Un piccolo scorcio di Cina al di fuori dei tragitti più classici
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CONSIGLI PRATICI
Visto: si può fare a Roma o a Milano. Vivendo lontana da entrambe io ho fatto un visto rivolgendomi a un’agenzia viaggi che ha seguito la pratica per me. Morale della favola: 170€, non molto conveniente direi.
Volo: Turkish Airlines con andata su Hong Kong e ritorno da Canton. Ottimi orari e scali, anche il servizio è buono e la consiglio. Per i voli interni abbiamo usato una compagnia di linea cinese con biglietti comprati in Cina.
Cambio/soldi: ad Hong Kong ovviamente non ci sono problemi e si può fare tutto con carta di credito. In Cina invece, soprattutto per le zone rurali conviene avere sempre del contante.
Trasporti: Il paese offre una molteplicità di mezzi di trasporto per cui si può arrivare pressochè ovunque. Dove non si trova un mezzo pubblico, c’è il taxi che costa veramente poco.
Clima: dove siamo stati non si può dire che il clima fosse troppo rigido ma il vero problema è che scarseggia il riscaldamento. Hotel, locali e ristoranti non hanno mai delle temperature veramente piacevoli. Meglio pianificare un viaggio in Cina nei mesi più caldi e soffrire l’afa!
Attenzione alla difficoltà della lingua, appena ci si allontana dalla grande città, si entra in un mondo completamente diverso dove nessuno parla inglese e non è facile muoversi e raggiungere le varie destinazioni.
Per capire e apprezzare la cultura, soprattutto per certi posti consiglio di prenotare una guida.
Ultimo consiglio: avere tanta pazienza!
diario
In vista del Capodanno 2012 decidiamo di andare a trovare un amico in Cina per avere almeno un assaggio di questa immensa nazione.
Decidiamo di cominciare in modo molto soft con qualche giorno ad Hong Kong per poi spostarci nella vera Cina, prima a Guangzhou e poi in uno degli stati più poveri e rurali del Sud, Guìzhou. Se a chiunque potrei consigliare la tappa nella ex colonia britannica, non farei altrettanto per la parte cinese che si è rivelata sicuramente un’esperienza unica ma non certo una vacanza, direi piuttosto un viaggio alla scoperta di un popolo e sicuramente non alla portata di tutti per le difficoltà che abbiamo dovuto affrontare.
HONG KONG
Questa metropoli è una delle più belle città asiatiche, pulita, ordinata, ricca. Il tempo e il clima caldo ci hanno aiutati e ci hanno permesso di visitare il Peak prima con il tram e poi a piedi, il Budda e tutte le principali aree della città, dalla parte più vecchia a Kowloon.
I trasporti sono perfetti, la cucina anche e tutto è facilmente gestibile perché bene o male tutti parlano inglese. Abbiamo sempre mangiato in ottimi ristoranti.
Anche l’hotel era ottimo, abbiamo soggiornato all’Admiral con camera vista baia. Inoltre sul tetto di questo hotel c’è un bel ristorante con bar e la vista è meravigliosa soprattutto di sera quando la città è illuminata.
GUANGZHOU
Il 31 dicembre partiamo in treno e puntualissimi (in meno di due ore) arriviamo a Guangzhou nel bel mezzo di una giornata di sole. Rimango subito colpita dalla metropolitana perché pulita, efficiente e facile da seguire. In un attimo raggiungiamo la zona del nostro hotel (l’Hyatt) ma ben più difficile sarà percorrere le poche centinaia di metri che ci separano dalla meta. Non riusciamo a capire quale sia la direzione, proviamo a chiedere aiuto ma sembra che nessuno capisca. Alla fine, per pigrizia, ci arrendiamo e prendiamo un taxi al volo che ci porterà 200m più avanti oltre un arco, nella hall dell’hotel…. Che figuraccia!
L’hotel è splendido, la camera anche. Siamo molto in alto e la parete di vetro ci permette di vedere la zona circostante… a dir la verità si vede il panorama anche dalla zona bagno, una stanza nella stanza, completamente in vetro! Molto d’effetto.
