Luna di miele da sogno negli Usa… Ovest, Est e Hawaii

Questo è il resoconto di un viaggio di nozze lungo un mese, organizzato, purtroppo, da un consulente viaggi, ma pensato ed amato da noi sposi. Sposi che sono volati in lungo e in largo negli States e sino alle Hawaii nonostante il terrore dell'aereo di entrambi e lo stomaco ballerino della sottoscritta. Solo per dire che se ce l'abbiamo fatta...
Scritto da: elymomo
luna di miele da sogno negli usa... ovest, est e hawaii
Partenza il: 31/07/2011
Ritorno il: 28/08/2011
Viaggiatori: 2
Spesa: 4000 €
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31 Luglio 2011

Mentre mio fratello ci porta a Malpensa cerco di rilassarmi un po’. Sono sposata da un giorno e mezzo a dir tanto, il mio fratellino aspetta un figlio e io sto per volare in America per un mese: rilassarmi? Impossibile! Così cerco di ascoltare un po’ di radio, mentre i discorsi di mio marito e del futuro papà mi arrivano un po’ ovattati. All’aeroporto mi prendo una camomilla e un bel po’ di gocce di un preparato-si-spera-miracoloso a base di erbe varie che dovrebbe farmi rilassare e dormire. Il tempo massimo trascorso dalla sottoscritta su un aero è circa 2 ore: le 8 che ci aspettano mi spaventano un tantino. Poi l’apparecchio si stacca davvero da terra e comincia l’avventura. Il volo trascorre sereno: dormicchio un’oretta, guardo un paio di film indecenti e incomincio a leggermi un giallo da 800 pagine che mi accompagnerà per tutti i 10 voli del nostro viaggio di nozze. Facciamo scalo a New York, ma proseguiamo subito per Boston. I temuti controlli doganali e della sicurezza li sbrighiamo in un’oretta e quindi, dopo una delle tante attese aeroportuali che affronteremo, ci imbarchiamo per il capoluogo del New England. Raggiunto l’hotel devo dire che la stanchezza ed il fuso si fanno parecchio sentire. Visto che siamo in viaggio di nozze, ci offrono un upgrade gratuito della camera e una bottiglia di spumantino con dei pasticcini che, alla fine, costituiranno la nostra cena. E così cala il sipario sul nostro primo giorno su suolo americano.

01 Agosto 2011

Decidiamo subito di andare a recuperare la macchina che, il giorno seguente, dovrà portarci ad Albany. Cerchiamo il nostro primo Starbucks per la colazione e cominciamo a gironzolare per la città Recuperata la macchina abbiamo deciso di fare un salto a Salem, la rinomata, ahimè, città della persecuzione contro le cosiddette “streghe”, iniziata nel 1692 e conclusasi, dopo innumerevoli morti, nell’ottobre 1693. Da vedere in realtà non c’è proprio nulla e in più, a causa di un mio malaccorto utilizzo del navigatore, siamo pure finiti molto fuori strada in un primo momento tanto da perdere quasi un’ora! Il problema è che in America esistono decine e decine di città col medesimo nome, ma in stati differenti ed io, anziché in Massachusetts, avevo digitato Salem in Connecticut: Ooops! Al termine del giro rientriamo a Boston e facciamo un bel pezzo del Freedom Trail partendo dalla Old State House, dal cui balcone fu letta la dichiarazione d’indipendenza e proseguendo lungo il percorso segnato dai famosi mattoncini rossi che corrono per la città. In definitiva Boston e Salem non ci hanno particolarmente colpiti, forse anche perchè eravamo ancora un po’ frastornati dal viaggio, non so. Fatto sta che tutto sommato siamo partiti, il giorno dopo, alla volta di Albany senza grandi rimpianti.

02 Agosto 2011

Comincia il nostro primo, piccolo on the road americano: oggi dobbiamo raggiungere Albany, tappa intermedia fra Boston e le cascate del Niagara. La strada corre tranquilla e la nostra Ford Focus rosso fiammante si mangia l’asfalto senza problemi. Luca è entusiasta del cambio automatico e, soprattutto, del cruise control: in pratica l’auto si guida da sola! Gli Americani alla guida sono disciplinatissimi, la velocità viene mantenuta costante e nessuno si azzarda a manovre inaspettate. Prima di dirigerci ad Albany decidiamo di fare una capatina a visitare l’università di Harvard. L’ambiente è veramente stimolante e ci sono centinaia di visitatori oltre che di studenti. Proseguiamo il viaggio sino ad Albany dove pernottiamo in un motel un po’ scalcagnato, ma onesto tutto sommato. Proprio qui assaggio per la prima volta quelle che diverranno la mia ancora culinaria di salvezza: patate al forno con chaddar cheese e pancetta croccante! Buonissime! Ci addormentiamo sereni: domani Cascate del Niagara!

03 Agosto

Ci svegliamo relativamente presto e, dopo una corroborante colazione, saliamo in macchina. Destinazione: Canada! Si sa, il versante migliore per gustarsi le cascate nel loro splendore, infatti, è proprio il versante canadese e così ci troviamo a passare il confine ottenendo il nostro secondo timbro sui passaporti nuovi di zecca. Ed eccole lì, infatti, in tutta la loro impressionante potenza… Le cascate non sono particolarmente alte, arrivano a 52mt, ma sono piuttosto estese e la loro forza dirompente non lascia certo indifferenti. Ci incamminiamo lungo la passeggiata che porta sino alla cascata più vicina al lato canadese. Sotto di noi la Maid of the Mist, l’imbarcazione che porta i turisti proprio a ridosso delle cascate, sfida l’impeto delle acque, ma devo dire che son ben contenta di non aver tentato la sorte! Decidiamo invece di farci un giretto sotto la cascata e, muniti di meravigliosi impermeabili usa e getta color giallo Uniposca, ci avventuriamo sotto il muro d’acqua. La potenza che sprigionano è veramente impressionante. Peccato solo per la giornata uggiosa e la conseguente luce un po’ triste che hanno le mie foto. La giornata così vola e in men che non si dica s’è fatta sera: domani ci tocca volare ancora!

04 Agosto

Torniamo su suolo americano, rilasciamo la nostra amata Focus e ci apprestiamo a prendere il terzo volo in 5 giorni. Non sono per nulla serena e rilassata, ma il volo non dura molto e si viaggia tranquilli, per cui, nonostante la mia fobia e il vago malessere allo stomaco che mi accompagna ogni volta che volo, fila tutto più o meno liscio e intorno alle tre del pomeriggio arriviamo sani e salvi grazie all’efficientissima metro, al nostro hotel. Chicago ci fa subito una splendida impressione. A partire dal gentilissimo addetto alla metro che ci aiuta a fare i biglietti sino all’atmosfera generale che vi si respira. Il nostro albergo è quasi sulla Michigan Avenue, il famoso “Magnificent Mile” e di fronte al Millenium Park. Purtroppo proprio nei giorni in cui soggiorniamo nella “windy city” il parco, bellissimo, è occupato dal Festival Loollapalooza, una robetta con gente tipo Eminem, Foo Fighters, Muse, Coldplay… e chi più ne ha più ne metta! Cominciamo a visitare quel che non è stato fagocitato dall’area festival, che è comunque un gran bel vedere. Intanto il mio stomaco continua a non collaborare molto, così decidiamo di sederci un attimo su una panchina e subito veniamo avvicinati da uno degli animali più popolari d’America, a quanto pare (ne abbiamo trovati ovunque): lo scoiattolo! Proseguiamo poi la passeggiata all’interno di splendidi giardini, a ridosso del Millenium Park: sembra di stare in un altro mondo. E’ proprio questo il bello di Chicago: è la terza città più popolosa degli Usa, ha il più alto grattacielo d’America, eppure non ci si sente affatto schiacciati, ma il lungolago (immenso) e la parte del parco danno grande respiro alla città intera. Anche le costruzioni più singolari, come il Jay Pritzker Pavilion di Frank Gehry, o il “fagiolo” simbolo della città, trovano il loro equilibrio e si fondono perfettamente con l’ambiente circostante. Ci spostiamo sulle sponde del Lago Michigan e decido di aspettare che lo stomaco torni ragionevole. L’aereo ha lasciato il solito, fastidioso strascico purtroppo. Mi concedo un the caldo mentre la maggior parte dei turisti si gode una granita fresca e ce ne torniamo mestamente alla base. Anche alla sera sono purtroppo costretta a rinunciare alla cena in un ristorante italiano che pare fare una pizza più che dignitosa. Peccato! Marito però non si tira certo indietro e si porta pure in hotel la bottiglia di vino ordinata e non terminata! E il nostro primo giorno a Chicago si chiude qui…

