In cammino verso Santiago
IN CAMMINO VERSO SANTIAGO
E’ vero, ogni viaggio è un’esperienza unica e che arricchisce chi lo compie, ma il Cammino è qualcosa di più, perché non è solo un viaggio, ma qualcosa di più intimo e profondo, da cui si torna cambiati, ognuno a modo suo.
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Il Cammino è alla portata di tutti, ma di base servono un minimo di allenamento e il desiderio di percorrerlo: affrontare centinaia di chilometri a piedi con uno zaino sulle spalle non è uno scherzo, il fisico deve essere un po’ preparato, e la mente anche.
Molti decidono di partire da soli. Io desideravo incamminarmi da diversi anni, e volevo farlo in compagnia di mio marito ma, proprio perché si tratta di una cosa così particolare, non me la sentivo di insistere. L’anno scorso, però, ho inserito nel nostro viaggio in Aquitania una tappa a St.Jean Pied de Port, punto di partenza del Cammino Francese, e finalmente anche lui ha provato il desiderio di partire.
E, quando Santiago chiama, non resta altro da fare che infilarsi un paio di scarpe da trekking, mettere uno zaino sulle spalle e iniziare a camminare.
Ci sono svariati Cammini che hanno come destinazione Santiago de Compostela. Noi abbiamo scelto di percorrere l’ultimo tratto del Cammino Francese, il più famoso e frequentato, che parte, appunto, da St.Jean Pied de Port, ai piedi dei Pirenei francesi.
Il percorso totale è quasi di 800 km, e per farlo servono di media 30/35 giorni. Noi non avevamo tutto questo tempo a disposizione, e abbiamo quindi scelto di partire da Astorga. Le due guide in nostro possesso sono discordi sui chilometri che la separano da Santiago ma, facendo una media, sono intorno ai 280. Li abbiamo percorsi in dodici giorni.
Sul Cammino non serve molto. Come abbigliamento, se, come noi, si viaggia in estate, sono sufficienti tre magliette, tre paia di pantaloni (io ne avevo uno corto, uno medio e uno lungo con zip per trasformarlo in corto), tre cambi di biancheria, un pile leggero per la sera, un poncho per coprire sé stessi e lo zaino in caso di pioggia, una maglia a maniche lunghe, un cappello per proteggersi dal sole. Al posto del pigiama abbiamo portato un paio di pantaloni della tuta e una maglietta, eventualmente utilizzabili anche di giorno. Tutto in tessuto tecnico, che asciuga velocemente e non si stropiccia. Oltre alle scarpe che si usano per camminare, è bene avere un paio di sandali per far riposare i piedi all’arrivo di ogni tappa (non infradito, così si possono indossare con le calze, se fa freddo) e un paio di ciabattine di plastica per il bagno e la doccia.
Altre cose che si sono rivelate praticamente indispensabili: spille da balia (utili anche per stendere, non ci sono mai abbastanza mollette), un mini zainetto ultraleggero (per portare credenziale, portafoglio, macchina fotografica, fazzoletti ecc., quando si esce alla sera per cenare), i bastoni da trekking e, naturalmente, i cerotti per i piedi, che non ho mai curato così tanto in tutta la mia vita, ma il loro benessere è fondamentale per portare a termine ogni tappa.
A tal fine, è molto importante la scelta delle scarpe, che ovviamente è soggettiva. Noi avevamo delle Salomon da trail running, e ci siamo trovati bene. Matteo ha avuto solo una vescica, io nemmeno una. La cosa importante è utilizzare le scarpe già durante gli allenamenti, e vedere come va. Poi, ognuno di noi conosce i propri punti deboli. Io, per esempio, so che, qualsiasi scarpa indossi, se cammino molto mi si forma una vescica su ognuna delle due dita più piccole di entrambi i piedi. Ogni mattina, quindi, prima di partire li incerottavo in via preventiva, e tutto è filato liscio.
Fondamentale anche lo zaino, che deve avere la cintura in vita, per scaricare il peso sulle anche. Esistono appositi modelli da donna, più stretti (sinceramente, cercando lo zaino ho scoperto un mondo di cui ignoravo l’esistenza). Un 35/40 litri è sufficiente. In teoria, il peso dello zaino non dovrebbe superare il 10% del proprio peso, ma non sempre è possibile… il mio avrebbe dovuto pesare 5,3 kg e invece arrivava a 7, ma non ho avuto problemi.
Per dormire negli albergue (ostelli) servono un sacco a pelo, una federa per il cuscino e, volendo, un lenzuolo da mettere sopra il materasso.
Non è necessario portare con sé grandi scorte di cibo e bevande: ci sono punti di ristoro un po’ ovunque, basta avere qualche biscotto e una bottiglietta d’acqua (o due, se fa caldo).