Presto lasciamo l’hotel e ci dedichiamo al nostro capodanno cinese. Passeggiata nell’area pedonale sotto l’hotel che ci permetterà di vedere questa nuova zona della città costruita da poco dove si affacciano l’opera, un museo e varie strutture fino ad arrivare alla torre della televisione, una delle più alte al mondo. La zona è curatissima, nuova, le strutture moderne sono piene di luci ad effetto. I nostri amici ci raggiungono e insieme andiamo a cena in un ottimo ristorante giapponese.
Il dopocena invece prevede un mega concerto di varie star cinesi. Andiamo all’arena che era stata costruita per le Olimpiadi e insieme ad altre 5.000 ci guardiamo un concerto di vari artisti cinesi in attesa della mezzanotte. Allo scoccare dell’ora, con la stessa freddezza con cui il pubblico stava partecipando al concerto, festeggia anche l’arrivo del nuovo anno e in 10 minuti la festa finisce e molto ordinatamente, seguiamo il fiume di gente che si riversa in strada. A quel punto optiamo per un’ultima tappa in un locale in stile occidentale dove probabilmente si raccolgono tutti gli stranieri per celebrare in modo “più normale” il nuovo anno. E’ una vera e propria discoteca con musica internazionale e fiumi di alcool.
Iniziamo il nuovo anno con la vera avventura cinese, sveglia all’alba e partiamo con un volo per Guìyang, capitale del Guìzhou. All’aeroporto iniziano le prime difficoltà perché dobbiamo trovare il modo per raggiungere la prima meta dove non abbiamo prenotato niente. Al banco informazioni all’uscita dell’aeroporto, riusciamo a comunicare con un ragazzo cinese e dopo un po’ capiamo che dobbiamo seguire una ragazzina che ci si è materializzata accanto a noi mentre discutevamo. Sarà lei ad accompagnarci alla sala d’attesa e poi a metterci letteralmente su un minivan con altri 5 cinesi con presunta destinazione Kaili.
Il tempo non è dei migliori e una fastidiosa pioggerellina comincia a farci compagnia… peccato che lo farà per quasi tutta la settimana, addio caldo e sole del Sud!
Trascorriamo le poche ore di viaggio dormicchiando e cercando di capire dove siamo, ad un certo punto, ci sembra di essere arrivati e tentiamo di fermare il minivan. Con Lonelyplanet alla mano e mille gesti, capiamo di essere più o meno nel centro di Kaili e per un colpo di fortuna l’autista ferma proprio davanti a un hotel. Convinti che sia un segno del destino, ci buttiamo nella hall a chiedere se hanno delle stanze. L’hotel è deserto ma non sembra male… ma qui avremo il primo forte impatto con la realtà cinese: nessuno parla inglese! Pieni di entusiasmo e pazienza, usando quei pochi vocaboli indicati nella guida, cerchiamo di farci dare due camere. Lo scambio è difficile, le ragazze della hall sono totalmente inespressive ed è pressoché impossibile capire cosa passa loro per la testa. Ma soprattutto è impossibile ottenere due camere, siamo solo in 2 e non ne vogliono sapere di darci due stanze singole. Il mio amico sta male e non vuole condividere la camera per cui decidiamo sereni di passare ad un altro hotel.
Saliamo su un taxi e ci facciamo portare ad un hotel indicato sulla guida: facile, 5 minuti e arriviamo.