05 Agosto

Oggi vogliamo dedicarci alla Chicago dei piani alti: i grattacieli insomma! Prendiamo il Magnificent Mile e, cominciamo l’esplorazione urbana. Passiamo davanti al miglio zero della mitica Route 66 e continuiamo su Michigan Avenue. Ci imbattiamo anche in un bizzarro banchetto per appassionati scacchisti che possono qui scegliersi un avversario e giocare le loro partite. La nostra prima meta è il John Hancock Center, grattacielo di “soli” 100 piani. Certo, anche tutti quelli che incontriamo lungo la strada non sono meno scenografici… L’ascensore che porta all’Osservatorio del 96° piano è davvero veloce e in men che non si dica siamo in cima: la vista è notevole! La città si estende ai nostri piedi, immensa. Passiamo un’oretta lassù ascoltando l’audioguida che ci racconta la storia di Chicago e dei suoi personaggi più noti. Mi impressiona molto soprattutto pensare al Grande Incendio del 1871 che bruciò 6 km2 di città. Dev’essere stato veramente agghiacciante. Scesi di nuovo a livello strada, decidiamo che per pranzo saremmo andati verso il Navy Pier una sorta di centro commerciale e Luna Park insieme, sul Lago Michigan. Mooolto ammmerigano! Trovare un posto dove mangiare è come sempre un po’ complicato, ma alla fine ce la facciamo e, nonostante la delusione di Luca che non può bersi la sua agognata birra, riusciamo a riempirci comunque la pancia. Rientriamo in hotel per una veloce riassettata attraversando canali che nulla hanno a che fare con la nostra magnifica Venezia, ma hanno ugualmente il proprio fascino… La sera decidiamo di visitare il grattacielo più alto degli States, la Willis Tower, meglio conosciuta come Sears Tower. Al 103° piano è possibile accedere allo Skydeck e decidiamo di andarci quando ormai è buio per goderci il panorama notturno della città. Gironzoliamo un po’ nei dintorni e dopo un pasto piuttosto frugale ci mettiamo in coda per salire. Anche qui la salita è davvero rapida e la vista che si dipana sotto i nostri occhi meravigliosa. La particolarità dello skydeck è però una balconata costruita completamente in vetro e sospesa nel vuoto. Mio marito soffre un po’ di vertigini e ci ha messo un attimo a convincersi prima di salire sul balcone, ma poi devo dire che ci ha preso gusto! Siamo quindi scesi in fretta perché temevamo un po’ il termine del concertone al Loollapalooza: già mi vedevo orde di americani caricati a molla da musica ed alcool che si riversavano nella strada del nostro hotel. Erano solo le 22 però, quindi ho pensato che tanto prima di mezzanotte non sarebbero usciti dall’area concerti e ci siamo incamminati tranquilli. Sbagliavamo. Alle 22 e qualcosa orde di americani hanno effettivamente lasciato il Festival. Sì, peccato che fossero orde disciplinate con in mano al massimo una Red Bull. Ho visto gite delle superiori trasformarsi in gironi infernali ben peggiori insomma. A vederli ci son proprio rimasta: noi italiani al confronto sembriamo dei veri barbari… I nostri due giorni a Chicago sono finiti. Portiamo nel cuore una città affascinante, dal cuore grande e frenetico, ma anche ordinata e a misura d’uomo, nonostante tutto. Una vera sorpresa, una grande oasi in cui ci piacerebbe sicuramente tornare!

06 Agosto

Il volo di oggi non è uno scherzo: ci tocca passare alla costa occidentale e si sta per aria più di 4 ore, ma alla fine atterriamo anche a San Francisco! Appena usciamo dall’aeroporto ci colpisce subito il freddo: siamo a non più di 16 gradi con un vento gelido. E la sunny California ci accoglie con una nebbia ed un freddo di tutto rispetto. Insomma: speravamo in qualcosa di meglio! Soggiorniamo al Nikko Hotel, pieno zeppo di giapponesi e che, nel cassetto del comodino, oltre all’immancabile Holy Bible, mette a disposizione anche un testo buddista. Il primo giorno non facciamo granché, siamo stanchi e intirizziti e più che una ricognizione del quartiere dell’albergo non riusciamo a fare. Ceniamo in un Pub stile irlandese assai accogliente e ci stendiamo a letto.

07 Agosto

Ci alziamo presto. Grazie a Dio non abbiamo mai sofferto il jet lag e continuiamo a svegliarci più o meno come a casa, sempre intorno alle 8 del mattino. Scendiamo nella hall dell’hotel ed entriamo allo Starbucks che c’è praticamente attaccato per la colazione. Chissà perché negli Usa le colazioni negli hotel costano tantissimo per cui preferiamo sempre, ove possibile, farla fuori. Una volta assorbiti i nostri beveroni iper caldi partiamo! Ci spostiamo subito a Union Square, una delle piazze più famose della città, soprattutto per lo shopping. Fa freddo e dei negozi ci interessa poco, ma vogliamo comprare il pass per i mezzi pubblici. Purtroppo quelli validi 3 giorni sono esauriti, così optiamo per il pass giornaliero. Ci spostiamo verso il quartiere di Chinatown. Abituata a Paolo Sarpi a Milano, famosa via pullulante di cinesi, devo dire che rimango molto affascinata da questo paese nella città. Mentre camminiamo in questo piccolo mondo alternativo ci troviamo ad arrampicarci su salite e discese abbastanza impegnative e, soprattutto, vediamo passare i famosi cable cars. Passata Chinatown ci accorgiamo che stiamo sconfinando nel quartiere italiano, North Beach. Arriviamo così, quasi per caso, alla nota libreria della Beat Generation, la City Lights Bookstore. La libreria, che è anche una Casa Editrice in realtà, è stata fondata dal poeta beat Ferlinghetti e una delle cose che più mi colpisce è proprio il piano superiore, interamente dedicato alla poesia. Se penso che in Italia al massimo allestiscono un paio di scaffali con libri di poesia, mi sono quasi commossa! L’ambiente trasuda controcultura, insomma. Ci concediamo anche l’acquisto di due raccolte di poesie, non si può proprio resistere! Appena usciti un’ altra piccola bizzarria: appesi a dei fili davanti ad un palazzo interamente affrescato con un meraviglioso murale, ci sono dei libri. Sulla strada subito sotto, una serie di parole, come fossero volate fuori dalle pagine: anche questa è Poesia…

Saliamo, non senza un bel po’ di fiato corto da parte mia, verso la Coit Tower, un monumento ai vigili del fuoco celebre per dei controversi murales “comunisti” custoditi al suo interno. In realtà non c’è nulla di particolarmente scioccante in tali murales, ma comunque sono una testimonianza interessante. Dalla Coit Tower abbiamo deciso di scendere verso i moli attraverso una strada pedonale, Napier Lane, veramente spettacolare: esplosioni di bouganvillae ed altri fiori meravigliosi facevano da cornice a casette da sogno in un’armonia preziosa fra uomo e natura davvero singolare in un metropoli. Arrivati a Levi’s Plaza, dedicata all’inventore dei jeans, ci troviamo ancora una volta stupiti per la cura con cui gli americani mantengono i loro spazi verdi. Arriviamo così, cammina e cammina ai moli, i celebri Pier. Abbiamo appuntamento con una ragazza che ho conosciuto su un forum e si è sposata il giorno dopo di noi, anche lei, quindi, in viaggio di nozze. Mentre andiamo verso il più turistico dei Pier, il 39, incrociamo anche il tram di Milano degli anni ’20 che gira per San Francisco insieme a molti altri tram provenienti da tutto il mondo e di tutte le epoche. Sempre a piedi ci dirigiamo coi nostri nuovi amici verso la Lombard Street, la strada più tortuosa al mondo. Devo dire però che, fra i turisti che si accalcano ai suoi piedi e le macchine che la discendono a passo d’uomo, non è che ne ricaviamo chissà quale meravigliosa impressione. Decidiamo di ritornare all’hotel sempre a piedi e devo dire che passeggiare per Frisco, nonostante il vento gelido, è proprio un piacere. Le vie sono pulitissime, gli alberi che spuntano dalle ville e dai lati delle strade rigogliosi. E’ tutto perfetto, vivo, pulsante! La sera decidiamo di provare una nota catena, Lori’s Diner, ispirata agli anni ’50 e condiviamo una cena sostanziosa con altri 2 amici di vecchia data, anche loro di passaggio a Frisco. Così possiamo andare a nanna, stanchi, ma soddisfatti: domani ci attende la gita al penitenziario più celebre d’America!