Per il pernottamento ci sono gli “albergue” in cui, con 5-10 Euro, si ha diritto a un letto in una camerata. E’ indispensabile, per usufruirne, avere con sé la Credenziale, il documento che attesta la condizione di pellegrini (da richiedere alla Confraternita di S.Giacomo, prima di partire) e che va timbrata durante il percorso – se si percorrono almeno 100 km (200 in bici), presentando la Credenziale debitamente timbrata alla Oficina del Peregrino a Santiago, viene rilasciata la Compostela, una sorta di pergamena redatta in latino che attesta che è stato fatto il Cammino.
Alcuni albergue dispongono anche di qualche camera privata. In alternativa agli albergue ci sono pensioni, piccoli hotel, e “case rural”. Noi abbiamo utilizzato sia albergue che pensioni. In agosto, il mese in cui siamo partiti, il Cammino è affollatissimo, specialmente da Sarria in avanti (gli ultimi 100 km…), e noi abbiamo scelto di prenotare prima di partire.
Sempre a causa del grandissimo afflusso di pellegrini, da qualche anno il Cammino è infestato dalle cimici dei letti, che si annidano nei materassi e, con il buio, escono dal loro nascondiglio, pungono il malcapitato e, peggio ancora, possono infestarne lo zaino (per liberarsene è necessario lavare tutto a almeno 60°). Come consigliato da altri pellegrini, noi controllavamo i materassi e spruzzavamo tutto con un mix di acqua, olio di eucalipto e olio di neem. Ci sono pellegrini che hanno camminato più di noi e non hanno mai visto neanche l’ombra di una cimice; noi le abbiamo stanate in due pensioni, a Portomarin e ad Arzua.
Per quanto riguarda i pasti, in genere la colazione comprende caffè con latte o tè, pane tostato con burro e marmellata, a volte un succo d’arancia. Durante il giorno ci si regola secondo l’esigenza del momento e, la sera, con 8-10 Euro si trova ovunque un menù del giorno/menù del pellegrino, che comprende un primo, un secondo, un dolce e una bevanda.
E adesso, mettiamoci in cammino…
3 agosto 2014 – Varese – Astorga
Partiamo alle 6.15 dalla provincia di Varese in direzione Bergamo, dove un volo Ryanair ci porterà a Madrid. Lasciamo l’auto al parcheggio e attendiamo pazienti il nostro aereo. In coda al gate ci sono numerosi pellegrini come noi. Li riconosciamo subito, per via degli zaini e dell’abbigliamento tecnico. Ci sono coppie, amici, una famiglia. Mi chiedo cosa spinga persone in apparenza così diverse a intraprendere il Cammino, ma accantono subito la domanda. In fondo, non neanche bene cosa spinga me, a farlo.
Le ore all’aeroporto di Madrid, in attesa del bus che ci condurrà ad Astorga, sono interminabili; camminiamo avanti e indietro, impazienti, con lo zaino sulle spalle. Anche le cinque ore di viaggio verso Astorga sembrano non finire più, ma poco prima delle otto di sera siamo nella camera della pensione che abbiamo prenotato.
Controlliamo i materassi e li spruzziamo con il mix di acqua e oli, chiudiamo per precauzione gli zaini in sacchi della spazzatura (altro consiglio anti cimici ricevuto da altri pellegrini su un forum) e ci dirigiamo verso la cattedrale. Come previsto è chiusa, e meravigliosa. Acquistiamo due capesante da appendere ai nostri zaini (la capasanta è il simbolo dei pellegrini diretti a Santiago) e gustiamo il nostro primo menù del pellegrino (un piatto di penne al ragù, un piatto di stufato, una macedonia e una birra, 9 Euro). Facciamo due passi nel centro storico, e entriamo in una chiesa dall’aria antica, dove è in corso la benedizione dei pellegrini. Ci fermiamo e, al termine, mettiamo il primo “sello” (timbro) sulla credenziale. Adesso sì che ci sentiamo dei veri pellegrini!
Ma io sono stanca, ho mal di testa, mal di schiena e mi fa anche male l’alluce del piede destro. Ed è solo il primo giorno. E non ho neanche camminato.
Inizio a preoccuparmi.
4 agosto 2014: Astorga – Rabanal del Camino
Partiamo poco dopo le 8,00 sentendoci in ritardo… la maggior parte dei pellegrini si incammina alle prime luci dell’alba; evidentemente, ci serve un po’ di pratica.
Raggiungiamo la cattedrale e, da lì, iniziamo a seguire, con un po’ di emozione, le frecce gialle che ci accompagneranno, amichevoli e rassicuranti, fino a Santiago.
Vediamo subito, in lontananza, davanti a noi, un pellegrino, e ci sentiamo un po’ meno soli e ritardatari. All’Ermita dell’Hecce Homo, fuori Astorga (dove mettiamo un nuovo timbro sulla credenziale), ne incontriamo altri, e il numero aumenta quando, poco dopo, lasciamo la strada asfaltata per un sentiero che si snoda tra le colline dall’erba bruciata dal caldo e dal sole.
