Vietnam a febbraio 2007, racconto di Viaggio
BLQ-ROMA ROMA-KUL KUL-HANOI 860 euro Questa era un’ offerta dell’Air Malaysia, altrimenti avevo trovato voli piu’ comodi ma tutti sui 1200 euro.
L’Air France comunque vola direttamente da Parigi al Vietnam.
24-01 All’arrivo ad Hanoi per la prima volta in vita mia mi sono fatto venire a prendere all’ aeroporto (la vecchiaia, immagino).
E’ comodo, forse economico – 10 dollari – ma non lo faro’ piu’ : mi e’ mancato il momento dell’arrivo in cui stremato e confuso non so dove sono, e devo per forza e in fretta dare un nome alle cose.
Quella misteriosa sensazione di essere perduto in un posto in cui non conosco.
Il contratto col taxista, il fuori dall’aeroporto quando sei solo, non conosci nessuno, non senti nulla come tuo, e sei abbandonato, improvvisato, entusiasta e libero.
25-01 Hanoi e’ rumore. Di motori, di ciclomotori, e di clacson. In confronto l’India sembra un monastero. Tutti suonano il clacson, sempre e comunque. Perche’ devono passare, perche’ c’e’ qualcuno, perche’ sorpassano, peche’ il loro clacson e’ migliore, piu’ rumoroso o piu’ complesso.
Ma non e’ un “fammi passare”, e’ sempre uno scampanellare che vuole significare “ehi, attenzione, sto arrivando”.
E quindi che dire? Suonate, suonate, suonate.
Vedo per la prima volta le stranissime case vietnamite, strette e profonde. C’era una legge (a volte le costruiscono ancora cosi’, anche se direi che la legge non ci sia piu’ da un secolo) che intimava di pagare una tassa corrispondente all’ occupazione del suolo della facciata degli edifici.
Cosi’ i vietnamiti cominciarono a costruire le case con le facciate strettissime, giusto la porta e due finestre, e poi a svilupparle in profondita’.
Sono davvero strane.
Oggi ho bevuto in un microbar dell’ Old Quarter, la mia prima Bia Hoi.
La Bia Hoi, letteralmente birra fresca, e’ una birra alla spina, ottima e leggera, che va consumata in giornata.
Non l’hanno certo in tutti i bar ma non e’ nemmeno difficile trovarla.
Sopratutto, una Bia Hoi costa 2000 VND.
Una buona birra, forse la migliore, la Tiger, in un locale costoso puo’ costare 20000 VND, cioe’ un euro.
Una Bia Hoi costa quindi 0,10 euro.
Il Vietnam non e’ il posto giusto per smettere di bere.
E le Marlboro costano 1 dollaro.
Mi sa che diventero’ sano in un’altra vita.
E’ sera, sto appunto bevendo una Bia Hoi in un magnificio incrocio di strade e di bar dove persino io che di solito sono muto, parlo con un sacco di gente.
Una coppia mista mi sta illustrando il modo di preparare il polipo dei venditori di strada, e si avvicina un consueto venditore.
Hello friend, DVD? No grazie Libri? No grazie Guide Turistiche? Ma no dai Postcards? No, no Marijuana? Parliamone.
Nell’ Old Quarter quasi tutte le strade sono destinate a qualcosa. Il quartiere e’ diviso per mestieri, come gia’ in altre parti in Asia.
E’ una soluzione spesso opposta alla nostra, che tendiamo invece a spargere per il territorio le professioni.
C’e’ la strada dei venditori di scarpe, degli scultori di lapidi, i fabbri (potete immaginare il rumore di Hanoi a cui si aggiunge un continuo battere sulla lamiera?).
Strade solo di alcolici e tabacchi, di vestiti, di materiale elettrico, di ristoranti e di giocattoli.
L’unica cosa che mi salva dallo spendere una fortuna in qualunque cosa e’ che quando viaggio compro solo quello che mi serve e stronzate.
In questo caso infatti non mi faccio sfuggire un cobra in bottiglia con del peperoncino.
Li vendono in molti posti, spesso nei negozi di medicina tradizionale, dove tra funghi della longevita’ e cavallucci marini secchi il commesso non ti degna di uno sguardo perche’ sa che non sai nulla di qualunque cosa potrebbe venderti.
Ma e’ stato il mio atavico amore per le creature in bottiglia a farmi fermare a occhi aperti (mi chiedo quanti che hanno viaggiato nelle Filippine siano andati al Museo dell’Universita’ a Cebu per vedere le pochissime creature sotto formalina).
Bottiglie di tutte le misure, piene di serpenti che mangiano scorpioni, scorpioni che mangiano serpenti, lucertole, insetti giganti.
Quelle grandi immagino siano piu’ estetiche che altro, le piccole bottiglie col serpente dovrebbero essere un elisir simile a quelli del Far West, buono per quasi ogni genere di disturbo.
Ma non credo lo berro’.
Mettero’ la bottiglia con il cobra insieme agli oggetti della mia collezione, una mensola probabile di sfortuna, forza negativa e caos.
Ma io non ci credo, io sono darwiniano a volte.
27-01 I vietnamiti sono piccoli, anzi piccolissimi. Niente giudizi morali eh, ma alcuni sono davvero microscopici.
Nei ristoranti classici (quelli dove mangiano loro insomma) usano sedie e tavoli e sgabelli in plastica che sono piccoli anche per loro.
Sono quelli secondo me che noi usiamo negli asili.
Quando un occidentale si siede e’ una visione esilarante, tranne quando l’occidentale sei tu e stai mangiando alla tavola dei nani sentendoti Gulliver.
Posso immaginare un sacco di ragioni per questo minuscolo mobilio ma la cosa continua a colpirmi.
E i vietnamiti sono giovani. Una cosa che non puo’ passare inosservata e’ la gioventu’ totale che occupa le strade.
Per quanto credo ci sia ora un qualche controllo delle nascite da parte del governo, e si vedano vviamente delle anziane che avranno minimo 400 anni, il Vietnam e’ occupato dai giovani.
Ad Hanoi vado a vedere il Mausoleo di Ho Chi Min ma non entro a vedere il corpo conservato.
Ho Chi Min aveva chiesto di essere cremato, il governo invece gli ha costruito una tomba decorata da 2 soldati in alta uniforme che si danno il cambio come le guardie della Regina.
L’ avesse voluto Ho Chi Min gli darei una connotazione pop, ma cosi’ non mi interessa.
Se non credo a nulla dopo la morte, sono abbastanza fissato invece col rispetto della volonta’ dei vivi.
Non sono entrato nemmeno nel Museo di Ho Chi Min, la cui architettura esterna e’ un esempio lampante di come il comunismo di stampo sovietico sia diventato (forse cosi’ doveva essere, forse cosi’ e’ sempre stato) davvero molto simile a una religione. E non e’ un complimento.
Accanto c’e’ pero’ la pagoda a una sola colonna, che appunto sorge su una sola colonna.
La Pagoda e’ in un minuscolo specchio d’acqua, proprio accanto al Museo, che e’ invece enorme, bianco e tagliato con l’accetta e dominato da un enorme bandiera vietnamita, rossa con la stella gialla al centro.
E la pagoda e’ cosi’ piccola, cosi’ strana, cosi’ leggera.
Un’ inaspettata scoperta gastronomica: il caffe’ vietnamita.
E’ sempre buonissimo ma quando fanno quello vero e’ strepitoso.
E’ a cascata, il caffe’ scende lentamente da un contenitore/filtro di metallo dentro a una tazzina.
(e viene sempre servito con accanto del the’ ghiacciato) E’ denso, profumato, saporitissimo. In vita mia e’ la prima volta che paragono un caffe’ all’ Espresso.
Ad Hanoi e’ abbastanza facile trovarlo, a volte puoi anche scegliere la miscela. In piccoli baretti molto francesi in cui chiudi gli occhi, cerchi di non ascoltare per un momento il rumore, e improvvisamente sei in Indocina.
E bellissimo, ad Hanoi, e’ il Tempio della Letteratura.
