Cuba

Cuba: decadente sopravvivenza Ero ancora bambina quando si parlò della fine delle torture inflitte da Batista e dell’arrivo all’Avana dei “barbudos” di Fidel Castro ed Ernest Guevara, detto el “Che”. Il giovane “libertador”, quel capodanno del 1958, aveva il fascino della divisa, l’allegria del trionfo dei rivoluzionari,...
Scritto da: frasca giuseppe
cuba
Partenza il: 25/11/2007
Ritorno il: 02/12/2007
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 1000 €
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Cuba: decadente sopravvivenza Ero ancora bambina quando si parlò della fine delle torture inflitte da Batista e dell’arrivo all’Avana dei “barbudos” di Fidel Castro ed Ernest Guevara, detto el “Che”.

Il giovane “libertador”, quel capodanno del 1958, aveva il fascino della divisa, l’allegria del trionfo dei rivoluzionari, l’enfasi di agognate abbondanze, tolte a commercianti e agli industriali delle monoculture di tabacco e zucchero, lontane come un miraggio perchè totalmente dipendenti dalle importazioni.

Un governo rivoluzionario che non sottovalutava una giustizia sociale e prometteva una riforma agraria; un regime socialista monolitico capace persino di far temere al presidente Robert Kennedy una nuova alleanza con la Russia, per l’installazione di impianti missilistici sovietici sul suolo cubano; una spina nel fianco da rimuovere, nell’aprile del 1961, con una invasione controrivoluzionaria diretta dalla Cia, nella baia dei Porci, con la crisi dei missili dell’Ottobre del 62, e con l’embargo, Bloqueo, ancora oggi attivo dal 25 aprile del 1961; una grave crisi economica, ribattezzata Periodo especial , negli anni novanta col crollo del regime comunista e col blocco economico del Comecon.

La frettolosa fuga di una classe sociale, sospettata di legami al vecchio regime, a cui era stata confiscata ogni proprietà. Campi di lavoro per i dissidenti politici. Repressione ed epurazione di omosessuali e prostitute, negli anni sessanta-settanta. Un addio tra componenti di una stessa famiglia, divisi dal sacrificio imposto e non accettato: un bimbo, sfuggito con i boat people a Miami , lontana solo 90 miglia, e conteso dai parenti della madre, esuli ed ostili al regime fideista, ed un padre rimasto a casa; una contestazione plateale dell’austerità del regime tra la figlia e lo stesso Fidel.

Un accorato appello al papa Giovanni Paolo II, durante la sua visita nel gennaio del 1988 ed ancora nel 2002 al papa e al mondo intero, riunito per parlare della fame nel mondo affinché, dopo anni di privazioni per la sua gente, venisse tolto “finalmente” l’embargo da parte degli Stati Uniti. E poi, dopo anni di rassegnazione ad una centralizzazione delle dinamiche sociali, la malattia di Fidel nel 2004 e le annunciate riforme della proprietà agricola, da parte di Raùl Castro, fratello del lider maximo, succeduto alla Presidenza di Cuba nel Febbraio del 2008 ma meno carismatico del Fidel! La facile diffusione di notizie, attraverso i mass media, condiziona certamente il viaggiatore che non ha fretta di arrivare ma è curioso di sapere, di rendersi conto personalmente, di calarsi nei panni dell’altro, di focalizzare sensazioni che la macchina fotografica aiuta a ricordare nel tempo. Nel mio taccuino avevo annotato il titolo del film “Havana”, dove Polasky presenta la città come capitale del gioco d’azzardo e della prostituzione; ricordavo perciò l’atmosfera dei casinò, degli incontri facili per i vacanzieri americani, del lusso esibito dai latifondisti amici di un regime corrotto, della persecuzione dei guerriglieri. Il disegno stilizzato dell’immagine del Che, invece, mi ricordava le speranze di risorgere di un popolo contadino.

Ma, recandomi in gita turistica, nell’Ottobre del 2005, ho avvertito un’atmosfera di decadente sopravvivenza: gente che cerca di sfuggire al naufragio di una rivoluzione, ormai invecchiata, ma che tuttavia l’ha salvata da un appiattimento che in occidente cancella ogni differenza e che con un eufemismo chiamiamo globalizzazione.

