La Via della Seta ed altri percorsi

Poi ci sono alcuni viaggi che inspiegabilmente, senza che tu lo cerchi o ne sia consapevole, diventano altro: si snodano, si biforcano, seguono un filo invisibile, rincorrono le coincidenze e fanno salti mortali per poi assumere la forma di un vero e proprio percorso. Questo è quello che ci è successo.
Scritto da: Meridiano307
la via della seta ed altri percorsi
Viaggiatori: 2
Spesa: 4000 €
Ogni viaggio è una storia a sé, lo sappiamo tutti. Non è detto che la stessa destinazione rappresenti per tutti lo stesso arrivo, non tutti cerchiamo le stesse cose o facciamo le medesime riflessioni e non tutte le corde che vengono toccate sono le stesse.

Poi ci sono alcuni viaggi che inspiegabilmente, senza che tu lo cerchi o ne sia consapevole, diventano altro: si snodano, si biforcano, seguono un filo invisibile, rincorrono le coincidenze e fanno salti mortali per poi assumere la forma di un vero e proprio percorso. Questo è quello che ci è successo.

Nel Febbraio 2019 siamo andate al Carnevale di Venezia, per provare ad assaporare, anche idealmente, l’atmosfera che la Serenissima doveva avere al tempo del Doge, degli sfarzi e del Casanova. Anche noi volevamo passeggiare di notte tra calli illuminate da fiaccole, con la nebbiolina che alzandosi dai canali lascia intravedere i profili incerti e tremolanti di dame e cavalieri, saltimbanchi e giocolieri, nobili e mendicanti, che giocano a prendersi e lasciarsi tra i chiaroscuri della notte.

Un fine settimana al sapore di ciccetti gustati in qualche baccanale seminascosto; sì uno di quelli poco lucenti e per niente vistoso, uno di quelli non instagrammabili e non perché privo di un fascino proprio, ma perché se l’oste ti vede spippolare al cellulare rischi che ti butti fuori. E senza passare dal via.

Un fine settimana bellissimo, ma poi finito lì.

E invece no. Il diavolo ci ha messo lo zampino perché per noi aveva un’idea diversa: quella di farci arrivare fino alle porte della sua casa.E così senza essere nemmeno troppo consce del collegamento che stavamo facendo, nelle nostri menti cominciavano ad apparire cupole diverse rispetto a quelle di San Marco, campanili che in altre lingue si chiamano minareti, Chiese che in altre culture si chiamano Moschee.

Ed abbiamo iniziato a sognare sapori esotici e notti stellate; condottieri valorosi ed animali assopiti dentro ai caravanserragli; rumori di mercati ed urla di mercanti… l’Uzbekistan ci stava chiamando, la Via della Seta come le sirene di Ulisse aveva iniziato il suo canto.

E noi ci siamo lasciate sedurre.

Senza pensarci.

Senza di certo pentirci.

Uzbekistan dal pane buonissimo e l’aria che profuma di cumino misto al vento caldo del deserto, ci ha accolte spalancandoci la porta della sua storia. Allora è stato un attimo ritrovarci a chinare il capo al cospetto del minareto di Bukhara, seguendo l’esempio di Gengis Khan che mai in vista sua si era inginocchiato di fronte a nulla e nessuno; a perderci tra i vicoli di Khiva per finire a struggerci tra i merli delle sue mura, di fronte ad un tramonto che difficilmente scorderemo; passando per quel sogno chiamato Samarcanda, che solamente il nome fa provare un brivido di emozione in ogni centimetro del proprio corpo.

Posare i piedi nei luoghi che hanno contribuito a creare la storia è senza ombra di dubbio un privilegio raro. E credetemi, qui la storia si sente, si percepisce a pelle, l’aria stessa ha una vibrazione diversa.

E da lì al Turkmenistan è stato un altro viaggio nel viaggio. Passare la frontiera a piedi, aspettando per ore il proprio turno, compilando documenti in una lingua assolutamente incomprensibile, cercando di comunicare a gesti con il tuo vicino in cerca di un qualche aiuto, almeno per scrivere il tuo nome nel punto giusto, ci ha riportato ad un’altra dimensione, molto diversa da quella degli aeroporti super hub – iper moderni e commerciali.

Era qui che il diavolo ci voleva. Per passare la notte dentro una canadese in uno pseudo campo tendato russo, senza né luce né acqua; sedendoci ad una tavola troppo piccola per contenerci tutti, mangiando una pasta (buonissima) cotta dentro un pentolone di quelli da pozione magica. Come fosse un rito, come fossimo viaggiatori di altre epoche. Come se quel pentolone contenesse la formula magica della felicità.

