Arrivederci New York

Giovedì 28 gennaio ho deciso, dopo settimane di ripensamenti (troppi impegni di lavoro e famiglia) e di itinerari virtuali, di partire realmente per New York: rapida telefonata alla Delta Airlines, mail all'albergo prescelto, valigia, e via. Sabato mattina 30 gennaio, poco prima di mezzogiorno sono salito sull'aereo: volo diretto Venezia-New York...
Scritto da: bernie60
arrivederci new york
Partenza il: 30/01/2010
Ritorno il: 04/02/2010
Viaggiatori: da solo
Spesa: 1000 €
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Giovedì 28 gennaio ho deciso, dopo settimane di ripensamenti (troppi impegni di lavoro e famiglia) e di itinerari virtuali, di partire realmente per New York: rapida telefonata alla Delta Airlines, mail all’albergo prescelto, valigia, e via. Sabato mattina 30 gennaio, poco prima di mezzogiorno sono salito sull’aereo: volo diretto Venezia-New York (circa 420 euro A/R); arrivo al JFK alle 15 locali. Sono partito da solo: moglie e figlio a casa per i loro inamovibili impegni. Peraltro, li avevo scoraggiati dal seguirmi: la prospettiva era fatta di lunghe camminate, con gli occhi spesso rivolti in alto a guardare i grattacieli, musei vari, quasi nessun negozio. Arrivato al JFK, ho preso la navetta (Super Shuttle – circa 20 dollari) e ho raggiunto in circa un’ora l’Hotel: non mi sono pentito di aver scelto il Broadway Plaza Hotel (circa 520 dollari per 5 notti, colazione compresa). Da fuori non è granché: ingresso sulla Broadway, angolo 27th (giusto una porta protetta da una pensilina), corridoio, piccola hall. Ma il personale è molto gentile e disponibile: il check-in è rapido, gli ascensori funzionano, le camere sono grandi, pulite e molto confortevoli (letto gigante, tv, ferro e asse da stiro per chi sa usarli, cassaforte, bagno molto grande con vasca/doccia). Alcune camere si affacciano sull’Empire (la mia no, purtroppo). Se l’hotel serve solo come base per lavarsi e dormire, va benissimo; la colazione continentale (dalle 7 alle 10) è in una piccola stanzetta (4-5 tavolini), ma si può mangiare anche in camera (io arrivavo alle 6.55 e trovavo sempre posto); offrono caffè (24/24) in abbondanza, dolci giganteschi (ipercalorici), frutta, marmellata, ecc.. La sera stessa, passeggiata verso il Greenwich Village, con un primo assaggio del clima: freddissimo, vento gelido, temperatura reale di circa -5°C, percepita -10°C. Obbligo di giubbotto, guanti e cuffia. Primo giorno (domenica – sole): prima delle 8 sono all’Empire State Building, brevissima attesa, salita alle biglietterie (conviene fare subito il CityPass: sei attrazioni, le principali di New York, a 79 dollari, metà del loro costo reale), salita all’86° piano e vista straordinaria della città; poi salita al 102° piano per una ulteriore occhiata a quell’immenso agglomerato (per salire al 102° si paga un biglietto aggiuntivo; attenzione che si paga anche se si vuole ritirare, alla fine, la foto che vi fanno all’ingresso); poi, sempre con un occhio attento alle architetture e, in generale, al paesaggio urbano, raggiungo il Chrysler Building e la vicina Grand Central, proseguo verso l’ONU lungo l’East River (attualmente è un po’ abbandonato, visti i lavori di ristrutturazione in programma); foto varie, occhiate agli altri immensi edifici, ai piccoli parchi, alla scarsa umanità in giro la domenica mattina, l’incredibile assenza di traffico (d’altra parte, anche nei giorni successivi, si vedono in giro principalmente mezzi pubblici, tantissimi taxi, molta polizia, vigili del fuoco, camion diretti nei molti cantieri, qualche bici, pochissime auto private); proseguo verso il General Electric Building e, poi, il Seagram, la Villard Mansion e la cattedrale di St. Patrick affollata di fedeli e in cui si celebrano messe a ritmo continuo; poi RCA Building e Rockfeller Center, Sony Building e Trump Tower (entrateci: è una celebrazione esagerata, provinciale, degli stereotipi americani di ricchezza, abbondanza, spettacolo); arrivo finalmente al MoMA, dove si possono ammirare alcuni dei maggiori capolavori dell’arte moderna (da visitare assolutamente, anche il giardino interno); infine Times Square e rientro in hotel. Prima di salire in camera, chiedo aiuto alla reception per trovare un biglietto per una partita di NBA: per 59 dollari riesco ad aggiudicarmi un buon posto per New York Knicks – Washington Warriors di mercoledì sera. Secondo giorno (lunedì – sole): via verso sud lungo la Broadway (da guardare con attenzione e ammirazione il Flatiron Building), giù a Washington Park, un giretto nella zona della NY University, poi svolta a ovest a prendere il Circle Line per fare il semicerchio (andata e ritorno) della punta meridionale di Manhattan (merita); il clima è gelidissimo e ventoso, ma resto sul ponte assieme ad altri impavidi e mi godo il panorama; si ha una percezione diversa della città, della sua esplosione in altezza, della densità di New York, contrapposta agli slarghi della baia (si passa accanto alla Statua della Libertà e ad Ellis Island), allo slancio dei molti ponti (Verrazzano resta in lontananza, si passa sotto al Brooklyn e al Manhattan Bridge). Alla fine delle due ore di battello, torno verso Times Square e mi dirigo a nord, verso Central Park: è un’oasi grandiosa (piena di scoiattoli), con molta gente a passeggiare o a correre, fintamente naturale, con viste molto suggestive verso gli edifici circostanti. Il mio prossimo traguardo, che