maggiori (già rispetto a un paio di anni fa se ne trovano molto più di frequente, ma i guasti possono capitare sempre) oppure cambiare gli Euro alla CaDeCa, la Caja de Cambio statale presente anch’essa in aeroporti e città con orari variabili.
Per entrare nel Paese serve un visto noto come Tarjeta del Turista, dal costo di 25€, che si può ottenere dall’Italia tramite la compagnia aerea con cui si ha prenotato, tramite agenzia viaggi, o recandosi direttamente in consolato. In più, è obbligatorio possedere il biglietto di ritorno e un’assicurazione sanitaria che copra tutta la durata del viaggio.
Per i pernottamenti non ho avuto dubbi: invece degli hotel, quasi tutti gestiti dall’onnipresente Stato, ho preferito soggiornare nelle casas particulares, ovvero case di privati che mettono a disposizione una o più stanze per gli stranieri. Ce ne sono a centinaia, sono economiche e pulitissime, consentono di vivere davvero a contatto con i cubani e soprattutto di fare in modo che i nostri soldi vadano direttamente nelle loro tasche. Senza contare la piacevole sensazione di essere chiamati per nome o persino “mi amor!” (che è il modo con cui i cubani si salutano tra loro abitualmente, anche tra sconosciuti), coccolati come un membro della famiglia e rimpinzati di cibo alla sera. Dopo un paio di giorni non è difficile ritrovarsi a chiacchierare pure con la vicina, il cugino o il panettiere. In ogni caso, dall’Italia ho prenotato tramite Hostelworld.com solo la prima notte all’Havana e le notti a Santiago (essendo periodo di Carnevale le più economiche rischiavano di finire presto), decidendo il resto giorno per giorno con l’impagabile aiuto dei gestori delle casas.
A livello linguistico, la maggior parte dei cubani parla solo lo spagnolo. L’inglese non è molto conosciuto, tranne che dai classici “acchiappaturisti” che nelle grandi città si propongono di portarvi qua e là in cambio di una propina. Parlando lentamente in italiano si può comunque capire e far capire il minimo indispensabile, ma sforzarsi di parlare in spagnolo è un buon modo per inserirsi con più facilità nelle famiglie e lasciarsi guidare da loro nell’organizzazione delle tappe successive. Il mio spagnolo non va molto oltre le basi necessarie a conversare, ma devo dire che è stato un “plus” notevole per poter sfruttare appieno la socievolezza e la disponibilità della gente del posto.
Per muoversi nell’isola si possono scegliere diverse opzioni: la più classica è il bus (Viazul oppure Conectando), un po’ lento ma abbastanza economico. Il treno ha prezzi simili ma è difficile riservare posti, si riempie facilmente, ha orari imprevedibili e spesso viene sospeso senza fornire alternative. La terza via, consigliata soprattutto per spostamenti medio-brevi (150/200 km), è quella dei taxi colectivos, ovvero auto private quasi sempre ultrasessanteni in cui fino a 5 passeggeri si dividono la spesa dell’autista. Se si riesce a riempire l’auto, i prezzi risultano solo di poco superiori al bus, con il vantaggio di venire prelevati alla propria casa e portati direttamente alla successiva, risparmiando su un eventuale taxi urbano che spesso può costare parecchio. Altra alternativa è il noleggio auto, che è piuttosto costoso ma consente di girare l’isola in libertà, sostando anche in posti meno “mainstream” e, perché no, dare pure qualche passaggio ai tanti cubani che fanno l’autostop.
L’ultimo punto che merita due parole è la questione Internet: a Cuba è stato introdotto solo da un paio d’anni e non è ancora capillare. Per collegarsi bisogna andare nelle piazze principali delle città, dove si trovano gli hotspot wifi, e comprare delle tessere Etecsa (la compagnia telefonica nazionale) con un codice che permette di navigare per un’ora a prezzi che generalmente oscillano sui 2CUC. Alcune casas stanno iniziando ad offrire questo servizio anche all’interno delle stanze. La connessione comunque non è granché, ad esempio il mio telefono e anche quello di altri ragazzi non riusciva a caricare la pagina del portale per inserire il codice. Morale: non ho utilizzato internet per tutta la durata del viaggio, e sinceramente non ne ho mai sentito la mancanza.
Ricapitolando, sotto il profilo dei costi Cuba non va sottovalutata. Non è economica quanto altre destinazioni caraibiche, soprattutto se ci si vuole spostare spesso di città in città. In totale, ho speso circa 2000€, così suddivisi:
– 850€ per il volo a/r Torino-Francoforte-Havana con Condor;
– 75€ tra visto e assicurazione;
– 300€ per 16 notti in casas particulares;
– 300€ per gli spostamenti;
– 90€ tra escursione a cavallo, immersione, noleggio bici;
– 400€ per pasti, drink, ingressi ai musei, mance, e acquisti vari.
Nella mia giornata tipo ho speso più o meno 60-70CUC nei giorni in cui dovevo trasferirmi, qualcosa in meno se restavo in città e qualcosa in più se c’erano attività extra da fare. Comunque, se volete farvi un’idea del budget, tenete come base 75CUC al giorno, e qualora restiate con dei CUC che vi avanzano li potete sempre riconvertire in Euro in aeroporto prima del volo di ritorno. Viaggiando da solo, ho avuto qualche difficoltà a trovare stanze singole e più volte è capitato che dovessi affittare una doppia pagando la tariffa piena. Dall’altro lato, muovendosi da solo è molto più facile “imbucarsi” nei colectivos, risparmiando parecchio tempo e denaro negli spostamenti.
15/16 LUGLIO: HABANA
Sono le 7 di sera all’aeroporto José Martí di Habana, e dopo le 10 ore di volo che ho passato praticamente dormendo, ci siamo. Poco prima di atterrare, vedo dal finestrino il sole radente che illumina vaste pianure in cui il verde chiaro delle coltivazioni si alterna al rosso scuro della terra arata e alle tinte smeraldo della folta vegetazione tropicale. Appena uscito dall’aereo sono due le cose che non posso fare a meno di notare: prima di tutto il caldo soffocante, umido e appiccicoso che contrasta in modo sfacciato con l’aria condizionata dell’aereo. Poi, alla prima boccata d’aria, un odore di carbone e vecchi motori alimentati da benzine obsolete mi riempie le narici.
Le formalità doganali e il ritiro bagagli si smaltiscono in fretta. In strada, una schiera di tassisti si sbraccia per richiamare clienti. Io però devo prima passare alla Cadeca per cambiare gli Euro in CUC. E qui la lentissima burocrazia cubana inizia a far sentire subito il suo peso. Piano piano, l’unica addetta allo sportello compila a mano le lunghe ricevute per ciascuno dei clienti in fila. Approfitto dell’attesa per conoscere due ragazzi tedeschi che hanno prenotato per la notte in una casa particular non lontano dalla mia, quindi dopo aver convertito le banconote condividiamo un taxi per il centro della città.
Per strada tutto trasmette la sensazione di essere in un Paese molto particolare. Subito l’occhio cade sulle automobili americane anni ’50: affascinanti, enormi, colorate, rumorose, spesso rattoppate alla bell’e meglio e con una densa fumata nera a far loro da coda. A completare il parco auto, le Lada introdotte dai Sovietici, una manciata di Fiat e Peugeot anni ’90 arrivate qui chissà come e qualche auto cinese donata dalla Repubblica Popolare, rimasta ormai l’unica potenza alleata almeno ideologicamente. Solo da pochi anni ai cubani è concesso comprare e vendere auto, quindi la maggior parte di esse è passata di padre in figlio per generazioni, ogni volta sostituendo qualche pezzo deteriorato con un altro recuperato da auto simili ormai in fin di vita, rendendo ogni modello unico.
Accanto al vialone che porta ad Habana scorrono palme e frutteti, fermate del bus piene di ragazzi accaldati, e un’infinità di cartelloni e murales che celebrano il socialismo e la figura di Fidél. Il taxi prosegue attraversando la monumentale Plaza de la Revolución, con l’obelisco dedicato al padre della patria José Martí e l’ampia spianata su cui si affacciano i celebri edifici governativi con i profili degli eroi rivoluzionari Ernesto Che Guevara e Camilo Cienfuegos. Trovare le nostre destinazioni è un po’ più difficile: a Cuba la maggior parte delle strade sono conosciute con due nomi diversi, e per di più solo poche case hanno numeri civici leggibili. Per orientarsi in questa scacchiera è indispensabile conoscere le due traverse tra cui si trova l’alloggio, o perlomeno saper indicare un grosso incrocio a cui farsi lasciare per poi proseguire a piedi.