08 agosto

Ci incontriamo con Simona e Danilo, gli amici della sera precedente, sul presto: abbiamo preso i biglietti via internet, ma sappiamo che dobbiamo essere puntuali. Ho scelto il primo turno di visita per un motivo preciso: godermi l’isola deserta il più a lungo possibile, mentre ancora non ci sono troppi turisti. Devo dire che credo sia stata la scelta migliore perché mano a mano che i traghetti attraccavano e riversavano il loro contenuto umano sull’isola si perdeva un po’ della suggestione del luogo. Alcatraz è ovviamente tristemente famosa per il penitenziario di massima sicurezza rimasto attivo sino al 1963. Illustri detenuti hanno soggiornato fra queste mura, il più noto credo sia proprio Al Capone. Anche molti film sono stati ambientati sulla “Roccia” (“The Rock”) ed è in effetti parte del nostro immaginario a stelle e strisce, ma credetemi, camminare fra quelle celle, fa tutto un altro effetto. Il traghetto ci mette poco più di 10 minuti a raggiungere le sponde. Tutto è sospeso e spettrale. Prendiamo la nostra audioguida in italiano, fatta davvero bene, e cominciamo la visita. Ciascuno di noi gira da solo, coi suoi ritmi, in un silenzio rispettoso. Colpiscono molto alcuni particolari, come i ferri da maglia poggiati su un tavolino, in una delle celle: uno dei passatempi dei carcerati che stride molto con l’idea che si ha di questi uomini. Si susseguono i racconti dei tentativi più celebri di fuga. Una delle storie più tremende riguarda la Battaglia del 1946, durante la quale la prigione fu messa a ferro e fuoco ed addirittura intervenne la Marina con l’impiego di granate i cui segni sono ancora ben visibili in alcuni punti. La cosa più tremenda per i detenuti pare poi fosse la vicinanza alla città: durante la notte di capodanno spesso il vento della baia portava i suoni della festa sino all’isola, torturando i reclusi. Il giro di tutto il penitenziario dura quasi due ore e ci ritroviamo tutti nella sala mensa, ultima parte della visita, dove ancora campeggia l’ultimo menù del ’63. Facciamo poi un giretto nel negozio di souvenir e dopo un po’ mi accorgo di una signora, ignorata da tutti, seduta ad un tavolo al centro della seconda stanza: è la nipote di Al Capone che sta pubblicizzando il libro da lei scritto sul celebre zio. Una volta fatti gli acquisti del caso, riprendiamo uno dei traghetti che fanno la spola sino alla città e decidiamo di passare il resto della giornata assieme. E’ l’ora della pappa e i miei compagni di viaggio, soprattutto i due Mariti, sono decisi a provare la celeberrima zuppa di granchio. Troviamo un posticino dove la fanno – in realtà ce ne sono innumerevoli – e con grande soddisfazione marito si fa fuori la sua pagnotta ripiena di zuppetta di granchio. Ci dirigiamo quindi verso il quartiere hippy, Haight-Ashbury. Da questo quartiere partì la Summer of Love, il momento in cui la controcultura hippie si è manifestata al grande pubblico e che diede vita ad un fenomeno di ribellione culturale e politica senza precedenti, il sessantotto. Passeggiamo fra strade colorate, piene di negozietti deliziosi dove mi compro calze dai colori più improbabili con immensa goduria. Cammina cammina, arriviamo alle porte dell’immenso Golden Gate Park un grande parco cittadino rettangolare di 1017 acri, 174 acri in più di Central Park a New York, al quale è spesso paragonato. All’interno trovano spazio uno meraviglioso giardino giapponese, una splendida serra (che non riusciremo a visitare e che contiene, fra l’altro, numerose piante carnivore), musei, laghetti, parchi gioco…e chi più ne ha più ne metta! Il Giardino del Tè ci colpisce moltissimo. Sembra d’essere in un altro mondo, si respira una calma incredibile. Decidiamo di provare anche un bel tè verde accompagnato dai famosi biscotti della fortuna ed altre piccolo delizie. Il tempo, che sino a quel momento è rimasto bigio bigio e freddo, si schiarisce e così raggiungiamo il Conservatorio dei fiori che però, essendo “addirittura” le 17, è chiuso, con somma delusione di Luca che già pregustava le sue piantine carnivore. Lo spettacolo della struttura però vale comunque la passeggiata. C’è ancora tempo per raggiungere la collina di Alamo Square e vedere le famose “Sette Sorelle”, le case in stile vittoriano più fotografate della città. Ma la cosa più particolare che ci capita di osservare è nel giardino antistante, che è poi la cima della collina. Come ogni angolo verde di Frisco, anche qui il parco è tenuto benissimo e ci sono anche dei bagni pubblici. Proprio qui scopriamo un angolo assai pittoresco: delle calzature di varia foggia usate come “vasi” per piante e fiori. E’ un’usanza propria di questa città che non ero sicura di riuscire ad immortalare e ne sono ben felice. Siamo ormai abbastanza stanchi e torniamo ai rispettivi hotel per farci una doccia e riposarci un attimo. Proprio vista la stanchezza, ci trasciniamo a cena nel pub a due passi dall’albergo e ci congediamo dai nostri amici che domani partono, mentre a noi resta un ultimo giorno da passare ancora a San Francisco…

9 Agosto

La mattina del nostro decimo giorno negli States ci siamo dovuti arrendere all’evidenza: non avevamo più mutande pulite. Così, con spirito temerario, ci siamo spinti in una zona ben poco turistica di Frisco a fare il nostro ingresso trionfale in una vera lavanderia a gettoni ammmmerigana. E’ stato proprio divertente! tra l’altro in questa particolare lavanderia, segnalata dalla guida, c’era anche un bar annesso e una connessione ad internet con postazioni libere. Per il pomeriggio ho deciso di stupire Luca e gli propongo un giro in bici sul Golden Gate sino alla cittadina di Sausalito. Ci dirigiamo nella zona dei Pier dove affittiamo le nostre mountain bike ed indossati i caschetti d’ordinanza, partiamo. La strada da fare, già lo so, non è poca, soprattutto per chi, come me, non è affatto allenata e non sale su una bicicletta da ben 13 anni: in totale dovremo pedalare per 13 Km. Alla partenza sono anche spavalda: che sarà mai! E’ tutto in piano! Primo errore. Il secondo, tragico, errore di valutazione riguardava invece il vento che ha soffiato costantemente in direzione contraria rendendomi la pedalata parecchio faticosa. Ciliegina sulla torta? Il mio ginocchio ballerino che mi faceva veramente male quando dovevo spingere sul pedale. Luca invece andava spedito e gioioso ovviamente. Arrancando raggiungiamo la base del ponte, più o meno nel punto in cui il grande “Hitch” girò la famosa scena di Vertigo. Noto subito una “piccola” differenza confrontando l’immagine che serbavo di tale scena e ciò che invece mi si para davanti: la nebbia! Ovviamente il ponte è rimasto avvolto dalla nebbia tutto il tempo e vi posso giurare che faceva pure un bel freddo! Dopo, credo, almeno un’ora e mezza, approdiamo dall’altra parte, nella ridente località di Sausalito. Bene: qui è estate. La nebbia rimane solo nella baia di San Francisco e di qua dal ponte splende il sole. Giriamo un po’ per il paesino che ormai sta chiudendo i battenti perchè sono le 18 passate. In particolare però rimango affascinata da un negoziettoche vende orologi e gioielli, ma anche soprammobili di vario tipo, tutti strambi ed affascinanti: mi comprerei tutto il negozio! Dopo aver fatto una piccola passeggiata desistiamo perchè io sono intirizzita e con le gambe a pezzi e ci mettiamo in coda ad aspettare il traghetto (perchè col cavolo che torno sulla due ruote!). Rimaniamo lì un’ora praticamente e sono ormai quasi le 21 quando, pedalando furiosamente per giungere prima della chiusura, riconsegniamo le bici al punto raccolta. Io sono veramente stravolta e in più l’autobus pare non arrivare mai. Dopo una mezz’oretta di attesa non ne posso più ed intimo al mio povero Luca di trovarmi seduta stante un taxi! Non è certo facile, anche perchè non siamo i soli ad avere avuto la medesima idea, ma alla fine ce la facciamo e ci trasciniamo in hotel dove passiamo la nostra ultima notte a Frisco. Insomma: fate questa passeggiata sulle due ruote solo se siete soliti andare in bicicletta, se no utilizzate uno dei tanti pullman che portano a Sausalito e magari andate a cercare le famose case galleggianti che a noi purtroppo sono sfuggite.

