Bivacco sotto le stelle nel deserto di Zagora
Esperienze al riguardo le avevo maturate, viaggiando in fuoristrada e dormendo in tenda, nel deserto del Kalahari in Botswana e nel Sahara tunisino. Questa volta però, volevo fare un’esperienza diversa, ma non eccessivamente impegnativa; volevo dormire in una tenda beduina in un “bivouac sous l’etoiles” e provare un vero percorso a dorso cammello. Questa esperienza doveva essere quasi la prova generale per altre più impegnative escursioni che mi proponevo di fare per scoprire nuovi orizzonti ed impregnarmi di quelle sensazioni che solo l’immensità e la bellezza del Sahara, può procurare.
La scelta cadde sulla fascia presahariana di Zagora, splendido villaggio di circa 30.000 abitanti, a circa 350 km. a sud-est di Marrakech, dove inizia il vero deserto sahariano e che una volta era il punto di arrivo, prima di Ouarzazate, delle carovane provenienti da Timbouctou. A Zagora un vecchio e romantico cartello arrugginito evoca ancora: Per Timbouctou, 52 giorni (di cammello). La nostra escursione cammellata sarebbe durata circa due ore e mezza, per raggiungere un bivacco fra le dune di sabbia, a circa 7 km, nei dintorni di Zagora.
Avevo organizzato, tutto il viaggio, come turista fai-da-te. Pensavo di noleggiare un’auto, ma in considerazione del fatto che non conoscevo la praticabilità delle strade e sapendo che la polizia marocchina è piuttosto severa con l’autovelox, mi sono rivolto ad un’agenzia che ci ha messo a disposizione un’ottima auto e un bravo autista, come Mohamed, che fra l’altro ci ha accompagnato in tutte le altre nostre escursioni in Marocco.
La sera prima di partire per Zagora, mescolati a marocchini e turisti, cenammo presso una bancherella in Place Jemaa El Fna di Marrakech. Abbiamo speso 11 euro in due e sapevamo che questa esperienza è sconsigliabile ad un turista europeo per le possibili contaminazioni del cibo, ma noi volemmo sperimentare ugualmente il modo di vivere marocchino e ci siamo affidati alla sorte.
Il mattino successivo alle otto, puntuale come un orologio svizzero, l’autista viene a prenderci nel Riad in cui avevamo presso alloggio, nel cuore della Medina di Marrakech e partiamo alla volta di Ouarzazate, dove arriviamo a mezzogiorno. Questa città è ubicata nella valle del Dadès, all’incrocio della valle Draa e a ridosso del deserto sabbioso del Sahara.
Qui visitiamo il complesso della Casbat Taorirt, prima di consumare un buon pranzo marocchino in un bel ristorante. Il viaggio ci permette di attraversare ed ammirare luoghi incantevoli e panorami mozzafiato; arriviamo a Zagora verso le ore 18, ormai all’imbrunire.
Mustafà, un giovane cammelliere, ci sta già aspettando con tre dromedari già sellati. In un negozietto ci fanno acquistare 4 bottiglie di acqua minerale ed un foulard azzurro che ci viene posizionano sapientemente sul volto e sulla testa; ci dicono per proteggerci da eventuali tempeste di sabbia, ma non ne incontreremo. Forse è tutta una messa in scena ad uso e consumo del turista; comunque da questo copricapo tuareg è visibile solo la fessura dei nostri occhi e siamo pronti per la partenza. Ci aiutano a salire sui dromedari e inizia la nostra cammellata verso il deserto.
Intanto si era ormai fatto buio ed era una notte senza luna; io seguivo la fila dei dromedari, non perché ne scorgessi bene la figura, ma perché l’ultimo della fila era quasi bianco. Camminare nel deserto è faticoso; i miei piedi affondavano nella sabbia e, nonostante fosse scesa la temperatura e mi fossi tolto il giaccone, sudavo per la fatica; il passaporto custodito in un taschino della camicia si era bagnato ed ancora oggi, quando lo guardo, mi ricorda quell’avventura a motivo del fatto che è rimpiccolito. Quest’avventura mi avrebbe però riserbato ben altre sorprese.
