Una solitaria di ma non troppo avventura in Myanmar
Un viaggio in Myanmar è anche ,e forse soprattutto, l’occasione di scoprire una realtà diversa, spesso difficile, sicuramente sorprendente che ci pone di fronte ai nostri egoismi, al declino dei valori più antichi che la nostra società ha sostituito con una logica in cui è solo il denaro a dettare legge. Può sembrare la solita retorica scontata ma i pensieri che saltano alla mente passeggiando tra questi luoghi non possono essere che questi, e coloro che vorranno intraprendere un’avventura del genere non potranno che darmi ragione.
La dolcezza del paesaggio, la maestosità delle pagode, l’imponenza delle immagine sacre, il fascino degli edifici coloniali, verranno messi in secondo piano dal calore di una popolazione che riesce a infondere pace e serenità nonostante la brutalità della dittatura a cui è costretta.
Ma lasciamo ora da parte i sentimentalismi per passare a qualche aspetto un po’ più tecnico; l’organizzazione del viaggio è stata abbastanza lunga e meticolosa ma con un po’ di passione e spirito d’iniziativa l’impresa si può rivelare alquanto divertente. Una volta deciso l’itinerario, considerando il tempo a disposizione, i consigli recuperati dalle pagine di internet e dall’immancabile lonely planet, e le proprie attitudini ed interessi, basta procedere con le varie strisciate (virtuali) di carta di credito per prenotare voli ed alberghi; considerando l’embargo che implica l’assenza di banche straniere in Myanmar, spesso i pagamenti con le carte vengono effettuati tramite agenti in Thailandia o a Singapore; in altre occasioni il pagamento delle sistemazioni alberghiere è avvenuto in loco in contanti. In ogni caso il personale degli alberghi o delle agenzie con i quali vi metterete in contatto sapranno fornirvi tutte le informazioni necessarie. Gli ultimi step sono stati l’assicurazione di viaggio (acquistata on-line con www.Viaggiaresicuri.Com), il visto, da richiedere all’ambasciata di Roma (per info scrivete a meroma@tiscali.It) e l’acquisto di dollari per le spese da sostenere durante il proprio soggiorno (consiglio di pagarli on-line sul sito www.Travelex.Com dove si spunta un tasso vantaggiosissimo).
Costo totale dell’operazione: 1750 euro! Il suddetto importo comprende: – il volo intercontinentale da Venezia a Bangkok con Emitates; – il volo a/r Bangkok-Yangon con Air Asia e tre voli interni con la locale Air Bagan; – 12 notti in guesthouse o alberghi (anche di elevata categoria…); – assicurazione medica, visto, vaccino contro la febbre tifoide; – tutte le spese sostenute durante la mia permanenza nel paese (cibo, trasporti, ingressi, …).
La cifra mi sembra del tutto contenuta, considerando soprattutto il fatto che ho viaggiato da solo (il che significa dover spesso pagare il doppio…) e che non ho rinunciato alle comodità (senza esagerare e con le dovute eccezioni…)! Dico questo come ennesima riprova che un viaggio organizzato per conto proprio, oltre a dare un’immensa soddisfazione (se riesce bene) e a consentire di fare ciò che si preferisce, permette anche di mantenere le spese entro limiti più che accettabili. Ecco dunque come si è concretizzato quel sogno che da tempo speravo di poter realizzare.
11 gennaio: volo Venezia-Dubai-Bangkok Servizio offerto da Emirates di qualità ineccepibile! Peccato per le temperature polari a cui si è costretti per tutta la durata del volo… 12 gennaio: Bangkok Cerco di combattere la stanchezza e mi impongo di non farmi sopraffare dal sonno…Perdo miseramente la mia battaglia e mi concedo una dormita di tre ore! Giro per la città come se fossi uno zombie…Quel riposino non mi ha ricaricato affatto e non riesco a godermi le bellezze che la città ha da offrire. Mi rifarò dopo due settimane quando transiterò nuovamente per la capitale thailandese.