E poi nel buio della notte, nel silenzio del deserto, anche noi abbiamo compiuto una specie di pellegrinaggio, fatto di gioia, risate, passi sulla sabbia, ed aspettative, non certo deluse, fino al cratere di Darvaza, meglio conosciuto come la Bocca dell’Inferno.

Vorrei avere le parole per descrivere quel momento. vorrei trasmettere il calore provato affacciandomi dal bordo, vorrei che dalla monitor filtrassero i suoni, gli odori, la luce e la gioia del momento.

Un viaggio pieno di condivisione, scoperta, emozioni, che non potrei descrivere in altro modo se non incredibile; ma purtroppo, come ogni viaggio che si rispetti, dopo una manciata di giorni ci ha viste prendere la via del ritorno.

Però siamo state sulla Via della Seta, ma ci rendiamo conto? Cosa poter chiedere di più?

Devo ancora ripetermelo, perché a volte ancora non ci credo: abbiamo percorso

La via della Seta.

Ed è un vestito che ci ha donato moltissimo

Ma ancora non sapevamo che quella era solo un’altra, ennesima e meravigliosa, tappa del percorso che il 2019 aveva in serbo per noi: il destino, la fortuna, certamente qualcuno che lassù ci ama, aveva deciso che la conclusione non avrebbe dovuto essere quella.

Questa Via della Seta ce la dovevamo fare dall’inizio alla fine. Occorreva vedere con i nostri occhi quel santo Graal del commercio, quella terra promessa ricca di tessuti, spezie, cultura, a cui Marco Polo ha dedicato un libro; quella terra così delicata ma allo stesso tempo così forte e tenace per cui le sue consuetudini sono riuscire a resistere fino ai giorni nostri.

Quella terra capace di viaggiare a due velocità: quella dei gesti lenti di chi segue e rispetta le tradizioni come stile di vita e quella delle connessioni iper veloci e tecnologiche di chi si danna l’anima per rubare giorni al futuro e regalarli al presente.

La Cina.

La Cina senza io che lo volessi ha cambiato il mio modo di vedere le cose; non so bene il perché o forse si: perchè questo paese mi ha tolto la spocchia dell’europeo “so bello io so figo io”; non è vero che gli altri sono peggiori è che io sono ignorante e come tale ignoro il 90% del bello che l’altro ha da offrire; mi ha aperto la mente perché ho visto dare un significato profondo ed importante a cose che io non ritengo “degne” nemmeno di uno sguardo, se non per motivi stilistici o di design come ad esempio i braccioli delle sedie.

E quindi, mentre passeggiavamo tra una calle ed un’altra in cerca di maschere e divertimento, come potevamo anche solo immaginare che in realtà c’eravamo messe sulla scia di Marco Polo? Che di lì a poco avremmo percorso quelle stesse strade che lo portarono a vivere strabilianti avventure?

Quei passi indirizzati ad oriente, verso il sorgere del sole.

Passi su strade acciottolate tra resti di antiche fortezze, di cui oggi ne rimane solo il nome ed una manciata di sabbia; passi divenuti danzanti nel bel mezzo di un matrimonio turkmeno al quale eravamo stati invitati; passi tramutati in abbracci con delle signore dal sorriso più bello e sincero che avessi mai visto; passi che hanno spiccato il volo, improvvisando un gioco fatto di urla e risa, con dei bambini di un paesino dimenticato da Dio e dagli uomini; passi che ci hanno portato lì dove tutto è cominciato: nell’antica capitale ormai completamente stravolta dalla modernità, ma ancora difesa dal suo esercito millenario, ora come allora, in servizio e fedele all’imperatore che gli dette la vita.

Passi che ci hanno aperto le porte della Città Proibita.

Passi che che infine ci hanno riportate indietro, ma diverse da come eravamo partite.

E nulla, i percorsi sono strani, sai dove iniziano senza però avere la minima idea di dove poi ti condurranno. Senza sapere chi sarà al tuo fianco, né per quanto tempo. Non esistono navigatori, nessuna preview sulle curve, salite, discese, tornanti, cambi di direzione, stop, inversioni di marcia, contromano, freni a mano, pisolini nelle piazzole, colpi sul clacson e gas a tavoletta.

In definitiva abbiamo solo una scelta possibile…che è quella di andare. Magari cercandosi la miglior compagnia possibile per condividerlo, alzando il volume della musica, possibilmente a finestrini aperti per far entrare il profumo del posto in cui ti trovi e chiaramente godendoti il panorama.

Ed il bello dei percorsi è che sono ciclici perché hanno un inizio, un tragitto ed una fine.

E quando siamo lì lì per posare lo zaino possiamo chiederci se siamo disposti a ripartire rimettendoci in gioco ancora una volta, o se quel viaggio non è più adatto a noi e quello zaino in terra rappresenta davvero la parola fine.

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