Trekking lungo la Grande Muraglia Cinese

Cari amici di Turisti Per Caso, vi mando un racconto sul viaggio in Cina che ho cominciato nel 2000 come membro della spedizione internazionale di trekking lungo la grande muraglia cinese. In sei mesi, intervallati da una pausa invernale, ho percorso 2500 chilometri dal deserto dei Gobi fino ai monti a nord di Pechino. La versione integrale del...
Scritto da: Paolo Antonelli 1
trekking lungo la grande muraglia cinese
Partenza il: 25/09/2000
Ritorno il: 05/05/2001
Viaggiatori: fino a 6
Spesa: 1000 €
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Cari amici di Turisti Per Caso, vi mando un racconto sul viaggio in Cina che ho cominciato nel 2000 come membro della spedizione internazionale di trekking lungo la grande muraglia cinese. In sei mesi, intervallati da una pausa invernale, ho percorso 2500 chilometri dal deserto dei Gobi fino ai monti a nord di Pechino.

La versione integrale del presente articolo è stata pubblicata su AAM Terranuova di giugno 2003.

E’ anche stato girato del materiale video girato in MiniDV e Digital 8. La TV neozelandese ha gia’ mandato in onda un breve servizio.

_______________________________________ “Un biglietto aereo per Pechino con ritorno tra tre mesi? Sei il primo cliente che mi fa una richiesta del genere”.

Livia, dell’agenzia viaggi di Lecco, sembrò così sorpresa quando prenotai il viaggio per partecipare alla spedizione internazionale lungo la grande muraglia cinese. E non sapeva che tre mesi non sarebbero bastati.

Non conoscevo gli altri membri del gruppo.

A Londra Sumana Siri, un monacao buddista malese che voleva celebrare l’anno 2000 in modo speciale, aveva convinto un foto giornalista argentino apartecipare alla spedizione, Diego, 31 anni, che aveva a sua volta attratto un giovane viaggiatore neozelandese, Nathan, che a soli 26 anni aveva già visitato 44 paesi. Nathan ne parlò con Kelvin, un altro giovane neozelandese di 27 anni che colse l’occasione per svagarsi da un divorzio ancora fresco e per lui doloroso.

Ci incontrammo a Pechino. Nessuno di noi era un trekker con esperienze più impegnative di una giornata di cammino in montagna. Comunicavamo in inglese.

Diego portò varie forniture di abbigliamento specializzato offerto dagli sponsor che era riuscito a convincere insieme a Kelvin. Nathan procurò a Londra le preziose mappe aeree con i tratti ancora esistenti della grande muraglia. Sumana raccolse informazioni storico culturali sulle località che avremmo incontrato mentre io ero il “bighellone” di turno, pronto a lasciarmi trasportare dalle nuove esperienze come un’alga alla deriva.

Pensate che non mi ero nemmeno portato una macchina fotografica! La spedizione non aveva nulla di ufficiale: solo gli sponsor e l’ambasciata dello Sri Lanka a Pechino erano a conoscenza del nostro viaggio. Ottenere le autorizzazioni dal governo cinese attraverso le vie diplomatiche avrebbe potuto complicare le cose e allungare i tempi.

Tacitamente decidemmo quindi di ignorare eventuali rischi o difficoltà cercando di mantenere un atteggiamento positivo; cosa per me non sempre facile dato che appartenevo ai tipi tendenzialmente negativi del gruppo insieme a Sumana e a Diego. Tale caratteristica ci portava ad alimentare le nostre paure attraverso l’immaginazione e, come dimostrerò più avanti, ad attrarre eventi di qualità corrispondente.

Il 7 ottobre del 2000 prendemmo un treno che da Pechino, in 44 ore, raggiunse Jiayuguan, l’inizio occidentale della grande muraglia cinese nel deserto dei Gobi meridionale. L’obiettivo era quello di camminare fino a Shanhaiguan, l’estremità orientale in riva all’oceano pacifico distante circa 4000 chilometri in linea d’aria.

Prevedevamo di percorrere i tratti meglio conservati e ancora visibili indicati sulle mappe saltando al tratto successivo con mezzi di fortuna qualora la muraglia fosse scomparsa.

Dopo qualche giorno di test tecnici e di preparazione morale, il 10 di ottobre ci incamminammo verso est.