Attraversiamo paesini minuscoli, che sembrano quasi disabitati, e proprio per questo ci affascinano. A Santa Catalina de Somoza ci fermiamo in un bar per una Coca e per usare il bagno, e a El Ganso per uno spuntino a base di frittata con le patate.
Arriviamo a Rabanal alle 14,00. Sebbene sia un paese piccolissimo, a più di 1100 metri di quota, in confronto ai villaggi attraversati ci sembra un luogo vivo e affollato.
Alloggiamo all’albergue Nuestra Senora del Pilar. Doccia, bucato e un po’ di relax nel cortile, prima di dare un’occhiata al paese e andare a cena. Un cartello indica che alle 21,30 ci sarà la benedizione dei pellegrini. Decidiamo di parteciparvi. La funzione è breve e suggestiva, in una cappella antica gremita di pellegrini; per metà si svolge al lume delle candele, e l’atmosfera è davvero magica. Il frate benedice tutti noi e il cammino che stiamo compiendo, e ci augura di trovare aiuto nelle eventuali difficoltà, cibo e un luogo dove riposare, di non avere vesciche e di arrivare a Santiago sani e salvi, e di tornare con gioia alle nostre case portando con noi lo spirito del Cammino.
Me lo auguro anch’io. Soprattutto per la parte che riguarda le vesciche.
05 agosto 2014: Rabanal del Camino – Molinaseca
La partenza da Rabanal, all’alba, è molto particolare, con il paesino immerso nell’oscurità ma affollato di pellegrini che sbucano da ogni parte e, in silenzio, si apprestano ad affrontare un nuovo tratto di Cammino.
L’aria fredda ci aiuta a svegliarci velocemente. Facciamo colazione all’albergue, con la solita fetta di pane raffermo tostato con la marmellata e un caffelatte, poi ci lasciamo alle spalle Rabanal, accompagnati dai primi raggi del sole nascente.
Oggi raggiungeremo il punto più alto del Cammino, e anche uno dei suoi luoghi più emblematici, la Cruz de hierro. Il primo tratto di salita è più duro del previsto, ma è immerso in un paesaggio verde e rilassante, molto diverso dal tratto percorso ieri, e questo, unito all’entusiasmo di essere qui, ci aiuta a non sentire la fatica.
A Foncebadon, una manciata di case di pietra, sostiamo per un caffè in un locale che sembra uscito da un libro: un negozio/bar con le pareti di legno, cibo e oggetti di vario genere in vendita e un tavolo grezzo di legno per una colazione o uno spuntino.
E’ tradizione portare una pietra da casa e deporla ai piedi della Cruz de hierro (la croce di ferro). Noi abbiamo raccolto le nostre in riva al lago, qualche giorno prima di partire. Si dice che, nel giorno del giudizio, la pietra andrà ad aggiungersi al piatto della bilancia che contiene il bene fatto durante la vita. Nel corso degli anni, le pietre hanno formato una montagnetta alla base dell’alto palo che sostiene la croce, e vi saliamo per deporre i nostri sassi.
Il sentiero ci conduce poi al punto più alto di tutto il Cammino Francese, a oltre 1500 metri, e a un rifugio di ispirazione templare molto particolare, dove beviamo una Coca e timbriamo la Credenziale.
A El Acebo ci fermiamo per un panino, e proseguiamo la discesa. Attraversiamo velocemente Riego de Ambros, altro paesino minuscolo, dove alcuni ragazzini vendono bibite ai pellegrini. Il percorso si fa poi più impegnativo, tutto su pietre e massi rocciosi, con il sole che picchia sopra le nostre teste e il caldo che sale dal terreno. Arriviamo a Molinaseca alle 15.30, dopo quasi mille metri di dislivello in discesa, stanchi, accaldati e impolverati.
Ci viene voglia di tuffarci nel fiume, dove molta gente sta facendo il bagno (l’acqua è quasi immobile, e ci sono perfino delle scalette da piscina per immergersi).
Pernottiamo presso una Casa Rural. Il ragazzo che ci accoglie è fresco e riposato, e fatichiamo a stargli dietro percorrendo i due piani di scale che portano alla nostra camera, che è così bella e pulita che, posato lo zaino, ci sediamo sul pavimento, tanto che ci sentiamo sporchi. Sentiamo anche dolori ovunque… ed è solo il secondo giorno. Speriamo che una doccia, un po’ di yoga e, magari, un antidolorifico, ci aiutino a rimetterci in sesto.
06 agosto 2014: Molinaseca – Villafranca del Bierzo
Al risveglio, contro ogni previsione, ci sentiamo bene. Metto lo zaino sulle spalle, temendo di sentire male al collo, alle spalle e alla schiena, e quasi non ne percepisco neanche il peso. E’ come se fosse una parte del mio corpo. Mi sono già abituata? Così rapidamente? E’ incredibile.