Giungo finalmente alla mia casa particular, l’Hostal Corazon del Mundo, e saluto i due ragazzi tedeschi. Qui ho prenotato un letto in camerata per due notti, ma per problemi organizzativi i proprietari mi dicono che per stanotte non ci sono più posti disponibili e mi accompagnano da un loro amico nel palazzo di fronte che ha una stanza allo stesso prezzo. La camera è pulita e ordinata, con un grosso frigorifero a fianco del letto che a volte emette dei rombi come se stesse per esplodere. Riposo solo una decina di minuti, non sento minimamente gli effetti del jet-lag, quindi raccatto l’essenziale e decido di uscire subito per assaporare il sabato sera caraibico. Prima di partire alla scoperta della città, il proprietario mi offre un bel bicchierone di rum scuro e mi dà qualche consiglio su come vedere la città. Habana è suddivisa in tre grossi quartieri: Habana Vieja, il centro storico posto a guardia dello stretto canale che conduce alla baia; Habana Cientro (in cui mi trovo ora), scacchiera di vicoli ritenuta da molti la parte più autentica della capitale; e infine Vedado, la zona relativamente più nuova, celebre per la nightlife sul lungomare. Come prima cosa mi butto a capofitto verso il Malecón, il pittoresco viale che costeggia il mare, per catturare gli ultimi istanti di un tramonto bellissimo, carico di nuvole scarlatte. Costeggiando il lungomare verso Habana Vieja, tra palazzi variopinti e lo strombazzare di clacson fantasiosi, vengo attirato dalla musica e dal profumo di pesce alla brace provenienti da piccoli tendoni montati a fianco della strada. D’estate non è raro imbattersi in queste feste di quartiere, dove i cubani mangiano, bevono, suonano e ballano fino a tarda notte. Sono tutti spensierati e sorridenti, chiacchiero a lungo con alcuni di loro in modo sorprendentemente naturale, senza che nessuno mi chieda in cambio soldi o cibo come spesso mi è capitato soprattutto in Asia.
Continuo la passeggiata notturna lungo il Paseo de Martí, e piano piano vedo spuntare tra gli alberi l’enorme, inconfondibile cupola del Capitolio, illuminato da grossi riflettori gialli. Attorno ad esso, i sontuosi palazzi che circondano il Parque Central. Da qui una breve deviazione, solo un assaggio, tra i vicoli di Habana Vieja. Domani ci sarà tutto il tempo di ammirarla in tutti i suoi colori.
Dopo una bella dormita mi sveglio energico, e per prima cosa percorro Calle San Rafael verso il centro storico, sostando lungo la strada per fare colazione con caffè e dolci locali simili a wafer con vaniglia o cacao. Sono presto alle spalle del Capitolio, grandioso monumento neoclassico che di giorno scintilla di marmo bianco. Per via del restauro in corso non è al momento visitabile, perciò proseguo per la città vecchia. Questa parte della città è costituita da una scacchiera di viuzze coloniali e da quattro importanti piazze, ciascuna con il suo fascino: Plaza de la Catedral, con i portici di pietra grigia attorno alla barocca cattedrale spagnoleggiante; Plaza de Armas, piccolo giardino situato tra il Castillo de la Real Fuerza e il Palacio de los Capitanes Generales; Plaza de San Francisco de Asis, con la basilica dedicata al Santo “nostrano”, palazzi coloratissimi e purtroppo gigantesche navi da crociera alle spalle, decisamente fuori scala per un luogo del genere. La quarta piazza, Plaza Vieja, è un rettangolo di portici in tinte pastello, dove assisto ad uno spettacolo di musicisti, ballerini e trampolieri mentre mi gusto un latte di cocco freschissimo. I vicoli che collegano le quattro piazze sono generalmente puliti, ben tenuti e restaurati di fresco grazie anche ai fondi che l’Unesco ha stanziato nella ricorrenza dei 500 anni dalla fondazione della città, avvenuta nel 2014. Ma basta svoltare un angolo per trovarsi di fronte l’altro volto di Cuba, quello più sfaccettato e “vissuto”: strade piene di buche, palazzi pericolanti, empori con cartelli che attestano quanto riso o caffè lo Stato concede questo mese a ciascun tesserato… ma anche ragazzi che bevono e scherzano guardando una partita di baseball in un vecchio e minuscolo televisore in bianco e nero, vivaci mercati di frutta esotica, gente sul terrazzo che si esercita a suonare la tromba. Habana è un microcosmo di contrasti da scoprire vicolo dopo vicolo. Un mondo a parte, fuori dal tempo e dalla storia, tanto viva, tanto aperta, tanto colorata da farti dimenticare tutto il resto.
Mi fermo a mangiare in un paladar, ovvero un piccolo ristorante a gestione familiare. Il vecchio cameriere si siede al tavolo accanto al mio e commenta il notiziario alla radio, scuotendo la testa alle parole di Raul Castro. “No es como Fidél” continua a ripetermi, baciandosi il pugno e poi levandolo al cielo. Rimpiange il Lider che ha reso accessibili a tutti i cubani cibo, istruzione, autostrade e sanità pubblica. La stampa occidentale lo ha sempre e solo dipinto come un tiranno, seppur elogiandolo come politico, militare e stratega di grande carisma, ma trascurando di descriverlo come un avvocato, uno sportivo e un’intellettuale di ampie vedute. Pensare che a Cuba ogni strada, casa o albero dal 1959 in poi si trova li perché lo ha deciso lui… fa un certo effetto. Non lo dico ad alta voce, ma ovviamente c’è anche il rovescio della medaglia da considerare: si tratta pur sempre di totalitarismo, il che ha significato per decenni non poter comprare una casa, un’auto o una tv, non potersi informare liberamente, manifestare un’opinione o semplicemente scegliere di andare altrove. Ma almeno quando parliamo di cibo io e l’uomo la pensiamo esattamente alla stessa maniera, e continuiamo a chiacchierare mentre mi abbuffo con la classica comida criola composta da portate di riso, pesce, verdure e banane fritte.
Tra le 2 e le 5 di pomeriggio, in questo periodo, il sole tropicale è a picco sulla mia testa e non proietta ombre da nessun lato della strada. Il caldo è opprimente e camminare per la città diventa davvero faticoso, quindi avendo mangiato a sazietà, sento il bisogno di tornare a casa per un riposino.
Non appena l’aria si è rinfrescata ritorno in marcia, stavolta percorrendo il Malecón in direzione Vedado. Come me, tanti Habaneros si godono il lungomare a quest’ora, pescando o mangiando frutta e patatine con gli amici.
Rientrando prendo dei bocadillos farciti con maiale arrosto e uova per cenare sulla terrazza dell’ostello e risparmiare qualche soldo. Qui incontro un sacco di ragazzi provenienti da mezza Europa, Australia e Asia, e mi ritrovo a trascorrere una piacevole serata raccogliendo anche un po’ di informazioni utili da chi ha già chiuso il giro dell’isola e si appresta a tornare a casa l’indomani.
17 LUGLIO: VIÑALES
Con l’aiuto dei gestori della casa particular sono riuscito ad organizzare il trasferimento in taxi collettivo per Viñales ad un prezzo praticamente identico a quello del bus. Partiremo alle 9 del mattino, quindi ho ancora tempo per un giretto nei paraggi alla scoperta del quartiere dell’Università. D’estate gli studenti sono in vacanza, e un anziano professore prima mi scambia per un collega, poi si offre di farmi da guida per una breve visita dei cortili, mostrandomi con fierezza uno dei carri armati guidato da Fidel durante la rivoluzione. Mi racconta che l’ateneo sta cercando di guadagnarsi una certa fama internazionale, e ad oggi ci sono intere classi di ragazzi stranieri, perlopiù cinesi.
Torno alla base, è ormai ora di lasciare la capitale. Il nostro furgoncino impiega più di un’ora per attraversare la città e caricare altri passeggeri da altre casas. Il viaggio scorre comunque tranquillo, attraversando le campagne dell’entroterra sulla Carretera Central. Lungo l’autostrada sorpassiamo un lungo convoglio militare formato da jeep e camionette anni ’60 carichi di truppe, missili e artiglieria. Mi viene da chiedermi se proprio quei missili facessero parte delle batterie che durante la Guerra Fredda fecero tremare il mondo di fronte alla minaccia di un nuovo conflitto mondiale…
All’orizzonte, davanti a noi, si inizia a scorgere il profilo delle alture che delimitano la pittoresca Valle di Viñales, rinomata per l’insuperabile tabacco e la vita rilassata. Quando il taxi le scavalla, il panorama si fa magnifico: un autentico paesaggio da cartolina, con campi coltivati, capanni di paglia e i caratteristici “panettoni” carsici noti come mogotes. Il villaggio di Viñales è invece un mosaico variopinto di basse casette porticate, tutte con il caratteristico simbolo sulla porta che le autentica come casas particulares. Non ho prenotato nulla, anche se alla casa di Habana mi sono fatto lasciare un foglio con gli indirizzi di vari amici dei proprietari nelle varie città che toccherò. Qui tutto funziona con il passaparola. Sono comunque fortunato: due ragazze italiane che erano con me sul taxi avevano prenotato una doppia ma sono state “dirottate” nell’appartamento a fianco, la “Villa La Cueva”, che caso vuole abbia anche una stanza singola in più. La sistemazione è essenziale ma estremamente pulita e tranquilla. La proprietaria Raidel ci accoglie e ci abbraccia come se fossimo suoi nipoti tornati a casa per Natale, mentre il figlio inizia ad illustrarci tutte le attività che è possibile fare nei prossimi giorni. La parte più dura è la scelta della spiaggia: nei paraggi si trovano due tra le spiagge più belle di tutta la parte occidentale di Cuba: Cayo Jutías e Cayo Levisa. La prima, più selvaggia e meno attrezzata; la seconda (si dice) migliore per lo snorkeling ma più frequentata. Alla fine scegliamo di andare domani alla prima, mentre per il giorno dopo ci dedicheremo alla scoperta della Valle di Viñales a cavallo.