10 Agosto: inizia il vero on the road!

E’ ora di lasciare l’ormai amata San Francisco per ridiscendere la California. Usciti dall’hotel, ci dirigiamo al Noleggio Auto prescelto e ci apprestiamo, baldanzosi a ritirare la quattro ruote. Ci mettiamo in coda e aspettiamo. E aspettiamo. E aspettiamo. Alla fine scopriamo che la nostra auto e quella di molti altri sventurati non sono nemmeno nel garage, ma devono arrivare dall’aeroporto. In pratica perdiamo tutta la mattina mettendo le radici in attesa di ricevere la nostra ennesima… Ford Focus! All’alba delle 11.30 possiamo partire. Il paesaggio è splendido, e c’è persino il sole. Gli alberi che si intravedono nei campi hanno le cortecce scurissime e rami contorti che si aprono in chiome larghe e folte.. Abbiamo deciso di raggiungere Monterey e goderci la famigerata 17 Miles, curiosi di ammirare i panorami. Ecco, magari con un po’ di sole sarebbero stati ancora più belli! Infatti arriviamo sulla costa, paghiamo il pedaggio per entrare un questa bella, ma un po’ costosa via privata e, come sempre in California, congeliamo! Però i cipressi scolpiti dal vento e il famigerato Lone Cypress sono molto belli.. Si è fatto tardi e fa abbastanza freddo, per cui decido di tentare la sorte e vedere se è aperta la missione di Carmel. Ovviamente, sono già le 17.30 ed è tutto sbarrato. Peccato: pare molto graziosa. Abbiamo preso abbastanza vento e ci dirigiamo al nostro hotel a Monterey. Il giorno dopo voglio portare Luca a vedere il Big Sur e l’Hearst Castle… ci sarà da stare un po’ in macchina.

11 Agosto

Il solito nebbione californiano condito col clima freddo ed il vento gelido ci accompagnano anche oggi. Il Big Sur, come ci ricorda Wikipedia, è “(…) una regione della costa centrale della California.(…) Le montagne trattengono gran parte dell’umidità delle nuvole, spesso in forma di nebbie mattutine, creando un ambiente favorevole alle foreste, che comprende l’habitat più meridionale per le sequoie.” A parte l’ambiente favorevole alle sequoie diciamo che la costa ha comunque il suo fascino ed i colori delle erbe e dei fiori sul ciglio della strada sono incredibili. Il nostro obiettivo comunque è raggiungere l‘Hearst Castle e la strada da fare non è poca. L’Hearst Castle “è un’enorme residenza privata fatta edificare dal magnate della stampa William Randolph Hearst. L’immobile è un misto di tutte le forme di architettura che il magnate vide e apprezzò nel corso dei suoi viaggi in giro per il mondo (…). Il castello è dotato di 56 camere da letto, 61 bagni, 19 salotti, 127 acri di giardino, piscine coperte e all’aperto, campi da tennis e sale cinematografiche.” (Wikipedia) Dovrebbe essere l’apoteosi del kitsch e, in effetti, è davvero esagerato, ma alla fine ci divertiamo molto ad esplorare la proprietà coi suoi villoni e le piscine faraoniche, o meglio,romaniche. Hearst aveva portato in mezzo al nulla l’elettricità, i primi frigoriferi e le docce, all’epoca praticamente sconosciute in questa Regione, tanto che Clark Gable, ospite presso il castello ed abituato alla vasca, chiamò indignato la cameriera perchè non capiva come fare il bagno in pochi centimetri d’acqua! Della serie: uno schiaffo alla miseria insomma! Però è tutto talmente bello… La visita che volevo fare purtroppo sfuma, così ci dedichiamo “solo” agli esterni, la cantina dei vini e le dependance. Comunque un bel giro che ci impegna per qualche ora. Rientrando ci fermiamo a fare qualche foto della costa e incontriamo anche qui i soliti squirrels. Piano piano, torniamo verso Monterey, attraversando nuovamente il Big Sur, sempre immerso nella nebbia stile Milano a Novembre…

12 Agosto

Oggi si viaggia! Riattraversiamo il Big Sur e ci dirigiamo verso il paesino di Cambria, poco oltre l’Hearst Castle. Ho trovato, su un sito di mototurismo, l’indicazione per una strana attrazione, Nitt Witt Ridge, e sono curiosa di vederla. Si tratta di una casa costruita da Arthur “Art” Harold Beal che in 50 anni ha costruito su un terreno collinoso, la sua “magione” usando semplicemente materiali di recupero e rifiuti. E’ un posto poco battuto dal turismo di massa e ci siamo infatti gustati il tour col loquace Mike, in perfetta solitudine. La casa è ormai in uno stato di totale abbandono, ma è comunque interessante. Il “capitano” aveva parecchio sense of humour evidentemente. Pensate che quando faceva i barbecue, era solito trascorrere piacevoli momenti in compagnia sia per il pranzo che… durante l’intimità del gabinetto! Dopo i fasti dell’Hearst Castle, l’eccentricità opposta e parallela (molte cose probabilmente furono trafugate dal cantiere del Castello) di Nitt Witt ci lascia divertiti ed ammirati per la fantasia dimostrata dal costruttore. E se pensate che ha resistito a svariati terremoti, uno dei quali avvenuto proprio mentre c’erano dei visitatori capirete bene che anche la “rumenta” va rivalutata in questo caso! Riprendiamo la strada e scendiamo verso Santa Barbara, la nostra destinazione della giornata. Luca però suggerisce di fare una sosta anche a Solvang, comunità Danese nel cuore della California. Appena ci avviciniamo alla cittadina tutto ci riporta alle atmosfere europee, fra mulini a vento e vetrine deliziose. Fatta la nostra bella passeggiatina, finalmente ci dirigiamo all’hotel di Santa Barbara, in tempo per una doccia e poi siamo subito fuori per cercare un posticino dove cenare. Decidiamo per un ristorante messicano molto romantico e ne usciamo pienamente soddisfatti. Santa Barbara è descritta spesso come un paese per pensionati ricchi, e a noi direi che piace molto l’atmosfera! E anche questa giornata è passata: domani si va agli Studios e non vedo l’ora!

13 Agosto

E’ il mio giorno! Partiamo da Santa Barbara in direzione della Città degli Angeli. Butto Luca sull’auto di buon mattino poichè mi è stato descritto il traffico di Los Angeles come l’anticamera dell’inferno. Imposto il navigatore sulla strada dove dovrebbe esserci il parcheggio e partiamo. Il paesaggio costiero lascia il posto a periferie brulle. Iniziano a vedersi un po’ di alte palme e villoni nel nulla e senza nemmeno accorgercene, siamo presto nell’area urbana di L.A.. Qualche rallentamento in effetti c’è, ma tutto sommato si va tranquilli. Una volta usciti dalla superstrada, però, ci assale qualche dubbio: ma ‘sti sobborghi non sono un po’ troppo scalcinati? E questi baracchini che vendono polli dall’aria sospetta? Finiamo in una strada di un quartiere un po’ troppo pittoresco e riguardando il foglio della prenotazione mi accordo che i Warner Studios non stanno a Los Angeles, ma a Burbank, città nella Contea di Los Angeles! Beh, in un modo o nell’altro raggiungiamo la nostra destinazione e mi trovo davanti al simbolo degli studios la cisterna dell’acqua con la celebre scritta “Warner”. Entriamo, ritiriamo i biglietti prenotati dall’Italia e iniziamo a gironzolare per il minuscolo shop. Minuscolo ma pieno di cosine sfiziose. Compro una bella felpa di Grifondoro per mia cognata, una maglietta con scritto “muggle” (Babbano) a mio fratello, e per me una splendida t shirt del Central Perk. Sempre nell’atrio ci sono un po’ di cimeli di Harry Potter, costumi di scena ed altro. Sento che mi sto solo scaldando e non vedo l’ora di cominciare il tour. Ho scelto i Warner anziché gli Universal perché mi parevano più “seri”, meno parco di divertimenti insomma. Dopo un filmato introduttivo che illustra le produzioni della Warner partiamo a gruppi 8 alla scoperta dei set. Il primo è subito amore: ER! Io già scodinzolo! Poco più avanti, ci fermiamo in un posteggio e una vecchia scritta sbiadita attira la nostra attenzione. E’ la H che svettava sul tetto del Policlinico e che ormai è stato quasi totalmente cancellato: giravano qui le scene dell’elisoccorso, ovviamente con l’ausilio del green screen. Proseguiamo ed ecco che passiamo accanto alla scuola di danza di Miss Patty di “Una Mamma per Amica”. La nostra guida, un ragazzo texano molto simpatico, ci fa notare alcuni piccoli trucchi usati nel mondo del cinema, come una casa con 4 ingressi diversi per ogni facciata che si adattano a vari stili e, eventualmente, varie epoche. Tutto è tremendamente falso ed altrettanto verosimile. Sapete cosa celano tutti gli edifici che incontriamo? Ovviamente nulla! O meglio, molto legno ed impalcature su cui fissare le macchine per le riprese degli esterni… Proseguiamo nel museo interno, dove non è possibile scattare foto, che contiene costumi di scena e materiali da vari film, fra cui il mitico piano di Casablanca: è piccolo! C’è anche un intero piano dedicato ad Harry Potter e non manco di farmi smistare dal cappello parlante che, con mio malcelato disappunto, mi piazza nei Tassorosso, la casa più sfigata di Hogwarts… Persino gli addetti alla “posa del cappello” mi incoraggiano dicendo che “in fondo vuol dire che sono una persona leale che crede nell’amicizia”. Vabbeh. Proseguiamo poi il tour nel vari Stage. Dedichiamo un po’ di tempo a quello del programma di Ellen DeGeneres che mi sta molto simpatica, per carità, ma da noi in Italia non è certo famosissima per questo show. Infine visitiamo la parte di Studios (ma ve l’ho detto che sono talmente grandi che hanno un loro CAP?!) dove vengono custoditi un po’ di cimeli fra cui vecchie e nuove glorie su 4 ruote come il Generale Lee e la Gran Torino del magnifico e domonimo film di Eastwood. E infine eccolo, ci siamo: il set di uno dei telefilm più amati degli anni 90… Friends! L’apoteosi! Io sono davvero malata di telefilm e trovarmi lì è una bella emozione. Sono pienamente soddisfatta. Esco un po’ ubriaca dal tour delle meraviglie e subito ci rimettiamo in macchina verso la nostra destinazione finale, Newport Beach. Arriviamo abbastanza tranquillamente e quindi decidiamo di farci 4 passi sul lungomare, alla ricerca dei pontili battuti da Marissa e Ryan (l’ho detto che sono malata di telefilm: qui mi riferisco a O.C.). Si sta tutto sommato bene, ma io il bagno non lo farei nemmeno a pagamento! E poi ci son certi nuvoloni scuri all’orizzonte… Camminiamo ancora un po’ e ci mangiamo qualcosa da un McDonald’s, ma poi decidiamo di tornarcene tranquilli in hotel perché siamo stanchini. Domani toccheremo l’ultima città del nostro tour della costa californiana: San Diego.