Dopo un paio d’ore di cammellata, anche mia moglie è costretta a scendere di sella, per crampi alle gambe. Ora tutti e tre, sotto un manto di stelle, camminiamo sulla sabbia del deserto senza scorgere segni di vita, non vediamo nemmeno l’ondulazione delle dune. Io ho qualche preoccupazione, ma non la manifesto; però se qualche male intenzionato ci aggredisse, non se ne accorgerebbe nessuno.
In questo bivacco, cinque o sei persone pensano a tutto e sono gli stessi cammellieri e autisti dei 4×4 che provvedono a prepararci il cibo ed a servircelo, alla pulizia del campo, alla custodia dei dromedari e quant’altro; sempre gli stessi animeranno la serata con musiche e canti folkloristici.
Lasciamo il nostro zainetto nella tenda assegnataci e ci invitano a spostarci in un’altra molto più grande della nostra; dalla porta aperta scorgiamo una bella illuminazione, tavoli apparecchiati, tappeti per terra ed alle pareti, comprendiamo subito che è qui che ci sarà servita la cena.
L’escursione termica giorno/notte comincia a farsi sentire e poi era l’inverno del 13 dicembre (Santa Lucia, ricorrenza che ricorderò per tutta la vita). Nella tenda (ristorante) non c’è freddo, io però provo un poco di disagio, perché la mia camicia è ancora bagnata. L’ambiente è caratteristico, la serata dovrebbe essere piacevole. Quando però cominciano a servirci, non so se sarà stata colpa del freddo, o la paura delle sabbie mobili, o la precedente cena in Place Jemaa El Fna, ma sento un bisognino urgente e sperimento la toilette del deserto, verso la quale mi ci accompagna un beduino. E’ distante circa duecento metri dal campo e mentre ci dirigiamo là, il mio accompagnatore lascia dietro noi, come Pollicino, delle lanterne accese ad una distanza, fra loro, di 20 o 30 metri. Comprendo subito che queste lanterne mi indicheranno la strada da seguire, per rientrare all’accampamento.
Questo spartano servizio igienico è fatto con quattro lamiere, accessoriate di una buca tipo turca e un bidone pieno d’acqua che, posto sopra un traliccio metallico, permette a caduta un minimo di lavaggio. Tutto sommato devo dire che il bivouac era abbastanza attrezzato, anche per tali necessità fisiologiche; d’altronde nel deserto se uno volesse un servizio da hotel a 5 stelle, queste escursioni non fanno per lui.
La cena prosegue regolarmente, ma io non sono in grado di cenare, così come non sono in grado di divertirmi con il folklore berbero che segue alla cena, fatto di musiche e canti. Sono troppo impegnato a seguire le lanterne, in andata e ritorno verso la toilette.
Quando andiamo a dormire comincio a preoccuparmi, perché la luce delle lanterne si sta affievolendo.
La memoria mi ricorda vecchie cognizioni sull’orientamento stellare a cui, una volta, facevano riferimento i viaggiatori. Pertanto, prima di entrare in tenda e avvolgermi nella coperta di cammello che ci hanno dato in dotazione, prendo in considerazione il mio obbligato percorso e la sua direttrice, orientandomi su un paio di stelle. In tenda, posso assicurarvi che non ho sofferto il freddo, quella coperta di cammello teneva molto caldo, nonostante la temperatura notturna fosse zero o vicina allo zero; quando mi sono svegliato nella notte, solo una spalla sembrava un pezzo di ghiaccio, perché era rimasta scoperta.
La notte purtroppo non ha portato miglioramenti al mio malessere e le lanterne, come previsto, erano ormai tutte spente. Però le stelle mi hanno guidato all’andata ed al ritorno, solo una volta mi sono sbagliato; l’ho capito solo quando mi ho trovato una tenda già occupata e, con quel freddo, ho faticato non poco a ritrovare la giusta direzione.