raggiungo nel primissimo pomeriggio, è il Guggenheim Museum (da non perdere): l’edificio stesso, forse più delle collezioni al suo interno, merita un viaggio a New York (un conto è vedere le foto sui libri, un altro trovarselo di fronte dal vero, poterci girare intorno ed entrarci). C’è divieto di fare foto al suo interno: fate finta di niente e, appena fuori dalla vista del personale, magari dall’alto, scattate quante foto potete (ho notato che lo fanno quasi tutti: si sale a spirale e si visitano le collezioni su un lato; quando si arriva all’ultimo anello e la sorveglianza è un minore, un po’ tutti pian piano tirano fuori dai nascondigli la digitale e, prima timidamente, poi sempre più spudoratamente, scattano, scattano e scattano; io mi sono prontamente adeguato). Dal Guggenheim sono sceso fino al Metropolitan Museum (chiuso il lunedì), sono rientrato brevemente in Central Park e poi sono tornato giù a sud verso l’hotel, stanchissimo ma soddisfatto. Terzo giorno (martedì – un po’ nuvoloso): via verso sud, obiettivo Battery Park. Attraverso ancora Washington Square, il Greenwich Village, Soho, Tribeca e, seguendo sempre la West Broadway, arrivo a Ground Zero. Il luogo ricorda subito quell’evento drammatico, quei morti, le torri crollate: oggi è un immenso cantiere e uno sfregio urbano. E’ forse l’unico luogo dove ho trovato un traffico gigantesco, una marea umana sterminata, come se tutti i veicoli e le persone che normalmente gravitano su un isolato si fossero concentrate su Vesey e Church Street. Breve visita a Century 21 per i primi acquisti, poi giù verso Wall Street e poi avanti fino a Battery Park: vi trovate il Clinton Castle, il monumento alla marina e, poco discosto e dimenticato, quello ai veterani del Vietnam. Per chi vuole c’è il traghetto verso Ellis Island e Liberty Island. Proseguo verso est per la camminata più lunga della mia vita: raggiungo e visito il Pier 17, poi vado avanti, attraversando squarci di vecchia New York, e arrivo al Brooklyn Bridge. Il più famoso ponte di New York è lunghissimo (almeno a farlo a piedi): la sua storia, la sua costruzione, sono raccontate su alcuni pannelli lungo il tragitto; alla fine si arriva a Brooklyn. Ci ho fatto un rapido giro, senza meta. Poi marcia indietro, ponte, Av. Of the Fitness (nome azzeccato, vista l’occasione), un’occhiata ai Police Headquarters (edificio che definirei lugubre, in un’architettura degna della sede del vecchio KGB), su verso China Town e Little Italy (se ve li perdete non ci rimettete nulla), di nuovo Washington Square e infine in hotel. Lungo il tragitto vi verrà senz’altro fame: consiglio una sosta in uno dei locali (io ho scelto uno messicano) frequentati dagli impiegati della zona di Wall Street. Alla fine della giornata, assicuro, per la stanchezza non me la sono sentita neppure di cenare: bagno caldo, un litro di caffè, un dolcetto, un po’ di tv e via a dormire. Quarto giorno (mercoledì – variabile): la sorpresa del mattino è scoprire che aveva nevicato. Qualche centimetro, una spolverata, ma sufficiente per dare una visione diversa della città. Via su su fino a Columbus Circle, una puntata verso il Lincoln Center, una breve passeggiata nella neve del Central Park, Dakota Building e arrivo all’American Museum of Natural History. Merita una visita, magari un po’ frettolosa, almeno ai dinosauri e al settore dedicato allo spazio. Poi ho attraversato ancora il Central Park (valgono un’occhiata anche gli edifici, in vario stile, disseminati nel parco; vi si trova anche un castelletto) e sono arrivato al Metropolitan. Ho visitato solo ciò che realmente mi interessava, perché anche in questo museo, volendo e potendo, c’è da perderci le giornate: collezioni egizie (c’è anche un intero tempio), ala americana e sezione di arte moderna (Pollock, Warhol, ecc.). Quanto visto, per poco che fosse, è stato eccezionale. Poi, giù per la quinta strada e sosta obbligata per accontentare mio figlio, rimasto a casa: NBA store, dove l’appassionato di basket trova praticamente di tutto, con qualche occasione a buon prezzo. Serata al Madison Square Garden a seguire il match di NBA tra la squadra locale (in cui gioca Gallinari) e Washington (finale 106-85; partita non eccezionale, ma lo spettacolo è un misto di sport e atletismo in campo, patriottismo quando suonano e cantano l’inno, divertimento in stile americano durante due ore di musica e incitamenti dello speaker). Quinto giorno (giovedì – sole): per l’ultimo giorno, visita da Macy’s che si vanta di essere l’emporio più grande del mondo; faccio qualche acquisto per moglie e figlio, giro qua e là curiosando attraverso reparti immensi con quantità industriali di merci esposte. I prezzi sono buoni (è periodo di saldi) e in più ci sono sconti aggiuntivi per i turisti in possesso di una tessera che ti fanno fare appena arrivi. Pranzo al volo in uno dei locali all’interno del centro commerciale, ultima sgambata fino a Times Square e dintorni, rientro in hotel nel primo pomeriggio. Via all’aeroporto col Super Shuttle prenotato il giorno prima, attesa nella zona d’imbarco per le tre ore di ritardo dell’aereo, rientro a Venezia il giorno successivo a mezzogiorno. La gita finisce con l’arrivo in treno a Udine. Spero sia solo un arrivederci: New York merita senz’altro un’altra visita per rivedere alcune cose visitate troppo in fretta e per vederne altre di nuove.


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