Iran, metà del mondo
Il deserto scorre uniforme intorno all’auto che sfreccia pericolosamente sulla strada battuta dai camion che da Karachi arrivano fino in Turchia, attraversando Kerman, Shiraz, Isfahan, Teheran, e Tabriz. La piana è punteggiata da piccolissimi villaggi, di solite forse qualche decina di abitazioni, tutta circondata di mura basse fatte di fango mischiata a paglia, così come le case stesse, a base quadrata, un solo piano e tetto a cupola bassa rotonda. Ci fermiamo presso uno di questi e dentro scopriamo famiglie numerose, composte quasi tutte da donne, ragazze e bambine. Gli uomini sono spesso fuori nel cortile a fare il formaggio o nella piana, al mattino, al pascolo delle capre. Sono donne che alla vista di un occidentale sono incuriosite quanto la vista di un alieno. Ci guardano, sorridono, ci vedono strani, forse ridicoli nei nostri abiti e nella nostra gestualità. Ci preparano subito il té caldo nei bicchierini trasparenti e ci offrono pane caldo preparato al momento (lo squisito nun’e dakh). Ci fanno accomodare nella loro casa senza mobili, interamente coperta da tappeti e cuscini che sottolineano le origini nomadi di queste popolazioni ormai stanziali da secoli. Le donne più giovani si cambiano d’abito e al ritmo di musica orientale danzano per noi…Mi sovviene allora un passato, quando nel mondo ellenico ulisse veniva accolto con cibo e danze durante la sosta in una corte e presso una abitazione anche semplice…L’abito scuro delle giovani è stato sotituito da sgargianti abiti ampi e turchesi, con brillantini e specchietti, lasciando solo vedere il loro viso tondo dove risaltano grandi occhi neri circondati da un volto liscio, senza imperfezioni e candido come il formaggio di capra che ci stanno offrendo.
I bambini sono i più curiosi di tutti, usano poche frasi in inglese e continuano a ripeterci “velcom” e “avariù”, non comprendendo poi le nostre risposte…
Ripartiamo subito…Dobbiamo raggiungere la cittadella di Bam, antico borgo nato intorno ad una fortezza, che a vederlo dovrebbe apparire come un castello di sabbia…Penso quanto sia appagante il viaggio e al suo reale significato. La gioia intensa di incontrare gente con vicendevole interesse e curiosità. Poche cose nella vita sono così appaganti. Girare a zonzo per una città remota come Kerman, l’antica “Creman” descritta sul Milione di Marco Polo. E allora penso ai suoi viaggi e penso a quanta vita vissuta davvero, penso a come ci si possa sentire liberi e allo stesso tempo soli e senza nessuno se non il tuo compagno di viaggio. Compagno di tutto. Lontani da tutto e dal proprio lavoro, dai propri affanni quotidiani, vicini, nelle gioie e nelle avversità…Liberi, liberi di pensare, di amare, di muoversi, liberi di fare solo ciò che oggi più si desidera, senza l’insostenibile peso del ieri e del domani…
Fermarsi ai margini del deserto e avere la profonda consapevolezza del sé, di questo puntino dell’Universo che è l’io che si fonde con l’Universo stesso…E penso all’ancora attuale dilemma greco dell’ Uno e del Tutto, dell’arché cioè dell’ Assoluto, dell’invariabile, dell’eterno…
Pensare allora ai sassi del deserto, alla loro storia, alla loro invariabilità, e poi alla gente nelle case che conserva ancora una lingua antica come il mondo, per sentirsi così importanti, così frutto di tanta storia… Volgere infine lo sguardo al cielo turchese per perdersi definitivamente nello spazio profondo della solitudine, dove tutto ciò che è immaginabile è possibile, dove il relazionarsi con gli altri è visto sotto un’altra ottica. Gli altri non sono un problema, sono solo il fluttuare delle onde dell’aria che ci circonda, che percepiamo dalla pelle, come le onde del mio Adriatico oggi così lontano, ma che così forte dentro di me fa sentire il suo ansare, come pulsare di un cuore pannico…Lo stesso ritmico pulsare delle fontane dei giardini di Shiraz, dove piacevole e appagante è incontrare gli sguardi della gente, per un istante e poi…Mai più…In uno sguardo però c’e’ tanta storia, tutti i nostri desideri, tutta la nostra vita vissuta che attraverso lo sguardo stesso vorrebbe esprimersi, nella ricerca dell’altro… Da quegli occhi scuri aperti al mondo, tanto desiderio di vivere, al di là delle costrizioni umane, della politica, di ciò che deve essere fatto e non fatto…Dagli occhi tanta luce quanto il sole del tropico del cancro, generoso, che colora il mondo…
Ebbene, il tragitto per Bam, passa per Kerman, dove ci fermiamo a visitare “masjad’è jomè”, la moschea del venerdì, un ampio, ampissimo cortile quadrato, al centro una vasca quadrangolare con poca acqua, tutto circondato da portici e archi a sesto acuto che danzano interrotti solo da quattro alti portali sapientemente e pazientemente decorati con arabeschi color crema, turchese, oro…Con gli occhi seguo le scritte che percorrono tutto il porticato e mi stupisco di quanta arte possa esserci nella calligrafia, non solo mezzo per scrivere parole, ma completo strumento di comunizione, anche artistica. E’ l’alfabeto persiano, diffusosi poi in gran parte del mondo islamico, fatto di lunghe lance verticali, e sciabole ricurve, poi doppie e triple losanghe, che ricordano forse la scrittura cuneiforme…Quanta bellezza nella parola, quanto significato racchiuso…Penso alla parola come contenuto del significato, non solo come codice che identifica l’oggetto, ma come ampia spiegazione dell’oggetto, attraverso il suono, l’ideogramma, le radici costituenti la parola…Così mi illudo di poter leggere le scritte senza conoscere una parola di Farsi, cerco di librarmi e seguire il danzare delle sciabole e losanghe, conscio di comprendere…
Un vecchio si inginocchia ai bordi di un ampio tappeto e prega. Lo osservo, e mi chiedo quanto sia giusto il mio dire “Dio non esiste” e il mio “Dio è solo nella mente degli uomini”. Quanto conta allora il mio pensiero, la mia convinzione davanti alla convinzione di tutta la gente di Kerman? E di tutta la regione? E di tutto l’Iran? Io continuerò a pensare quello che penso, senza sapere mai quanto sia giusto. E’ forse più umano seguire la cultura dei popoli? Secoli di cultura, invece delle mie riflessioni fatte in pochi anni di vita? Ma in fondo cosa importa? Non è forse grazie alla diversità che viviamo? Non è il sole che tiene la terra e la terra la luna, che fa girare tutto? Non sono i poli positivi e negativi che insieme generano energia? Non sono gli occhi così diversi della mia donna che mi danno motivo di vivere? Alcuni dicono che il relativismo è il nuovo male da combattere. Ma non è forse il relativismo la più grande certezza del mondo? La cosa più evidente? Il mezzo stesso per comprendere di più il mondo? Amarlo anche e rispettarlo di più…
L’auto del nostro autista sfreccia attraverso una gola tra le montagne dell’altipiano asiatico, quando ci dice che non stiamo andando a Bam, poiché qualche anno fa un violento terremoto lo ha distrutto completamente e che andremo a visitare un’altra fortezza, molto simile, nei paraggi, forse anche più bella…Ma in fondo cosa importa dove stiamo andando? Io sono qui e viaggio.