13 gennaio: Yangon Atterro di buon ora all’aeroporto di quella che fino a poco tempo fa era la capitale del Myanmar, prima che la giunta militare in un attimo di follia e paranoia non decidesse di spostare il centro del potere in una più piccola, remota e poco accessibile località situata più a nord e chiamata Pyinmana.
Yangon è la porta d’accesso al Paese e considerando l’esiguo numero di arrivi previsti per la giornata, mi rendo subito conto che le presenze turistiche saranno ben poche! Ottimo, era proprio quello che cercavo e che speravo! Prendo un taxi e il mio autista mi dà subito le prime dritte: mai parlare di politica o fotografare i militari. Dopo questo preambolo di avvertimenti, comincia una simpatica conversazione (dai contenuti standard…) seguita da una sosta per il cambio di dollari in kyat locali (al mercato nero ovviamente). Arrivo finalmente al Classique inn, una meravigliosa guesthouse dove per due giorni potrò godere delle attenzioni e della gentilezza del personale, di colazioni e cene superbe e di un ambiente rilassante e accogliente dove poter ritrovare le energie spese durante le interminabili camminate diurne. Il quartiere in cui mi trovo è un po’ decentrato ma in compenso offre tranquillità e spazi verdi che le ambasciate internazionali hanno ben pensato di sfruttare, scegliendo, come proprie sedi, i meravigliosi edifici in stile coloniale, eredità del passato dominio britannico, che occupano le strade di questa zona.
La mia giornata comincia con la visita alla Shwedagon paya, il simbolo di Yangon, che sotto il sole di mezzogiorno dimostra tutta la sua splendente magnificenza, in un alternarsi di bianco e oro che danno all’insieme un’aura di solennità, pace e sacralità che non lasciano indifferenti. Dopo aver scoperto di essere nato un mercoledì mattina, proprio come il Buddha, continuo la perlustrazione della città, fiero di questa curiosa coincidenza. La zona a nord del centro, nonostante la sua posizione periferica, offre diverse attrattive interessanti come la Chaukhtatgyi paya e il suo enorme Buddha disteso. Vengo avvicinato da un monaco che si offre di farmi da guida e mi accompagna all’interno dei monasteri circostanti permettendomi di entrare a diretto contatto con la semplicità e l’austerità della vita monastica; visito i luoghi dove i monaci dormono, mangiano, studiano, meditano; mi imbatto in una coppia di bimbi che a prima vista sembrano concentrati nella lettura di qualche testo sacro ma che in realtà stanno leggendo le ultime su Beckham; mi vengono descritte le rigide regole che un monaco deve seguire e penso a quanto dura deve essere una vita dove si comincia a meditare alle cinque del mattino e l’ultimo pasto della giornata viene consumato alle dodici! Saluto (e pago) il mio cicerone e mi perdo tra i meandri poverissimi della città alla ricerca del Bogyoke Aung San Museum, dedicato al padre del premio nobel, leader del movimento democratico, Aung San Suu Kyi. Lo trovo chiuso e malridotto e mi accontento dunque di godermi gli sguardi stupiti dei locali che mi vedono avventurarmi tra vicoli coperti di immondizia e cani randagi; la mia nonchalance in realtà nascondeva qualche preoccupazione sulla possibilità di ritrovare la strada per rientrare ma nessuno sembra essersene accorto. Grazie al cielo riesco a imbattermi nella via principale e prima del tramonto sono già nel retro di un taxi che mi riporta in albergo. Non sarebbe stato il massimo ritrovarmi senza torcia a vagare tra l’oscurità della periferia di Yangon…L’illuminazione infatti è scarsissima ed è disponibile a seconda della zona, dell’orario, salvo guasti improvvisi o a discrezione di qualche funzionario corrotto… 14 gennaio: Yangon Giornata dedicata alla visita del centro; comincio il mio tour dalla Sule paya che spicca col suo cono dorato al centro di una trafficatissima rotatoria…Il contrasto lascia un po’ perplessi ma d’altronde anche questo è il Myanmar. La mia passeggiata si svolge tra strade brulicanti di