Un ‘isola di silenzio che e’ stata la prima Universita’ del Vietnam. Gli studenti davano l’ultimo di una serie d’esami davanti all’ Imperatore in persona che li interrogava.
E’ un posto splendido, che lascia immaginare come doveva essere viverci e studiarci dentro, e dove vedo per la prima volta l’ architettura vietnamita, e la disposizione architettonica con un edifico centrale e ai due lati due piccoli gazebo che contengono un enorme tamburo orizzontale e una campana.
Dovrebbe essere l’ architettura cinese classica del tempio buddista, o questo e’ piu’ o meno quello che so.
A Hue, nella citta’ proibita, il tamburo ha disegnato su entrambi i lati il simbolo del tao, e tanto basta per farmi dire che come sempre, anche qui, anche ora, tutto scorre e tutto gira.
Ad Hanoi non vado nemmeno a vedere il teatro delle marionette sull’acqua. Credo sulla parola che siano un magnifico spettacolo ma io detesto le marionette e i burattini. Che siano sull’acqua, sulla terra, che siano cinesi, siciliani, indiani.
Siccome sono un pirla e cambio idea ogni tre per due, trovo solo un volo in business per Hue, la classe economica era in partenza alle 6 del mattino.
(e anche in business c’era comunque solo un posto ancora libero) Do’ 80 dollari alla ragazzadell’Agenzia riflettendo sulla mia incapacita’ di progettare qualunque cosa ma non e’ stato comunque male, anche se per un’ora e 10 minuti, stare in business class.
Ci avevo volato soltanto per overbooking il mio primo viaggio, per lavoro, negli Stati Uniti.
Ora sto a Hue, sulla riva meridionale del Fiume dei Profumi.
Quanto mi sono innamorato dei nomi quando studiavo questo viaggio.
Noi di solito per nominare i luoghi usiamo un linguaggio geografico, e quindi abbiamo il Lago di Como, le Grotte di Frasassi, la Reggia di Caserta.
Molto spesso in Asia usano invece un linguaggio mitico/storico: cosi’ qui abbiamo il Fiume dei Profumi, il Lago della Spada Restituita, il Palazzo dell’Armonia Suprema, il Belvedere delle Cinque Fenici.
Massimo rispetto.
28-01 A Hue piove, pioviggina e annebbia tutti i giorni. I miei vestiti sono umidi, le lenzuola sono umide, le Marlboro diventano umide a meta’ fumata.
In confronto la pianura padana sembra il Sahara.
Ma vado comunque a vedere la Cittadella, tra nebbia e foschia.
Hue e’ l’antica capitale del Vietnam, c’e’ quindi l’antica cittadella, con mura e fossato, che contiene al suo interno la Citta’ Proibita, un tempo dimora dell’ Imperatore.
Non e’ tenuta benissimo, perche’ prima che diventasse qualche anno fa patrimonio dell’Unesco il Governo aveva deciso di lasciarla andare in rovina in quanto simbolo di tempi non repubblicani ne’ comunisti.
Poi si sono accorti probabilmente che il turismo e’ una fortuna e l’hanno aperta al pubblico e cominciato a mantenerla.
I turisti qui ad Hue sono comunque davvero molti meno che ad Hanoi.
Probabilmente perche’ molti fanno un viaggio Vietnam, Laos e Cambogia e del Vietnam vedono quindi quasi solo Hanoi o Saigon.
O forse stanno tutti piu’ a Sud, al caldo.
Ma Hue invece e’ piuttosto bella, pur nella decadenza della Citta’ Proibita. Il Fiume dei Profumi, benche’ avvolto nella nebbia, e’ splendido, e anche le strade attorno hanno un loro fascino.
Niente crociera sul fiume a vedere le Tombe Imperiali pero’. C’era chi le faceva lo stesso (lungo il fiume ci sono vari mausolei degli Imperatori) ma il tempo era davvero troppo inclemente.
Sono giusto arrivato a vedere la bellissima pagoda di Thien Mu, in cyclo, ma non sono andatro oltre.
Unica cosa, ancora una volta, come in India, non riesco ad andare a vedere i villaggi dove fabbricano l’incenso.
Sara’ il destino.
La Pagoda di Thien Mu e’ da dove parti’ alla volta di Saigon (e c’e’ la vecchia Austin esposta infatti) il monaco, ora eroe nazionale, che si diede fuoco in pubblico, in posizione del loto, per protestare contro la discrimimazione nei confronti dei Buddisti e la politica dell’ allora governo sudvietnamita.
E’ una famosa foto che ha fatto il giro del mondo.
Anche i vari cyclo driver e biker sono molto poco insistenti, al contrario di quanto avevo letto, perlomeno rispetto a molti altri paesi.
Certo, una chiamata te la danno sempre, ma basta un gesto per negarsi, e d’altra parte non e’ colpa loro se i turisti saranno 500 e i cyclo e le motociclette 100000.
Poche volte come in Vietnam, ma e’ vero che e’ inverno, ho visto un’ offerta turistica cosi’ esageratamente superiore alla domanda.
Di tutto, alberghi, ristoranti, trasporti.
Vedremo cosa succedera’ con l’avvicinarsi del TET, il capodanno vienamita, che dovrebbe essere il 18 febbraio.
29-01 Hoi An Hoi An e’ bellissima fin da subito. Il posto perfetto dopo il caos di Hanoi e l’inverno di Hue.
Ma forse e’ stata solo sfortuna, alla partenza da Hue c’era un bel sole, come qui del resto.
Hoi An e’ piena di cose da vedere, straturistica e tranquilla.
O quasi.
Le strade del centro sono distese di ristoranti e shop per turisti, e i negozianti ti chiamano continuamente, come i bikers del resto, che devono davvero avere vita difficile visto che Hoi An la si gira tranquillamente a piedi.
Saro’ pessimista ma temo diventera’ come il Rajasthan, dove a volte e’ difficile trovare pace dai negozianti.
(e i commessi sono cosi’ pressanti che cacciano i clienti, molti escono dai negozi in cui sono entrati solo per guardare perche’ qualcuno gli sta troppo appiccicato. Cosi’ alla fine finisce che non guardi nemmeno il negozio) Vado a vedere il ponte coperto giapponese, piuttosto bello in effetti, giro per il mercato e per le strade guardando le bellissime case di Hoi An.
Passeggio lungo il fiume, bevo qualche bia hoi (3000 dong qui, piu’che ad Hanoi. Ma per il resto Hoi An e’ molto piu’ economica). Provo la cucina tipica, il Cau lao, le white rose e il pesce grigliato nelle foglie di banana, tutto buonissimo.
Tengo i monumenti, i templi e l’interno delle vecchie case per i prossimi giorni (si fa un biglietto, che da’ la possibilita’ di scelta su alcune cose da vedere.Per vedere tutto il possibile bisogna quindi comprare piu’ ingressi. E’ una soluzione che non riesce per nulla a convincermi) Domani, se c’e’ il sole, si noleggia una bici e si va a Cua Dai, in spiaggia. 30-01 Mi sveglio, prenoto il treno per Mui Ne (e gia’ trovo solo degli hard seat che quelli soft sono tutti pieni) e terrorizzato dal TET compro pure il volo di ritorno da Phu Quoc.
Quando dico che intendo andare a Phu Quoc in barca la ragazza dell’ hotel mi guarda di traverso e mi chiede “Are u sure?”, come se fosse l’ultima cosa sensata che si possa fare nella vita come turista.
Ma non so ancora quando andro’ a Phu Quoc, e’ gia’ tanto che abbia prenotato il volo, sperando di non avere gettato al vento 36 USD.
(Alla fine andro’ a Phu Quoc in aereo ma ci sono due barche veloci al giorno, che in 2 ore e mezza da Rhac Gia vi portano a Phu Quoc, anche se ad An Thoi, da dove in autobus o con altri mezzi raggiungerete Duon Dong) Poi noleggio una bici (1 USD al giorno), anche se stanotte e’ piovuto e il tempo e’ ancora incerto.