14 Agosto

Partiamo da Newport Beach e ci dirigiamo verso San Diego. Il tempo regge abbastanza bene ed arriviamo senza problemi quasi al confine col Messico. Decidiamo di visitare il Parco di Point Loma col suo faro ed il Cabrillo National Monument. L’ingresso al Parco è consentito sino alle solite cinque del pomeriggio e prima di arrivare al monumento, che non è nulla di che, si costeggiano prati ricoperti di croci bianche: cimiteri militari. Devo dire che avrei voluto fermarmi a fare qualche foto perchè questi luoghi da sempre mi mettono addosso molta pace, ma al contempo mi pare di essere poco rispettosa del luogo sacro, per cui evito. Il faro invece è una bella scoperta. Gli interni, come ogni cosa in America sono perfettamente preservati e si ammirano al di là di un vetro protettivo. Una cosa che abbiamo notato infatti qui negli States è che di davvero antico hanno poco e niente, ma quel poco che hanno lo trattano veramente coi guanti! Altro che i disastri cui destiniamo i nostri Beni! Dal Cabrillo Monument si gode di una vista magnifica sulla città, oltre che sul mare sottostante in cui si tuffano in una danza spettacolare i pellicani. Restiamo un po’ appollaiati lì sopra a filmare questi tuffi e poi scendiamo verso San Diego. Siamo indecisi se visitare la USS Midway perchè è già tardi e in più non siamo propriamente dei guerrafondai, anzi, diciamo che una portaerei è qualcosa che ci mette addosso un fastidioso disagio, ma è anche l’unica occasione che avremo per salirci e quindi ci dirigiamo al molo dove, da diversi anni, l’imponente nave fa da museo. Il ponte su cui si allineano tutti gli aerei e gli elicotteri da guerra è veramente immenso, ma resta per noi comunque un mistero come potessero decollare in così poco spazio. Siamo molto di corsa perchè, ovviamente, il museo sta per chiudere, quindi facciamo il giro più completo possibile, ma anche nel minor tempo immaginabile. Usciti dalla USS torniamo in hotel per rinfrescarci un po’. San Diego avrebbe probabilmente ancora molto da offrire, ma siamo un po’ tanto cotti. Così rinuncio anche alla visita all’Hotel del Coronado, storico sfondo di “A qualcuno piace caldo”. Decidiamo comunque di andare proprio sulla penisola di Coronado per cena. tra le varie pubblicità di ristoranti che si trovano nelle scartoffie degli hotel, ci ha colpiti quella de “Il Fornaio” e decidiamo di provare. Trovarlo è un’impresa: il navigatore vorrebbe farci passare attraverso una base militare, ma dopo un bel po’ imbrocchiamo la via e finalmente arriviamo! Devo dire che sia l’ambiente che il cibo valgono la peregrinazione preventiva. Quando usciamo, decisamente satolli, ci gustiamo il panorama serale della città. Da qualche parte, probabilmente in un palazzetto o uno stadio, c’è un concerto di musica classica e le note arrivano sino a qui. Ci gustiamo il momento: si sta divinamente ed è tutto moooolto romantico. La nostra avventura Californiana finisce qui. Domani saremmo dovuti partire su un minuscolo volo da 30 posti da San Diego a Los Angeles, ma abbiamo deciso di bigiarlo: troppa paura di star male. A San Francisco, al momento del noleggio auto avevamo già chiesto di prolungarlo sino al 15 con consegna all’aeroporto di L.A. da dove partiremo con destinazione Las Vegas…

15 Agosto

A Ferragosto, di buon mattino, ci dirigiamo verso Los Angeles, dove molliamo la macchina e, con anticipo mostruoso, restiamo in attesa del volo che ci condurrà a Las Vegas. Atterriamo nella Sin City che sono ormai le otto di sera passate e, fra un controllo e l’altro ed il ritiro dell’auto raggiungiamo il nostro hotel dopo un’ora e mezza. Troviamo anche parecchia coda al check in e alla fine entriamo, stravolti, nella nostra stanza, alle 22 suonate. Io ho lo stomaco a pezzi causa volo un po’ difficoltoso e, anche se vorremmo andare almeno ad assistere al famoso spettacolo delle fontane del Bellagio desistiamo, soprattutto visto il mio stato penoso. Devo dire, tra l’altro, che mi dispiace non aver visto Las Vegas: nonostante i pregiudizi che avevo, che mi portavano ad immaginarmi un parco di divertimenti fuori misura senza grande attrattiva, una volta lì mi sarebbe piaciuto invece capire meglio anche questa realtà, girarla un po’ ed immergimici. Purtroppo è andata così. Il mattino dopo siamo subito in partenza verso il Grand Canyon: ci aspettano più di 400 Km in mezzo a terre pressoché desertiche..

16 Agosto

Dopo alcune ore in macchina raggiungiamo il Grand Canyon. Abbiamo la sistemazione direttamente nel Parco e quindi, acquistati il pass e la cartina dal Ranger, entriamo. Tutto è perfettamente organizzato. Un sistema di navette collega i vari punti panoramici in modo che non si debba per forza usare l’auto. Vista la concentrazione turistica questa è davvero un’ottima idea che però non sfruttiamo al massimo devo dire e, soprattutto la prima sera, questo comporterà non pochi problemi di posteggio. Comunque, buttati i nostri bagagli in camera, raggiungiamo subito uno dei ristoranti interni dove ci consegnano un ingombrante cicalino che ci avvertirà quando si libererà il nostro tavolo. Mentre aspettiamo facciamo un giro nel negozio di souvenir finché non comincia a vibrarmi la tasca: si va a mangiare! Certo che ‘sti americani son proprio efficienti! Riempito lo stomaco iniziamo a passeggiare lungo il rim. Lo spettacolo è impressionante. Verso sera vorremmo goderci il tramonto, ma non c’è verso di trovare posteggio, così Luca rimane a girare mentre io mi fiondo giù per cercare di fare qualche foto. L’unica cosa che rovina un po’ l’atmosfera sono i troppi turisti chiassosi..praticamente tutti italiani. Resto particolarmente mal impressionata da alcuni ragazzini, sui 13 anni, che, davanti a cotanto spettacolo, non staccano gli occhi dai loro videogiochi e, anzi, apostrofano sbuffando le rispettive madri per sapere quando sarebbero andati al ristorante. Li avrei strozzati. Nel frattempo il marito è sparito. Mi fermo in un punto e lo cerco con lo sguardo, ma non lo trovo e in più i cellulari non prendono qui. Mi dirigo nuovamente al posteggio: nulla. Comincio a preoccuparmi un po’, ma poi per fortuna eccolo!! Torniamo verso il canyon per gustarcelo un po’ da soli, ma ormai i colori si fanno tenui ed è ora di andare a prepararsi per la cena. Ho prenotato, su consiglio della nostra guida, nell’unico “vero” ristorante che c’è nel giro di miglia e miglia, El Tovar. Fermiamo il tavolo per le 21 e un po’ scioccamente chiedo il posto accanto alle finestre, da dove si gode una vista su tutto il canyon. L’addetta ovviamente mi fa notare che tutto quello che potrei vedere, a quell’orario, sarebbe solo il mio riflesso. Uhm… giusto. Devo dire che il posto è un pochino pesante nell’arredamento, ma il pollo al marsala mi commuove e decidiamo di replicare anche per la sera seguente. Rincasando, nel buio della notte, ci troviamo davanti ad un bestione enorme: un cervo che ci fissa qualche secondo prima di riprendere, indisturbato, il suo cammino. Che meraviglia!