Anche oggi ci attende una tappa impegnativa, circa 31 km, fino a Villafranca del Bierzo. Come ieri, ci incamminiamo all’alba, e facciamo la prima sosta a Ponferrada, per vedere la chiesa e il castello dei templari, davvero imponente (i templari si occupavano di pattugliare il Cammino, per la sicurezza dei pellegrini). Alla periferia della città mangiamo velocemente un panino particolarmente indigesto; la strada è ancora lunga. A Columbrianos timbriamo la Credenziale in una chiesetta, mentre a Fuentes Nuevas, luogo particolarmente desolante, acquistiamo pere e prugne da una delle donne che, fuori dalle loro case, offrono frutta ai pellegrini in cambio di un’offerta, e fotografo una cicogna (fino ad ora avevo visto solo nidi vuoti). A Camponaranya, altra cittadina piuttosto anonima, sostiamo in un angolo verde con fontanella e panchine con altri pellegrini, e mangiamo la frutta, mentre a Cacabelos ci fermiamo per la solita Coca in un bar (mai bevuta così tanta Coca Cola in tutta la mia vita). All’uscita del paese un uomo ci chiede se siamo diretti a Santiago, e ci dice “Ne avete ancora di strada da fare! E’ così lontano!” (sai che notizia…).
Da Camponaranya, comunque, il percorso si fa più piacevole, attraverso colline coperte di vigneti. Ma Villafranca chissà dov’è. Fa caldo, e mi viene anche un crampo al polpaccio destro. Una salita infinita sembra portarci nel nulla, e sono scomparse anche le frecce gialle… inizio a preoccuparmi, ma poi finalmente la nostra meta appare davanti a noi.
Anche qui pernottiamo in un hostal, come ad Astorga. Il problema di dormire nelle pensioni è che non c’è posto per stendere il bucato, ma la camera privata con bagno è decisamente meglio di una camerata…
Villafranca del Bierzo è una cittadina carina e animata. Ceniamo con il solito menù del pellegrino in uno dei locali della piazza, e riconosciamo buona parte dei pellegrini seduti ai tavoli intorno a noi. Dopo qualche giorno di cammino a sorpassarci vicendevolmente dicendoci “Hola, buen camino” o, più raro, “Ultreya” (a cui si risponde: Suseya), ormai ci sembra di conoscerci tutti.
07 agosto 2014: Villafranca del Bierzo – Las Herrerias
Dopo due giorni faticosi, finalmente una tappa rilassante.
Ci incamminiamo con calma, un po’ più tardi dei giorni precedenti, e non siamo gli unici. Passando dalla piazza, una pellegrina che incontriamo da Astorga è seduta al tavolino di un bar, e ci saluta. “Buen Camino!”. Chissà quante volte l’ho detto, e quante ancora lo dirò. Mi piace.
Il percorso di oggi è tutto su asfalto, e costeggia una strada per fortuna non molto trafficata. Solo di tanto in tanto attraversiamo minuscoli paesini: qualche casa, un negozietto che vende di tutto, una chiesetta. A Trabadelo acquistiamo una nuova protezione solare 50 (siamo particolarmente pallidi, nei giorni scorsi abbiamo usato la 30 ed è stata appena sufficiente per non scottarci) e a Vega de Valcarce, che ci aspettavamo più grande, mangiamo un panino migliore di quello di ieri. Da Vega, dove molti si fermano, il percorso continua su strada, ma ora è in lieve salita e ombreggiato dai boschi. Superiamo Ruitelan e raggiungiamo Las Herrerias di primo pomeriggio. Abbiamo tutto il tempo di fare la doccia e il bucato, e anche di riposarci un po’. Mi metto su una sedia all’aperto a leggere, e i miei piedi ringraziano (fantastici i nuovi libri in formato mignon della Mondadori: quello che ho con me pesa 183 grammi contro i 480 del formato normale).
Las Herrerias è una fila di case con le montagne alle sue spalle e un prato verdissimo davanti, con boschi e montagne intorno. In lontananza si sentono i campanacci delle mucche, il cielo è limpido e c’è una luce meravigliosa, e una pace incredibile.
E’ il posto giusto per rilassarsi in vista della temibile salita al Cebreiro, domani.
08 agosto 2014: Las Herrerias – Sabugos (da qualche parte tra O Cebreiro e Triacastela)
Da varie letture, abbiamo appreso che la salita al Cebreiro è particolarmente faticosa e difficile. Ci incamminiamo quindi all’alba, convinti che concluderemo la tappa stremati.
Abbiamo prenotato, dopo lunghe ricerche e infinite considerazioni, una camera presso una fattoria in un luogo non molto definito, a un chilometro e mezzo di distanza dal Cammino. Abbiamo stampato la cartina più dettagliata possibile da Google Maps, e ho con me il numero di telefono della struttura, anche se so che parlano solo spagnolo, idioma di cui io ho una conoscenza molto, molto, limitata (sul Cammino, comunque, non ho avuto alcun problema di comunicazione; anzi, ho imparato delle parole nuove).