Pedalo verso la spiaggia (circa 5 km), ci arrivo che piove, mi fermo per una birra in un bar con tettoia e dopo 10 minuti arrriva uno splendido sole.
La spiaggia di Hoi An e’ magnifica, lunga, costellata di palme, ma, almeno ora col mare in burrasca devastata (si’ devastata e’ la parola esatta) dal catrame.
Cosi’ le do’ uno sguardo, mi bagno per la prima volta i piedi nel Mar Cinese meridionale, riprendo la bici dal deposito e comincio a vagare lungo il fiume e tra le risaie.
E’ fantastico, la bicicletta, anche se in alcuni tratti sabbiosi bisogna scendere, e’ un mezzo perfetto per perdersi nelle campagne e lungo l’argine, guardando il fiume silenzioso, circondati da farfalle e uccelli che sembrano aironi (ma non so nulla di uccelli).
Domani vado a My Son, con una barca che parte alle 8.
Trovero’ il pieno di turisti? Probabile ma gia’ mi e’ difficile svegliarmi alle 9, figuriamoci alle 7.
Sto in vacanza eh, non me lo dimentico.
A Hoi An, come ad Hanoi e Hue, e’ pieno di ATM.
31.01 In vita mia non ho mai preso tour organizzati veri e propri. Giusto per la prima volta l’anno scorso in Messico per andare a Chichen Itza ero andato con un minibus in cui eravamo in 6, la guida era sveglia e non mi ero trovato male.
Un po’ come alla Baia di Halong, poche persone, e si sfrutta l’organizzazione piu’ che altro per il trasporto e la comodita’.
Sono molto facile quando viaggio, non controllo metodicamente tutto quanto, tranne le cose fondamentali, biglietti aerei e di treno e cose cosi’.
Stavolta quindi non mi ero nemmeno accorto di che tour per My Son avevo preso. Avevo scelto quello da 5 USD, con ritorno in barca invece che in bus (3 USD).
il tour comincia alle 7.45 quando arriva il classico autobus Open Tour, stavolta e’ pieno, e quindi si perde gia’ mezz’ora a fare il giro degli alberghi per raccogliere i partecipanti.
Arrivati a My Son, la guida, dopo una breve introduzione, ci lascia perlomeno 2 ore da soli per girare il sito.
2 ore non sono molte ma possono essere abbastanza.
Ma questo e’ comunque l’ultimo tour organizzato che prendo in vita mia.
Non e’ per il pranzo misero in barca, ne’ per l’inutile fermata nel villaggio degli intagliatori di legno.
Nemmeno per il fatto che il ritorno in fiume non e’ niente di che, il fiume che passa per Hoi An il quel punto e’ largo e le rive sono per lo piu’ sabbiose.
Si vedono spettacoli migliori vagando in bicicletta.
Ma se fossi stato piu’ attento queste cose in fondo avrei dovuto saperle. Non prendero’ mai piu’ un tour organizzato perche’ non riesco a sopportare che qualcuno mi dica quanto stare, dove stare, di non allontanarmi o che tra dieci minuti devo tornare.
Non fa per me.
Detto questo My Son non e’ male, anche se gli archeologi considerano probabilmente templi anche solo 2 mura rimaste in piedi.
Perche’ non c’ e’ molto, e’ stato quasi tutto distrutto dalla storia e dagli americani, che bombardarono i templi anche quasi per gioco.
Insomma le rovine spesso sono davvero rovine.
Se avete poco tempo e siete stati, o pensate di andare, in india, Birmania o Cambogia, forse potete anche perdervi My Son (non me ne vogliano gli archeologi).
Con un tour organizzato si arriva piu’ bus insieme, e quindi potete anche trovare il sito affollato. Ma dopo un po’, se tornate sui vostri passi potete trovare anche templi quasi deserti, questo perche’ alcuni tour hanno anche la guida al sito archeologico e quindi seguono il sentiero in una sola direzione, dall’ entrata all’ uscita.
Il mio consiglio comunque e’ di andarci per conto vostro, tra l’altro il biglietto d’ingresso (60000 VND) non e’ compreso nei tour a basso costo. Noleggiate uno scooter (sono circa 30 KM direi), prendete un taxi, fatevici portare da un biker. E’ questione di gusti e spenderete qualche dollaro in piu’ ma sara’ un’esperienza migliore.
Il tour finisce alle 14 e nel pomeriggio vado a vedere quello che ho scelto tra i vari templi, case e sale a disposizione.
Vado a vedere la Cantonese Assembly Hall, perche’ non potevo non guardare da vicino la statua del drago che si vede dall’esterno.
Bellissimo posto, e il drago e’ stupefacente.
Come museo scelgo il Museum of Trade Ceramics.
A parte rari casi, io detesto le ceramiche, ma il palazzo e’ veramente magnifico.
Entro nel tempio di Quan Cong, ed e’ un’ottima scelta.
Infine, vado alla casa di Tan Ki.
Appena entrati una ragazza mi spiega brevemente la storia della casa e mi segnala le principali differenze architettoniche (cinese, giapponese, vietnamita) offrendomi un the’.
La casa non e’ molto grande ma e’ davvero splendida e densa di piccole cose da scoprire, mobili, piccoli altari, decorazioni, un geniale uccello meccanico e veramente un sacco di roba fantastica in cosi’ poco spazio.
Tra le altre cose della magnifica Hoi An ho dato un’occhiata anche (ingresso libero in questo caso) alla Sala Riunioni della Congregazione Cinese di Hainan, anche questa vale la pena.
Ne parlo anche perche’ al contrario di quanto dica la Lonely Planet, la sala e’ dedicata alla memoria dei 108 mercanti cinesi che vennero uccisi da militari, spacciandoli poi come pirati, per depredare i loro carichi.
Non furono erroneamente scambiati per pirati, come dice la Guida, e infatti l’Imperatore una volta saputo della cosa, puni’ i responsabili un po’ smembrandoli, un po’ decapitandoli, un po’ esiliandoli.
A me e’ piaciuta molto ma e’ anche vero che mi piacciono le storie di pirati (veri o presunti).
Mi risveglia alla vita e mi fa scordare il tour organizzato una magnifica cena in un ristorante che sta un po’ all’interno.
Mi ci ero fermato per caso a pranzo, avevo mangiato un ottimo Cau Lau e ci sono tornato. Una meraviglia. Gamberi crudi e pepati da cuocere da soli in una pentola bollente, aglio, cetrioli, soia, e i migliori spring rolls che ho mangiato finora.
Piu’ fresco di cosi’ non si puo’.
Il posto non e’ bello, non e’ sul fiume, ha sedie e tovaglie di plastica ma a fine cena offrono the’ e frutta e sopratutto la cuoca e’ un genio.
Oggi due vietnamiti mi hanno detto che ad Hanoi in effetti mangiano spessissimo il cane ed e’ un piatto eccellente.
E una ragazza dopo aver riso per quanto avevo pagato dei bastoncini d’incenso (1 euro, ma saranno 3000 incensi) mi ha chiesto perche’ i turisti li comprano, visto che loro li usano nei piccoli altari di Buddha, sopratutto quando qualcuno muore.
Che potevo dirle? TRENO Danang – Muong Man E mentre il treno va guardo fuori dal finestrino il Vietnam che scorre.
Risaie, risaie, risaie, e tombe in mezzo alle risaie, grandi e coloratissimi cimiteri che rubano spazio ai campi col ricordo di chi probabilmente li ha coltivati. Le tombe sono sempre disposte in maniera non omogenea perche’ dovrebbe essere l’uomo del Dia Ly , la versione vietnamita del Feng Shui, che decide l’orientamento e la direzione, pena sfortuna per i vivi e nessuna pace per i defunti.
In italiano traduciamo il Feng Shui come geomanzia. Rido pensando a quanti geomancers ho ammazzato giocando a World of Warcraft.
Risaie, risaie, aironi, cappelli a cono che spuntano dall’acqua, il sole al tramonto che si specchia sulle risaie, risaie, risaie.