Decido invece di godermi il pomeriggio noleggiando una mountain bike ed esplorando un po’ i dintorni. Il mezzo è in buono stato, solo i freni sono un po’ usurati. Ripercorro a ritroso l’ultimo tratto percorso in taxi, arrivando al Mirador “Los Jazmines”, da cui si gode la vista migliore su tutta la vallata. Mentre ammiro il panorama color ruggine e smeraldo, i nuvoloni che avevano impedito al sole di arrostirmi mentre pedalavo rivelano il loro vero intento, e per una ventina di minuti resto sotto la tettoia del Mirador aspettando che passi l’acquazzone. Quando il peggio sembra passato, l’idea migliore sarebbe quella di rientrare velocemente a casa, ma sono troppo affascinato da questo angolo di mondo per farmi fermare da un po’ di fango. Invece di seguire la strada principale mi butto in stretti sentieri tra i cespugli, cercando di raggiungere in qualche modo il fondo della vallata. Mi ritrovo tra campi di mais e essiccatoi per il tabacco, strutture in legno e fronde di palma che punteggiano la campagna senza stravolgerne i colori e l’aspetto bucolico. Il tutto splendidamente incorniciato dai bizzarri mogotes.
Il sentiero spunta in una stradina sterrata dove incontro della gente a cavallo a cui chiedo indicazioni per ritornare verso Viñales. Sta ricominciando a piovere, e quando arrivo alla casa sia io che la bici siamo completamente infangati. Lascio a Raidel i vestiti da lavare e mi faccio subito una doccia. Incrocio le ragazze che stanno uscendo per cercare un ristorante, ma preferisco fare con calma e cenare in casa. E non faccio male, il pollo arrosto con riso che la proprietaria mi prepara è delizioso e, di nuovo, abbondantissimo. Passo la serata a rilassarmi sulla sedia a dondolo nel portico chiacchierando con lei e il cugino, scoprendo come nonostante il boom di turisti negli ultimi anni Viñales resti per gli abitanti il posto tranquillo che è sempre stato. Mi raccontano che due dei loro nonni hanno passato il secolo di vita, a dimostrazione della vita sana e spensierata di chi vive in questo villaggio.
18 LUGLIO: CAYO JUTÍAS
Mi alzo all’alba per farmi una passeggiata, arrivando a piedi ad un altro punto panoramico presso l’Hotel La Hermita. Per strada solo cavalli, carretti e un silenzio irreale. Per raggiungere la paradisiaca spiaggia di Cayo Jutías ci affideremo invece ad un gioviale autista e alla sua vecchissima e scricchiolante Cadillac. Il viaggio dura un paio d’ore, un susseguirsi di strade malconce e panorami bellissimi. L’isolotto sabbioso è collegato alla terraferma da una strada rialzata, che attraversa la laguna costellata di mangrovie e permette di arrivare direttamente nei pressi della spiaggia. Qui si trovano solo un piccolo ristorante, pochi ombrelloni e un capanno che noleggia attrezzatura per le immersioni. L’autista ci aspetterà qui fino al tardo pomeriggio, mentre noi abbiamo tutto il tempo per goderci le acque cristalline del Golfo del Messico. Le ragazze noleggiano un ombrellone, io invece scelgo di andare un po’ all’avventura camminando lungo il bagnasciuga. Oltre la spiaggia, mangrovie, palme da cocco e pini slanciati lambiscono l’acqua bassa e caldissima. Due pescatori stanno rientrando a riva con una piccola barca, mi consigliano di camminare in acqua invece che sul sentiero, per evitare le zanzare, e di continuare per una mezz’oretta a piedi. Ne vale la pena, dicono. Effettivamente la costa si fa sempre più selvaggia e più bella, una delle più belle che abbia mai visto. Gli scheletri bianchi degli alberi secchi formano contorte sculture nell’acqua, finché davanti a me si apre una piccola baia con una spiaggetta contornata da pini altissimi. Sono molto probabilmente l’unica persona nel raggio di un chilometro, è una sensazione incredibile. Resto a mollo nel silenzio, come un esploratore che ha appena scoperto un’isola vergine e la contempla gelosamente. Mi rilasso per ore sotto il sole che si è fatto cocente, poi ritorno verso il parcheggio per mangiare qualcosa prima di ripartire. Al ristorantino assaggio un gamberone freschissimo con del riso, il tutto sorseggiando un denso daiquiri con rum e cacao. Sarebbe bello restare qui fino al tramonto, ma è ora di rientrare a Viñales. Mi rendo conto solo adesso di aver sottovalutato il sole caraibico, e nonostante le tonnellate di crema che mi sono messo addosso sono riuscito a scottarmi comunque…
Stasera ceniamo tutti in casa, poi ci tuffiamo a respirare un po’ di ritmi cubani in centro. Proprio accanto alla chiesa si trova un frequentatissimo centro culturale all’aperto che ogni sera vede esibirsi musicisti, cantanti e ballerini nei loro costumi tradizionali. Nella musica cubana si scorgono le sfaccettature della sua storia: percussioni africane, chitarre spagnole, trombe jazz statunitensi, testi che attingono dalla vita contadina e dagli amori semplici. La serata è un’esplosione di suoni e danze, e tutti gli artisti sono incredibilmente appassionati e coinvolgenti. Insieme a loro si lanciano a ballare nel piazzale anche coppie di ragazzi cubani e, a ruota, anche noi. Senza nessuna pretesa di eguagliare il loro talento naturale, ovviamente.
19 LUGLIO: VALLE DI VIÑALES
Un uomo bassino e con gli speroni agli stivali, classica immagine del fantino, già aspetta sulla sedia a dondolo del nostro portico quando usciamo di casa. Ci accompagna a piedi fuori dal villaggio per iniziare la visita della vallata e delle sue piantagioni. Insieme a me e alle due ragazze c’è un’altra coppia di toscani arrivati ieri nella casa a fianco alla nostra, con cui decidiamo di condividere il percorso. Come prima tappa visitiamo una finca dove si raccoglie e lavora il tabacco, vanto della zona. All’ombra di un capanno in legno, ci viene mostrato come le grosse foglie brune vengono essiccate e tagliate per confezionare i sigari, senza alcun additivo se non l’acqua e miele che viene usata come collante e che aggiunge quella nota dolce all’aroma del tabacco. Saliamo in groppa ai cavalli per continuare la visita attraverso la campagna. In estate, tutte le coltivazioni di tabacco vengono sostituite dal mais, che oltre a nutrire la terra non lascia incolti i campi nel periodo caldo in cui il tabacco non crescerebbe, garantendo ai contadini un introito tutto l’anno.
Nella finca successiva possiamo vedere alcune piante di caffè e gli strumenti utilizzati per raccoglierne ed essiccarne naturalmente i chicchi, che poi vengono confezionati in grossi sacchi di juta. Attorno ad un lungo bancone, assaggiamo il caffè, il rum, il miele locale, e uno squisito succo di canna da zucchero estratto al momento, un mix di aromi tanto diversi ma perfettamente complementari che sembra progettato per equilibrarsi solo dopo averli assaggiati tutti insieme.
