Viaggio in Etiopia
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Prima di addentrarmi nel resoconto del viaggio, fornisco le notizie utili che sono, forse, quelle che più interessano i lettori di questi diari.
· Moneta: sono accettati, ovunque, gli euro. Il cambio (1 € = 24 birr) può essere effettuato all’aeroporto o anche negli alberghi. La moneta locale è molto sporca e maltrattata perché non usano portamonete. Non esistono grossi tagli: con l’equivalente di € 100 si riempie il portafoglio. Utilizzabili solo in banca le carte di credito.
· Visto: è possibile ottenerlo all’aeroporto dopo una fila interminabile (nel nostro caso, circa 2 ore): va consegnato il passaporto (non servono foto né moduli compilati) presso un primo sportello; poi bisogna passare ad uno sportello limitrofo, dove viene riconsegnato il passaporto previo pagamento di € 43 (e non 17 come riportato nelle guide); per avere il resto (se si danno € 50) bisogna prima insistere perché il secondo sportellista fa lo gnorri e, poi, passare ad un terzo limitrofo sportello dove, a questo punto, conviene anche effettuare il cambio.
· Corrente elettrica: negli alberghi abbiamo trovato prese con due fori come in Italia e prese con tre fori a lamelle. Comunque, inserendo i due spinotti del carica-batterie o del rasoio elettrico nei due fori superiori delle prese a tre lamelle, abbiamo constatato che si può fare a meno dell’ adattatore poiché la corrente affluisce lo stesso agli apparecchi.
· Malaria: inesistente -limitatamente ai luoghi da noi visitati- in quanto la zanzara anopheles non sopravvive oltre i 2.000 mt. .
· Sicurezza: totale nelle città. Borseggiatori in occasione del Timkat. Controlli, con il metal-detector, all’ingresso di quasi tutti gli alberghi. Per le strade molti uomini, dall’aspetto mite, girano armati di fucile o di kalashnikov al solo fine della difesa personale. Al confine con l’Eritrea e la Dancalia si consiglia di chiedere il permesso prima di fare le foto.
· Alberghi: contrariamente alle aspettative, tutti buoni e puliti. Di solito nelle stanze si trovano gli asciugamani per una sola persona (consuetudine locale). Per averne due basta chiedere ed avere un po’ di pazienza perché il servizio non è sollecito.
· WI-FI: gratis e presente in tutti gli alberghi ed anche in molti ristoranti.
· Telefoni: è possibile acquistare una scheda per telefonare in Italia al costo di 1 € al minuto..
· Ristoranti: anche fuori dagli alberghi si può mangiare all’occidentale. La pasta e la pizza, retaggio dell’occupazione italiana, fanno parte della dieta etiope.
· Strade: quelle percorse da noi, eccetto 100 Km di sterrate, tutte asfaltate e quasi in buone condizioni. Inesistente la segnaletica stradale ed il rispetto del codice stradale. Tanta gente ed animali lungo la strada rallentano e rendono poco sicura la marcia. Pochi distributori e, spesso, privi di carburante. Indispensabile portare delle taniche di riserva piene di gasolio.
· Clima: soleggiato e primaverile. Di sera basta una felpa od un K-way.
Ed ora, per chi ha interesse, passo alla descrizione del viaggio.
Giorno 15.1
Arriviamo ad Addis Abeba alle 7,55. Fuori dall’aeroporto troviamo ad attenderci Belayneh Kassie che sarà il nostro “Virgilio” svelandoci, nel corso del viaggio, i tesori, le bellezze, la storia e la magia della terra etiope. Una corsa in pulmino di appena 5 minuti e siamo al Bole Ambassador, un buon albergo equiparabile ad un nostro 4*. Alle ore 12 siamo già in giro per la città, diretti al circolo Juventus, ubicato nell’ambito dell’ambasciata italiana, ritenuto il migliore ristorante di Addis Abeba. Qui conosciamo ed abbiamo uno scambio di opinioni con il prof. Luca Lupi, vulcanologo, geologo, esploratore ed esperto della Dancalia. Il pomeriggio lo dedichiamo al Museo etnografico ed al Museo Nazionale dove vediamo, fra le altre cose, lo scheletro dell’ominide Lucy vissuta 3,2 milioni di anni fa.