La salita fino a La Faba, dove vediamo la chiesetta e il rifugio tedesco, che sembra particolarmente accogliente, è effettivamente ripida, ma non particolarmente difficile. Ci preoccupa maggiormente il clima: al contrario dei giorni precedenti, sembra che possa iniziare a piovere da un momento all’altro. Nonostante le nubi, mentre saliamo verso La Laguna, l’ultimo paese del Bierzo, ci voltiamo e vediamo, alle nostre spalle, i monti di Leon. Sembrano così lontani, e alti… fa una certa impressione sapere che arriviamo da lì, che li abbiamo oltrepassati.
La Laguna ci accoglie con una mandria di mucche e con la pioggia. Ci rifugiamo al bar e indossiamo il poncho, che sinceramente avevo sperato di non usare. La salita a O Cebreiro prosegue quindi tra la nebbia e sotto la pioggia, ed è un vero peccato perché ho l’impressione di trovarmi in un luogo particolarmente bello dal punto di vista paesaggistico.
Il grande cippo che indica l’ingresso in Galizia è deturpato da scritte multicolori. Ci fermiamo comunque con altri pellegrini per fotografarci a vicenda.
O Cebreiro, il paese di origine celtica dalle tipiche abitazioni dette “pallozas” (di pietra, tonde e con il tetto di paglia, da cui il nome), sembra davvero carino, ma con questo clima non riusciamo ad apprezzarlo veramente. Vorrà dire che, in futuro, dovremo tornare! Entriamo comunque in chiesa, per apporre un nuovo timbro sulla credenziale e per rendere omaggio al sacerdote, qui sepolto, che per primo ha percorso il Cammino tracciando le “flechas amarillas”, le frecce gialle che ancora oggi noi pellegrini seguiamo fiduciosi.
La pioggia, il freddo e la fame ci inducono a entrare in un locale a cercare cibo e riparo. Ci viene servita la zuppa tipica, il “caldo gallego”, a base di verze e patate, che ci riscalda un po’ e ci dà la forza di rimetterci in marcia.
La sosta all’Alto do San Roque, per una foto accanto alla statua del pellegrino, è d’obbligo. Attraversiamo poi Linares e Hospital de la Condesa, con la pioggia che va via via aumentando. Un provvidenziale cartello ci indica la strada da seguire per la nostra fattoria, una discesa interminabile in una stretta valle. La nostra camera è semplice, e anche fredda e umida. Rimandiamo il bucato a domani e ci rifugiamo nel salone comune, più caldo, dove veniamo raggiunti da altri pellegrini, arrivati però in bici. La cena è costituita da un altro piatto di caldo gallego, una fetta di frittata con le patate, una fetta di prosciutto e della frutta. Andiamo a dormire con il sottofondo della pioggia scrosciante. Speriamo che smetta.
09 agosto 2014: Sabugos – Triacastela
Diluvia.
Ieri, i proprietari della fattoria (davvero gentili, per tutto) ci avevano proposto di accompagnarci in auto fino al Cammino, e noi avevamo rifiutato. Ora ce lo dicono di nuovo, e ha più l’aria di essere un ordine che una domanda, sembra che ci tengano davvero a non farci camminare fino là. Visto il clima e la salita, accettiamo, e dopo la colazione saliamo sulla loro auto, mentre per i ciclisti hanno attaccato al trattore una specie di carrello, per trasportare le bici.
Fortunatamente, smette di piovere poco dopo che abbiamo iniziato a camminare, e restano solo le nubi e la nebbia che poi, pian piano, si dirada. Seguiamo il sentiero che si snoda attraverso le verdi colline galiziane. Non incontriamo paesi, ma oltrepassiamo innumerevoli fattorie (presso di una acquistiamo dei cestini di frutti di bosco).
Arriviamo a Triacastela con un timido raggio di sole. Poco prima dell’ingresso del paese, un enorme castagno che si dice abbia 800 anni (quasi l’età del Cammino) fa da sentinella. Chissà quanti pellegrini ha visto passare…
Triacastela è piccola ma accogliente, come anche il nostro alloggio, il Complexo Xacobeo. Approfittiamo subito del sole e dei fili per stendere e poi, visto che è presto, gironzoliamo un po’ per il paese. C’è un matrimonio, e un gruppo folcloristico si esibisce in canti e danze tradizionali. L’arrivo dello sposo e della sposa è salutato da scoppi di petardi e dal suono di due cornamuse, a testimonianza delle origini celtiche di questa terra.
C’è un’atmosfera piacevole, a Triacastela. Siamo felici di essere qui.
10 agosto 2014: Triacastela – Sarria
La destinazione di oggi è Sarria, l’ultima grande città prima di Santiago e punto di partenza per chi sceglie di percorrere solo gli ultimi 100 km. Alla partenza il cielo è grigio e non promette niente di buono, ma decidiamo comunque di seguire la deviazione per il monastero di Samos, uno dei più importanti e antichi di Spagna, anche se sono 6 chilometri in più rispetto al percorso tradizionale. Poco dopo esserci lasciati Triacastela alle spalle inizia a piovere, e io mi sento poco bene. Arriviamo a Samos che è quasi mezzogiorno e ci fermiamo per la messa, durante la quale si celebra la prima comunione di una bambina. L’eleganza degli invitati alla cerimonia contrasta notevolmente con l’abbigliamento di noi pellegrini, umidi, infangati e, nel complesso, un po’ malconci.