Continuiamo cavalcando tra campi, boschi e torrenti, sostando ad una piccola ma scenografica grotta con angusti passaggi inclinati tra le rocce, per poi raggiungere un laghetto in cui possiamo rinfrescarci. L’acqua è abbastanza torbida, neanche lontanamente paragonabile alla spiaggia di ieri, ma fa talmente caldo che nessuno di noi resiste senza un bel bagno. Dopo il momento di relax, ritorniamo a cavallo per salire di quota e giungere al piccolo mirador della Valle del Silencio. Come suggerisce il nome, il luogo è un’oasi di tranquillità tra la vegetazione, da cui si aprono stupendi panorami. D’improvviso si sentono tuoni, e di nuovo nuvoloni scuri si ammassano all’orizzonte. La nostra guida dice che non avremmo il tempo di rientrare a Viñales prima che piova, perciò restiamo al riparo della piccola baracca in legno ad attendere che il temporale si esaurisca. Nel frattempo ne approfittiamo per un panino jamon e queso, birra e noci di cocco fresche, e facciamo comunella con un gruppo di contadini e fantini della zona che come noi hanno trovato riparo qui. Nel giro di pochi minuti, ci ritroviamo in mezzo a chitarre, canti, e balli, guidati da un vecchietto baffuto con l’energia di un ventenne. Una festa di paese in miniatura, è tutto così coinvolgente che restiamo ben oltre la fine del temporale.
Riportiamo i nostri cavalli al villaggio e ritorniamo a piedi a casa. Giusto il tempo di darsi una sistemata, poi usciamo subito per cenare in centro. Scegliamo un tapas bar vicino alla piazza, che offre cucina spagnola e in assoluto il miglior mojito che abbia mai bevuto. Dopodiché la serata non può che proseguire al centro culturale per trascorrere l’ultima notte a Viñales tra musica e danze.
20 LUGLIO: CIENFUEGOS
Dopo un’abbondante colazione, io e le ragazze salutiamo Raidel e famiglia per salire sul colectivo diretto a Cienfuegos, la nostra prossima tappa. La premurosa proprietaria ci ha organizzato tutto, e ha chiamato una sua amica del posto per riservarmi una stanza nell’Hostal MiSol.
Il nostro autista può farci arrivare solo fino ad Habana, ma ad aspettarci in un piazzale poco fuori città c’è già un suo collega che ci porterà a destinazione. Pochi chilometri prima di arrivare a Cienfuegos, siamo però vittima di un brutto scherzo da parte di qualche approfittatore. Qualcuno ha poco spiritosamente lasciato dei chiodi sull’asfalto, in modo da bucare le gomme degli ignari turisti con le auto a noleggio, per poi “casualmente” spuntare dal nulla per aiutarli in cambio di denaro. Sia la nostra auto che quella della famiglia di canadesi dietro a noi sono costrette ad accostare per sostituire le gomme. Il nostro autista, avvezzo alle prodezze da meccanico, riesce comunque a cambiare entrambe le ruote in un batter d’occhio. Ho appena il tempo per allontanarmi a fare qualche foto al Rio Damuji, lento fiume serpeggiante tra la folta vegetazione, che avevamo superato poco prima.
Una volta arrivati in città scambio i contatti con le ragazze, che hanno prenotato una casa particular sul Malecon. Domani vorremmo infatti fare un’escursione in giornata per immergerci alla Baia dei Porci, o meglio “Bahía de Cochinos”, paradiso corallino e luogo chiave della tumultuosa storia cubana.
Per oggi invece i miei obiettivi sono due: ovviamente visitare la città, ma soprattutto trovare un modo per raggiungere Santiago in tempo per il Carnaval. La ragazza che gestisce la casa prova ad aiutarmi in ogni modo, ma telefonando a Viazul, Conectando e Ferrocarriles de Cuba rispondono tutti la stessa cosa: mezza Cuba sta andando a Santiago e non c’è un solo posto libero. Mi suggerisce di andare di persona al vicino terminal per farmi inserire nella lista d’attesa, ma quando mi presento mi rendo conto che la lista è talmente lunga che non ha nemmeno senso tentare. Tutti comunque concordano sul fatto che dovrei arrivare perlomeno a Trinidad, e da li incrociare le dita sperando in qualche soluzione in più.
Non mi lascio abbattere, e per il momento mi godo l’elegante centro di Cienfuegos. La città è considerata la più ricca, colta e raffinata di tutta Cuba. Fondata da esuli francesi fuggiti dalla Louisiana durante la rivolta degli schiavi di inizio Ottocento, sembra una New Orleans sopravvissuta al tempo, fatta di edifici porticati, balaustre in ferro battuto, stucchi, colonne e capitelli neoclassici. Per strada si intravedono le vecchie rotaie del tram, ma attorno a me si mischiano calessi trainati da cavalli e auto sportive americane con adesivi fiammeggianti. I grossi uccelli di palude, l’atmosfera un po’ swing e il clima mite confermano che il paragone con la città statunitense è più che azzeccato. Nell’ultimo secolo la città si è sviluppata come centro universitario e come perno energetico nazionale, grazie a giacimenti di carbone, raffinerie e per un breve periodo anche una piccola centrale nucleare sovietica. Il tutto senza però modificare di una virgola l’impianto dei vialoni adornati da palme, alternati ai saliscendi delle strade laterali, in una perfetta pianta a scacchiera inframezzata da zone pedonali e dall’ampio Parque José Martí. Verso sud, una sottile lingua di terra, nota come Punta Gorda, si protende nella laguna. Qui sorgono gli edifici più prestigiosi ed interessanti, come gli hotel di lusso e lo yacht club. Proprio qui davanti riincontro casualmente le due ragazze italiane, che tra poco hanno appuntamento con un istruttore di sub per organizzare l’uscita di domani. Le seguo e faccio quindi la conoscenza di Yoanki, che mi rassicura nonostante sia la prima volta che mi immergo con una bombola. Ci prende le misure per le mute e ci diamo l’appuntamento per domani mattina davanti alla loro casa.
Proseguo passeggiando sul lungomare, il sole sta tramontando e i fenicotteri volano controluce sulla laguna. Assaporo il momento e ritorno verso il centro, dove mangio un’hamburguesa e faccio un salto in Calle San Fernando per sentire un po’ di musica. Ovviamente, a spopolare nel repertorio locale ci sono i brani di Benny Moré, cantante nativo della provincia di Cienfuegos e figura di spicco della musica cubana.
21 LUGLIO: BAHÍA DE COCHINOS
Ci incontriamo tutti puntuali: io, le ragazze, Yoanki e un’autista che porterà noi e l’equipaggiamento avanti e indietro. Tra noi e la Baia ci sono circa due ore di strada fra campi coltivati, piccoli villaggi rurali e boschi vergini. In questo spicchio di Cuba si può vedere veramente di tutto: centri di produzione di carbone vegetale (c’è chi dice sia tra i migliori al mondo), alberi giganteschi, grossi istituti scolastici fra piantagioni infinite… Alcuni operai sono al lavoro per posare cavi di fibra ottica per collegare anche questi piccoli villaggi al mondo di internet, mentre per strada si vedono ancora veicoli autocostruiti con pezzi di legno e lamiera, un vecchio motore e un telone di juta a fare da tetto.
Un altro aspetto bizzarro sono i contadini che invadono chilometri e chilometri di carreggiata per far essiccare i cereali raccolti. Sarebbe illegale, ma in queste zone remote nessuno controlla. Le auto devono procedere a zigzag nel poco spazio che resta, ma spesso ci passano bellamente sopra senza che nessuno batta ciglio.
Giungiamo al primo sito per immergerci, Playa el Tanque. Poco distante dalla strada, è una piccola spiaggia rocciosa immersa nel verde e affacciata su un mare caldo e trasparente. Cominciamo con un’introduzione tecnica sul funzionamento dell’attrezzatura e sui segnali per comunicare sott’acqua. Poi indossiamo mute, maschera, pinne e bombola ed entriamo direttamente in acqua. L’aspetto interessante di questo sito è che la barriera corallina inizia a pochi metri dalla spiaggia, senza la necessità di andare più al largo con una barca. L’immersione dura circa 45 minuti, scendendo sott’acqua fino a 18 metri per ammirare spugne, pesci, formazioni calcaree, coralli neri e uno dei tanti relitti statunitensi risalenti al fallimentare tentativo di invasione del ’61. La visibilità è eccellente, e la temperatura dell’acqua comunque tiepida anche in profondità. È una strana sensazione poter raggiungere un luogo così intriso di storia, con le sue testimonianze congelate nel tempo e sommerse dall’acqua.
Ritorniamo in superficie, togliamo le mute e ci spostiamo in auto pochi chilometri più avanti. Qui si trova la Cueva de los Pesces un cenote colmo di acqua semidolce vicinissimo alla costa e profondo più di 50 metri. L’acqua è fresca e ci rilassiamo un po’. Yoanki mi racconta che ha lavorato per anni come reporter per la tv di Stato, vivendo da protagonista anche eventi disastrosi come l’uragano che ha colpito Haiti e l’Oriente cubano nel 2016. Nonostante i rischi che doveva correre, il suo stipendio non andava oltre i 20 CUC al mese. Fu così che con l’aumento del turismo degli ultimi anni ne approfittò per dedicarsi alle sue due passioni: le immersioni e la speleologia. Non è quindi difficile capire come sia legato a questo luogo. Con torce e attrezzature specifiche è possibile scendere a grandi profondità ed esplorare questo microcosmo di grotte sottomarine ricchissime di biodiversità. Ovviamente non è adatto ad un principiante come me, quindi la seconda immersione sarà nuovamente in mare, con le stesse modalità della prima. Questa zona è ancora più ricca di pesci, stelle marine e coralli, tranquillamente osservabili anche con un facile snorkeling. Approfittiamo del vicino chioschetto per mangiare un panino e bere un freschissimo succo di piña prima di ripartire.