17 Agosto

La mattina prendiamo una solenne decisione: vista la mia pigrizia e, soprattutto, il mio ginocchio acciaccato, percorreremo “solo” il margine del canyon, senza scendere al suo interno. Anche così, ragazzi, ce n’è di strada da fare! Il Grand Canyon è uno spettacolo che toglie il fiato e ti fa sentire piccola quanto un granello di polvere. Ai suoi margini capisci quanto la Terra sia antica, quanto l’Uomo abbia dimenticato le sue regole, i suoi ritmi, ed il rispetto per tutto ciò che esiste da prima che nascessero le prime cellule viventi. Qui tutto è sconfinato, arduo, bellissimo. Una Natura che non lascia scampo agli occhi, che allarga il cuore come un fiume in piena. I tramonti sono sinfonie, il volo dei corvi e delle aquile fa tremare il cuore. Dall’altro lato del rim (la “sponda” opposta) vedevo nuvole di sabbia alzarsi senza posa la sera. La forza degli elementi qui fa quasi paura. Davvero un’esperienza che non si può esprimere a parole. Il Grand Canyon è un luogo dove capisci quanto siano sballati i nostri ritmi e limitati i nostri orizzonti quotidiani. Ultima notte qui, domani ci aspetta Page, col suo Lake Powell e, soprattutto, l’Antelope Canyon.

18 Agosto

Oggi il percorso è abbastanza breve, circa 225 Km dal Grand Canyon a Page, una piccola città nel nord dell’Arizona situata sulla sponda meridionale del magnifico lago Powell. Il Lake Powell è un lago artificiale creato sul fiume Colorado con la costruzione della diga di Glen Canyon. Lungo quasi 300 km, il lago si situa al confine tra gli stati di Arizona e Utah ed il secondo lago artificiale più grande degli Stati Uniti. A Page in realtà c’è poco da fare a da vedere, è una cittadina sperduta nel nulla più totale, ma nei dintorni ci sono parecchie gite interessanti da fare. In particolare io ho prenotato l’escursione all’Antelope Canyon. Si tratta di un canyon molto particolare, cosiddetto “slot canyon”, ossia un canyon formato dall’azione erosiva di inondazioni sporadiche improvvise e violente che, trascinando la sabbia in stretti passaggi, nel corso del tempo hanno scavato in profondità la roccia plasmandola nelle sue forme caratteristiche. Mi ero informata bene prima di partire ed ho prenotato con largo anticipo la visita delle 12.00, in modo che il sole a picco creasse i giochi di luce più spettacolari. Il tour è guidato da indiani Navajo dai modi spicci che ci caricano su piccole jeep scoperte e ci intimano di restare ben attaccati ai supporti e di tenere i cappelli saldi in testa: ci sarà da ballare. E in effetti il percorso, dopo un breve tratto cittadino, si fa subito accidentato: ci addentriamo nel letto del torrente in secca fra scossoni e chili di sabbia ingoiati mentre ci aggrappiamo disperatamente alle barre poste sulla fiancata della jeep per evitare gli scossoni più violenti. Siamo seduti accanto ad un’altra giovane coppia con cui ci scambiamo sguardi divertiti e che troveremo anche nel Bryce Canyon, il giorno seguente. L’ingresso al canyon è alto e stretto, quasi non ci si crede che si possa passare da lì. Ci sono orde di turisti divisi in gruppetti da 8-10 persone, ciascuno con la sua guida. Gli indiani dirigono il flusso dei visitatori ed occasionalmente gettano la sabbia in aria in modo che si creino delle specie di cascate di luce e pulviscolo. Lo spettacolo lascia senza fiato. La roccia pare quasi tessuto mollemente adagiato sui fianchi del canyon. Gli agenti atmosferici l’hanno modellata nei modi più strani. Le nostre guide danno molti consigli anche per le inquadrature migliori, conoscono questi luoghi come il palmo delle loro mani, e si offrono anche di scattare qualche foto a noi turisti. Dopo la visita al Canyon torniamo in hotel per ripulirci dalla sabbia che ci ha completamente coperti durante l’escursione e cerchiamo un posto dove mangiare qualcosa. La scelta ricade su un Pizza Hut che guardavamo inizialmente con sospetto, ma si rivela invece un’ottima scelta: la pizza è buona e ben cotta, mille volte meglio di quella di una nota catena italiana… Dopo il lauto pranzo vorremmo provare a raggiungere lo spettacolare Horseshoe Bend, ma fa molto caldo e so già che la luce non è affatto buona visto l’orario: rischiamo di fare tanta strada per vedere lo spettacolo coperto dall’ombra. Rinunciamo, anche perchè il tempo sta cambiando. Prendiamo l’auto e cerchiamo un posto dove vedere meglio il lago. Seguiamo un’altra vettura su per una collina e raggiungiamo un altopiano in mezzo al nulla. C’è solo una piccola tettoia sotto cui ripararsi. S’è alzato un vento piuttosto forte, ma lo spettacolo del lago è assicurato comunque. Intorno a noi il tempo cambia continuamente. Il vento sospinge le nuvole e con lo sguardo che corre ai quattro punti cardinali, possiamo vedere sole, pioggia e piccoli arcobaleni tutto intorno a noi e nello stesso istante. La forse degli elementi in America è qualcosa che non può lasciare indifferenti. Il nostro clima mite e mediterraneo, stabile il più delle volte (a parte le recenti, ahimè inondazioni, ma lì c’è anche un problema idrogeologico ed un’incuria non indifferenti), non ha nulla a che vedere con gli sbalzi d’umore del meteo a stelle e strisce, che si scatena violento e repentino. In questo posto sto veramente bene. C’è un ‘elettricità incredibile nell’aria, un senso di moto invisibile e potente che mi ricarica. Restiamo sulla collina per un po’, poi decidiamo di scendere a vedere il Colorado che arriva sino a qui e scava la roccia rossa che ormai ben conosciamo. Il clima è diventato un po’ troppo bizzoso e in serata scoppia un temporale coi fiocchi che ci costringe a restare nel ristorante dell’hotel. Domani ci sposteremo nello Utah, per la visita all’ultimo canyon, il Bryce.