Riprendiamo a camminare. Il percorso di oggi è tutto attraverso i boschi galiziani, e l’assenza di paesi rende difficoltoso capire dove siamo. In più, continuo a non essere in forma e rallento la marcia. Comunque, alla fine, in lontananza scorgiamo Sarria. Non vediamo l’ora di farci una doccia, ma il nostro albergue si trova dalla parte opposta della città e impieghiamo parecchio tempo per raggiungerlo. Arriviamo che sono le 17.30 passate, davvero tardi. L’hospitalera è molto gentile, e ci spiega dove trovare una farmacia e dove cenare. Dopo la doccia, usciamo alla ricerca di entrambi. Piove e fa freddo, e indosso i pantaloni lunghi, la maglia tecnica a maniche lunghe, i sandali e le calze; rimpiango di non avere infilato nello zaino anche il k-way per via dei 300 grammi di peso, e mi metto il poncho, e mi sento un po’ a disagio a entrare in farmacia così. Ma poi vedo che è affollata di gente come me e questo, unito al fatto che ho trovato il medicinale di cui ho bisogno, mi fa sentire meglio. Ma ciò che mi risolleva maggiormente il morale è il ristorante: non appena entriamo, veniamo avvolti da un piacevole tepore e da un fantastico profumo di pizza, che ordiniamo senza esitare, subito imitati da altri pellegrini arrivati poco dopo di noi.
11 agosto 2014: Sarria – Portomarin
C’è più gente del solito sul Cammino, questa mattina. Non più solo coppie, singoli o gruppetti di tre-quattro persone, ma anche gruppi numerosi, molti dei quali composti da persone che, sulle spalle, portano piccoli zainetti invece degli zaini da trekking visti fino ad ora, e che hanno ai piedi scarpe da ginnastica pulite. So che, probabilmente, al termine della tappa li attende un bus che li porterà in un hotel, dove troveranno i loro bagagli. Mi sembrano bizzarri; ma il Cammino appartiene a tutti, e ognuno è libero di scegliere come percorrerlo.
Il percorso è piacevole, attraverso boschi, fattorie e verdi colline. Inoltre non piove, anzi, a un certo punto compare anche il sole.
Arriviamo all’immenso ponte che attraversa il fiume Mino che sono quali le due; lo percorriamo, saliamo la ripida scalinata che conduce a Portomarin e individuiamo la nostra pensione. Portomarin mi sembra un luogo piacevole; non so perché, me la aspettavo un po’ triste.
Dopo le solite procedure doccia-bucato, stiamo per rilassarci quando una cimice fa la sua comparsa sotto uno dei letti. Come è possibile? I materassi sembravano a posto! Evidentemente, il nostro spray l’ha infastidita ed è uscita dal suo nascondiglio. Ricontrolliamo il materasso: ce ne sono altre che escono da un buchino minuscolo. In un attimo, raccogliamo i nostri averi (compresi i panni stesi ad asciugare su un filo che abbiamo tirato attraverso il locale) e andiamo alla ricerca della proprietaria. La signora è mortificata, non sa cosa dire o cosa fare. Le chiediamo di trovarci un nuovo alloggio, visto che la pensione è al completo, ma sappiamo già che non sarà facile: ormai è tardi, gli albergue sono pieni, e anche tutte le altre strutture. Tutto ciò che trova è un hotel a Lugo, città a 25 km dal Cammino. Siamo costretti ad accettare e, in un attimo, veniamo caricati su un taxi che ci lascia fuori da un elegante hotel 4 stelle, dove ci vergogniamo un po’ ad entrare, con i nostri zaini impolverati, i bastoni da trekking e gli abiti tecnici. Fortunatamente, l’impiegata finge di non vedere nulla di tutto ciò.
In camera, controlliamo ogni millimetro quadrato del contenuto degli zaini, anche se tutto è suddiviso in sacchetti a chiusura ermetica, ed è praticamente impossibile che le cimici si siano infilate lì, poi usciamo alla ricerca di un luogo dove mangiare qualcosa.
Lugo ci sembra carina; ma è comunque un trauma trovarsi catapultati, così velocemente, in una città, con le auto, gli edifici alti, i negozi dalle insegne luminose. Mi rendo conto che, negli ultimi giorni, siamo stati immersi in un mondo a parte, semplice e antico, a cui ci siamo rapidamente abituati. Entriamo in un supermercato alla ricerca di un pacchetto di biscotti da tenere nello zaino, e mi sento sperduta. E’ troppo grande, troppo luminoso, e le confezioni sono gigantesche, almeno per dei pellegrini: nei negozietti lungo il Cammino, si trova tutto in formato da pellegrino: piccole saponette, bagnoschiuma monodose, singoli pacchetti di fazzoletti.