Rientrati in città, saluto le ragazze che domani si dirigeranno a Playa Ancón, mentre io vorrei trovare un modo di raggiungere Trinidad facendo una deviazione per la riserva naturale di El Nicho. Gli unici a poter organizzare una cosa del genere sono gli uffici Cubatur, sul Paseo del Prado. Sono talmente fortunato che quando entro ci sono già due ragazze catalane che stanno chiedendo esattamente la stessa cosa, e colgo la palla al balzo aggregandomi a loro per dividere la spesa. L’aspetto ancora più assurdo è che soggiornano nella mia stessa casa… Decidiamo allora di cenare insieme nel cortile, la proprietaria oggi ha preparato gamberoni, riso, fagioli, zuppa di carne, verdure fresche e mille altre cose. Continuano ad arrivare piatti finché, pieni fino all’orlo, arriviamo al punto di implorare pietà.
22 LUGLIO: EL NICHO E TRINIDAD
Una vecchia Lada tirata a lucido e il suo taciturno autista ci prelevano quando il sole, ancora basso, crea giochi di luce tra gli stucchi e le inferriate dei colorati palazzi di Cienfuegos. Dal parco naturale di El Nicho ci separa circa un’ora e mezza di strada, prima tra dolci colline dove vengono coltivate le arance, poi attraverso le tortuose e ripide stradine che si addentrano nella selvaggia Sierra de Escambray. La parte visitabile della riserva consiste in un percorso guidato che parte dal piazzale dove si trova la biglietteria e si snoda tra sentieri e scalinate in legno, collegando punti panoramici e pozze d’acqua fresca in cui è possibile fare il bagno. Questo luogo è ancora abbastanza fuori dalle rotte più battute dai viaggiatori stranieri; la maggior parte di quelli che si riparano qui dal caldo estivo sono ragazzi cubani della zona. Nel parco è inoltre possibile avvistare il paffuto Tocororo, uccello simbolo dell’isola in quanto il suo piumaggio presenta gli stessi colori della bandiera di Cuba: rosso, bianco e azzurro.
Tornati in auto, ridiscendiamo i tornanti fino a fondovalle. Il nostro autista si ferma lungo la strada a salutare un amico, che dopo un breve scambio di battute regala a ciascuno di noi un piccolo casco di banane. Deviamo ora dal percorso fatto all’andata per dirigerci verso Trinidad. A bordo strada, appollaiati sulle staccionate dei pascoli, immensi stormi di avvoltoi dalla testa rossa ci scrutano indifferenti. La strada prosegue poi ricongiungendosi alla costa, che in questa zona è piuttosto ripida e offre stupendi panorami. Il mare è abbastanza mosso, ed è quindi abitudine dei cubani recarsi alla foce dei fiumi con bus sgangheratissimi per godersi un bagno e una grigliata in famiglia.
In cima ad una collina si inizia a intravedere la macchia sgargiante di case e campanili che è Trinidad. Appena l’asfalto lascia spazio al ciottolato, ci si rende conto per l’ennesima volta di trovarsi in un posto fuori dal tempo. Anche questa volta non ho prenotato nulla; mi faccio lasciare all’indirizzo scritto sul “pizzino” che avevo ricevuto ad Habana. Saluto invece le due spagnole, che visiteranno la città nel pomeriggio per poi rientrare a Cienfuegos in serata.
La proprietaria della casa particular mi accoglie come al solito con baci e abbracci, mi fa mettere comodo sull’immancabile sedia a dondolo e mi spiega che per stanotte non ci sono camere disponibili, ma che sua sorella gestisce un’altra ottima casa ad un centinaio di metri da qui, l’Hostal Novony. Inoltre, un loro cugino mi può aiutare ad arrivare a Santiago dopodomani, in tempo per il Carnaval. Non si sa ancora bene come, ma mi assicura che un modo lo troverà. Raggiungo il mio centralissimo alloggio, affacciato su un piccolo e fresco cortile fiorito, e ricevo per la seconda volta la mia dose di baci e abbracci.
Senza troppi ripensamenti, mi tuffo alla scoperta della città, gioiello coloniale tutelato dall’Unesco. I ripidi vicoli ciottolati, chiusi al traffico automobilistico, sono contornati da bassi edifici dalle tinte sgargianti, anche qui ravvivati di recente per il 500° anniversario della fondazione della città. A dominare il centro storico è la Plaza Mayor, con il suo giardino maiolicato dove si affacciano la Catedral e alcuni degli edifici governativi più antichi. Attorno si trovano una miriade di localini da cui proviene musica tutto il giorno, gallerie di artigiani e pittori e ristoranti di ogni genere. Poco lontano scorgo invece l’inconfondibile sagoma gialla del campanile dell’ex convento di San Francisco, che ora ospita il Museo de la Lucha contra Bandidos. La vista che mi trovo ad ammirare salendo in cima alla torre è impareggiabile, spaziando dalla piazza sottostante fino al mare e alle verdissime colline che racchiudono il Casco Historico. Per strada i turisti sono molti, ma stranamente sembrano essere tutti viaggiatori consapevoli e rispettosi, a differenza delle orde di chiassosi pensionati in crociera che ho visto ad Habana.
Per cena decido di azzardare una pizza locale in uno dei moltissimi ristoranti italiani, o presunti tali. Le aspettative non sono certo quelle che avrei a Napoli, ma sono incredibilmente economiche e spezzano un po’ la monotonia della cucina cubana basata quasi interamente sul riso. Assaggio poi il canchanchan, drink tipico di qui, realizzato con miele, limone, rum e soda. Niente male! Vengo poi attirato dall’apertura delle danze nella Plaza Mayor. Presso la Casa de la Musica, sulla scalinata a fianco della chiesa, ci sono esibizioni tutte le sere, anche se il livello della musica e dei mojitos è sicuramente un gradino sotto a quello di Trinidad…
23 LUGLIO: VALLE DE LOS INGENIOS
Questa mattina ho intenzione di visitare la vicina Valle de los Ingenios, complesso di ex piantagioni di canna da zucchero e distillerie di rum, anch’essi protetti dall’Unesco, che testimoniano il periodo dello schiavismo coloniale in cui Trinidad fiorì proprio grazie all’esportazione dello zucchero. Con il trasferimento di gran parte degli zuccherifici verso il nord dell’isola a fine Ottocento, la zona cadde in disuso e perse un po’ della sua importanza, ma non certo il suo fascino.
Normalmente ci dovrebbe essere un trenino d’epoca a fare la spola tra la città e la valle, così mi reco da Cubatur per fare i biglietti. Purtroppo però, per qualche imprecisata ragione, il treno è guasto da settimane e non viene riparato. C’è però un moderno bus sostitutivo che parte tra poco, e ho la fortuna di accaparrarmi l’ultimo posto disponibile.
Il tour guidato fa una prima sosta ad una terrazza panoramica posta sulla cresta della collina. Sotto di noi si spalanca un’ampia vista di pascoli, terreni coltivati e montagne ancora selvagge. Chiacchiero un po’ con la guida, che mi racconta che recentemente il governo ha ricevuto in “regalo” dalla Cina nuovi bus e auto da noleggiare ai turisti, con la speranza che ciò aiuti Cuba a stare al passo con l’aumento dei visitatori degli ultimi anni generando utili. O almeno è quello che il governo si aspetta, visto che tra qualche anno sarà chiamato a sdebitarsi con il partner orientale. Gli operatori locali hanno invece il timore che per ripagare questi aiuti a beneficio dei turisti vengano utilizzati anche parte dei fondi per i trasporti dedicati ai cubani, e la cosa mi fa abbastanza riflettere, viste le condizioni già preoccupanti dei bus locali incrociati per strada, più simili a carri bestiame che a veri autobus.