gente, animali merci di ogni genere mentre vecchi edifici inglesi dall’impellente bisogno di una qualche restauratina fanno da sfondo ad uno scenario in cui le miserie di questo popolo sembrano venire affrontate con una serenità per noi forse del tutto irrazionale. Cerco di fermarmi a parlare un po’ con tutti e dunque il ritmo del mio passo rallenta inesorabilmente; i locali cercano il contatto, la conversazione, sono mossi da curiosità e talvolta dal bisogno di qualche kyat. Mi stupisco delle più strane combinazioni di prodotti che vengono messi in vendita per strada: arachidi, sigarette e due cuccioli di cane oppure contapersone, poster di Britney Spears e un paio di scarpe marce o ancora sigarette, vecchie monete e mele! Basta avere un tavolo di plastica e improvvisare un’attività commerciale con quello che si riesce a recuperare. Per non parlare delle “specialità” gastronomiche offerte ad ogni angolo; per la serie “del maiale non si butta via niente”, ho visto cuocere naso, orecchie e altre parti poco riconoscibili, che dopo una bella frittura venivano serviti in lunghi stuzzicadenti per la gioia degli avventori. Io ho preferito concedermi un drink al bar del lussuoso Strand hotel, con tanto di sensi di colpa per aver speso quello che un povero birmano guadagna in una settimana di duro lavoro… 15 gennaio: Mandalay Atterro all’immenso aeroporto di Mandalay, decisamente sovradimensionato in funzione del traffico che supporta, e dopo 40 minuti di taxi arrivo all’albergo, il Mandalay View Inn, centrale, esteticamente piacevole ma che non candiderei tra i top ten delle strutture più pulite del paese…Mi organizzo subito per la giornata successiva e concordo un prezzo di 20 dollari per un giro tra le antiche capitali imperiali a bordo di un cosiddetto taxi blu. E’ ormai mezzogiorno, il sole è feroce, la polvere ti entra nei polmoni e opto ovviamente per la visita più faticosa tra quelle disponibili…Passeggiata lungo il perimetro del palazzo imperiale e salita sulla Mandalay Hill! Una successione infinita di scalini mi si staglia davanti ma non mi lascio scoraggiare e procedo, come sempre a piedi nudi, affrontando il variegato percorso che mi porta fino alla cima da dove posso godere di una visione a 360 gradi dell’arida pianura attorno alla città. Alle pendici della collina visito alcuni luoghi sacri davvero magici, tra cui la Kuthodaw Paya, un complesso di decine di bianchissimi stupa che circondano la dorata campana principale; sono l’unico visitatore e mi muovo in una pace surreale interrotta solamente dal tintinnio di un campanello mosso dal vento! Ho i piedi a pezzi, stanco ma contento rientro in albergo ma la pausa dura poco…10 minuti dopo sono nuovamente in strada alla ricerca di una bicicletta. Chiedo un po’ in giro e per 1500 kyat la prendo in affitto da una venditrice ambulante (in albergo volevano 4 dollari…). Inizia ora una delle avventure più pericolose che abbia mai intrapreso…Mandalay è una città dominata dalle due ruote e la quantità di biciclette e motorini circolanti è davvero impressionante! All’inizio sembra andare tutto bene…I semafori del centro facilitano le cose. Basta allontanarsi un po’ e inizia l’inferno: non esistono precedenze, stop, corsie, lo scampanellio è continuo e se a tutto ciò aggiungiamo il fatto che devi comunque salutare tutti, conversare e dare spiegazioni su cosa fai e da dove vieni, la confusione si fa frastornante…Dopo aver capito che le tecniche di circolazione a cui siamo abituati non funzionano, ecco prendere il sopravvento lo spirito di adattamento e quindi invece di attendere ai bordi della strada in attesa di attraversare, mi abituo ben presto a buttarmi nella mischia pregando il Buddha per un aiuto dal cielo! La piantina della città è lasciata nello zaino e il mio procedere va avanti ad istinto…Ovviamente finisco nei sobborghi più disastrati ma anche più affascinanti e tra ingorghi di camion e polli, nuvole di polvere, bambini sorridenti e le immancabili pagode dorate, riesco