Ricominciamo la lotta per ottenere le due camere di nuovo con lo stesso sistema del vocabolario striminzito della guida. Qui siamo un po’ più fortunati, dietro il bancone della hall cominciano a radunarsi diverse ragazze e alla fine la più intraprendente, trova la soluzione: si collega ad un sito di traduzione ondine dal cinese all’inglese così almeno instauriamo una comunicazione unidirezionale. Unidirezionale perché a noi non permettono di tradurre dall’inglese al cinese e così dobbiamo continuare con il teatrino dei mimi facendole divertire non poco. In realtà ci facciamo delle sane risate anche noi ma che fatica. Una volta confermata la disponibilità delle due camere, riusciamo anche a farci accompagnare al piano per controllarne una: discreta ma ci va bene. A questo punto inizia la contrattazione e dopo un tempo che ci è sembrato infinito, capiamo che vogliono la caparra anche se ci fermiamo per una notte. Mah! Finalmente prendiamo possesso delle due camere e ovviamente quella che non avevamo controllato puzza di fumo ma non abbiamo più voglia di ricominciare lo show e ci accontentiamo. Vogliamo partire subito per andare a cercare i Miao, una delle tante etnie cinesi, in un villaggio nelle vicinanze. Dopo pochi minuti una tassista si ferma e tra una risata e l’altra riusciamo a concordare meta e costo della corsa. La guida parla di una decina di chilometri ma in realtà ci facciamo 30 o 40 minuti di curve in mezzo al nulla e alla fine arriviamo all’ingresso del villaggio di Xijiang. Siamo gli unici due turisti e il nulla attorno a noi. Immediatamente capiamo il rischio per cui non abbandoniamo il taxi finchè non riusciamo a far capire alla nostra autista che ci deve aspettare. Lei non ne vuole sapere ma di nuovo, tra una risata e l’altra, riusciamo a convincerla a tornarci a prendere alle 19. Ci scambiamo anche i numeri di telefono… Come se fosse possibile parlare al telefono con questa! Ma ci sembra comunque una garanzia.
Quando scendiamo tutti ci guardano e ci fanno prima capire dove dobbiamo pagare l’ingresso al villaggio e poi ci trascinano su un autobus che ci porterà più a valle nel vero e proprio paese. Il posto è carino, curato, le abitazioni in legno sono belle e ordinate e anche le poche persone in giro sono affascinanti. Le donne portano un’acconciatura particolare e dei grossi fiori rosa o rossi coprono parzialmente i loro chignon. Anche sui vestiti si intravedono gli stessi fiori peccato che il tempaccio non le aiuti a mettere in mostra i loro abiti tradizionali. Sicuramente questo villaggio sarebbe molto bello se visitato in una soleggiata giornata di primavera e anche la campagna circostante con il fiume e i ricchi ponti di legno hanno il loro fascino. A fine giro assaggiamo uno stuzzichino di riso ad una bancarella (terribile e ciungoso) e poi tentiamo di berci un the caldo: ci chiedono 100 yen per una teiera! Rifiutiamo il the e lasciamo perdere.
Cominciano i primi dubbi sulla nostra tassista: verrà a prenderci o ci abbandonerà? Come facciamo a tornare all’ingresso del villaggio visto che non si vede in giro anima viva? Mentre ci incamminiamo, il telefono squilla ed è lei! Beh, in realtà non è lei ma una voce femminile che mastica un po’ di inglese e che ci dice di non preoccuparci e che qualcuno arriverà a prenderci. Alla fine riusciamo a farci portare nel luogo dell’appuntamento da un altro autobus e ci mettiamo in attesa. Finalmente arriva un taxi, la tassista comincia a gesticolare come se fosse una nostra amica… saliamo al volo anche se non mi sembra la stessa donna dell’andata. Proviamo anche a farle uno squillo e infatti non è lei! Ma alla fine va bene così, l’importante è tornare.
La ricerca di un ristorante per la cena è alquanto ardua ma alla fine troviamo un posto decente in cui cenare e poi finalmente a letto… come rimpiango il lusso dell’Hyatt!
Il secondo giorno dell’avventura cinese prevede lo spostamento verso Còngjiang, ma prima tentiamo la colazione in hotel: impossibile. Non riusciamo ad ottenere neanche una tazza di the, per fortuna che c’è il bollitore in camera.