19 Agosto

L’ultima meraviglia che visiteremo sul continente americano si trova nello Utah e si chiama Bryce Canyon. Arriviamo abbastanza presto, ci sistemiamo nell’hotel, che qui è all’esterno del Parco, e ci buttiamo all’esplorazione. Parcheggiamo l’auto nel centro visitatori, recuperiamo una mappa, anche se più o meno so già che giro voglio fare, e acchiappiamo al volo la navetta. Ancora non mi fido del mio ginocchio, ma il percorso che intraprendiamo ci permette ad un certo punto, di decidere se proseguire sul sentiero breve, o allungare il giro, cosa che poi faremo. Dal bordo dell’anfiteatro lo spettacolo è già parecchio suggestivo. Gambe in spalla: il percorso pare abbastanza pianeggiante, il sole è caldo, ma non picchia troppo, nonostante l’orario, ed abbiamo fatto provviste di acqua e cibo. Gli hoodoos con le loro forme particolari ricordano un po’ i Camini delle Fate in Turchia e se pensate che ogni anno cambiano forma, grazie all’azione del ghiaccio e delle piogge acide, diventano ai miei occhi ancora più sorprendenti. Lungo il cammino ci fermiamo a mangiare li panino comprato all’emporio e ci godiamo il silenzio della natura. I turisti ci sono, ma non sono tanti come nel Grand Canyon e si viaggia spesso in solitudine: una vera goduria. Il mio ginocchio regge bene, la passeggiata che ci porta sin sul fondo del canyon, è lunga, ma piacevole, e in un batter d’occhio siamo alla fine del percorso. Sono molto soddisfatta! Una delle cose più curiose che incontriamo lungo il cammino sono le pietre lasciate in precario equilibrio dai visitatori, ad imitazione, ed in omaggio, dei pinnacoli circostanti. Giunti sul fondo occorre risalire e raggiungere nuovamente le sponde dell’anfiteatro è un po’ più faticoso dell’andata. Una specie di girone dantesco in cui, incredibilmente, brucio persino marito. Tutto sommato forse quel poco di tennis che ho fatto aiuta? Mah! In ogni caso raggiungo la cima senza grandi difficoltà dopo 2 ore di passeggiata. Siamo comunque un po’ stanchi e decidiamo di tornare verso l’hotel e visitare il piccolo villaggio posticcio che hanno costruito all’ingresso del Parco. Nulla di che, a parte qualche addobbo natalizio fuori stagione che mi conquista, ma decido di lasciare giù. L’atmosfera è comunque molto caratteristica. Dopo una bella doccia nello splendido hotel che ci ospita, dove incontriamo anche una delle receptionist più affabili del viaggio, ci cambiamo e ci prepariamo per la cena. Il locale prescelto costa parecchio, ma ci dà grande soddisfazione. Poi subito a nanna: domattina ci aspetta una levataccia e ben 400 e passa chilometri sino a Las Vegas, dove ci attende un volo per L.A. ed infine… Hawaii!

20 Agosto

Il 20 Agosto 2011 mio marito compie 40 anni. Purtroppo passerà tutta la giornata sballottato fra auto e ben due voli. Ma potrà nei secoli vantarsi d’aver festeggiato i suoi 40 alle Hawaii! Partiamo di buon mattino dal Bryce ed attraversiamo lande desolate abitate solo da mucche e, credo, disadattati sociali: impossibile che crescano persone sane in agglomerati di 3 o 4 case in mezzo al nulla più totale. Per chilometri e chilometri. Mentre ci avviciniamo nuovamente a Las Vegas, ci attraversa la strada un coyote. Questo mi mancherà dell’America: la natura sempre ad un passo, parallela alla vita di tutti i giorni, che irrompe quando meno te lo aspetti. Il nostro volo parte alle quattro meno un quarto e si rivelerà uno dei migliori di tutto il viaggio, davvero perfetto. Ero un po’ preoccupata dal dover prendere due aerei lo stesso giorno perchè il mio stomaco si ribella sempre un po’, ma si va alla grande per il momento. Il secondo aereo da Los Angeles è enorme e c’è pure la possibilità di connettersi ad internet in volo. La traversata dura circa 5 ore ed il fuso orario si sposta inesorabilmente a -12 rispetto all’Italia. Voliamo per ore interminabili sopra all’Oceano, in mezzo a nulla e non riesco a non pensare a Lost, devo essere sincera.. Ormai col sole tramontato iniziamo la discesa. Non sono mai atterrata su un’isola e spero di non farlo mai più. Il fazzoletto di terra emersa con le sue luci mi appare minuscolo, il vento soffia forte e l’aereo deve fare un po’ di giri prima di assettarsi correttamente. In poche parole il mio stomaco fa di nuovo le bizze. Ovviamente atterriamo senza grossi problemi, ma io ho bisogno di alcuni minuti per riprendermi. Luca sognava d’essere accolto con ghirlande di fiori e bellezze in gonnellino di paglia, ma ahimè, non c’è l’ombra di tutto ciò, nel minuscolo aeroporto di Kahului, nell’isola di Maui. Recuperati i bagagli andiamo a prendere la navetta che ci porta al noleggio auto. L’autista è il prototipo di hawaiano che ho sempre immaginato: rilassato, chiacchierone… si stupisce che veniamo dall’Italia, deve apparirgli come un paese così lontano, forse esotico quanto lo è per noi la sua isola. Recuperata la solita Ford Focus da un’altrettanto simpatica e cordiale addetta al banco, impostiamo il navigatore e ci dirigiamo verso Kaanapali. Stanchi e sfusi, raggiungiamo l’hotel. Avrei voluto festeggiare almeno con una cena il compleanno di Luca, ma eravamo proprio “oltre” e ci accasciamo a letto quasi subito.

21 Agosto

La mattina il risveglio non ha davvero eguali. La vista dal nostro balcone indugia nel giardino del complesso e via, sino all’oceano, mentre il nostro mega appartamento, più grande della nostra prima casa, è veramente splendido! Dopo una misera colazione al bar dell’hotel che mi lascia un po’ a bocca asciutta, decidiamo che è ora di sfoggiare la nostra mise da mare e di goderci un po’ di sano relax. Consegno anche a Luca parte del suo regalo di compleanno, l’iscrizione alla teoria per la patente nautica entro le 12 miglia, un suo sogno nel cassetto. Alte palme lungo le strade e strani tipi che popolano un posto veramente particolare che, francamente, non sapevo immaginarmi così. L’acqua dell’Oceano è calda, scossa in superficie dal vento. Ecco, il vento mi rompe abbastanza le scatole, lo ammetto. Avrei voglia di provare a pucciare il piedino, ma ho proprio freddo e temo che uscire dall’acqua, lei sì bella tiepida, tutta bagnata con sto ventaccio, peggiorerebbe le cose. Luca invece, temerario, si butta e torna a riva soddisfatto cercando di convincermi, ma desisto. Abbiamo deciso di cucinarci in appartamento la pappa, così facciamo un po’ di spesa e passiamo poi il resto del pomeriggio spaparanzati fra sdraio e spiaggia. Siamo ormai a fine agosto e le Hawaii in più non sono molto frequentate dai connazionali: si sta da Dio! Un primo giorno forse un po’ fiacco, ma tutto sommato dopo i vari girotrottola sul continente, abbiamo bisogno di rallentare.

22 agosto

Il secondo giorno a Maui facciamo un giretto a Lahaina, l’ex capitale prima di Honolulu. Qui hanno fatto una cosa molto intelligente: hanno evitato qualsiasi tipo di mega hotel spostando gli immensi resort a Kaanapali Beach, in modo da preservare l’atmosfera di Lahaina. La cosa più bella del paesino è la piazza del Baniano. Quest’ultimo è il nome comune del Ficus bengalensis, un albero sempreverde che presenta radici avventizie aeree. L’esemplare di Maui è alto 18 metri e racchiude un intero isolato! Davvero una pianta impressionante… Fra le mille attività che si possono fare qui, io – che furba! – ho proposto al marito una bella gita in barca con fondo trasparente per ammirare le bellezze del fondale marino. Ho anche pensato, baldanzosa: “se nelle navi si sta meglio in basso, figuriamoci come starò sott’acqua: il beccheggio quasi non si sentirà”. E ci credevo eh… Per fortuna non esistono testimonianze fotografiche di quanto successo dopo. Finché la barchetta è andata ero abbastanza tranquilla, non appena s’è fermata per far scendere i sub che ci avrebbero mostrato le meraviglie del fondale ho cominciato a diventare verde e poi sempre più bianca. Ho preso a masticare due Travelgum senza successo. Poi ho cominciato a sudare freddo, piangere e tremare: stavo malissimo, una nausea pazzesca. I poveri sub che, tutti contenti, venivano a mostrarmi le stelle di mare e i pesci che ci nuotavano attorno, si trovavano davanti una disperata in lacrime! Alla fine sono uscita sul ponte per prendere un po’ d’aria e, grazie a Dio, la barchetta ha preso la strada del ritorno. Ci ho messo un bel po’ a riprendermi ed ero talmente sconvolta che stavo per lasciare la mia macchina fotografica nuova sul muretto dove mi ero seduta! Abbiamo passato il resto della giornata in hotel a rilassarci e, verso sera, ci siamo fatti uno splendido bagno quasi in solitaria, nella vasca idromassaggio: favoloso!