Comunque sia, ripartiamo discendendo a fondovalle per dirigerci a visitare l‘Ingenio San Isidro de los Destiladeros. Di esso rimangono la villa padronale (ora in fase di restauro), la torre campanaria che scandiva i ritmi di lavoro e le fondamenta degli edifici che ospitavano le distillerie, gli alloggi e gli “ingenios” veri e propri, ovvero dei torchi mossi dagli schiavi che strizzavano il succo zuccherino dalle canne. Tanto basta per farsi un’idea di quanto poteva essere crudele la condizione di coloro che venivano deportati dall’Africa occidentale per lavorare in questi campi. Bambini di 7 anni già con il machete in mano, a 12 venduti al miglior offerente per lavorare dieci ore al giorno sotto il sole cocente, nutriti quasi esclusivamente a melassa (con cirrosi e diabete come ovvie conseguenze), senza nulla per disinfettare le frequenti ferite provocate dalle canne taglienti… Venivano privati dei loro dei, delle loro tradizioni e spesso delle loro famiglie, inseguiti e fucilati se tentavano di scappare. Quelli che campavano di più erano paradossalmente quelli a cui era stato amputato qualcosa e che diventavano quindi servitori o maggiordomi nella villa del padrone. Un tassello crudo e ignobile della Storia, tanto più che la Spagna fu una delle ultime potenze coloniali ad abolire la schiavitù.
Facciamo ora una deviazione all’Hacienda Guaimaro, casa-museo del più ricco proprietario terriero dell’epoca, per poi giungere al complesso di Manaca Iznaga su cui svetta un’appuntita torre campanaria di ben 44 metri, simbolo stesso delle valle.
Rientriamo in città nel pomeriggio, in tempo per concedermi un po’ di relax mentre il sole fuori si fa sempre più spietato. Mentre mi sto preparando per fare di nuovo un giro in centro, Maye, la proprietaria della casa, mi informa che suo cugino è riuscito a rimediarmi un passaggio fino a Santiago per domani mattina all’alba. Perfetto! Esco con l’animo leggero, iniziavo a temere di non potercela più fare, ma a quanto pare i cubani sanno sempre come tirare fuori un coniglio dal cilindro al momento giusto.
Dopo cena, passeggiando davanti al Museo de la Lucha contra Bandidos non posso fare a meno di restare incantato di fronte ad un gruppetto di musicisti di strada e ai loro suoni caldi e appassionati, perfettamente incorniciati dalla morbida luce del tramonto. Solo chitarra, legnetti, raganella e voce. Mi siedo sul marciapiede, letteralmente rapito, e mi gusto questo momento eccezionale come degna chiusura di questa tappa a Trinidad.
24 LUGLIO: IN VIAGGIO
Colazione abbondante, zaino in spalla e via! Una vecchia Pontiac nera, come da copione, carica me e altri ragazzi sparpagliati in altre casas. Per ultima sale una ragazza tanto sovrappeso quanto stracarica di valige, e tocca rispolverare le abilità nel Tetris per incastrare tutto. Mi ritrovo a dover viaggiare per ore schiacciato contro la portiera e con il mio zaino sulle ginocchia… Comunque sia, l’auto ci porterà solo fino a Camagüey, su strade che si snodano tra pascoli e campagna. Qui decine di taxi si sono dati appuntamento in una sorta di autogrill, provenienti da Santa Clara e dai Cayos, per trasferire tutti i passeggeri su un camión americano anch’esso cinquantenne. Sicuramente più comodo dei camión dedicati al trasporto locale, è strutturato però alla stessa maniera, con un container separato dalla motrice allestito con panche di stoffa consunta. Il pavimento di fronte al mio sedile ha qualche buco da cui posso vedere scorrere la strada sotto di me. L’aria calda entra dai finestrini spalancati, e nonostante alcuni passeggeri si lamentino, questo è in assoluto il modo in cui mi piace di più viaggiare. Lentamente, con la testa fuori dal finestrino, e con la sensazione di “fare mio” ogni chilometro.
Appena dopo aver superato Bayamo, il sole inizia ad abbassarsi dietro al selvaggio Pico Turquino, in un tramonto rapido e incandescente come solo ai tropici capita di vedere. Sono le 11 di sera ed è ormai buio quando arriviamo finalmente a Santiago, la dinamica Capitale d’Oriente. Per stasera però non posso far altro che dividere un taxi con una famiglia di argentini e raggiungere la Casa Don Pedro dove ho prenotato. L’ostello è minuscolo e un po’ trascurato, ma è comunque comodo come base d’appoggio per raggiungere il centro. Mi butto a peso morto sul mio letto, la stanchezza ora si fa sentire. Avrò comunque due giorni pieni per godermi la città e il suo leggendario, folle Carnaval.
25/26 LUGLIO: SANTIAGO DE CUBA
Tra una cosa e l’altra, ieri sera non ho mangiato molto più degli snack che mi tenevo nello zaino. Il mio primo pensiero stamattina è subito quello di trovare una bella colazione. Salgo verso il centro e trovo per caso una piccola rosticceria in cui si paga in Moneda Nacional. Per pochi spiccioli mi rimpinzo di frittata al prosciutto, pane tostato e un ottimo succo di guava. Ci voleva proprio! A pancia piena e col sorriso in faccia, continuo a camminare, riparato dal sole già bollente grazie ai teloni colorati sospesi sul viale pedonale. Rispetto alle città viste finora, Santiago sembra essere ancora più afosa, caotica e inquinata, con gli stretti vicoli in salita in cui sfrecciano motorini avvolti da nubi nerastre. È una città complessa, a tratti sembra quasi una città europea, a tratti sembra salvarsi per un pelo dal cadere a pezzi. I volti degli abitanti sono testimoni delle origini di questo luogo, principale porto dell’Oriente cubano e storico approdo per coloro che giungevano da Haiti e dall’Africa.
Arrivo al cuore pulsante della città, il Parque Céspedes, dove sia affacciano sui quattro lati la grande Catedrál neoclassica, la casa del conquistador Diego Velázquez e il raffinato Hotel Casa Granda. Nel giardino al centro della piazza, un’intera orchestra in impeccabile completo bianco suona originali riarrangiamenti di canzoni di ogni genere, dalle canzoni tradizionali cubane agli ultimi tormetoni reggaeton. Dopo la fine del concerto, entro all’ufficio turistico dentro il Grand Hotel per capire che possibilità ho di fronte per i prossimi giorni. Non mi dispiacerebbe trascorrere un paio di notti a Baracoa con tappa al Parque Alejandro de Humboldt e alle belle spiagge orientali, ma significherebbe che l’unico bus utile per rientrare a Habana arriverebbe solo 2 ore prima del mio volo di ritorno, e i treni sono già tutti completi. Troppo rischioso. Preferisco quindi ripartire con un bus Conectando dopodomani, e fermarmi a Camagüey sulla via del ritorno per spezzare il viaggio grossomodo a metà. Anche qui fare il biglietto richiede moduli, firme, registrazione di documenti e un sacco di trafile burocratiche che l’addetto compila lentamente a mano. Con il mio biglietto in tasca, faccio per tornare alla scoperta della città, quando vengo fermato da un tassista che mi propone di portarmi al Castillo del Morro, la scenografica fortezza che da secoli sorveglia l’imboccatura della Bahía de Santiago. Vengo così accompagnato alla rocca, basso edificio di pietra giallognola che rivela la sua stazza solo man mano che ci si addentra. Il Castillo è infatti strutturato a gradoni triangolari che scendono vertiginosamente fino al livello del mare, offrendomi scorci stupendi della costa vergine sull’altra sponda, le montagne in lontananza e il mare color zaffiro. Pranzo in un chiosco, mi rilasso con una bella birra gelata e mi riincontro con il tassista per tornare in città.
Nei vialoni attorno al Casco Histórico fremono i preparativi per i festeggiamenti di domani, ma già da una settimana ogni quartiere ha allestito palchi per i musicisti e baracche in cui servire cibo, birra e mojitos, già frequentatissime nonostante sia solo pomeriggio. Mi intrufolo tra la gente in festa nei quartieri di Santa Rita e Tivoli, quest’ultimo noto per la Scalinata Padre Pico, per poi spuntare di nuovo al Parque Céspedes. Prossima tappa il Museo del Carnaval, situato in un palazzo porticato sulla stretta e pittoresca Calle Heredia, appena dietro la piazza. Qui posso farmi un’idea di quello che mi aspetterà stasera tramite una collezione di costumi, strumenti musicali, foto storiche e articoli di giornale di tutto il Novecento. Nel cortile interno una decina di musicisti, cantanti e ballerini si scatenano in danze e ritmi che non tradiscono la loro discendenza africana. Il Carnaval è infatti una festa antica quanto Cuba, che originariamente coincideva con la settimana in cui gli schiavi potevano concedersi un po’ di sfogo dopo la stagione del raccolto. Con il tempo ha mixato elementi delle tradizioni tribali africane, haitiane ed europee, diventando un concentrato di musica e festeggiamenti. In ogni caso il Carnaval più famoso della storia fu quello del 1953, in cui una manciata di soldati guidati da Fidél Castro approfittò del caos in città per tentare un rocambolesco assalto alla Caserma Moncada e alle truppe di Batista. L’attacco fallì in modo disastroso, ma fu la scintilla che diede il via alla Revolución. È per questa ricorrenza che proprio il 26 Luglio viene celebrato come la più importante festa nazionale di Cuba.