Alla stazione dei pullman riusciamo a fare i biglietti abbastanza velocemente e ci buttiamo sul primo pullman utile. Arriviamo a destinazione nel primo pomeriggio in questa ipotetica località punto di snodo per raggiungere i paesi circostanti. Ci dovevano essere anche degli hotel e molti ristorantini… Nella realtà troviamo a stento una bettolaccia fredda e umida. Nella mia camera non ci sono neanche tutti i vetri alle finestre e il pavimento bagnato rimarrà tale fino al giorno dopo, andiamo bene! Ovviamente usciamo subito e andiamo a mangiare qualcosa in uno dei ristorantini in strada. Sono tutte stanze aperte senza porte o finestre, i fuochi sono rivolti al marciapiede e ci si siede su tavoli di plastica all’interno,se va bene si trova una stufetta elettrica alla quale attaccarsi. E così facciamo. Qui non servono il the ma almeno danno bicchieri d’acqua calda. La zona è chiaramente molto povera. Dopo esserci “rifocillati” con riso, verdure e un po’ di carne, prendiamo un taxi e andiamo a Basha, un altro villaggio miao abbarbicato sulla collina che sovrasta Còngjiang. La pioggia ci accompagna nella nostra visita ma incontriamo comunque dei miao in abiti tradizionali in giro per il villaggio. La povertà è evidente ma a parte 3 bambini scalzi e infangati che ci seguono chiedendo l’elemosina, qualsiasi altra persona ci ignora, mi dispiace non poter comunicare, questo è veramente un limite.
Troviamo un gruppo di donne intente a cucire i loro abiti, se ne stanno sedute all’aperto intorno al fuoco e in mezzo al fango e si proteggono a stento sotto degli ombrellini piantati nel terreno. Continuiamo a gironzolare per il villaggio fino all’imbrunire quando il tassista torna a prenderci per riportarci all’hotel. Ci adattiamo a cenare nell’unico locale chiuso con porte e pareti. L’ambiente è alquanto triste ma almeno è tiepido. Ovviamente non esiste un menù in inglese e il cameriere non lo parla per cui ci affidiamo alla sorte e tentiamo di ordinare noodles e riso. Di certo ci manterremo leggeri!
Una volta tornati in hotel, recuperiamo delle coperte dalle altre camere vuote e cerchiamo di far passare la notte. Mi barrico nella mia stanza sotto una montagna di coperte e quasi completamente vestita, riesco a dormire anche se con degli incubi pazzeschi… Chissà se è per il cibo o per l’hotel, entrambi ci alziamo turbati.
Terzo giorno
Ci alziamo all’alba, ovviamente non tentiamo neanche di cercare la colazione ma andiamo diretti alla stazione dei pullman perché il nostro obiettivo è raggiungere Guillin, nota località turistica per cinesi e non solo. Convinti di trovare un pullman più confortevole e pulito di quello del giorno prima perché stiamo andando verso un centro maggiore, rimaniamo alquanto spiazzati nel vedere con quale catorcio saremo costretti a muoverci! La situazione è assurda e ridiamo ma poi decido di dedicarmi a una sana dormita fino alla prima sosta dove resistiamo senza bere né mangiare niente. Alla tappa successiva però intuiamo che le cose andranno più per le lunghe e decidiamo di imitare i nostri compagni di viaggio seguendoli in una specie di self-service in versione cinese. Entriamo in una cucina a recuperare una ciotola di riso e le bacchette e poi all’esterno, presso un carretto, scegliamo il resto del pranzo, verdure, uova e condimenti vari. Ci possiamo anche accomodare in un’altra stanza piena di tavoli e panche. Alla fine questo pranzo non è neanche male! Continuiamo l’ultima parte del viaggio scendendo dalle montagne e andando verso una zona chiaramente più ricca ed abitata ma il tempo non cambia e continua a piovere, pazienza.
Quando arriviamo a Guillin ci rianimiamo perché la città è diversa, si vede che lo stile è cambiato! Scesi dal pullman prendiamo subito un tuc tuc avvolto nel nylon così almeno non ci inzuppiamo per arrivare all’hotel.
Andiamo al Jingguan Minglou Hotel e per fortuna troviamo una camera. Nella hall le ragazze parlano inglese e così ci possono dare delle informazioni con facilità. La camera è bella, pulita e possiamo anche gestire il riscaldamento, ci sembra un sogno! Non riusciamo a stabilire se siamo più contenti per la camera, il calore o la possibilità di berci finalmente un the caldo! Qui incontriamo anche i primi turisti stranieri e per una volta ne sono quasi felice.