Non vedo l’ora di ripartire, domani mattina.
12 agosto 2014: Portomarin – Palas De Rei
Ci svegliamo alle sei, prendiamo zaini e bastoni, e ci facciamo chiamare un taxi che, in meno di mezz’ora, ci riporta alla piazza di Portomarin da cui siamo fuggiti ieri sera. Facciamo colazione in un bar affollato di pellegrini, e ci sentiamo nuovamente a nostro agio. Infiliamo il poncho e, sotto la pioggia, ci rimettiamo in cammino. Ho letto su una guida che la Galizia è chiamata l’Irlanda di Spagna. Sinceramente, in Irlanda ho trovato un clima molto, molto più clemente.
Anche oggi attraversiamo boschi di eucalipti. Non incontriamo più paesini come nel Bierzo, ma gruppetti di case e fattorie. Vediamo anche numerosi “horreos”, già avvistati ieri, tipiche costruzioni simili a palafitte che servivano per conservare il grano.
La pensione di Palas de Rei (Pension Palas) è nuova e moderna, e non c’è traccia di cimici. Approfittiamo anche del servizio lavatrice-asciugatrice, visto il clima.
Ieri sera il menù del pellegrino ci è mancato, e stasera ci rifacciamo. Notiamo alcuni dei pellegrini incontrati durante il giorno: quelli che avevano zainetti piccoli indossano abiti normali, e le donne hanno anche la borsa e le scarpe con il tacco!
In questi due giorni abbiamo perso di vista la maggior parte dei pellegrini che conoscevamo, c’è davvero troppa gente, in alcuni momenti il Cammino sembra quasi più turistico che spirituale. Ma è solo apparenza.
Rientrando alla pensione, passiamo davanti alla chiesa e decidiamo di entrare a vederla. Inaspettatamente, è piena di gente, e ci fermiamo, incuriositi. Alla fine, partecipiamo alla funzione, al termine della quale viene augurato “buon cammino” in numerose lingue, italiano compreso. E’ stata una cosa imprevista, ma piacevole. A volte il Cammino sorprende, e ci conduce non dove pensiamo, ma dove vuole.
Anche questo è il bello.
13 agosto 2014: Palas De Rei – Arzua
La colazione, in un piccolo bar riscaldato dal fuoco di un camino, è molto piacevole. Fuori piove e fa davvero freddo, ancora più delle altre mattine. Per i primi due chilometri cammino veloce, per riscaldarmi.
Smette di piovere che siamo già a Melide, ed è quasi mezzogiorno. Ci fermiamo alla “pulperia” di Ezequiel, locale molto rustico, perfetto quindi per i pellegrini, e famoso per il suo pulpo, polipo bollito e condito con olio e spezie, tipico della Galizia. Ci viene servito su un piatto di legno, con stuzzicadenti al posto delle posate. E’ davvero delizioso.
Un susseguirsi di salite e discese tra i boschi ci conduce ad Arzua, dove arriviamo un po’ stanchi: abbiamo percorso trenta chilometri. Cerchiamo subito la nostra pensione e, come la vedo, ho una strana sensazione. E’ piuttosto lugubre, e non molto pulita. Controlliamo subito il materasso, e riconosciamo le stesse macchie di Portomarin: spruzziamo, e dopo un paio di minuti ecco uscire le cimici. Altra fuga… questa volta però, troviamo un nuovo alloggio in paese, per fortuna.
14 agosto 2014: Arzua – O Pedrouzo
Ormai Santiago è davvero vicina.
Attraversiamo i soliti boschi di eucalipti diretti verso l’ultima tappa prima di arrivare alla meta, e finalmente la pioggia ci concede una tregua.
Ci fermiamo per uno spuntino in un bar nel bosco, dove il proprietario si rifiuta di farci due panini al formaggio e ci propone dei panini con due specialità a base di carne; non capiamo esattamente di cosa si tratta, ma sono buoni. E enormi, come tutti quelli mangiati fino ad oggi.
Arriviamo presto a O Pedrouzo. Con nostro grande sollievo, anche la pensione di oggi è pulita e non ci sono cimici. Dopo le solite procedure, usciamo e gironzoliamo su e giù per il paese, e andiamo a vedere la “chiesa della concha”, così chiamata per via dell’altare a forma di conchiglia.
C’è un’atmosfera strana, qui a O Pedrouzo, probabilmente per via del fatto che ormai siamo quasi arrivati.
Anch’io sono preda di sentimenti contrastanti. Da un lato, non vedo l’ora di arrivare a Santiago; dall’altro, vorrei non arrivare, non ancora. Sono felice di essere arrivata fino a qui, non era così scontato, ma mi dispiace che questa esperienza giunga così presto al termine.
Ma, in fondo, la meta del Cammino è il Cammino stesso.