Giorno 16.1
Partenza alle 6,30 perché ci attende un viaggio di 560 Km che effettueremo in 12 ore per raggiungere Bahir Dar. La strada, costruita dagli italiani durante il periodo coloniale, è asfaltata ed in buone condizioni ma è invasa da una folla multicolore che si muove incessantemente verso mete a noi ignote spingendo carretti, greggi, mandrie, asini, cavalli. Le donne, in particolare, portano fascine enormi sulle spalle o bidoni d’acqua. Bambini, anche di 4/5 anni, camminano da soli, sovente spingendo asini o pecore. Alcuni piccoli, per gioco, si divertono a mettere in difficoltà gli autisti, facendo attraversare gli asini, da una parte all’altra della strada. Scolari in marcia per raggiungere, anche dopo molti chilometri, scuola o casa. Uomini, avvolti in lenzuoli bianchi, che camminano, senza meta apparente, armati di bastone e, qualcuno, di fucile o kalashnikov. Ad ogni fermata del pulmino si materializzano decine di bambini; se si indugia diventa una moltitudine di grandi e piccoli che chiedono qualcosa e che si accontentano anche di una bottiglia di plastica vuota o di un sorriso. Ai bambini più piccoli badano i fratelli di poco più grandi: non è raro vedere bambine di 7/8 anni portare sulle spalle fratelli più piccoli. A questo popolo in cammino vanno aggiunti camion a centinaia che portano materiali per la costruzione di una nuova diga sul Nilo Azzurro (fonte di lite con i sudanesi e gli egiziani per via dell’acqua che sarà loro sottratta). Carcasse di camion e di auto incidentate di recente ai lati della strada. Guidare è una gimkana: si supera anche in curva. Gli asinelli, con una striatura nera sul dorso, a migliaia lungo le strade, hanno qualcosa di familiare. Apprendiamo da Belayneh che i loro progenitori furono portati, dai nostri militari, alla fine dell’800, dalla Sardegna, in quanto si adattavano, meglio dei muli, all’altopiano etiope. A seguito dell’annientamento delle nostre truppe ad Adua, gli asinelli si rifugiarono nei boschi e si riprodussero a dismisura. Ora fanno parte integrante del paesaggio etiope.
Arriviamo, dopo il tramonto, a Bahir Dar dove alloggiamo all’Abay Minch, un resort molto silenzioso, immerso nel verde, equiparabile ad un nostro 3* superior. Ci viene assegnata una villetta con veranda.
Giorno 17.1
Alle ore 7,30 ci rechiamo al porticciolo di Bahir Dar per imbarcarci su una barca a motore che, dopo un’ora di navigazione sul lago Tana, approda ad una penisola al cui interno si trova il Monastero di Santa Maria. Il lago è solcato da piccole imbarcazioni costruite con canne di papiro, identiche a quelle usate dagli egiziani al tempo dei faraoni. Pellicani riposano sulle calme acque del lago. Non ci sono bagnanti in quanto tutti i laghi dell’Etiopia sono infestati da un parassita il quale, attraverso le vie sessuali, porta la schistosomiasi. Il monastero che visitiamo, come quasi tutte le chiese etiopi, è circolare. Le travi di legno del tetto sono rivestite di paglia. La struttura riproduce, in grande, i miseri tukul di fango, paglia e sterco abitati dalla maggioranza degli etiopi. All’interno delle chiese ci sono tre ambienti nettamente divisi fra loro. Nel quadrato interno sono conservate le tavole della legge. Nel secondo cerchio possono entrare solo i dotti ed i