A Guillin visitiamo la Grotta del Flauto di Canne con guida rigorosamente cinese… per fortuna conosciamo una coppia, lui francese e lei cinese e così risolviamo il problema delle traduzioni. Ci immergiamo nell’esperienza degli acquisti in un negozio di the, non so se sia così ovunque ma ci è piaciuto. Ci hanno fatto accomodare in una zona del negozio dedicata alla degustazione e la signora ha cominciato a seguire il rito della preparazione con teiere e tazzine decisamente tipiche e ci ha fatto assaporare diversi tipi di foglie, è stato bello!
Concludiamo la visita turistica di Guillin con una tappa alle pagode gemelle del sole e della luna. Sono collegate da un tunnel che passa sotto il laghetto in cui sono state costruite. Le due strutture sono carine, vi saliamo di sera così possiamo ammirare la zona circostante in versione notturna ed illuminata, per fortuna i cinesi amano le luci.
Qui il freddo è molto più pungente per cui ci affrettiamo a cercare un ristorante nella zona più animata di locali e negozi vicino al fiume. Troviamo un ristorante con cucina tipicamente cinese, è abbastanza pieno di gente e finalmente decidiamo di testare qualche piatto noto come l’anatra visto che qui i menù sono in inglese, riusciamo anche a farci qualche birra per festeggiare la giornata da turistelli!
All’uscita del ristorante fa freddo ma non piove e così ci avviamo a piedi verso l’hotel. Improvvisamente sentiamo un’ondata di umidità arrivarci addosso e scopriamo che proprio in quel momento sta cominciando una specie di spettacolo di acqua e luci su un palazzo totalmente anonimo ma completamente rivestito di vetro e acciaio. Si concedono anche il lusso di un po’ di musica e qualche spettatore!
Per il secondo giorno abbiamo prenotato una gita in barca sul fiume Lijiang e così partiamo con un minivan insieme ad altri che come noi hanno deciso di affrontare il giro nonostante il tempo non aiuti. La gita prevede alcune ore di navigazione lungo il fiume con pranzo incluso. Piove e la nebbia in alcuni momenti è bassa per cui non si può apprezzare davvero questa zona carsica e sicuramente molto interessante dal punto di vista naturalistico.
Quando arriviamo a Yangshuo abbiamo un po’ di tempo per gironzolare per il paese. Si vede che qui sono molto più abituati ad avere a che fare con i turisti, qualcuno parla inglese ed è pieno di negozi e bar.
Ci ritroviamo con il gruppo che era con noi sulla barca e ci avviamo verso l’ultima tappa del giro. Ci portano a vedere “un tipico” paese cinese dove fanno ancora la pesca con il cormorano e dove ci sono degli allevamenti di bufali.
Il tempo decisamente non è dalla nostra, quando arriva il momento di salire a coppie su delle piccole imbarcazioni fatte di 7-8 tronchi legati tra loro, si scatena il diluvio. Ci danno dei poncho per ripararci, tra i tronchi delle barche sono incastrati anche degli ombrelloni ma è impossibile salvarsi dall’acqua. Assistiamo allo “spettacolo” della pesca, decisamente di cattivo gusto e poi andiamo a far due passi verso i pascoli dei bufali.
Quando torniamo al pullman siamo completamente lavati e non ci resta che tentare di asciugarci un po’ durante il ritorno a Guillin.
Per cena vogliamo andare in un ristorante segnalato dalla guida ma camminando il meno possibile per cui prendiamo un taxi, Arrivati sul posto, scopriamo che il ristorante ha chiuso allora chiediamo allo stesso tassista di portarci da un’altra parte. Realizziamo troppo tardi che non ha la più pallida idea di dove sia il secondo ristorante e così ci lascia in una zona decisamente scomoda e senza anima viva. Siamo stanchi, nervosi e il mio amico sta sempre più male… decisamente non ci sono le premesse per una bella serata. Dopo aver vagabondato un po’, riusciamo a salire su un altro taxi e di nuovo torniamo nella zona dei locali. Ci buttiamo in un ristorante pieno di gente (solo cinesi) con la speranza di fare l’affare. In realtà il cibo non è particolarmente buono, ordiniamo con le foto del menù ma quello che ci arriva è decisamente di aspetto diverso… soprattutto un pesce nero e carbonizzato che chiude lo stomaco solo con l’odore. Diciamo che la cucina non è proprio soddisfacente.
