Un piccolo sorriso khmer
Il nostro viaggio "fai da te" nella misteriosa Cambogia, un paese che, nonostante le sue contraddizioni, si rivela affascinate ed indimenticabile!
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L’idea di conoscere la Cambogia “di persona” si concretizza con l’uscita del libro “Fantasmi” di Tiziano Terzani. Dopo vari rinvii, siamo pronti. Nel corso dell’autunno ci documentiamo dal punto di vista storico, in particolare sulla suggestiva civiltà angkoriana, aggiungiamo alla nostra videoteca il classico “Urla del silenzio” e si fa strada la consapevolezza che luci e ombre caratterizzeranno sempre la Storia di ogni nazione, questa in particolare. Partiamo da Venezia il 31 dicembre 2009 (Swiss air – 720 euro a persona A/R). Sulle spalle la stanchezza di un anno di lavoro e uno zaino leggero. All’arrivo a Bangkok il primo gennaio, già sentiamo quel fremito trasmesso dall’entusiasmo e dalla curiosità. Usciamo alcune ore dall’aeroporto della capitale thailandese per far trascorrere il tempo d’attesa per il volo per Phnom Penh. Alloggiamo al vicino Hotel Thong Ta Resort con un buon rapporto qualità prezzo (20 euro la doppia compreso ritiro in aeroporto), comodo per una doccia e qualche ora di sonno. Finalmente verso sera atterriamo in Cambogia con il volo Air Asia (60 euro a persona A/R). Dopo le formalità doganali (20 dollari a testa per il visto – ricordarsi la fototessera!), quello che ci colpisce subito è lo sbalzo termico, un caldo afoso che da uno schiaffo al ricordo della caldaia di casa bloccata dal gelo, proprio il giorno prima della partenza. A Phnom Penh non ci sono grattacieli sfavillanti né moderne superstrade e la città trasmette la sensazione di essere piuttosto un grosso paese. Questa atmosfera informale ci spinge a passeggiare lungo il fiume anche se ormai il sole è tramontato. Vicino alla nostra guesthouse troviamo un mercato serale con un palco per le esibizioni di giovani artisti locali e ci mischiamo alle famiglie e agli adolescenti in libera uscita. C’è anche una buona scelta di ristorantini e ci fermiano a mangiare involtini freschi e noodles. Tornati in guesthouse (Welkommen Inn – 20 dollari la doppia) ci rendiamo conto che è impossibile dormire a causa della musica a volume elevato proveniente dai bar circostanti dove, tra l’altro, pullulano giovani e belle ragazze in abiti succinti. Ci siamo addormentanti per sfinimento. La giornata si apre con l’intento di visitare il Museo Tuol-Sleng, il Museo Nazionale e il Palazzo Reale con la Pagoda d’Argento. Il mezzo di trasporto scelto è l’insostituibile tuk-tuk (detto anche moto-remorque), ideale perché ci godiamo un po’ di aria fresca. La visita degli edifici del Museo Tuol-Sleng è alienante, sudiamo freddo pensando alla follia che conduce l’essere umano ad accanirsi così contro altri esseri della stessa specie. Il Museo Nazionale, con i suoi colori caldi e il suo richiamo all’importante passato culturale ci traghetta, invece, verso una radiosa giornata. La visita al sontuoso Palazzo Reale richiede gonne o pantaloni sotto il ginocchio e t-shirt con maniche. In mancanza, si affitta il pantalone. All’ora del tramonto andiamo al “FCC” a festeggiare l’inizio del nostro viaggio con un bel po’ di birra fresca e stuzzichini. Alla sera ceniamo nei pressi della guest-house in un locale sul fiume. Non ci sono zanzare ma per scrupolo ci mettiamo l’Autan. La mattina assonnati come non mai prendiamo un bus proprio dietro l’angolo della strada (Paramount Angkor Express – 10 dollari a persona) ed in sei ore arriviamo a Siem Reap. Alloggiamo in una deliziosa guest house (Mandalay Inn – 16 dollari la doppia) e, abbandonati gli zaini nella stanza semplice e pulita, andiamo a piedi all’Old Market dove gironzoliamo tra banchetti e bar. La sera si chiude con una fantastica cena al ristorante indiano Kamasutra (16 dollari in due). Pub Street e dintorni sono ad uso e consumo