bambini. Il cerchio più esterno è riservato ai fedeli puri e vestiti di bianco. Non possono accedere all’interno della chiesa i fedeli impuri e cioè quelli che, nelle ultime 24 ore, hanno mangiato carne, bevuto alcolici o fatto sesso. Anche le donne mestruate hanno il divieto di accesso. Quindi le chiese sono quasi sempre vuote con una moltitudine di fedeli che parcheggiano fuori. Alle chiese si accede scalzi. Le donne e gli uomini entrano da porte diverse. I sacerdoti si limitano a salmodiare durante le loro interminabili messe, possono sposarsi e sono sempre pronti a farsi fotografare in cambio di mance ed attenti al pagamento dei 100 birr per l’uso delle telecamere. In compenso il popolo crede veramente nella religione dei loro avi e, anche i più poveri, danno volentieri, ai sacerdoti, una piccola offerta in denaro, in cambio di una benedizione. Nel monastero che visitiamo (e questa sarà una costante anche per le altre chiese) ci sono affreschi, antichi o moderni, che riproducono visivamente -a beneficio, soprattutto , degli analfabeti- temi del vecchio e del nuovo testamento. Alcune scene del nuovo testamento ci risultano incomprensibili in quanto i “ cristiani ortodossi della mescolanza” (non più “copti” dagli anni ’50) etiopi riconoscono validi anche alcuni vangeli apocrifi. Completata la visita ritorniamo alla barca. Dopo un’oretta, sbarchiamo su un’isoletta per visitare il Monastero di Santa Maria del Perdono con un piccolo museo di testi sacri. Successivamente ci rechiamo, per il pranzo, presso un grazioso ristorante che si affaccia sulla parte più bella del lago. La prima parte del pomeriggio la dedichiamo alla visita del mercato di Bahir Dar, una fantasmagorica adunanza di gente, animali, spezie. Sfioro il dramma nel riprendere la scena di un toro imbizzarrito: nei pochi secondi che attendo l’accensione della telecamera, me lo ritrovo a meno di 20 metri. Evito la carica istintivamente. Ci poniamo in viaggio, lungo una strada sterrata, verso la cascata del Nilo azzurro. Lungo il percorso un fiume di persone con le mercanzie acquistate o invendute che ritornano, a piedi, dal mercato alle loro case. Nell’attraversare in barca il Nilo azzurro (che si origina dal lago Tana) avvistiamo un ippopotamo ed un enorme coccodrillo. La passeggiata per raggiungere la cascata è piacevole anche perché attorniati da bambini felici di potere toccare un adulto e bianco per giunta. Deludente la cascata. Ci consoliamo attraversando un ponte tibetano percorso ininterrottamente da uomini, asini e pecore.
Giorno 18.1
Partenza alle 8,30 per Gondar. Il percorso, quasi rettilineo, è di appena 190 Km e si snoda lungo risaie e campi verdi. I bordi delle strade sono affollati da uomini, donne e bambini che, vestiti elegantemente con i tradizionali abiti bianchi, si recano, essendo domenica, verosimilmente nelle vicine chiese o in visita ai parenti. A Gondar alloggiamo all’hotel Taye Belay, situato al centro della città ed in ottima posizione; se ci fosse l’ascensore potrebbe essere equiparato, per pulizia, per cortesia del personale e per gli ampi locali ad un nostro 4/5*.
Visitiamo, appena arrivati, l’antica città murata nell’ambito della quale sono costruiti i castelli -in stile medioevale portoghese- dei re Fasilidas e Iyasu.