a fatica a ritrovare la strada di casa! 16 gennaio: Amarapura, Inwa, Sagaing Dopo una rapida colazione in solitaria (sono sempre l’unico ospite, o almeno uno dei pochi…) salgo a bordo del taxi blu che mi attende all’esterno. Del taxi non ha assolutamente nulla…Si tratta di un minuscolo pick up della mazda di qualche decennio orsono con i quali i locali portano in giro i turisti. Come salgo vengo circondato da un nugolo di zanzare affamate e prego vivamente che nessuna sia portatrice di qualche malattia tropicale…Fingo indifferenza per non offendere il mio autista che interviene comunque per liberarmi dalla’attacco degli insetti. Il viaggio è piacevole (buche e relativi scossoni a parte) e mentre mi meraviglio del paesaggio che attraversiamo, chiacchiero piacevolmente sulle abitudini di vita del popolo birmano. Il mio autista funge anche un po’ da guida e non manca mai di spiegarmi le cose che vedo o di segnalarmi punti particolari da immortalare con la mia fotocamera. Prima tappa, Amarapura, a dir poco incantevole. Dopo aver assistito al pranzo della folta comunità di monaci che la popolano, attraverso l’U-bein’s bridge, il ponte in tek più lungo al mondo, 2 kilometri di assi in legno che attraversano le basse acque del lago Taunghaman. A questo punto vengo avvicinato da un giovane monaco che studiando storia, arte e inglese non perde occasione per testare le sue conoscenze con me. Prendiamo insieme la barca e rientriamo verso l’altra sponda; tra le varie cose che mi racconta non manca di farmi notare che volando con air-Bagan io abbia contribuito a sostenere il governo…Non posso fare altro che scusarmi…Quindi consiglio di evitare la suddetta compagnia e di preferire air Mandalay o Yangon airways.
Seconda tappa, Inwa, visitata a bordo di un carretto a cavallo che in circa tre ore si fa strada in una campagna verdissima interrotta qua è là da qualche monastero in legno e da antichi resti di edifici sacri in lotta con la natura che cerca inesorabilmente di riprendersi gli antichi spazi.
Ultima tappa, Sagaing. Sono stremato e mi limito (per così dire) alla salita della Sagaing hill dal cui vertice ammiro un incredibile panorama in cui circa 500 stupa si contendono il mio sguardo! 17 gennaio: Bagan Il progetto iniziale prevedeva il trasferimento a Bagan a bordo di un traghetto che in 8 ore mi avrebbe dolcemente trasportato lungo le placide acque del fiume Ayeyarwady. La realtà è che il governo aveva deciso che di sabato a gennaio non ci sarebbe stato il battello per i turisti; indovinate un po’ che giorno era il 17?…L’alternativa più economica che mi viene proposta è l’autobus e non mi resta che accettare pur conoscendo la pessima nomea di cui soffrono i trasporti su gomma in Myanmar. Sei ore di strada sterrata in un autobus degli anni ‘50 stracolmo di gente e di merce di ogni genere, senza il minimo spazio per le gambe tra le file di sedili e niente poggiatesta che avrebbero in parte stabilizzato le continue oscillazioni del mio povero cranio. Tutto sommato è stata un’esperienza divertente anche se al momento di guadare un fiumiciattolo ho seriamente pensato di essere finito in un paese di matti! Una volta arrivato mi faccio portare al Bagan Thande Hotel (splendido, con vista sul fiume!) e parto alla scoperta delle prime pagode, all’interno della zona di Old Bagan. Quello che mi trovo di fronte è un paesaggio fuori da ogni logica e comprensione, per certi versi una splendida pazzia portata a termine del corso di pochi secoli da sovrani ambiziosi e devoti che hanno consegnato ai posteri uno degli spettacoli più incredibili di cui il genere umano possa godere. Migliaia di stupa di ogni forma e dimensione molti dei quali in condizione di semi abbandono, si stagliano su una pianura arida e soleggiata regalando uno stupore e delle emozioni che difficilmente possono trovare eguali! Il tempo a disposizione per la giornata odierna è limitato e rimando all’indomani la visita approfondita degli innumerevoli tesori di Bagan.