Nei centri urbani affascina la sopravvivenza di un vecchio stile coloniale. Nei piccoli centri: case nelle tinte dei colori pastello, con piccole verande dove sempre dondola una sedia in “finocchietto”, patii supportati da bassi colonnati a Vignales, finestre con eleganti gelosie in legno o in ferro battuto a Trinidad, lunghe matasse di fili elettrici sospesi tra le finestre a Santiago; una piazza con il ricordo di un eroe, una palma real “incinta” ed una bandiera con 3 strisce blu e 2 bianche ed un triangolo rosso con una stella bianca. L’Habana vecchia, in parte restaurata coi proventi della tassa d’ingresso dei turisti, sembra un villaggio decadente con facciate art dèco, rococo, barocche o neoclassiche che il tempo ha sporcato e reso fatiscenti; sembra vivere un’epoca preconsumistica dove il turista non viene travolto dalla frenesia dei commerci e del traffico urbano ma può andare a ritroso nel tempo fino ad incontrare Hemingway, nella “botteghita del medio” o nell’hotel “Ambos mundos”. Anche davanti al lungomare del Malecon, una linea di frontiera verso il consumismo, vi è silenzio: un’ampia baia deserta, senza i vistosi segni del mondo occidentalizzato, né ristoranti, né yacth, né lidi; solo un albergo fatiscente, voluto come richiamo per giocatori d’azzardo americani, negli anni cinquanta dal capo mafioso Meyer Lansky, e tante case dormitorio in alti ma freddi palazzi. Lungo le vie di collegamento verso la capitale è possibile notare, a tutte le ore, numerosi capannelli di gente che aspetta pazientemente un mezzo di trasporto ed un passaggio verso il luogo di lavoro: vecchie e colorate macchine americane chevrolet, datate prima della rivolta del 58, camion assemblati con container per il trasporto di lavoratori, carrozzelle adattate e tricicli a pedale con ombrellone come taxi urbani, biciclette e anche cavalli stile cowboys a Vignales Sono rimasta colpita dal culto della personalità del Fidel: non esistono colorate insegne pubblicitarie che invitano a consumare prodotti che non si possono importare o che si producono in quantità modesta ma slogan che, ad ogni angolo, ricordano al popolo,quasi a sostenerlo ancora nella dura lotta quotidiana, frasi pronunciate dal comandante Ernesto Che Guevara: “Asta la victoria sempre” ed altre..

I migliori meccanici, in barba al deterioramento che vorrebbe fare scartare alcune attrezzature, si sono da sempre industriati per “riparare e riciclare” fino all’impossibile, per noi consumisti, quanto non superava il blocco dei rifornimenti fondamentali di materie prime, attuato anche da parte dell’unione sovietica dopo gli anni novanta.

Le “botteghide” con scaffali vuoti e la gente in continua attesa, con una carta annonaria, “libreta”, che di fatto raziona pur garantendo a tutti una base alimentare: ogni mese 6 libbre di zucchero, 7 libbre di riso, 0,25 libbre di olio ed 1 l di latte al giorno per i bambini fino a 7 anni. Negozi moderni, non accessibili a chi dispone solo di pesos comuni, dove pagare con doppia moneta dove, pagando in “cuc”, cioè in pesos convertibili in dollari, si possono comprare beni di consumo di una “controllata” area capitalista. L’aspetto permissivo del nuovo sistema economico ha stimolato l’arte di arrangiarsi, sviluppata talora ai margini della legalità. Comincia, in questi anni, a fiorire il piccolo commercio privato, quello che anche il turista distratto può apprezzare: si può dormire nelle “case particolar”; nella “casa della trova” puoi fare piccoli commerci; nell’atrio di case private che espongono semplici cose puoi comprare modeste mercanzie. L’economia comincia a rialzarsi riciclando semplici cose ed eseguendo piccoli lavoretti privati , al ritmo della musica. A Cuba non manca certo la musica; nella “casa della cultura” si suona sempre, all’arrivo degli ospiti, si beve rum, daiquiri e moito, si fumano sigari e si ride. La musicalità del son, la salsa delle notti cubane nelle strutture turistiche e l’amabilità dei suonatori della casa della cultura invitano a muovere fianchi e piedi in ritmi suadenti, quasi spirituals capaci di purificare il sacrificio di vecchi lavoratori ormai stanchi di aspettare quel che una rivoluzione aveva promesso. Ma, appena si spengono le luci, si deve far conto della bolletta e di tutto ciò che va riparato perché non può essere importato.

La cubanità di gente servizievole e lavoratrice, pronta al sacrificio e patriottica, galante e sorridente, nonostante tutto, riunisce l’eredità spagnola alla cubana; è la risultante di una miscellanea di spagnoli laboriosi e di una mescolanza di popolazioni tribali, giunte con le navi negriere da tutta l’Africa, per coltivare le piantagioni di tabacco e canna da zucchero; anche qui non manca un numeroso gruppo di braccianti cinesi, vissuti inizialmente in condizioni di semischiavitù. Si avverte nell’aria, tra una tirata di sigaro ed un sorriso di bimbi, un’attesa paziente, come quando ad Ottobre, dopo i tifoni, ritorna l’azzurro, così si aspetta che i nuovi eventi tolgano l’isolamento e portino ad un nuovo benessere sociale! Lalla D’Agata



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