E quando al mattino arrivo a sud il paesaggio si fa piu’ secco e piu’ giallo, e al posto delle risaie ci sono dappertutto la piccole palme disposte in filari del dragon fruit.
E’ un frutto rosso/viola con delle escrescenze verdi che sembrano scaglie di drago, per questo lo chiamano cosi’.
E’ molto piu’ bello che buono volendo, ma e’ veramente splendido.
Il treno che prendo non e’ uno di quelli moderni, la Classe S, questo e’ un vecchio TN, cosi’ lento che mi permette persino di fare foto mentre e’ in corsa.
Assomiglia a un classico treno di seconda classe indiano.
Tre cuccette per lato, dure, con la differenza che in India il sedile di mezzo si piega in verticale durante il giorno per fare da schienale mentre qui le cuccette sono sempre orizzontali, e hanno spazio progressivo verso l’alto.
La mia e’ la piu’ costosa, la prima iin basso. L’ultima in alto ha davvero poco spazio sopra, e anche in orizzontale, data la curvatura del vagone.
Ma va bene, per un terzo del viaggio siamo solo in due nello scompartimento, io e un silenzioso vietnamita che mi offre una sigaretta e mi mostra come, nonostante il cartello sopra le nostre teste, in corridoio sia “quasi” permesso fumare.
Altra differenza coi treni indani e’ che qui gli scompartimenti hanno una porta massiccia e senza finestra.
Quersto rende quindi questa cuccetta in cui scrivo, con ancora 10 ore di treno da fare, la cosa piu’ simile a una cella in cui abbia dormito.
Ma passera’, leggo un magnifico libro (Armi, Acciao e Malattie di Jared Diamond), guardo fuori finche’ c’e’ luce, ascolto musica.
Viaggiare spesso negli ultimi anni in aereo per lavoro (quindi anche senza fumare) mi ha insegnato una condizione vitale quasi zen che mi aiuta a far passare il tempo.
E’ inutile combattere l’inevitabile, da un aereo non puoi scendere.
Tenere occupata la mente.
Rallentare il respiro.
Il tempo non e’ nulla.
Tenere occupata la mente.
Tenere occupata la mente.
L’aereo arrivera’.
Il treno arrivera’.
(in arereo, causa mancanza di nicotina questo metodo non ha sempre successo, ma li’ ci aggiungo pure il golf e i film sulla psp)
1-2 Mui Ne La spiaggia di Mui Ne e’ piuttosto bella, diventa estremamente ventosa da mezzogiorno in poi, e per questo e’ uno dei nuovi paradisi del kite surf.
I kitesurfer non sono un problema, salgono sul surf e se ne vanno a volteggiare molto piu’ al largo di quanto possa andare io facendo il bagno.
La noia, anche se buffa, sono i “wannabe a kitesurfer”, che impiegano un’ora a preparare l’ l’ attrezzatura, riempiendo la spiaggia di fili, oppure lasciano crollare il paracadute a un passo da qualche bagnante o lo impigliano in una palma.
Anche se ormai faro’ surf (da onda) in un’altra vita, mi piacciono le spiagge da surfisti, le onde enormi, il mare un po’ da combattere insomma.
Per questo, anche quando sono stato in Messico, ho preferito, a parte il minor caos, le spiagge del Pacifico come Mazunte, piuttosto che Cancun e Playa del Carmen.
E poi, a Phu Quoc, trovero’ probabilmente le acque calme e trasparenti.
Per ora, sto finalmente in spiaggia, prendo il sole, con attenzione quando posso che e’ micidiale, bevo delle Saigon e delle Tiger e mangio pesce piccante.
Spendo 14 dollari per dormire (2 dollari di acqua calda che probabilmente non usero’ mai).Posso permettermi qualche cena in cui scelgo da una vasca o da una distesa di ghiaccio cosa farmi servire di fresco mentre ascolto il mare e il vento mi tiene fresca la mente.
La spiaggia e’ comunque semideserta e col mare calmissimo fino alle 13. Non e’ assolutamente male che una spiaggia offra caratteristiche cosi’ differenti in due diversi momenti della giornata.
Hong Di Guest House Lo staff appartiene certamente alla categoria degli storditi.
Arrivo col treno alle 7.30 a Moang Man, contratto (poco, da 150000 a 100000 VND, ma la strada e’ molto piu’ lunga di quanto mi aspettassi e io sono troppo stanco dopo 15 ore di treno) un passaggio in moto e mi faccio portare all’ Hong Di.
C’e’ un ragazzo che parla piu’ o meno inglese, che mi dice che si’ hanno una stanza libera ma devo aspettare fino alle 11, e costa 12 dollari. E’ il bungalow piu’ vicino al mare e cosi’ mi butto in spiaggia ad aspettare.
Poi faccio colazione e guardo il bungalow da cui non proviene nessun suono, e incomincio a chiedermi se davvero ci sara’ qualcuno dentro.
Peccato che ora all’ Hong Di sia rimasta solo una vecchia signora, simpaticissima per carita’ ma che parla solo vietnamita.
Aspetto quindi fino alle 11 bevendo una Saigon e poi mi rifaccio avanti, scoprendo che la stanza e’ libera (non sapro’ mai perche’ mi abbiano fatto aspettare fino alle 11, ed e’ stato assolutamente inutile chiederlo).
La stanza costa 16 dollari con aircon e acqua calda, 14 con solo acqua calda e 12 senza nulla.(solo ventole, insomma) Stupidamente prendo l’acqua calda, che non ho mai usato, fa un caldo splendido e l’acqua calda sulla mia pellle bruciata dal sole sarebbe una tortura, Ma il posto, per quanto cheap mi piace molto, il tratto di spiaggia e’ bella. E’ pieno di strani russi che fanno, o provano, a fare kite surf e nessuno rompe le scatole.
Continuo a mangiare pesce all’ Hoang Vu (mi sono accorto dopo che e’ pure sulla LP, anche se sembra essere da un’altra parte) perche’, anche se non economico e’ un bellissimo posto e si mangia benissimo. E da qualche parte c’e’ una connessione wifi che sfrutto col Palm.
D’altra parte ieri, due Tiger grandi, un enorme red fish, un gelato e un caffe’ mi sono costate meno di 10 euro.
E’ tanto per il Vietnam, tranne i ristoranti italiani che ci sono qui che fanno le penne a 7 euro, ma insomma qualche liberta’ economica di tanto in tanto bisogna prendersela.
A Mui Ne ci sono anche 2 moto d’acqua.
Invecchiando non sopporto molte cose, la politica americana di governo ed omologazione del mondo, i commessi pressanti come ho gia’ detto, e le moto d’acqua.
Se non sai prendere il sole, non sai pescare, non sai nuotare, non sai andare in surf o in barca, allora vai su una moto d’acqua.
Se lo fai in mezzo ai pescatori del mattino, in una spiaggia in cui gli unici rumori sono quello del mare e il canto fringuello dei passeri, allora sei un imbecille.
Ma e’ una noia breve , sono grazie a dio pochissimi ad usarle.
Dune di sabbia Mi faccio portare da un biker alle famose dune di sabbia, che in effetti sono stupefacenti, sembra di essere improvvisamente in un deserto da Lawrence d’ Arabia.
La strada per andarci e’ molto bella, e probabilmente vale la pena noleggiare un motorino per fermarsi quando si vuole (anche il biker lo fara’, comunque).
All’arrivo alle dune si viene assaliti da microbambini che propongono di scendere le dune sopra a specie di surf di plastica.
La stranezza e’ questa strana colonia di gente, tra cui moltissimi bambini, sporchi, urlanti, che sembrano vivere ai piedi delle dune sperando nei dollari di qualche turista.
Anche per questo, le dune di sabbia sono un posto che sembra essere stato catapultato li’ da un mondo a parte.
5.2.07 Saigon Eccomi a Saigon.
Che meraviglia essere arrivato anche qui.
Il bus Open Tour si ferma alle 19 davanti all’albergo che ho prenotato in rete, tra ritardi e soste per sostituzione di qualche fusibile che ripristina l’uso del clacson (impossibile continuare senza, ovviamente).