Rientro in ostello per una doccia, poi mi fiondo in un ristorante che avevo intravisto di fronte alla scalinata Padre Pico e che mi aveva catturato con un buon odore di crostacei. Le narici non mi hanno ingannato, e la langosta che mi gusto non è male per niente. Sta scendendo la sera, il che significa che è giunto il momento di scendere sul lungomare per immergersi nella sfilata dei carri.
Incontro qui anche Josh, un ragazzo americano che avevo conosciuto al Museo del Carnaval. Ci prendiamo una birra e ce la beviamo mentre guardiamo la parata, e a noi si aggregano anche Ralf e Madeleine, una giovane coppia olandese. I gruppi di ogni quartiere si esibiscono in coreografie a ritmo di musica, mascherati da guerrieri, mostri mitologici, segni zodiacali, e chi più ne ha più ne metta. Sugli enormi carri decorati si scatenano sensuali ballerine vestite con piume dai colori sgargianti ed elaborati copricapi . Ma il carro che cattura più applausi di tutti è indubbiamente fuori dagli schemi. Il nome la dice lunga: Las Voluminosas! Queste divertentissime signore, tutte “oversize” ma incredibili danzatrici, hanno catturato la folla con le loro mosse , agghindate con vestiti gialli, grossi cappelli a cilindro e collane di fiori.
Oltre le gradinate dove siede il pubblico, i carri proseguono ancora qualche centinaio di metri, continuando a far ballare gli spettatori fino a notte fonda.
La mia seconda giornata a Santiago è una giornata speciale: è il 26 Luglio, e tutta la città è pronta a festeggiare. Torno alla rosticceria di ieri per la colazione, poi passeggio lungo la pedonale Calle Saco fino alla Plaza de Marte, per raggiungere poi la celebre Caserma Moncada. Edificio abbastanza anonimo e severo, è balzato alla storia in seguito agli eventi del ’53. Bandiere enormi sventolano ovunque, questo luogo è il simbolo stesso del movimento rivoluzionario, e i cubani lo considerano un vero e proprio tempio ideologico. Lungo la strada, alcuni signori in festa mi regalano delle noccioline e mi trascinano nel mezzo dei balli improvvisati in una piccola piazza alberata. Lo spirito di spensieratezza e condivisione che aleggia oggi è veramente incredibile. Continuo in via Bartolomé Masó, diretto al Museo del Ron, per scoprire un altro degli aspetti che ha reso celebre questa città. Il famoso liquore, nel modo in cui lo conosciamo noi oggi, è stato inventato proprio qui da Don Facundo Bacardí, fondatore dell’omonima azienda poi trasferitasi a Porto Rico per sfuggire alla statalizzazione castrista. Il rum, ricavato dalla distillazione della melassa, qui ha una connotazione unica rispetto a quello del resto dei Caraibi e della stessa Cuba, con un tocco barricato e invecchiato introvabile altrove.
Chiudo la mattinata al panoramico Balcón de Velázquez, dove incontro di nuovo Ralf e Madeleine. Decidiamo di rilassarci sotto il portico del Casa Granda, mangiare qualcosa e goderci un drink all’ombra. Di fronte a noi, sul sagrato della cattedrale, dei ragazzi manifestano con degli striscioni contro il regime. Una piccola folla si raccoglie sotto di loro, ma prontamente dei poliziotti intimano ai ragazzi di disperdersi in modo pacifico. Tra i più giovani, soprattutto ora che internet consente di informarsi su ciò che accade nel mondo (anche se ancora a piccole dosi), sta iniziando a farsi largo la volontà di cambiare le cose.
Lascio i ragazzi per passare dall’ostello a darmi una rinfrescata, per poi ritrovarci nuovamente per cena. Scegliamo un ristorantino in Plaza de Dolores, accanto all’omonima chiesa, che però non ci entusiasma. Torniamo sul lungomare per la parata; siamo arrivati più presto rispetto a ieri, quindi cerchiamo di trovare posto sulle gradinate. Quelle per gli stranieri sono comunque già piene, proviamo quindi ad intrufolarci in quelle ancora semivuote dedicate ai locali. L’uomo all’ingresso, come c’era da aspettarsi, ci dice che non possiamo salire, ma in compenso una famiglia cubana ci fa segno dagli spalti di arrampicarci e raggiungerli in cima. Da una cassetta frigorifera tirano fuori pure una birra a testa per noi tre, e ci parlano con enfasi di quanto siano orgogliosi del loro Carnaval. I carri sono gli stessi di ieri, ma da questa prospettiva ravvicinata è tutta un’altra storia.
27/28 LUGLIO: CAMAGÜEY
Mi alzo dal letto alle 6 in punto. Il mio bus parte da un hotel un po’ fuori dal centro, ma come mi ha consigliato il proprietario dell’ostello è meglio farla a piedi che rischiare di trovare un tassista completamente sbronzo. Lungo la strada infatti attraverso tre o quattro piazzette in cui i festeggiamenti stanno ancora andando avanti da ieri sera, con i ragazzi più tenaci ancora presi a ballare reggaeton…
Lasciamo Santiago e le sue follie che ancora fa buio. L’alba arriva proprio mentre l’autobus scavalla i monti che racchiudono la città, aprendo ad uno stupendo panorama tropicale sovrastato da nuvoloni rosa da cui filtrano morbidi raggi di sole. Appagato da questa vista, mi concedo di dormire e recuperare un po’ del sonno arretrato di questa notte.
Arrivo a Camagüey per l’ora di pranzo, e nel parcheggio mi metto a parlare con due ragazzi spagnoli, Xavi e Lili, e scopro che staranno qui per un paio di giorni prima di spostarsi verso il mare. Io ho come al solito un indirizzo tra quelli che avevo recuperato all’Habana, ma non ho prenotato nulla. I ragazzi mi invitano a unirmi a loro alla Casa Carola, una casa particular che una amica aveva raccomandato loro. La calorosa proprietaria ci fa accomodare nelle stanze, e quando le chiediamo di consigliarci un buon ristorante per mangiare qualcosa non ha dubbi e ci indirizza al paladar di Papito Rizo. Esilarante intrattenitore e convinto anticastrista, ci prepara una ropa vieja accompagnata da riso, verdure e una sorta di polenta che si classificano all’unanimità al primo posto come miglior pasto ci tutto questo viaggio.
Ci vuole un po’ per riprendersi dalla sublime mangiata. Troviamo le forze per addentrarci nel centro di Camagüey e provo a passare in rassegna tutti gli uffici turistici per organizzare la giornata di domani. Visto che non sono riuscito a spingermi fino al Parque de Humboldt, avrei voglia di visitare qualche parco naturale, in particolare la riserva del Rio Maximo con la sua abbondanza di fenicotteri e coccodrilli. Purtroppo però tutte le agenzie sono ancora chiuse per la festa nazionale e i giorni a mia disposizione iniziano ad essere sempre meno. Sono costretto ad aspettare domattina, e nel frattempo inventarmi qualcosa. Camagüey è comunque una città vivace e graziosa, un labirinto di case basse, cattedrali e piazzette alberate, in cui non ci dispiace passare il pomeriggio all’ombra dei giardini con una bella birra fresca.
Per cena restiamo in casa ad assaporare il pollo al forno di Carola, e poi ritorniamo in centro per dei mojitos alla Casa de la Trova. Una band si prodiga in ritmi fusion tra chitarre elettriche, flauti e percussioni, regalandoci anche stasera una bella esperienza di musica cubana.
La mattina seguente cerco di svegliarmi presto per essere da Ecotur all’apertura. Peccato che apra alle 9 e il primo impiegato si presenti alle 9.30 per dirmi che i tour per le riserve partivano alle 8. A questo punto le alternative non sono molte, quindi mi accodo a Xavi e Lili e compro anch’io un biglietto del bus di domattina per Playa Santa Lucia. Loro staranno qualche giorno in un resort, io mi fermerò soltanto una notte per l’ultimo bagno e poi rientrerò all’Habana in tranquillità con un giorno di anticipo sul mio volo. Ovviamente, il biglietto di andata, quello per il ritorno alla capitale e la prenotazione del resort vanno fatti in tre agenzie diverse, e ciascuna richiede le solite interminabili trafile di dati e firme supportate da computer obsoleti con software lentissimi.