Oggi è la vigilia del Timkat, la festa con la quale si ricorda il battesimo di Gesù nel Giordano. La festa assume particolare rilevanza anche perché alcune correnti religiose ortodosse ritenevano il battesimo il momento dal quale l’uomo Gesù assumeva la natura divina. Qualcosa di quella antica credenza è rimasta nei festeggiamenti. A mezzogiorno un’immensa folla si muove da quattro chiese verso il centro della città. Ogni corteo è preceduto da carri allegorici raffigurati argomenti religiosi e da sacerdoti con paramenti di damasco ricamati. I carri portano l’arca dell’alleanza. Una selva di ombrelli variopinti e preziosi protegge i sacerdoti mentre alcuni uomini provvedono a snodare un tappeto al passaggio delle arche e dei sacerdoti. La folla sembra impazzita. Centinaia di giovani risalgono e ridiscendono, di corsa, il corteo, urlando slogan religiosi e brandendo minacciosamente dei bastoni. Altri battono ritmicamente i pesanti caberò (= tamburi) ed i sistri. Ragazzi danno fiato a delle trombette. Le donne assiepate lunghe le strade emettono continui ed assordanti ululati. I quattro cortei, uniti, marciano, poi, per circa tre Km fino a raggiungere una grande piazza antistante la piscina denominata “bagni di re Fasilidas”. Malgrado sia quasi buio i partecipanti al corteo corrono sempre avanti ed indietro agitando, come invasati, i bastoni e le donne continuano ad ululare. Un prete urla slogan religiosi e la folla risponde all’unisono. Il frastuono è al massimo. Un oceano di teste si dimena ritmicamente. Comunque non ci sentiamo in pericolo. Ci è stato solo raccomandato di stare attenti ai borseggiatori quivi convenuti, da tutta l’Etiopia, per l’occasione. Calata la sera, la piazza si accende di mille candele. Le arche vengono portate all’interno dei bagni di re Fasilidas ed inizia una messa che durerà fino alle ore 9 dell’indomani.
Giorno 19.1
Alle ore 5,30 siamo già in pulmino diretti ai bagni di re Fasilidas. E’ buio pesto. Attraversiamo una folla oceanica bianco-vestita accampata alla meglio nella piazza antistante la piscina. Altoparlanti trasmettono la messa che si celebra all’interno. Dopo vari tentativi a vuoto, il nostro “Virgilio” Belayneh riesce a convincere i poliziotti di guardia a farci salire su una tribuna di legno antistante la piscina. La struttura è carica di persone fino all’inverosimile. Temiamo che crolli tutto ma Belayneh ci fa notare che la struttura è elastica in quanto il legname usato per la costruzione è di albero di eucalipto. Prendiamo posto ai piedi delle autorità (seduti per terra e con le gambe a penzoloni). Lungo la piscina ci sono, da un lato, un centinaio di sacerdoti celebranti e salmodianti, dall’altro lato le confraternite. Gli altri due lati sono occupati da un castello ove sono custodite le arche e dalla nostra tribuna. Ci sono vari tentativi, da parte della folla rimasta nella piazza, di irrompere nella piscina. La polizia interviene con i bastoni. Alle ore 9 viene benedetta l’acqua della piscina. Il rito ha qualcosa di ancestrale in quanto ricorda le antiche cerimonie pre-cristiane con le quali venivano benedette le acque fecondanti. Centinaia di fedeli si gettano in acqua mentre decine di sacerdoti riempiono delle bottiglie con l’acqua benedetta e provvedono a bagnare tutti i presenti, noi compresi. Guadagnata faticosamente l’uscita, visitiamo la chiesa di Debre Berhan Silasie: un vero gioiello. Oltre ai pregevoli dipinti raffiguranti la vita di Maria ed al dipinto della Trinità, catturano la nostra attenzione le 80 teste di cherubini dipinte sul soffitto. Gli occhi degli angeli sembrano seguirci dappertutto. Sono occhi benevoli. Gli occhi attraverso i quali Dio ci controlla e ci protegge. Nel primo pomeriggio le arche ritornano alle chiese dalle quali sono partite: stessa folla oceanica, stessi suoni (magari più forti), stessi colori del giorno precedente.
Giorno 20.1
La strada che porta ad Axum è disagevole. Pertanto il nostro autista, dopo averci accompagnato all’aeroporto, prosegue da solo il viaggio per Axum dove arriverà a tarda notte. Ci imbarchiamo, alle 10,30, su un Bombardier ad elica il quale, dopo uno scalo a Lalibela, arriva a destinazione alle ore 12,30. Ci rechiamo subito all’hotel Sabean (un buon 3* superior). Dopo pranzo iniziamo la visita della città recandoci subito alla chiesa di Santa Maria di Zion dove assistiamo alla celebrazione di quattro matrimoni religiosi. I sacerdoti danzano in cerchio cantando e suonando tamburi e sistri . Le donne presenti ululano di gioia.