Hanno dato via la mia stanza alle 18.
Ok, e’ vero che il sito ti avverete di questo ma e’ una totale assurdita’ visto che da Mui Ne gli Open Tour passano alle 14 e stimano di arrivare a Saigon al piu’ presto alle 18.30.
Perche’ la palla del meccanismo degli Open Tour e’ che fanno lunghe tratte standard, e passano una o due volte durante la giornata.
In questo caso alle 2 del pomeriggio e all’ 1 del mattino.
Il mio piano di arrivare a Saigon di mattina quindi e’ inapplicabile.
(un taxi mi ha chiesto 1 milione di dong, cioe’ 50 euro, probabilmente contrattabili a 50 dollari ma erano comunque troppi, il bus ne costa 5).
Dopo mille scuse la receptionist che ha giusto dato via la mia stanza mi prende una stanza in un hotel di fianco, il Mai Phai, dalla cui stanza scrivo.
Va bene, costa meno (14 USD invece di 17, ed e’ inclusa la colazione) ed e’ praticamente nello stesso posto, Pham Ngu Lao.
(e ci tornero’ anche al ritorno da Phu Quoc infatti) Sono stanco e bruciato dall’ultimo giorno di spiaggia e Saigon e’ caos, ma come mi hanno insegnato altri viaggi in questi casi al caos prima ci si va in mezzo e meglio e’.
Cosi’ appoggio le mie cose ed esco in cerca della prima birra di Ho Chi Min City.
Mi piace tutto fin da subito, strade, locali, disordine, luci colorate, puttane e procacciatori di qualunque cosa.
E’ vero pero’ che mi sono piaciute moltissimo anche Bangkok, Citta’ del Messico e Bombay. Dico queste perche’ sono citta’ che spesso vengono usate come ponte per andare da un’altra parte, Bangkok per le isole della Thailandia, Bombay per Goa e Citta’ del Messico molti non la vedono neppure e atterrano direttamente a Cancun.
Ma a me invece le grandi citta’ caotiche entusiasmano. Non ci vivrei forse, non ci passerei un’ intera vacanza ma per qualche giorno le trovo perfette e immancabili in ogni viaggio.
Bevo una birra guardando il passaggio della strada, Saigon sembra subito cosi’ diversa da Hanoi, piu’ larga, luminosa, moderna (non so ancora in che senso) e corrotta (in senso buono).
Compro dell’erba per la spiaggia dove finiro’ il viaggio, e finalmente, sembra incredibile ma costano come 2 pacchetti di Marlboro, trovo delle cartine.
E’ stato forse pericoloso e affrettato (sto a Saigon da 2 ore) ma ci sono momenti in cui senti che la percentuale che ti vada bene e’ piu’ alta che viceversa, e allora vai, aspetti che la ragazza torni tenendo in ostaggio la sua scatola di legno piena di sigarette, pensi che sei seduto direttamente sulla strada di un bar quasi pieno in una citta’ in cui sei appena arrivato, e poi tutto finisce, marijuana da una parte, ragazza dall’altra, un contratto semplice semplice che continuo a trovare inspiegabile debba essere fatto in segreto come un crimine.
Il bello pero’ e’ che ora posso dire sempre no grazie, quasi con supponenza agli innumerevoli bikers che mi offrono qualunque cosa.
Hanno tutti un approccio roboticamente simile: hello friend, motorbike? No marijuana? i have the good one no massage? No bum? Bum? Insomma sei un turista: vorrai pure andare da qualche parte, farti qualche canna, un massaggio o scopare no? Saigon continua a piacermi moltissimo, perche’ c’e’ tutto.
Il caos di Pahn Gu Lao, la raffinatezza dei caffe’ e delle boutiques di Dong Kohi, i grandi alberghi e le barche-ristorante sul fiume, gli innamorati al parco sulla sella del motorino (e dove senno’?), gli shop che vendono i fiori e i pacchi regalo per il sempre piu’ prossimo TET, il capodanno vietnamita.
Anche i vietnamiti, come i filippini, hanno la per me raccappricciante abitudine di bere la birra col ghiaccio.
A Saigon il traffico e’ un muro. Di motorini, come ad Hanoi, ma anche di macchine, pulmann, e siccome tutto il mondo si assomiglia, di enormi SUV con alla guida una sola persona.
C’e’ sinceramente meno spazio di mezzi per strada.
I Saigonensi risolvono comunque il problema andando in massa coi motorini sui marciapiedi.
Eppure tutto scorre.
Solo in Asia puo’ succedere.
La prima, magnifica sala, e’ dedicata ai fotografi di guerra. Di alcuni di loro ci sono le ultime foto, magari ritrovate nello zaino del vietcong che li aveva uccisi.
Eppure sono stati loro, americani, francesi, giapponesi, a contribuire in modo determinante a far si’ che l’opinione pubblica mondiale si rendesse conto dell’ atrocita’ della guerra in Vietnam.
E ci sono foto bellissime, e incredibili quando ci si rende conto che per fotografare qualcuno nel fango di un’esplosione devi essere nel fango anche tu, quando fotografi morti e feriti anche tu eri tra quei soldati e sei vivo, con la tua macchina fotografica a tracolla, ancora una volta per volere di chissa’ chi.
Lo so, sembra un po’ troppo epica, ma quella sala e’ epica.
E fa pensare anche a quanta poca documentazione abbiamo delle guerre moderne, come se il sistema avesse imparato almeno questa lezione, e quindi tenere il piu’ possibile virtuale una guerra fosse il modo piu’ semplice di giustificarla agli occhi dell’opinione pubblica.
Le foto che ci hanno sconcertato dall’Iraq sono state quelle amatoriali dei torturatori di Abu Grahib, non certo quelle dei giornalisti o degli inviati.
Non c’e’ qualcosa di strano? Se c’e’ qualcosa che ti insegna e dimostra con certezza il Museo della Guerra (che andrebbe fatto vedere ogni volta che qualcuno parla di guerra) e’ che la guerra in se’ e’ atroce, terribile, distruttrice.
Che nonostante le bombe intelligenti e le esecuzioni mirate sono sempre i civili a morire, le case ad essere distrutte, mentre l’orrore e la fame vanno a braccetto.
Perche’ non posso, non riesco a non pensare, mentre sono al museo, alla guerra in Iraq.
E alle sue analogie con la guerra del Vietnam.
Entrambe sono state scatenate da delle bugie. L’incidente del Golfo del Tonchino e le armi di distruzione di massa.
Almeno che l’incidente del golfo fosse stata usata come scusa ci e’ stato detto solo qualche anno fa, mentre che la CIA avesse mentito sulla presenza di armi di distruzione di massa in Iraq l’abbiamo saputo poco tempo fa, a guerra ancora in corso.
Ma non e’ successo nulla, dalle bugie al patriottismo il passo e’ davvero breve.
Il video impressionante e le foto che mostrano gli effetti dell’agente Orange, che gli americani usarono per la deforestazione mi fa pensare alle armi chimiche per cui Saddam e’ considerato un mostro.
Ma se vogliamo scendere nelle tenebre, Saddam ha massacrato gente che aveva cercato di ucciderlo, Johnosn e Nixon hanno fatto esperimenti di guerra chimica sui civili.
E oltretutto loro erano i buoni, Saddam era un macellaio.
E anche allora tutto andava avanti per la difesa della liberta’ e della democrazia, l’unica ragione rimasta valida sembra per la guerra in Iraq.
Sono similitudini forse un po’ estreme ma che portano alla domanda: se in Vietnam gli americani avevano torto, perche’ ora dovrebbero aver ragione? (resta inteso che le Twin Towers e Al Quaeda a tutt’oggi sembrano non avere niente a che vedere con Saddam).
Lo so, sono discorsi da antiamericano centrosocialista ma credere alla storia scritta dai vincitori o dal cinema, solo perche’ siamo nati nella parte fortunata del mondo, non ci fara’ mai sentire completi.
Tra l’altro sorrido dentro ogni volta che mi danno dell’antiamericano.