Per l’ultimo giorno a Guillin decidiamo di rimanere nei dintorni e prendiamo un taxi per raggiungere un altro paese. Naturalmente siamo convinti che il tassista ci abbia lasciato in un punto a caso ma in realtà capiamo che ci ha portati nella parte più vecchia del villaggio, quella che vale la pena visitare. Si tratta di un agglomerato di vecchie case abbastanza ben tenute, ci sembra di passeggiare in un film ambientato nel passato. Mentre gironzoliamo in queste strade deserte, troviamo una ragazza cinese da sola che attacca bottone immediatamente chiedendoci delle indicazioni. In realtà è solo una scusa per iniziare a chiacchierare e passare un po’ di tempo in compagnia. Grazie a lei, ci intrufoliamo in una specie di casa/negozio dove una signora ci accende il fuoco e ci fa accomodare per un the caldo. Come al solito, nonostante il freddo, tengono porte e finestre aperte ma almeno questa volta abbiamo la possibilità di scaldarci con un bel fuocherello. Rimaniamo a chiacchierare con la cinese e la signora che ci fa vedere tutta la mercanzia della cosa, compresa una foto con Nixon in visita al paese. Finita la chiacchierata con la signora, decidiamo di tornare a Guillin in autobus grazie alla nostra nuova amica cinese. Ci offre uno stuzzichino preso da una bancarella e poi saliamo in pullman. Qualcuno è gentile, ci lascia sedere sui sedili veri e da vari angoli del pullman saltano fuori degli sgabelli di plastica per sedersi tutti.
Tornati a Guillin, salutiamo la cinese e continuiamo a gironzolare per conto nostro alla ricerca dell’ultimo ristorante per un pranzo giapponese. Come al solito, troviamo l’ennesimo ristorante gelido. A quanto pare risparmiano tutti sul riscaldamento…
Verso sera prendiamo un taxi e ci avviamo verso l’aeroporto. Un’ora di volo ci riporta a Guangzhou. Non torniamo neanche a casa ma ci troviamo con chi ha passato la settimana a lavorare a Guangzhou e andiamo a cena alla birreria Paulaner all’ultimo piano di uno dei centri commerciali più nuovi e ricchi della città. Inutile dire che lo stile è tipicamente occidentale. Il locale finalmente è caldo, pieno di gente evidentemente abituata ad un altro stile di vita e i camerieri parlano inglese. Wustel, patatine e birra qui hanno un prezzo italiano… forse anche più alto!
Ultimo giorno cinese a Guangzhou. Giro di primo mattino nei vicoletti del quartiere popolare dove abita il nostro amico, si vede che siamo in una grande città ma le abitudini sono da grande paese. Si fa la spesa, si compra il pollo ancora vivo, si prendono le verdure per la zuppa… tutto normale. Passiamo poi ad un’altra zona della città con area pedonale e una marea di negozi per concludere nella confusione più totale di un altro quartiere regno dei fake. Si può trovare di tutto basta avere tempo, voglia di contrattare e occhio a scegliere il pezzo fatto meglio.
Dopo un po’ di shopping, torno a prendere le valigie e mi avvio verso l’aeroporto dove un volo della Turkish mi porterà ad Istanbul e poi a Venezia.
Che dire di questo primo impatto con la Cina… sicuramente non è stato un viaggio facile nè rilassante. Il clima e le difficoltà nella comunicazione non hanno aiutato ma sono sicura che in un’altra stagione anche la zona più povera della Cina ha molto da offrire. basta essere curiosi e avere voglia di scoprire.
E poi è un paese così vasto e vario che offre sicuramente la soluzione giusta per tutti i gusti. Io ci voglio tornare!
Buon viaggio!