15 agosto 2014: O Pedrouzo – Santiago de Compostela
Evitiamo due giornalisti della tv galiziana che intervistano i pellegrini e ci mettiamo in cammino, per l’ultima volta.
Il sentiero non è impegnativo, e ci conduce attraverso i boschi verso la fine del nostro percorso, passando da due dei luoghi più famosi del Cammino: Lavacolla e il Monte do Gozo.
Lavacolla, località che oggi ospita l’aeroporto di Santiago, era il luogo in cui, nei tempi passati, i pellegrini approfittavano del ruscello per lavare sé stessi e gli abiti per presentarsi puliti davanti alla tomba dell’apostolo Giacomo, mentre dal Monte do Gozo (monte della gioia) osservavano la città dall’alto, felici di scorgere in lontananza la città e le torri della Cattedrale.
Come spesso mi è capitato da quando siamo partiti da Astorga, penso ai pellegrini dei secoli scorsi, alle fatiche e ai sacrifici che facevano per arrivare fino a qui… partivano a piedi dalle loro case, e sempre a piedi vi ritornavano, e non avevano certo le comodità che abbiamo noi pellegrini moderni.
Entrare a Santiago è destabilizzante; la periferia è triste e anonima come solo le periferie sanno essere, cartelli dallo sfondo blu sostituiscono le frecce gialle che ci hanno accompagnato per tutti questi chilometri, e c’è traffico, e confusione. Pian piano ci mescoliamo alla gente comune e ai turisti, e ne siamo un po’ infastiditi, ci fanno sentire ingombranti con gli zaini e i bastoni.
La folla aumenta via via che ci avviciniamo al centro storico, e ci incanala verso Praza do Obradoiro e la Cattedrale. Una musica celtica accompagna il nostro ingresso nella piazza, immensa e assolata.
E siamo arrivati.
La Cattedrale è di fronte a noi, e non mi sembra vero. Essere qui, dopo avere camminato per dodici giorni, è un’emozione intensa, indescrivibile.
Ci fermiamo un po’, godendoci il momento e le sensazioni, prima di metterci in coda a poca distanza, alla Oficina do Peregrino, per ritirare la nostra Compostela. Dopo quasi due ore abbiamo la nostra pergamena, ma il mio “pezzo di carta” preferito resta la Credenziale, ormai un po’ sgualcita: ogni singolo timbro mi ricorda un luogo, un momento, ed è diversa da tutte le altre, è la sintesi del mio Cammino.
Qui a Santiago, dove ci fermeremo ancora due giorni, abbiamo prenotato un hotel a pochi passi da Praza do Obradoiro. Dopo esserci ripuliti, torniamo alla Cattedrale e finalmente entriamo. L’interno, se si esclude il ricco altare barocco, è semplice e lineare. Ci mettiamo in coda per l’abbraccio alla statua di S.Giacomo, sull’altare maggiore, e per il successivo ingresso alla cripta, dove si trova il sepolcro, la vera meta del nostro peregrinare.
Al termine della messa del pellegrino vengono elencate le provenienze dei pellegrini che si sono registrati durante il giorno alla Oficina. Ci siamo anche noi: “pellegrini italiani da Astorga”.
La cerimonia del botafumeiro, il gigantesco incensiere che viene fatto oscillare da otto persone lungo il transetto, e che arriva a sfiorare l’alto soffitto dell’edificio, è solenne e impressionante, ed è la degna conclusione del nostro Cammino.
16 agosto 2014: Fisterra (Finisterre)
Non avendo il tempo necessario per camminare altri tre giorni e arrivare all’oceano, vi andiamo con una gita organizzata. La cosa non ci piace particolarmente, ma ci adeguiamo alle circostanze. Nel medioevo, i pellegrini arrivavano fino a Finisterre per vedere “la fine del mondo”, il luogo in cui il sole tramontava nell’ “oceano tenebroso”, bruciavano i vestiti usati durante il Cammino e raccoglievano i gusci delle capesante, come prova di essere stati in queste terre lontane. Probabilmente, questo è uno dei motivi per cui la “concha” è diventata il simbolo dei pellegrini di Santiago. Fisterra, con il suo faro e le scogliere, ci ricorda altri luoghi che abbiamo visto in passato: Pointe du Raz, Cabo da Roca, Land’s End.
La guida che ci accompagna è professionale e preparata, e la giornata risulta piacevole. Ma camminare era tutta un’altra cosa…
17 agosto 2014: Santiago de Compostela – Varese
Ed è arrivato anche il momento di tornare a casa. Gironzoliamo per Santiago, e pensiamo già di ritornarvi, percorrendo un Cammino diverso o magari partendo da St.Jean.
In aereo, ripercorro mentalmente le ultime due settimane. Probabilmente mi servirà un po’ di tempo per metabolizzare questi giorni. Il Cammino è stata una delle esperienze più belle, intense ed emozionanti di tutta la mia vita. Non vedo l’ora di percorrerne un altro.
Ultreya.