Come tutti sono cresciuto con i fumetti della Marvel, e poi Hemingway, e la Beat Generation, e la prima volta che sono andato negli Stati Uniti (tardi), appoggiato al recinto fuori da una steak house mi ripetevo: sei in America, sei in America…
Quando sono arrivato a San Francisco avevo i brividi, ed e’ forse l’unico posto che ho visto finora dove vivrei.
Semplicemente, l’ America NON e’ i suoi presidenti.
A parte i ristoranti di lusso, dove mangiano i vietnamiti e’ sempre il posto giusto.
Anch’io ovviamente sono stato nei ristorantini dove ci sono solo turisti, ma vale di piu’ l’aspetto che il loro cibo.
Nei tavoli all’aperto, coi bastoncini su minuscole sedie e tavoli in plastica mangerete meglio, mangerete di piu’ e spenderete meno.
In questa sera di Saigon, per una tanica da 2 litri di Bia Hoi (sembra la razione standard serale), una ventina di involtini e dell’ottimo manzo con verdure ho speso meno di 3 euro (62000 VND).
Mangiando cose piu o meno sconosciute negli stalls per strada, dove vi daranno il cibo dentro un contenitore e un sacchetto potrete spendere anche 3000 vnd (quando 20000 sono circa 1 euro).
7.2 Sono andato a vedere il Mekong, con un tour di un solo giorno. Lo so che avevo detto che non avrei mai piu’ preso un tour organizzato ma non c’e’ altro modo quando vuoi risparmiare e sopratutto hai poco tempo.
(perdero’ le gallerie di Cu Chi e il Tempio Caodaista ma voglio vedere meglio Saigon).
Stavolta non e’ stato niente male (TNK Travel), la fortuna e’ stata che meta’ dell’ autobus era pieno di giapponesi, che come al solito fanno universo a parte, con una guida tutta per loro che parlava giapponese.
Poi per la maggior parte del tempo si sta su barche piccole, e c’ erano ragazzi australiani e una coppia di sposi cileni molto simpatici.
Ho chiesto alla ragazza della Patagonia, che me ne ha parlato in maniera entusiasta, e’ una delle mete che tengo nel cassetto, anche se non so quando saro’ pronto per tutto quel freddo e quel ghiaccio.
In un giorno solo non si arriva ai fishing village, ci si limita a girare per i canali, in barche a remi e a motore, si visita Crocodile Island dove fanno il miele e il vino di banana, e Coconut Island, dove fabbricano le buonissime caramelle al cocco.
E’ una specie di Bignami del Mekong ma non e’ male.
Ho tenuto fede all’infantile promessa che mi ero fatto prima di partire: a un certo punto in barca, ho tirato fuori le cuffie e ascoltato i Doors, sul Mekong, in onore di Apocalypse Now.
(e’ probabilmente una delle cose piu’ balorde che ho mai fatto in vita mia) Ma non sono venuto qui per la guerra.
Sono venuto in Vietnam perche’, come si dice, avevo bisogno d’Asia.
E se cercavo qualcosa, cercavo probabilmente piu’ l’Indocina della Guerra del Vietnam.
8.2 Oggi e’ stata una fantastica giornata, che ho passato quasi interamente a Cholon, il quartiere cinese, tra strade, templi e mercati.
Le pagode di Cholon sono una piu’ straordinaria dell’altra, magnifiche tutte, con i loro draghi, leoni, tigri, gli incensi a spirale che pendono dal soffitto, le statue e gli animali minacciosi davanti a cui la gente si inchina a pregare che il domani sia migliore.
Tutte cosi’ luminose, e cosi’ piene, e purtroppo per la maggior parte cosi’ incomprensibili, rappresentanti esatte di un mondo che non appartiene alla parte del mondo in cui sono nato.
Ora scrivo dal Mojo, un bar alla moda in Dong Kohi (ehi, 105000 VND per un Moijto, wow), dopo avere passeggiato sul lungofiume guardando le barche ristorante.
Sono transatlantici a piu’ piani, ricordano Il Pianista Che Visse Sull’ Oceano, ce n’e’ uno tutto illuminato a neon a sembrare una balena a bocca aperta, e un altro in cui tutti sono vestiti, uomini e donne, come Richard Gere in Ufficiale e Gentiluomo.
Non ho osato entrare ma forse terro’ questa cena assurda per la mia ultima notte al ritorno da Phu Quoc.
La Pagoda dell’Imperatore di Giada e’ davvero splendida.
I bassorilievi in legno che mostrano le punizioni riservate ai peccatori sono strabilianti, potresti stare ore a guardarle e troveresti sempre qualche particolare geniale che ti era sfuggito.
Sembra un inferno cinese scolpito nel legno da Hyeronimous Bosch.
9.2 cosi’ ora sto a Phu Quoc, un sogno perfetto d’ acqua e di spiaggia Arrivato all’ aeroporto sembro essere l’ unico turista senza una prenotazione.Cosi’ vengo ovviamente accerchiato dai procacciatori di alberghi.In questo caso mi fanno quasi comodo, e mi metto a guardare i loro depliants e ad ascoltare le loro offerte, anche se diventano quasi subito troppi. E’ mattina e sono in forma, quando fuori mi chiedono 70000 dong per portarmi dove sono le guest house li mando affanculo tutti quanti in un colpo solo (con gentilezza eh, siamo pur sempre in Asia).
Vado a bere un caffe’ fuori dall’aeroporto, dove quasi nessuno parla inglese e chiedo a 2 ragazzi che passano in strada dove sta la spiaggia e se posso andarci a piedi, come accenna la LP.
(non fatelo, a meno che davvero non abbiate solo il bagaglio a mano) Mi dicono che i posti migliori sono lontano e cosi’ prendo una bike.
Loro stanno proprio dove avevo pensato di andare e cosi’ dico il nome al biker, che ovviamente prima prova a portarmi in un altro hotel, come mi era gia’ capitato a Hoi An. Non e’ nemmeno il “fulled” dell’ India, dove il taxista ti dice che il tuo albergo e’ pieno, sporco, chiuso o andato a fuoco. Qui ti portano direttamente in un altro posto.
La cosa si risolve sempre semplicemente guardando il diverso nome dell’albergo, alzando un po’ la voce e facendosi portare nel posto giusto.
Dopotutto e’ un’ espediente ai limiti dell’ ingenuo, e sono pur sempre italiano, e noi imbrogliamo i turisti credo da almeno due secoli.
Nonostante tutto pero’, non ho un’ opinione negativa dei bikers o cyclo driver vietnamiti.Sono appunto al limite dell’ ingenuita’, persone che cercano di guadagnarsi la vita come si puo’, e a parte cercare ovviamente di spillarti qualche dollaro, non ho mai visto malizia o cattiveria.
(non ancora perlomeno) Ci sono belissimi (esteticamente, per le luci, i colori,) ristoranti accanto al Nat Tham.
Stasera ho cenato all’Eden, troppo circondato da camerieri pero’ per i miei gusti.
Ma probabilmente a molti turisti piace, e vengono qui anche per essere riveriti a buon mercato.
E probabilmente l’ eccezione sono io, che non riesco mai a non vedere come i capi trattano i camerieri, sempre giovani, sempre tanti, e sempre a un passo, o a un ordine sbagliato dal perdere il lavoro.
Li vedo quando per solidarieta’ conversano a bassa voce tra loro, o cercano di darsi una mano l’un l’ altro, nelle assurde divise che di volta in volta gli fanno indossare che gli stiano bene o no.
In vita mia ho dovuto indossare solo una divisa, quella di una sqaudra corse, e non fa testo, anzi, per quanto per me le macchine da corsa siano solo un lavoro, mi accorgo di come a volte le persone ci guardano quando andiamo in trasferta, quasi con invidia.
Spesso la sera, anche solo per pochi minuti, a Phu Quoc scompare la corrente elettrica.
Ma sono preparato, ho torcia e candele.
E poi si vede il cielo stellato, che qui e’ stellato davvero.