Da una decina di metri di distanza ammiriamo la cappella, interdetta a tutti, dove, secondo la leggenda, si conserva l’arca dell’alleanza portata da Gerusalemme da Menelik I, figlio di Salomone e della regina di Saba. Passiamo, poi, nella piazza antistante la chiesa dove ci sono i famosi obelischi fra i quali quello recentemente portato da Roma. Gli obelischi, mutuati, probabilmente, dalla cultura egizia, sono delle enormi stele monolitiche di sienite (simile al granito) innalzate sopra le tombe di re e dignitari. Le grotte scavate per ricavare le tombe indeboliscono la portanza del terreno sovrastante determinando, con il tempo, smottamenti e crollo delle steli. Il luogo è poco visitato. L’unica stele in buono stato è quella portata da Roma e sistemata dagli italiani. A mio avviso sarebbe stato meglio tenere l’obelisco a Roma e costruire, magari, come rimborso, un ospedale. Ci rechiamo, quindi, a visitare il palazzo Dongour, chiamato erroneamente –perché del VII secolo d.C.- della Regina di Saba e, quindi, la necropoli con le tombe del re Keleb e del figlio Gebre Meshel. In albergo troviamo qualche zanzara: nessuna paura, però, siamo al di sopra dei 2.000 mt.
Giorno 21.1
Di prima mattina ci rechiamo ai bagni della regina di Saba. Si tratta di un invaso dove le donne, nei costumi tradizionali, vanno ad attingere acqua (sporca) per gli usi domestici. Proseguiamo, quindi, per 200 km, verso Makelle con sosta a Yeha per visitare il tempio della Luna, costruito nel VI secolo a.C., probabilmente, da mercanti provenienti dallo Yemen. Di fattura yemenita, infatti,sono i blocchi delle mura in arenaria. Nel piazzale antistante il tempio iniziamo la distribuzione, a bambini ed adulti, dei 46 Kg di vestiario e giocattoli che abbiamo portato dall’Italia. Ci fermiamo, quindi, ad Adwua dove un cippo commemora i soldati italiani sterminati dagli etiopi il 1° marzo 1896. Proseguiamo, prendendo una strada sterrata di circa 15 Km, per la chiesa, realizzata in una grotta naturale, risalente al IV secolo d.C., dedicata ai re gemelli Abreha e Asbeha. All’interno della grotta, la cui facciata in muratura è stata realizzata dagli italiani, bellissimi dipinti rappresentanto episodi del Nuovo Testamento. All’imbrunire arriviamo a Makalle dove alloggiamo all’hotel Planet, un buon 3* tranquillo e centrale.
Giorno 22.1
Giornata di viaggio molto impegnativa con destinazione Lalibela. Il percorso è di circa 460 Km, di cui 60 Km di strada sterrata. I dislivelli da superare sono notevoli, le strade sono sempre affollate da un popolo che sembra in cammino perenne e da carcasse di auto e camion. Attraversiamo il passo dell’Amba Alagi dove furono combattute sanguinose battaglie dagli italiani. Costeggiamo la depressione dancala, vicino l’Eritrea. Cambia non solo il paesaggio ma anche la gente. Alle greggi per strada si sostituiscono i dromedari e le persone, dai visi bruciati dalla calura del deserto, hanno l’aspetto meno amichevole. Aumentano i civili armati. Belayneh ci comunica che siamo vicini ad un paese chiamato Meoni dove il giovedì, cioè oggi, si tiene un mercato che attira buona parte delle etnie della Etiopia. Il problema è che questo centro è fuori dalle rotte turistiche e può essere pericoloso per gli occidentali, considerata la presenza di dancali, poco ospitali con gli stranieri e che non amano essere fotografati. Per noi è un invito a nozze. Anche se un po’ preoccupati, ci immergiamo subito nel mercato pieno di donne dalle elaborate acconciature dei capelli che vendono ogni genere di mercanzie, di bambini dagli occhi grandi e dolci, di dromedari ed asini che trasportano acqua in otri di pelle, di uomini che contrattano. E’ un tripudio di suoni, colori, odori. L’insieme mi ricorda qualcosa anche se sono sicuro di non avere mai visto niente di simile. Sarà il DNA, mi dico: sicuramente nel medioevo i mercati, in Europa, dovevano somigliare a ciò che vedo o si tratterà di scene di qualche film che riaffiorano dal mio inconscio. Contrariamente alle aspettative, la gente ci guarda incuriosita, è cordiale e, salvo qualche eccezione, si lascia fotografare. Siamo gli unici occidentali. A malincuore riprendiamo il viaggio per Lalibela dove arriviamo alle ore 19 circa. Alloggiamo al Mountatain View, dal bellissimo panorama e dall’ottima cucina. Le stanze, comunque, sono piccole e manca l’ascensore: un buon 2*.