dei turisti ma è divertente passeggiare tra bancarelle e distrazioni varie dopo una intensa giornata. In quel kilometro quadrato siamo circondati da persone provenienti da tutto il mondo e ci si scambia sguardi di curiosità tra i tavoli, si chiacchera, si ride, si pensa. Finalmente ci siamo … cominciano i giorni che ricorderemo con maggior emozione: la visita di Angkor e dintorni. Iniziamo il nostro tour con un tuktuista timido e gentile, contattato tramite la nostra guesthouse (rispettivamente 10-15-8 dollari al giorno in due) e le nostre giornate sono trascorse così: il primo giorno visita all’Angkor Thom (al cui interno ci sono i suggestivi volti del Bayon), Ta Prohm, Preah Khan e Angkor Wat ed è stato un vero e proprio tour de force; il secondo giorno visita di Banteay Srei e al ritorno il museo sulle mine, Banteay Samré (bello, con pochi turisti) – visita a Les Artisans d’Angkor e nel tardo pomeriggio massaggio rilassante; il terzo giorno visita del complesso di Roluos, poi all’avventura verso Kompong Phhluk e alla sera ritorno ad Angkor per il tramonto, con passeggiata fino in cima al noto Phnom Bakheng. Siamo in alta stagione ma veramente solo ora ci rendiamo conto che Angkor gode di un sovraffolamento pari forse a quello dei siti egizi. Comunque, questo fatto non ci ha impedito di godere del fascino di uno dei complessi più belli al mondo e con un po’ di pazienza siamo riusciti a portare a casa delle belle fotografie. Il terzo giorno, il più movimentato, con il nostro prode tuktuista visitiamo i tre siti di Roluos e poi ci dirigiamo verso una strada sterrata. Dopo un po’ ci troviamo al cospetto di due tizi seduti sotto un albero che ci vendono il passaggio in moto e in barca A/R fino a Kompong Phhluk (20 dollari a persona). Non c’è stato verso di contrattare. Siamo saliti dietro a due giovani motociclisti che, zigzagando tra le buche, ci hanno condotti a prendere la barca. I cambogiani sono di costituzione minuta e penso seriamente che le motorelle tendessero all’impennata a causa del nostro peso. Le risaie vicino al fiume sono di un verde brillante e non secche, come nei dintorni. Che spettacolo! In barca ci siamo solo Alberto ed io, seduti su due seggioline di vimini. Naviga naviga siamo giunti in questo villaggio la cui vita scorre proprio dentro il fiume. L’esperienza è avvincente, senza dubbio, anche grazie agli scorci di vita quotidiana che si sono aperti ai nostri occhi. Non paghi della giornata intensa, andiamo a dare l’ultimo saluto all’ Angkor Wat. Come cambiano le foto fatte in piena luce diurna e quelle scattate con i colori del crepuscolo! Sarà che l’ultimo sguardo è sempre il più maliconico ma ci pare che ogni cosa sia avvolta da un alone di dolce incanto. Affrontiamo poi il sentiero che porta a Phnom Bakheng con una moltitudine di gente, tutti accalcati per vedere il sole inghiottito dall’orizzonte. Alcuni ragazzi tirano fuori delle birre e il momento mistico diventa quasi un happy hour. Nei nostri viaggi più lunghi c’è una “simpatica” costante che chiamiamo “il giorno no”. Succede qualcosa che ci ritarda nei piani o semplicemente ci imbattiamo in un trasferimento particolarmente lungo o faticoso. Senza drammi cerchiamo di riderci su. Mea culpa, “il giorno no” l’ho voluto io. Il trasferimento tra Siem Reap e Battambang si può fare in bus ma avevo letto del famoso percorso fluviale e così ci imbarchiamo su questo battello chiaramente sovraffollato e stolti e felici ci sediamo sul tetto del barcone poiché sotto era tutto occupato (19 dollari a persona il viaggio)… Otto ore e mezza di navigazione per me sono state una bastonata. Se tornassi domani lo rifarei, certo, ma organizzandomi meglio: con un bel cappello, tanta acqua, un buon libro, scegliendo magari un posticino ai bordi del tetto. Resta indelebile il ricordo dei bimbi che si sbracciano per un fugace saluto, i loro tuffi acrobatici nell’acqua marrone, le case galleggianti, le