10.2 Bruciato e stregato dal sole bevo birre davanti al tramonto di Batruong Beach.
Domani, anche solo per non cadere in preda alla tentazione di stare in spiaggia a prendere il sole, noleggero’ un motorino, con cui cerchero’ di divincolarmi su queste strade di terra rossa senza cadere in una scarpata.
Il Nat Tham e’ un posto abbastanza cheap rispetto alla media (Phu Quoc e’ certamente per ora il posto piu’ caro che ho trovato in Vietnam), e sopratutto abbastanza selvaggio, nella sua assoluta tranquillita’. Qualche insetto c’e’, il bagno e’ pieno di moscerini, e devi sempre scrollare gli asciugmani, ci sono formiche, c’e’ qualche grillo.
Ma ok, mi dico, ho dormito anche in posti peggiori, la vicinanza al mare, il tetto di paglia, so che e’ praticamente impossibile tenere fuori gli insetti dai bungalow sulla spiaggia.
Dopo un po’ apro i cassetti della pseudo-scrivania per metterci dentro qualcosa, e scopro che sono abitati da un’ allegra famiglia di scarafaggi.
( l’unico pregio della dimensione degli scarafaggi dell’Asia e’ che sono cosi’ grossi e lenti che e’ impossibile non colpirli).
Faccio pulizia, gli scarafaggi sono animali preistorici e probabilmente ci sopravviveranno ma non e’ questo il caso.
La stanza e’ piuttosto povera, e buia, perche’ non ha finestre esposte direttamente al sole del pomeriggio (tenetelo presente se ci andate), e per il microneon che alla sera dovrebbe illuminarla.
La spiaggia davanti e’ strana rispetto al resto di Batruong Beach perche’ ha qualche roccia.
Ma a 50 metri gia’ e’ solo sabbia.
Probabilmente qualcuno se ne sarebbe gia’ andato, io invece rimango anche se il mattino dopo trovo uno scarafaggio su una delle camicie appese all’attaccappanni.
Quando torno in camera alla sera pero’, dopo qualche birra e un pesce alla griglia, vedo che c’e’ un topo che cammina sui muri e sulle travi del soffitto, entrando dal tetto su cui ritorna quando qualcosa lo spaventa.
Lo guardo mentre entro nella zanzariera, ascoltando i rumori del suo passaggio e immaginando che in fondo lui sara’ molto piu’ spaventato di me. E, ovviamente, maledicendomi per essere restato ancora una notte.
Cosi’ il giorno dopo, mi sveglio presto e vado lungo la spiaggia a cercare un’altra casa.
Poi torno a prendere la mia borsa con un biker e vado a fare il check out e a riprendere il mio passaporto.
Spiego a voce media che me ne vado perche’ 15 dollari sono un po’ troppi per dividere la stanza con un topo da spiaggia.
Cerca quindi di farmi pagare 17 USD per notte, invece che i 15 che avevamo contrattato perche’ stavo 5 notti.
Me l’aspettavo, e gli chiedo se vuole davvero che vada al ristorante e cominci a gridare che il bungalow piu’ vicino alla cucina e’ pieno di scarafaggi e topi.
“ok, ok, ok” dice, e ho il mio passaporto in mano e sono gia’ sulla sella del biker che deve fare magie per portare su queste strade di terra la mia borsa che a fine viaggio incomincia a diventare pesante.
Il cielo di Batruong Beach quando vuole, sa devvero essere straordinario.Sembra che la luce non voglia mai andarsene, e che l’oscurita’ sia soltanto il vento a portarla.
Poi tutto e’ buio, e sul mare restano solo le luci dei pescherecci al largo.
Mi rimane questa sensazione di avere camminato sulle risaie di non averci mai messo i piedi dentro ma e’ davvero un paese magnifico, Cosi’ adesso sto al Than Kieu, pago 20 dollari e ho un bungalow enorme tra il verde e i fiori, dove i moscerini saranno 2.
Ci sono solo quegli enormi calabroni che impollinano gli splendidi fiori a cascata bianchi e viola con cui i vietnamiti addobbano le case ma sono inoffensivi ed e’ uno spettacolo vederli andare di fiore in fiore sapendo che stanno semplicemente occupandosi della vita, che il fiore in un qualche modo li affascina e li usa come riproduttori, ingannandoli col profumo, il colore, o chissa che.
Leggere Darwin e poi tutti gli altri (Gould, Dawkins, etc.) mi ha insegnato come la natura sia uno straordinario mondo di incantesimi ed inganni.
E che e’ quando smetti di credere alle fate, alle religioni e agli dei, che la magia del mondo appare.
In natura c’e’ abbastanza charme, mistero, sorpresa e meraviglia che quando te ne accorgi tutti gli dei diventano inutili, prevedibili, miseri in confronto, Perche’ li abbiamo inventati noi, e non li abbiamo quasi mai cambiati.
Questo essere immobili rende gli dei obsoleti al primo sguardo.
Per questo l’unica cosa che ammetto e’ forse il Tao, che scorre, bilancia, cambia continuamente.
Per questo mi e’ impossibile non giudicare la religione cattolica, che ci insegna che il mondo ha piu’ o meno 4000 anni (dovrebbero essere dai 2 ai 4 miliardi) e che pur avendo sparso con la forza o la misericordia chiese in tutto il mondo ha il coraggio di lamentarsi quando qualcuno vuole costruire una moschea da qualche parte.
Nessuna simpatia per l’Islam, intendiamoci, solo rispetto per qualcosa che non conosco e che aveva il suo Rinascimento quando noi eravamo nel Medioevo.
Ma io non ho bisogno di un dio, e non ho paura di dirlo.
Quando Watson e Crick scoprirono la struttura ad elica del DNA, “il segreto della vita”, come lo chiamarono, si sentirono come dei, con in mano il potere di creare, capire, sapere, comporre.
Solo un’etica inventata e resa tabu’ ci fa sembrare orribile il potere di manipolare la struttura dell’uomo, degli animali e del mondo.
D’altra parte, dicevo gia’ in tempi non sospetti che la genetica sarebbe stata l’arte del nuovo millennio.
Quando cominci ad interessarti ai meccanismi del mondo, alle meccaniche della vita e della morte, della riproduzione e dell’estinzione, ogni dio non potra’ che sembrarti banale, storie per bambini inventate in tempi oscuri in cui avevamo bisogno di credere che fosse qualcuno a darci il fuoco, il vento, la vita dopo la morte.
Ok, e’ vero che scrivo mentre sto sbronzandomi di Johnny Walker Black Label (che sembra impossibile non farsi servire almeno con una fetta di lime), ma cosi’ stanno le cose. Mi rifiuto di credere che qualcosa sia vero solo perche’ quasi tutti sembrano crederci da duemila anni (Quanto tempo hanno le religioni? Quanto ne ha il mondo? Scompariranno come sono venute, quando resteranno solo i batteri e gli scarafaggi).
E forse andro’ all’inferno, uno dei tanti, non so se dipende da dove sei nato o da dove muori, ma almeno in questa vita potro’ dire: io so, e non ho paura.
Mi fa sempre ridere quando leggo sui giornali che stiamo per distruggere il pianeta.
In realta’, a meno che non seminiamo bombe a tempo un po’ dappertutto, non siamo assolutamente in grado di distruggere un bel nulla.
Il mondo ci sopravvivera’ come e’ sempre stato, anche se questo ferisce il nostro orgoglio.
Ma noi non siamo Shiva-Nataraja, che crea e distrugge il mondo danzando, siamo solo di passaggio.
Tutto e’ andato avanti senza l’uomo per milioni di anni, ci saranno altri casi e altre fortune. Altre specie diverse verranno, e sara’ il tempo a dar loro ragione o torto.
Per questo non riesco a sopportare la superbia delle religioni, che parlano dell’uomo come specie ultima, privilegiata.
Non c’e’ nessun progresso in natura, nessuna corsa alla perfezione, la storia della vita non e’ una linea in salita, e’ un cespuglio pieno di rami secchi, semi, fiori e frutti.
Ed e’ questa la meraviglia, far parte della storia della vita, esattamente e niente di piu’ e niente di meno.