Ottenuto tutto quello di cui avevo bisogno, la giornata prosegue all’insegna del totale relax; la città è tranquilla e molto meno afosa di Santiago, e ciò è davvero piacevole. Per pranzo proviamo il Rancho Luna, dove ci abbuffiamo pagando in moneda nacional l’equivalente di 2 CUC a testa, confermando Camagüey come la cittadina migliore di Cuba per quanto riguarda la mia esperienza culinaria. Nel pomeriggio torniamo invece a casa a chiacchierare e leggere un po’ al fresco sul dondolo del cortile interno.
Appena si fa sera, ci prepariamo per una nuova mangiata da re da Papito Rizo. Stasera una cantante e un tastierista si esibiscono al locale. Papito, che ormai ci ha preso in simpatia, ci offre una bottiglia di rum e ci riempie i bicchieri fino all’orlo ogni volta che ci distraiamo a guardare i musicisti, finché la bottiglia finisce e ce ne torniamo traballanti verso casa.
29 LUGLIO: PLAYA SANTA LUCIA
Playa Santa Lucia è sostanzialmente posta al capo meridionale dell’arcipelago dei Cayos, con cui condivide gli scintillanti fondali bassi e la fine sabbia bianca. L’idea del resort non mi entusiasma molto, ma qui come sui Cayos è difficile trovare casas particulares in questo periodo dell’anno con così poco anticipo. Il bus ci lascia proprio davanti al Club Mayanabo, villaggio vacanze senza troppe pretese in cui oltre a noi tre non c’è nemmeno uno straniero. Siamo in ogni caso in un’ottima posizione, su una fine lingua di sabbia che giace tra il mare corallino e una laguna colma di eleganti fenicotteri rosa, facilmente avvistabili dalla riva. Pranziamo approfittando della formula “all inclusive” e ci buttiamo in mare. Sfortunatamente l’acqua oggi è un po’ mossa e ha sollevato parecchie alghe, quindi anche le escursioni in barca per immergersi nella barriera corallina e per assistere al celebre pasto degli squali oggi sono sospese. Poco importa, a me basta stare sdraiato sulla spiaggia a godermi l’ultimo sole, a cui ormai la mia pelle si è abituata.
Nel tardo pomeriggio il cielo si fa cupo, e dopo l’imbrunire succede qualcosa che mi lascia completamente senza parole. Per quasi due ore una tempesta di fulmini accende il cielo, fendendolo con potenti scariche ogni due-tre secondi, accecanti ma del tutto silenziose. Sapevo che cose del genere accadessero solo nella Laguna di Maracaibo, in Venezuela, o comunque in circostanze molto particolari. La corrente elettrica salta in tutta la città, e gli ospiti del resort si rintanano al coperto. Nessuno sembra notare il miracolo della natura che si compie sulle nostre teste. Assistervi al buio sulla spiaggia deserta, nel silenzio più totale rotto solo dallo sciabordio delle onde, è un’emozione paragonabile ad un’aurora boreale. Anche in questo caso, la potenza della natura crea qualcosa di così mistico e primordiale da lasciare sbalorditi, facendomi sentire minuscolo. La fortuna di esserne stato testimone ripaga tutti i rimpianti per gli itinerari che ho dovuto modificare di continuo negli ultimi giorni.
30 LUGLIO: IN VIAGGIO
Oggi ho di fronte una lunga traversata di più di 650 km verso ovest. Il primo autobus mi porta velocemente fino a Camagüey, dove in un paio d’ore dovrei essere raggiunto dal Conectando per Habana, il medesimo con cui ero arrivato qui da Santiago. La cattiva sorte però è di nuovo in agguato. Aspetto due ore, tre, quattro. Nessuno sa darmi notizie certe del mio autobus. Si sa solo che ha avuto un guasto al motore a un’ottantina di chilometri da qui e che sta arrivando un veicolo sostitutivo da chissà dove. Solo alle 4.30 del pomeriggio, finalmente, vedo spuntare il tanto atteso mezzo di trasporto. Mi sistemo nel mio sedile, facendo due rapidi calcoli prima di appisolarmi. Dovrei essere a destinazione attorno a mezzanotte.
Vengo svegliato dai sobbalzi dell’autobus che si ferma e riparte, un incrocio dopo l’altro. Siamo usciti dall’Autopista e ci siamo quasi. Alla luce fioca dei lampioni riconosco i tipici porticati verdi e blu e inizio a capire dove siamo. All’ultima svolta non ci sono dubbi, mi trovo proprio di fronte al Capitolio, elegantemente illuminato di giallo come al solito. Essere di nuovo qui, in una grande città che mi è familiare, dopo tutte queste ore di viaggio, mi dà l’impressione di essere tornato a casa. Mi risulta difficile accettare che la mia vera casa stia dall’altro lato dell’oceano. Mi muovo disinvolto, senza bisogno di fermare un taxi né di guardare la mappa, e raggiungo a piedi il Corazón del Mundo, dove avevo chiamato per farmi riservare un letto in camerata. Caso vuole, è esattamente lo stesso di due settimane fa.
Anche stasera salgo sulla terrazza e incontro altri ragazzi in viaggio. La volta scorsa ero io il “novellino” curioso di sapere tutto dei viaggi di chi aveva appena chiuso il giro, ora provo la divertente sensazione di giocare a ruoli invertiti, come se sentissi il bisogno di sdebitarmi.
31 LUGLIO: HABANA
Stamattina piove a dirotto. Mi ero fatto tutto un programma per vedere il più possibile di quanto mi resta della capitale, ma mi tocca di nuovo improvvisare assecondando il meteo. Nei vicoli di Habana Cientro le profonde buche nell’asfalto consunto si stanno trasformando in piccoli laghi. La gente cerca riparo sotto portici e balconcini, proteggendo con un braccio le buste della spesa. Anch’io saltello a zig zag per bagnarmi il meno possibile, e in qualche modo arrivo al Muséo de la Revolución. Nel sontuoso palazzo sono esposti reperti e testimonianze della rivoluzione castrista e del periodo appena successivo. Il cortile invece ospita veicoli dell’esercito e dell’aeronautica cubana e, protetto da un edificio vetrato, il leggendario Grandma, l’imbarcazione con cui Fidél e Che Guevara arrivarono dal Messico nel ’56 con un pugno di soldati, con l’obiettivo di rovesciare la dittatura.
Il cielo sembra schiarirsi un po’, ma non abbastanza per il mio piano originario, ovvero salire ad ammirare il panorama dall’alto del Castillo del Morro. Resto a perdermi tra le stradine, lontano dai negozi per turisti, camminando senza una vera meta. Il bello di Habana è anche questo: è una città viva e vissuta, che accoglie tutti a braccia aperte. Un giovane con un carretto canta un motivetto per vendere banane e avocados, i muratori riprendono a lavorare su un ponteggio pericolosamente storto, qualcuno si azzarda persino a stendere il bucato approfittando di uno spiraglio di sole.
Arriva l’ora di pranzo, e a forza di girare mi ritrovo di nuovo dalle parti del Muséo. Mi fermo in un minuscolo ristorante dal taglio un po’ più internazionale, dove gusto un buon pesce al cartoccio con patate e crema al basilico. Mentre mangio, ricomincia il diluvio, ancora più violento di prima. È ormai chiaro che non posso far altro che tornare in ostello. Ritento la mia tecnica dei saltelli, ma stavolta è davvero impossibile non uscirne fradici. Fermo un taxi a pedali, che mi riporta verso casa protetto da una cerata gialla.
Ho tutto il pomeriggio per darmi una sistemata e preparare lo zaino per il ritorno. Mentre aspetto il taxi per l’aeroporto, chiudo gli occhi e ripenso a tutti i bellissimi luoghi che ho visto, le esperienze che ho fatto, le persone che ho incontrato, i colori, gli aromi, i sorrisi… è stato tutto incredibile.
Nei prossimi anni Cuba perderà sicuramente buona parte delle sue vecchissime auto, si approccerà diversamente al capitalismo e a internet, si aprirà per così dire al terzo millennio. Tra pochi mesi anche Raul Castro, subentrato alla morte del fratello, lascerà la scena politica chiudendo un’epoca, e nessuno sa che piega prenderanno gli eventi in futuro. La doppia valuta sta aiutando Cuba a rimettere in moto l’economia, anche se i soldi dei turisti faranno arricchire più velocemente chi abita nelle città a discapito di chi lavora in campagna, allontanando un po’ di quell’uguaglianza sociale per cui i rivoluzionari si sono tanto battuti. Ovviamente tutto sta alla responsabilità di chi viaggia in questa meravigliosa isola e alla consapevolezza di stare in un posto unico, con delicati equilibri da rispettare.
Ma sotto la scorza, Cuba non cambierà mai. Perché i cubani amano la loro terra, la musica e il rum, amano andare a cavallo e passare ore su una sedia a dondolo, amano accogliere i viaggiatori curiosi, amano farli sentire in famiglia. Tutto ciò, ne sono convinto, non cambierà mai.