18 gennaio: Bagan Super colazione con vista sull’Ayeyarwady e sono subito a bordo di una bicicletta gentilmente affittatami per pochi kyat dal cameriere del Sarabha, il ristorantino dove la sera precedente avevo consumato un ottimo curry di pollo. Passo l’intera giornata a gironzolare tra questi giganti di mattoni e lo spirito di Indiana Jones spunta con tutta la sua irruenza, amplificato anche dalla rarissima presenza umana che consente di godere pienamente della magia del luogo.
Al tramonto inizia la caccia alla foto perfetta! Le pietre di Bagan si accendono di un rosso intenso col calar del sole e la vista che si gode dall’alto delle pagode (la più gettonata, e quindi più affollata, è la meravigliosa Shwesandaw Paya) è il regalo più bello che si possa ricevere.
19 gennaio: Bagan e monte Popa.
Al mattino mi unisco ad una coppia di settantenni tedeschi con i quali divido le spese per un’escursione al monte Popa. Dopo una rapida sosta per l’acquisto di una bottiglia di toddy presso un’azienda locale (azienda per modo di dire…Una capanna, un bue, un pentolone sul fuoco, qualche campo di noccioline e qualche palma), raggiungiamo, nel mezzo di una distesa pianeggiante questo isolato promontorio di 700 metri. Provate a indovinare cosa è stato costruito alla sua sommità…? Ovviamente una pagoda, a cui arriviamo attraverso una tortuosa scalinata e in compagnia di dispettose scimmiette a caccia di cibo. Una volta rientrato a Bagan, dedico il tempo rimastomi ad un’ultima perlustrazione della zona archeologica e concludo la giornata con le immancabili foto del tramonto (come se non ne avessi già fatte a sufficienza…).
20 gennaio: Ngapali beach Mi godo l’ultima colazione a Bagan sospirando di meraviglia di fronte alle prime luci dell’alba che illuminano l’Ayeyarwady river. Salgo in taxi e in poco tempo eccomi pronto a imbarcarmi per l’ennesimo volo, questa volta con destinazione Thandwe. Sembra di atterrare direttamente sull’acqua, che con i suoi colori brillanti non mi poteva dare un benvenuto migliore. Sono atteso all’aeroporto, e a bordo di uno strano camioncino giallo e blu vengo condotto al Ngapali beach hotel. Dopo l’immancabile welcome drink prendo con piacere possesso della mia stanza dalla cui veranda posso ammirare lo splendido mare azzurro-verde intervallato da una fila di imponenti palme da cocco. Cosa desiderare di più? La giornata trascorre tra passeggiate e nuotate a cui ho aggiunto altre passeggiate e altre nuotate…C’è pochissima gente in giro e i turisti che si corre il rischio di incontrare sono in numero limitatissimo!! Da un estremo all’altro, la spiaggia di Ngapali misura circa tre chilometri, la sabbia è bianca e l’acqua è calda e trasparente; se a questo aggiungiamo il fatto che è pure quasi deserta, potete ben immaginare in che razza di atmosfera ci si trovi avvolti!! Dopo qualche ora ho già conosciuto tutti: ho organizzato l’escursione di snorkeling per il giorno successivo e la cena al ristorante per la stessa sera, ho pranzato a base di cocco e banane al chioschetto in riva al mare, ho conversato con tutte le venditrici di collanine, e ho incontrato nuovamente una coppia di ragazzi trevigiani conosciuti a Bagan! Che fatica… Il momento della cena era il più atteso…Avendo sentito parlare in maniera entusiastica della cucina del posto, mi siedo a tavola in uno dei tanti ristoranti di pesce che costeggiano la strada principale con le migliori aspettative e devo dire che non sono rimasto affatto deluso: filetto di barracuda e gamberoni alla griglia conditi con salsa d’aglio!! Una delizia per il palato ad un prezzo ridicolo. Mi trattengo con il proprietario fino a tarda sera (le 23 sono praticamente notte fonda in Birmania…) a chiacchierare e a bere whisky e ci si saluta non prima di esserci scambiati l’orologio…Il mio gli piaceva troppo perché di plastica trasparente…Mah, valli a capire sti Birmani!! 21 gennaio: Ngapali beach Salgo in barca alle 9 per una bella escursione di pesca e snorkeling. La compagnia è piacevolissima e assortita: Zaw, il proprietario della barca e due suoi pescatori, io, Anna (polacca) e Roberto (veneziano). La barriera corallina è abbastanza modesta ma di pesci colorati ce ne sono diversi e per seguirne uno particolarmente bello non mi accorgo della roccia che avevo di fronte finendoci inesorabilmente contro…Riemergo con i capelli insanguinati ma vengo subito rassicurato sul fatto che non era niente di grave…Decido che è meglio interrompere certe attività per dedicarmi alla pesca con il filo…Al terzo tentativo andato a vuoto lascio l’onere di procurarci il pranzo ai più esperti compagni di barca.