E oltretutto i biologi, i paleontologi, i genetisti, gli studiosi di genetica delle popolazioni e’ gia’ da un po’ che ci stanno dando le risposte a 2 delle domande fondamentali: chi siamo e da dove veniamo.
Sembrano domande da ragazzi, che molti smettono di farsi scambiando l’ignoranza con la maturita’ e dimenticando che siamo forme di vita intelligenti.
Ma Gould tra le altre cose mi ha insegnato invece che continuare a farsi le domande fondamentali non significa restare bambini ma semplicemente non smettere di crescere.
Ok, non abbiamo, e forse non avremo mai, la risposta al dove stiamo andando ma forse e’ meglio cosi’ : chi vorrebbe davvero vivere in mondo senza sorprese?
Ho voluto andarmene dal Nhat Lam anche perche’ non volevo conservare un ricordo negativo di questo paese che mi e’ piaciuto molto e che mi ha portato atrtraverso un bellissimo viaggio.
Non e’ ancora tempo di bilanci, mi restano due giorni di spiaggia e la mia ultima notte a Saigon, in cui potrei essere ucciso, trasformato in pietra, diventare ricco o sparire per sempre, e per questo voglio vivere in erba e in pace questi ultimi tramonti, queste ultime notti, questa scrittura che sta per finire (e che come al solito iniziava ad arrivare solo ora, quasi un mese non e’ abbastanza, e’ solo il tempo che mi serve per pulirmi e cominciare, l’ho sempre saputo in fondo) 12.2 Phu Quoc Cosi’ oggi ho preso un motorino, e con un po’ di zen e zero arte della manutenzione della motocicletta sono andato in giro per Phu Quoc.
L’isola, a parte questa spiaggia dove ci sono i resort e’ veramente selvaggia in alcuni punti, e anche An Thoi, dove c’e’ il porto, e’ un magnifico posto di mare vietnamita dove tra caffe’ alla francese, strade di terra e bambini che dappertutto ti urlano “Hello” ho vagato sempre a un passo dal rotolare per terra mentre con lo sguardo seguivo i pescatori invece che la strada.
Ci sono spiagge dove non c’e’ niente e nessuno, giusto qualche barca di pescatori, alberi, palme, e qualche colorato cimitero dall’ altra parte della campagna o proprio sul mare.
Una parte e’ anche occupata dai militari (che oltretutto guardano pure due spiagge tra le piu’ belle sembra) perche’ l’ isola e’ contesa con la Cambogia, e dopo averne scoperto il potenziale turistico il Vietnam non ha nessuna intenzione di farne a meno.
E’ buffo vedere i militari che coltivano i campi in quest’isola sperduta, mi rcorda un po’ quell’ avamposto che l’India ha messo su, tra neve e mulattiere, sulle montagne alla frontiera col Pakistan.
Ieri sono stato a cena alla Veranda. E’ un resort a 5 stelle, davvero magnifico in effetti.
Una specie di villa del Grande Gatsby sulla spiaggia, ma non comunque troppo invasiva rispetto al paesaggio.
Alla sera tolgono i lettini dalla spiaggia e mettono dei tavolini azzurri, con tovaglie bianche di stoffa e bicchieri da vino.
Beh il posto e’ fantastico e si mangia benissimo, ma 3 dollari per una Tiger sono davvero troppi.
Ieri per il loro set menu e tre birre ho speso 28 dollari, una fortuna.
13.2 Ultima notte a Phu Quoc. Scrivo dal Rainbow Restaurant, con le ragazze che servono che in questi giorni sono perennemente eccitate e a volte forse brille per l’avvicinarsi del Capodanno.
C’e’ un biliardo per turisti, a palle numerate.
Tutte le sale biliardo che ho visto, e sono un po’ dappertutto, erano piene di vietnamiti che giocavano a carambola sui biliardi senza buche.
Immagino l’abbiano imparato dai francesi, e che gli americani non siano mai riusciti a fargli amare palla 9 e cose del genere.
(d’altra parte i giochi a palle numerate sono i piu’ stupidi che si possono fare a biliardo) E’ stato davvero uno splendido viaggio, comiciato da Hanoi e dall’Indocina, la Baia di Halong avvolta nella nebbia, poi la Cittadella di Hue’ e il fiume dei profumi nascosto dalla pioggia, e Hoi An, magnifica come un gioiello, attraverso Mui Ne, spiaggia da surf e primo sole, fino a Saigon, che mi ha entusiasmato, per finire a Phu Quoc, questo paradiso a cui non so quanto tempo resta.
Anzi meglio di un Paradiso, perche’ non c’e’ nessun dio.
14.2 saigon Ritorno dopo una settimana di spiaggia a Saigon e la citta’ e’ impazzita di festa, il Tet e’ davvero alle porte. Ed e’ successo l’impossibile, ovvero il traffico di Saigon e’ peggiorato. Perche’ Phan Gu Lao e’ un mercato di fiori, alcune strade sono chiuse (alle macchine, non certo ai motorini), e fioriscono mercati e ristoranti di pesce improvvisati, dove ovviamente non mi faccio mancare gli ultimi involtini e una cena di gamberi e birre che mi costa giusto quei 4 euro.
“Non c’e’ Tet senza fiori gialli, mi ha detto un vietnamita sul Mekong”.
A Dong Kohi ci sono mostre e spettacoli di luci e colori, e non ho davvero mai visto nulla di simile come le strade di Saigon.
Sembra di stare a Bombay, solo che tutti vanno in motorino.
Le foto che ho fatto non potranno mai rendere giustizia al travolgente caos di Saigon, che ora piu’ che mai mi piace moltissimo.
Ci sono locali di ogni genere, e qui davvero ci si accorge di quanto il Vietnam sia giovane, coi suoi ragazzi e ragazzini che sembrano non fare altro che andare dappertutto continuamente, sempre schivandosi per un pelo, rallentando un poco, scartando di lato e svicolando sui marciapiedi appena l’eventuale poliziotto volta lo sguardo.
Per quanto abbia programmato il viaggio per andarmene prima del Tet, ora ovviamente mi pento di non esserci.
C’e’ un entusiasmo totale per le strade, sembra che essendo capodanno si possa fare e dire qualunque cosa, e il caos disordinato si compone in una festa unica e generale, in cui tutti, giovani, vecchi e bambini, sembrano essere protagonisti.
Ormai mi restano davvero poche ore, giusto il tempo di tornare in quella stupenda libreria in Dong Kohi- che stasera ho trovato chiusa – a comprare un libro per il lungo viaggio di ritorno a casa, prendere qualche regalo e un altro paio di pantaloni finti Nike che valgono molto di piu’ dei 3 dollari che costano.
E poi bye bye Vietnam, Goodnight Saigon come diceva Billy Joel.
Saigon, Ho Chi Min City anzi, il posto che forse, e sono il primo a stupirmi, mi e’ piaciuto piu’ di tutti.
Cosi’ frenetica, assoluta, giovane, viva.
E’ un inferno, d’accordo, ma cazzo, questa e’ vita che scorre.
Lo standard degli hotel vietnamiti e’ assolutamente alto.
Se a saigon si puo’ dormire in camerate con 3 dollari, con 15/20 USD avrete camere sempre con bagno, frigo, tv, ventola e aria condizionata, colazione compresa.
Ed e’ la categoria media, potete dormire in posti piu’ che discreti con 8/10 USD.
A differenza di altri paesi hanno (tranne i bungalow sulla spiaggia in cui il prezzo direi non cambia) la differenza tra singole e doppie.
Cioe’ una stanza con 2 letti potrebbe costarvi 15 USD se siete da soli, e 20 USD se siete in 2.
In Vietnam ho torvato dappertutto spine a due lamelle piatte, come quelle americane insomma SENZA TERRA.
Quasi sempre ci entreranno anche le nostre spine a 2 poli, un adattore comunque puo’ essere utile, anche se non indispensabile (tra l’ altro li vendono un po’ dappertutto) Per foto e altre info sul viaggio: www.Freefred.Org