All’alba, quando sono uscito dalla tenda non ero il primo, altri escursionisti mi avevano preceduto; il servizio igienico comune era stato oggetto di numerose visite notturne e, a giudicare dall’impraticabilità di campo, più di uno non dovevano essere in forma. Anzi, mentre io mi accingevo a fotografare il sorgere del sole, ho visto un tizio correre per il crinale di una duna e ho immaginato trattarsi di un appassionato fotografo; invece…. fermata improvvisa e, noncurante di tutto e tutti, abbassa i pantaloni…. poveretto non ce l’aveva fatta a… superare il crinale.
Nella solita tenda (ristorante) ci attendeva un buona colazione, ma io ho dovuto limitarmi ad un tè alla menta. Prima di ripartire per Zagora, ho notato nel campo un fuoristrada disponibile e, mentre Mustafà partiva da solo con i nostri tre dromedari, noi abbiamo usufruito di quel 4×4, arrivando così almeno due ore prima del previsto.
A Zagora, in attesa del nostro autista, abbiamo ingannato il tempo con alcuni acquisti; fra questi una bella teiera di antiquariato che mi sembra ci sia costata circa 400 euro, ma il prezzo era giusto? Chissà, noi abbiamo contrattato lungamente prima di decidere l’acquisto; certo con una maggiore esperienza di contrattazione, la trattativa sarebbe andata più per le lunghe e solo quando il commerciante avesse rinunciato alla vendita, avremmo capito che quello era il prezzo giusto. Quando è arrivato Mohamed, abbiamo chiesto di accompagnarci in farmacia dove abbiamo fatto rifornimento di medicinali e, fra questi, una benefica confezione di… Imodium.
Sulla strada del rientro a Marrakech, abbiamo sostato nuovamente allo stesso ristorante del giorno precedente, dove ricordo ci attendeva una tavola coperta di petali di rosa e dove avevano appositamente preparate per noi, alcune loro specialità che mia moglie ha molto apprezzato; io invece mi sono dovuto accontentare di un riso in bianco.
La nostra sosta successiva, nei pressi di Ouarzazate, l’abbiamo fatta al settimanale mercato berbero e agli studi cinematografici dove sono stati girati alcuni film ambientati nel deserto, come Lawrence d’Arabia e Il tè nel deserto. Infine, prima del calare del sole, eravamo nuovamente nel nostro caratteristico Riad nel cuore della Medina di Marrakech, ma già pronti a partire l’indomani,
Per una nuova bellissima escursione.
Concludendo, certamente alla prossima occasione che mi propongo ben più impegnativa, non ripeterò l’esperienza della cavalcata a dorso di dromedario. Questa escursione di due giorni è stata comunque una bella esperienza, nonostante la mia disavventura, ma è stata anche la conferma di una certa delusione che mi aspettavo. Oggi il deserto non è più deserto, perché invaso da troppi turisti con poca cultura per la natura; i figli di quei berberi e touareg che per secoli hanno vissuto nel deserto e per il deserto, sono driver di rombanti motori 4×4 ed utilizzano le vecchie piste carovaniere per sopravvivere in un mondo profondamente cambiato; insomma i moderni cammellieri sono purtroppo gli attori di un film che nemmeno loro ricordano più. Sembra però che proseguendo verso sud per circa 90 Km., fino a M’Hamid (dove termina la strada, quasi sul confine algerino) ci sia la possibilità di conoscere un Sahara più autentico e meno contaminato dal turismo mordi e fuggi. Quindi, per chi ama il deserto, è un’ulteriore opportunità che consiglio di valutare, prima di prendere una decisione.
Se doveste ripetere la nostra esperienza, vi consiglio di affrontarla con cautela e possibilmente con una guida, di viaggiare a dorso di dromedario solo se avete una discreta padronanza di equitazione; altrimenti usate il più comodo fuori strada 4×4; evitate di cenare alle bancherelle prima di partire per il deserto e usate acqua in bottiglia sigillata, anche per l’igiene orale, ma soprattutto… rispettate il deserto e non dimenticate di portare con voi una bella scatola di Imodium, augurandovi di non averne bisogno.