Raggiungiamo un isolotto deserto dove ci viene cucinato il pesce appena pescato; non potevamo certo dubitare della freschezza di quanto ci veniva offerto. Passiamo un paio d’ore in completo relax ed ebbri per la troppa birra bevuta sotto il sole rientriamo sulla terraferma.
Pomeriggio dedicato ad una buona lettura in compagnia solamente di qualche cane di passaggio e dei miei pensieri.
22 gennaio: Ngapali beach Prendo in prestito una bicicletta e mi avventuro verso sud alla scoperta dei villaggi di pescatori. Enormi quantità di pesce steso ad essiccare e donne chine coi loro cappelli di paglia intente a lavorare duramente, buoi che lentamente si trascinano il pescato, uomini e ragazzi che con le loro decine di barche rientrate dalla pesca notturna mettono in piedi le attività più differenti. Un bimbo mi ferma per regalarmi una conchiglia, lo ringrazio, lo saluto e proseguo il mio vagare senza una meta precisa.
Perdo un pedale della bicicletta e subito vengono assistito da un gruppo di giovani che mi portano nella bottega di una sorta di tuttofare che in pochi minuti mi rimette a nuovo il mezzo. Il mio scopo è ora quello di raggiungere la sommità di un’altura che non sembrandomi troppo distante ritengo poter essere interessante per la visuale che può offrire e per una grande statua di Buddha che riesco a scorgere in lontananza. Ovviamente le distanze sono state valutate con un eccesso di ottimismo e l’impresa si rivela alquanto sfibrante…La soddisfazione di portare a termine anche questa piccola avventura mi ripaga di ogni fatica.
Rientro in albergo e ritrovo un po’ di ristoro con un fresco succo di lime e con una nuotata rigenerante.
23 gennaio: Ngapali beach e Yangon Ultime ore in questo paradiso, giusto il tempo per rafforzare l’abbronzatura e per sgranchirmi i muscoli tra le placide acque della baia che a quest’ora del mattino hanno un aspetto magnifico.
Un’ora di volo mi riporta nel caos di Yangon; per l’ultima notte ho voluto esagerare prenotando al Park Royal hotel, una lussuosa struttura in centro città. Ho poco tempo a disposizione e lo occupo con una rapida passeggiata fino alla posta per spedire qualche cartolina e nel tardo pomeriggio sono già ai piedi della Shwedagon Paya per poterla ammirare con una luce diversa. Resto a contemplare questo gioiello in compagnia di un monaco chiacchierone fino a quando la luce del tramonto, dopo aver inondato di rosso l’enorme cupola dorata, non lascia spazio alla meno suggestiva illuminazione elettrica. 24 gennaio: Bangkok Lascio il magico mondo del Myanmar per trascorrere il mio ultimo giorno di vacanza tra le contraddizioni di Bangkok in un continuo alternarsi di grattacieli e templi millenari, noodles e consumismo, preghiere e canzoni pop, un mix di eccentricità e tradizione che mi accompagneranno fino a sera quando sfinito dalla stanchezza ma carico di emozioni mi imbarco per il volo di rientro.
Riccardo