Una domenica in Val d’Orcia
Armati di macchina fotografica e poco più si sono ritrovati alle poco antelucane ore 9 presso il piazzale di partenza di Porcari, riuniti in una sola auto capiente e più che altro portante, fiduciosi nel bel tempo che con un sole dardeggiante ormai sembrava avvolgerli, sono infine partiti.
Il viaggio, tutto autostradale, è stato lungo, ma percorso, tra una facezia ed un ricordo, in modo veloce e sicuro da piede fermo e deciso pigiato sull’acceleratore, ha portato la combriccola poco prima del fatidico mezzogiorno a rifocillarsi ed abbeverarsi in un bar di Chianciano. La ricerca è stata minuziosa tanto che percorrendo il paese in largo e lungo si sono potute apprezzare le sue bellezze comodamente seduti e con l’aria condizionata a palla sparata in faccia . Un ultimo sguardo all’orizzonte e ci si è mostrata la visione dei tre laghi in un solo colpo: Chianciano, Chiusi e Trasimeno come fili azzurri tra il verde dell’ultimo scorcio di Valdichiana.
Ma dobbiamo affrettarci e non farci commuovere perché alle 12.30 inziia la visita guidata del giardino della villa della Foce.
Qui, ora è d’obbligo una piccola nota storica che prendo dal depliant che ci viene consegnato alla congercerie della villa e che ci leggiamo nell’attesa che tutti abbiano pagato il poco economico guiderdone di dieci preziosi eurini.
Così recita:
La Villa di La Foce (in affitto per matrimoni, celebrazioni, eventi e riunioni di famiglia) fu costruita nel tardo XV secolo come ostello per pellegrini e mercanti in viaggio lungo questa strada trafficata. Nel 1924 fu abitata da Antonio e Iris Origo e diventò fattoria piena di vita e attività agrarie.
Quando Antonio e Iris Origo acquistarono la tenuta di La Foce chiamarono l’architetto inglese Cecil Pinsent per ristrutturare gli edifici principali e creare un ampio giardino. Pinsent (1884-1963) si era stabilito a Firenze da giovane, lavorando tra l’altro alla Villa Medici di Fiesole (acquistata nel 1910 dalla madre di Iris) e alla Villa I Tatti di Bernard Berenson.
Il dialogo tra edifici, giardino e natura pone La Foce al centro di una testimonianza storica dell’evoluzione architettonico-culturale della Toscana. Il giardino viene realizzato in quattro fasi, tra il 1925 e il 1939. Un giardino formale all’italiana, diviso in geometriche ‘stanze’ da siepi di bosso, si stende dalla casa verso la val d’Orcia e il monte Amiata. Pendii terrazzati salgono dolcemente su per il colle, dove ciliegi, pini e cipressi crescono tra ginestra selvatica, timo e rosmarino, e un lungo viale di cipressi porta ad una statua di pietra del XVII secolo. Un sentiero di travertino sotto un pergolato di glicine arriva al bosco e collega il giardino con il cimitero di famiglia, considerato una delle migliori creazioni di Pinsent.
Avete letto?… una faticaccia!
Bel giardino con panorami su tutta la Valdorcia, Radicofani, l’Amiata e la più famosa immagine della valle che compare in ogni cartolina con la piccola strada che a brevi tornanti punteggiati da stenti cipressi sale sul colle opposto alla villa. Ma non bisogna fare troppa poesia perché bisogna prenotare al volo gli ultimi posti al vicino ristorante : il Dopolavoro della foce. Questo è stato il punto di ristoro dei lavoranti che costruivano la villa ed il giardino ai tempi degli Origo.
Menù con piatti tipicamente senesi alcuni cortesemente rivisitati, buona carta dei vini forse non all’altezza il dessert, ma non si può pretendere in toscana che predilige la semplicità ed il sapore deciso della zuppa inglese.
Dopo il caffettino ( per me lungo e amaro) e l’acquisto di qualche dolcetto da sgranocchiare al ritorno, di nuovo in macchina per recarsi a visitare la nostra seconda meta. Bagno Vignoni.
Era rimasto nella nostra penna dei desideri quando lo scorso anno, scendendo dall’amiata lo dovemmo scartare perché un violento temporale ci colpi proprio in quei pressi costringendoci a far ritorno a casa con la coda tra le gambe eppur bagnata!
Stavolta non l’abbiamo mancato e la piazza con l’acqua ribollente e sgorgante dal fondo ci ha fatto tenete la bocca con una oooooo per qualche minuto. Visita dei negozietti tutt’intorno con set fotografico dal vivo di una sposa in abito bianco, la cappellina di santa Caterina e poi a seguirne le acque lungo le strade del paesino fino che l’acqua fa il salto da un balcone bianco di calcare all’altezza delle rovine dei mulini medievali. Tanti fanno pediluvi nelle acque della stretta canaletta ma noi lo troviamo troppo faticoso ancora con la pancia troppo piena e rimandiamo la nostra voglia di acqua al laghetto che si forma dopo il salto dei mulini.
Per arrivarlo prendiamo la nostra fidata macchina semovente schivando per un secondo il solerte vigile che voleva alleggerire le nostre già provate tasche. Arrivati ci deludeva non poco perché l’acqua ormai arriva fredda, c’è troppa gente a sgambettare sul fondo melmoso ed è decisamente troppo bassino. Niente in confronto dell’omonima cascata di Saturnia che ti avvolge spumeggiante e calda.
Ma adocchiamo un altro laghetto ancora più sotto prima di immettere le acque nel fiume Orcia e qui è decisamente meno frequentato e limpido e qualcuno non sa resistere da rinfrescarsi i piedi che tutto il giorno costretti hanno sicuramente ringraziato.
Poi di nuovo zacc, correre a casa chi dai nipoti chi dagli animali…
Che dire, bella gita per una domenica senza pensieri… alla prossima avventura.