Giorno 23.1
Belayneh ci comunica che le nostre stanze sono state requisite dalla polizia perché destinate ad ospitare alcuni ministri in visita a Lalibela. L’albergo, per la sua posizione, è facilmente difendibile da eventuali attacchi terroristici. Traslochiamo nel vicino hotel Maribela, di nuova costruzione, panoramicissimo, con delle bellissime stanze ed equiparabile ad un nostro 4*. Il cambio ci è convenuto!
Lalibela prende il nome dal re che l’ha fondata. Le 12 chiese scavate nella roccia, che oggi visiteremo, furono volute dal re, molto religioso, che voleva riprodurre Gerusalemme in terra etiope in quanto la città santa era stata conquistata dai musulmani. E’ corretto dire che le chiese sono state scolpite più che costruite. Ci sono chiese scolpite sulla facciata di una roccia e chiese ricavate da un blocco monolitico di pietra. Queste ultime chiese hanno una trincea scavata intorno ai quattro lati ed il solo il basamento è attaccato alla roccia madre. La parte interna di questo blocco è stata, quindi, svuotata ricavando finestre dalla squisita fattura, porte, altari, capitelli. Ovviamente gli artigiani che vi hanno lavorato non potevano sbagliare. Un solo colpo di martello dato male avrebbe compromesso un’opera irripetibile. L’atmosfera del complesso è fiabesca. Il sito è frequentato prevalentemente da fedeli locali i quali, nei tradizionali abiti bianchi, pregano prostrati davanti alle immagini del vecchio e del nuovo testamento ricevendo, poi, la benedizione dei sacerdoti sempre pronti a farsi fotografare con la croce in mano. Le chiese sono collegate fra di loro da camminamenti scoperti, da tunnel, cunicoli, scale abbozzate nella roccia. Non sempre il percorso è agevole. La chiesa più bella è senza dubbio quella dedicata a San Giorgio, senza, per questo, sminuire il valore delle altre 11 chiese. Di ottima fattura la chiesa di San Salvatore, la Casa della Vergine, la Casa delle Martiri, la Tomba di Adamo, la Casa di Emanuele ed anche le altre. Fastidiosissime le mosche che ci accompagnano per tutta la giornata.
Giorno 24.1
La strada per Addis Abeba è dissestata: pertanto, alle ore 12,45, ci imbarchiamo sul solito Bombardier ad elica il quale, dopo uno scalo a Gondar, arriva a destinazione alle 14,30. Per guadagnare tempo mangiamo un tramezzino ad un bar e, subito dopo, visitiamo la chiesa della Trinità dove è sepolto Hailè Selassiè. Dopo un breve rientro in albergo per indossare gli abiti per il ritorno in Italia, ci rechiamo in un locale dove c’è uno spettacolo folcloristico con musica e danze. Ceniamo pietanze locali usando le mani al posto delle posate. La partenza è fissata per le ore 23,05. Arriviamo in aeroporto alle ore 20. La fila per il check-in (tre sportelli per tutte le destinazioni) ed i successivi controlli di sicurezza ci consentono, a stento, di prendere l’aereo.