23 Agosto

Oggi la nostra prima tappa sarà Paia la cittadina da cui poi parte la famosissima e, dicono, pericolosissima, “Road to Hana“. Esistono addirittura delle magliette con tanto di gloriosa dicitura “sono sopravvissuto alla Strada per Hana”… Ora, di tutto mi aspettavo, ma di certo non la paciosissima strada che abbiamo poi affrontato. E’ vero, è parecchio trafficata a causa dei turisti che si fermano lungo la via per ammirare panorami e cascate che la rendono tanto affascinante, ma da qui a dire che è una delle strade più pericolose al mondo… Insomma, cari Hawaiani, venite in Liguria e poi ne parliamo! Ad ogni modo partiamo baldanzosi e, in effetti, la strada offre scorci splendidi. Questa parte dell’isola presenta una vegetazione davvero lussureggiante grazie al terreno vulcanico che la costituisce. Si possono fare moltissime soste per addentrarsi nella vegetazione, ma ovunque ci si giri, già sul ciglio della strada, si possono ammirare splendide cascate o magnifici alberi dai fiori sgargianti. Ad un certo punto faccio svoltare Luca in una stradina secondaria che ci porta al Waianapanapa State Park dove facciamo una breve passeggiata ammirando i contrasti cromatici della costa, la spiaggia nera e inoltrandoci nella vegetazione alla ricerca della famosa grotta della principessa Popoalaea. Un’antica leggenda hawaiana descrive come la principessa, mentre si nascondeva nella grotta dal suo crudele e geloso marito, sia stata scoperta ed uccisa senza pietà da quest’ultimo. Da allora le acque che attraversano la grotta assumono una colorazione rossastra più volte l’anno in ricordo del crudele omicidio. Ovviamente la colorazione è dovuta in realtà a delle particolari alghe che si trovano sul fondo e che, altrettanto ovviamente, noi non abbiamo visto! Ma la camminata è stata comunque molto bella. Arrivati ad Hana, un paesino in mezzo al nulla a dir poco tranquillo e senza alcuna attrattiva, ci guadagnano un posto a sedere nell’unico locale in cui si possa mangiare qualcosa e ci rilassiamo un po’ prima di riprendere il viaggio al contrario e tornare verso casa. Decidiamo di fare l’ultima sosta nella prima attrazione venendo da Paia che avevamo saltato, il Giardino dell’Eden, un orto botanico che lascia senza fiato. Gli alberi sono imponenti e bellissimi, i fiori strani e dai colori intensi. Il Giardino è in chiusura, ma il proprietario ci ha spiegato come fare ad uscire e ce lo giriamo in santa pace. Ovunque si volga lo sguardo non ci si può non meravigliare. Finito il giro decidiamo di rientrare: siamo in giro dalla mattina e siamo abbastanza stanchi. Questa parte dell’isola però ci rimane nel cuore ci fa sentire davvero lontani anni luce dalla nostra Europa, da ciò che siamo abituati, più o meno, a vedere.

24 Agosto

Gli ultimi due giorni a Maui li dedichiamo al relax e alla ricerca di qualche souvenir, ma il 24 Agosto decidiamo di visitare l’ultima meraviglia dell’isola, il Parco del vulcano Haleakala. Si tratta di un vulcano inattivo a scudo massiccio, che occupa oltre il 75% della superficie dell’isola di Maui. Il suo cratere ha una circonferenza di circa 34 km ed è una dei più grandi del mondo. Partiamo subito bene: regalo al marito un frangipane e lui bello orgoglioso se lo appunta subito dietro l’orecchio in puro stile Hawaii. Qui anche gli uomini infatti spesso portano questi splendidi fiori fra i capelli. La salita è piuttosto lenta ed impressionante. Si può arrivare in cima con l’auto e si attraversano letteralmente le nuvole, dato che il vulcano è alto ben 3055 metri. Abbiamo deciso di andarci verso sera, per goderci il tramonto. Arriviamo all’ingresso e il gabbiotto del pedaggio è già chiuso: un cartello avvisa che poco più avanti c’è la macchinetta per il pagamento. Ovviamente non c’è nessuno a controllare: anche qui cieca fiducia! Facciamo il nostro dovere e proseguiamo verso il punto d’informazioni, anch’esso chiuso. Già da qui possiamo vedere come le casupole varie siano ben sopra le nuvole: e non siamo ancora arrivati sulla sommità del vulcano! Dopo altri 10 minuti di strada arriviamo finalmente in cima. Ammettiamo: fa freschino. Siamo partiti in tenuta da spiaggia, ma qui su tira una bella ariettina frizzante. Davanti a noi un letto di nubi bianche e soffici. Passano i minuti, la luce si fa sempre più calda ed i colori accesi… Piano piano il sole tramonta, ma la cosa che mi colpisce maggiormente è notare come nella nostra posizione sopraelevate ci sia ancora luce, mentre sotto di noi, sull’isola, sia buio e si siano già accese le luci della sera. L’Haleakala è stata un’altra di quelle esperienze per me molto forti. A differenza di Luca, che era già stato sull’Etna, io non mi ero mai trovata faccia a faccia con un vulcano, né ero mai salita tanto in alto in vita mia. La strada per ridiscendere è davvero un sogno: pare di calare giù da un altro mondo e ad un certo punto siamo proprio al pari delle nuvole e ci si sente in cielo, sospesi. Altro che aeroplano, questo per me è stato un vero volo!

25 Agosto

Il nostro ultimo giorno trascorre quindi un po’ in sordina. Vorrei tanto farmi un’ultima cena romantica in puro stile hawaiano, ma una pasta al pesto a mezzodì mi stronca lo stomaco come al solito e così ci godiamo semplicemente un po’ di sole e l’ultimo splendido tramonto sull’Oceano.

26 Agosto

Il 26 Agosto ci sveglia una brutta telefonata: l’uragano Irene che da qualche giorno lambisce le coste orientali si sta dirigendo, cosa ovviamente mai accaduta prima, verso New York, ultima tappa del nostro viaggio. Il tour operator ci dà pochi minuti per scegliere se saltare NY e tornare direttamente a casa. Che potevamo fare? Abbiamo accettato il cambio di programma e rinunciato ai nostri 3 giorni nella Grande Mela. Per fortuna in hotel avevamo internet e così ci siamo stampati tutti i voli ed i riferimenti vari. Avremmo fatto Maui-Los Angeles-Londra-Milano. Mi preoccupano un po’ soprattutto le 15 ore di attesa in aeroporto a Los Angeles così mando un sms alla nostra consulente viaggi che, finalmente, si rivela molto utile suggerendoci alcuni hotel nelle vicinanze dell’aeroporto dove cercare di dormire un po’ dato che saremmo atterrati nella città degli angeli alle 2 di notte per noi (5 di mattina ora locale). Passiamo il resto della mattina in giro per Lahaina e ci concediamo un pranzetto molto soddisfacente all’Heavenly Barbecue: l’insegna non lasciava dubbi! E poi aspettiamo il momento dell’imbarco sdraiati su una spiaggia che costeggia una delle strade principali dell’isola. Da Maui a Los Angeles va tutto liscio, nonostante qualche problema all’imbarco bagagli, visto il cambio di piano voli, ma mi pare che alla fine le addette capiscano. Arrivati a L.A. però non si capisce da dove partirà il nostro volo: giriamo per l’immenso aeroporto, ma non c’è traccia del volo della British Airways che ci hanno segnalato. Siamo troppo stanchi, per cui decidiamo di andare in hotel per riposare un po’ e chiamare da lì la consulente. Anche in questo frangente quest’ultima ci è di enorme aiuto: il volo è in code sharing e voleremo ancora con l’American Airlines quindi, non la British, come ci aveva comunicato il tour operator. L’hotel in cui ci scarica il taxi è a 5 minuti dall’aeroporto, ma, stranamente, ha disponibili solo le suite: in pratica per 7 ore di sonno in un letto spendiamo qualcosa come 120 dollari…ma ne avevamo bisogno! Da Los Angeles, in serata decolliamo verso Londra e con una corsa pazzesca, dato che abbiamo meno di un’ora per passare i controlli e raggiungere il nostro gate, ci imbarchiamo sull’ultimo volo. Ormai è il 28 Agosto e siamo un tantinello sfiniti. Alfine arriviamo a Milano. Peccato che le nostre valige, insieme a quelle di decine di altri passeggeri non siano arrivate. Ci mettiamo in coda per la denuncia e finalmente, totalmente sfatti, raggiungiamo casa dei miei per cenare e poi ci trasciniamo a casa nostra. Inutile dire che nei bagagli, stando in giro un mese, io avevo messo tutto il mio guardaroba estivo, soprattutto tutte le mie mutande: i primi 2 giorni son stati critici. Al quarto giorno abbiamo recuperato tutto per fortuna e la nostra avventura si è così conclusa.

In conclusione un viaggione veramente splendido in cui abbiamo visto tanto e perso altrettanto forse, ma che ci ha riempito gli occhi e il cuore di meraviglia.

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Gran Canyon

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Tramonto sull'Haleakala



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