reti dei pescatori. A Battambang alloggiamo in una triste guesthouse e alla sera riusciamo solo a trascinarci a cena al vicino White Rose, i cui frullati di frutta fresca sono indescrivibili, si sente proprio il gusto del sole. A causa della stanchezza, decidiamo di non fare il tour in moto che ci eravamo prefissati e così l’indomani alla mattina passeggiamo per il centro. Constatato che non c’è comunque un gran che, chiediamo ad tuktuista di portarci a prendere il bamboo train: è un’esperienza divertente e grazie al nostro abile guidatore abbiamo cominciato un piccolo giro campestre, indimenticabile! Prima tappa, la visita ad una famiglia che produce la carta di riso per gli involtini seguita da una passeggiata tra le rovine abbandonate del Wat Ek Phnom in compagnia di alcuni bimbi. Poi, trattendendo il fiato per l’intenso odore, vediamo come trattano i pesci in salamoia per realizzare la pasta di pesce e, infine, a merenda da un’anziana signora per assaggiare il riso cucinato nel bambù. La sera in due passi raggiungiamo lo Smoking Pot per cena. Il giorno successivo siamo pronti di buon grado ad affrontare le dieci ore di bus che ci conducono a Sihanoukville. A Phnom Penh abbiamo fatto un cambio di mezzo (15 dollari a persona il tragitto completo). Giunti al mare con il buio, annusiamo subito l’aria salmastra andando verso il nostro alloggio “New Sea View Villa” (22 dollari la doppia). Mangiato da signori lì in giardino e dormito come ghiri. Constatiamo che Phnom Penh e Sihanoukville sono le città dove si spende di più per cenare (20 dollari in due rispetto alla media di 10 dollari in due). L’indomani in spiaggia scegliamo dei lettini liberi e ci accomodiamo cullati dal vento caldo. La giornata è volata tra birre, frullati di frutta, buona musica e … tanta gente che vende di tutto, facendo attenzione a non incoraggiare i bimbi al commercio di braccialetti o altri oggettini. La pigrizia ci ha portati a stare in spiaggia altri due giorni senza fare escursioni. Intorno alle cinque i ragazzi dei bar portano fuori delle sedie in vimini con i cuscini per chi arriva per ammirare il tramonto … e così con il calar del sole si beve l’ultima birra fresca. Doccia cena passeggiata ma non c’è molto da fare in zona e sì va a nanna dopo aver guardato le luci riflettersi nel mare. Le spiagge dove abbiamo passeggiato, dal punto di vista estetico, non sono certo paragonabili a quelle dei cugini thailandesi, ma per quanto ci riguarda, andavano benissimo pocihè eravamo alla ricerca di alcuni giorni di relax. Torniamo a Phnom Penh giusto per farci riaccompagnare in aeroporto e prendere il volo per Bangkok. Atterrati, recuperiamo i bagagli e ci mettiamo in coda per un taxi regolare che in mezz’ora o poco più ci conduce nel piccolo paradiso di Baan Dinso (28 euro la doppia). A pochi passi da questo ostello raggiungiamo Kao San Road dove tiriamo tardi tra bancarelle e cena discreta nonostante l’affollamento. Bangkok ci pare un altro pianeta rispetto alla calma cambogiana. La colazione in questa oasi di pace è fantastica. Sempre a piedi ci incamminiamo per visitare il Palazzo Reale e per ben due volte veniamo fermati da gente del posto che ci chiede dove andiamo, quanto ci fermiano, come ci troviamo, se abbiamo bisogno di indicazioni stradali, ecc. chiacchieriamo un po’ con entrambi gli ometti curiosi e premurosi. In Cambogia avevamo apprezzato spesso la timida gentilezza. Ci incamminiamo a vedere il Buddha reclinato e ancora a piedi torniamo in Kao San Road per passare le ultime ore. In ostello, giusto il tempo di una doccia e di un riposino e partiamo per l’aeroporto dove scopriamo con orrore che il nostro volo è ritardato di più di quattro ore che passiamo a dormicchiare sulle panche dell’aeroporto. I giorni di viaggio sono volati, lasciandoci increduli che fosse già finito l’incontro con i dolci “eredi del silenzio”, il cui sorriso porteremo sempre con noi.