La muraglia reale apparve subito ben diversa dal chilometro di Jiayuguan ricostruito per i turisti o dalle sezioni raffigurate nelle cartoline: era infatti un lunghissimo dosso di terra intervallato di tanto in tanto da cumuli a pianta quadrata posizionati dove si erigevano le migliaia di torri di avvistamento. E’ ciò che rimane del materiale di riempimento che a sua volta era ricoperto da miliardi di mattoni di granito, oggi scomparsi.

I primi giorni di cammino costituirono un buon esempio per descrivere lo spirito delle esperienze che ci accompagnarono nei sei mesi seguenti.

La prima sera ci accampammo accanto alle tende di alcuni lavoratori stradali. Era al tramonto, avevano già cenato e stavano per andare a dormire. Affamato, mi avvicinai al pentolone della cucina a legna allestita all’aperto e immediatamente, tra sorrisi e cortesie, i lavoratori mi offrirono gli ultimi mestoli di minestra con verdure e tagliatelle di grano tenero.

Invitai Kelvin ad approfittarne ma i compagni erano tutti indaffarati a montare le tende. Quando si avvicinarono al pentolone lo trovarono quasi vuoto e cominciarono a inveire contro il mio egoismo.

Poco dopo, al buio, sotto un cielo stellato e con la temperatura in caduta libera verso lo zero, due lavoratori cinesi uscirono dalla loro tenda e si diedero da fare per riaccendere il fuoco della cucina per consentire ai miei compagni di cuocere del riso. La sorpresa fu grande.

Sumana Siri, il monaco buddista, non aveva esperienze di campeggio. Per non appesantire lo zaino, a Pechino, al posto della tenda, aveva scelto il bivacco, cioè una specie di sarcofago sintetico all’interno del quale ci si infila per dormire. Tradito dalla temperatura esterna non ancora sotto zero e dal calore corporeo, stanco morto, non sfilò neanche il sacco a pelo dallo zaino e si coricò vestito sul solo materassino di gomma.

Il mattino seguente Diego usci dalla sua tenda per fotografare la prima alba e scoprì che il bivacco era vuoto. Con tono ironico e allarmato cominciò a dire ad alta voce: “Sumana non ha usato il sacco a pelo, è congelato! Sumana si è congelato da qualche parte!” Poco dopo il monaco fu trovato all’interno della tenda degli operai mentre dormiva su del fieno.

Durante il giorno, con il sole splendente, il clima desertico raggiungeva temperature di 30° e ci dovevamo svestire quasi completamente. Seguivamo l’infinito dosso di terriccio che 500 anni prima costituiva l’anima della grande muraglia Ming.

Un po’ tutti c’è l’aspettavamo diversa ma nessuno, tranne Sumana, si mostrò deluso.

Infatti, in definitiva, noi giovani del gruppo ci trovavamo lì, a piedi nel deserto dei Gobi, per un motivo in larga parte sconosciuto anche a noi stessi. Ci accomunava un bisogno inconscio irresistibile di metterci alla prova, di temprarci per mezzo di un compito estremo, di “tirare fuori” la nostra essenza da lungo tempo addormentata.

La muraglia rappresentava più un pretesto, una direzione da seguire, che un obiettivo vero e proprio. Camminammo infatti per oltre 1700 chilometri prima di incontrare una torre di avvistamento con il rivestimento in pietra originale. E che sensazione quando ciò accadde! La seconda sera giungemmo presso un villaggio agricolo nel periodo della raccolta delle pere. La desertificazione incombente in tutta la Cina settentrionale viene combattuta dal governo con ardite opere di irrigazione e di rimboschimento.

Al nostro arrivo i contadini ci riempirono le tasche di pere fresche e dolcissime.

Sumana Siri era l’unico a conoscere qualche parola di cinese e cercò di individuare un alloggio a pagamento. Noi altri nel frattempo fummo invitati a casa di altre famiglie che ci prepararono la cena. Io, Kelvin e Nathan passammo la notte presso una splendida famiglia con due ragazzi che misero a disposizione il loro letto rialzato in muratura, grande abbastanza per ospitare i nostri sacchi a pelo. Diego cenò presso un’altra famiglia e dormì in una scuola. Sumana concordò il pagamento di cena, notte e colazione presso un’anziana coppia del villaggio. Gli albergatori improvvisati, al commiato dell’indomani nelle strade del villaggio, percependo che le altre famiglie, secondo tradizione, ci avevano ospitato gratuitamente rifiutando in tutti i modi le nostre offerte di danaro, rinunciarono pubblicamente al compenso pattuito.

Ogni giornata era fonte di esperienze intense e interessanti. La terza sera chiedemmo ospitalità presso quello che da fuori sembrava un tempio buddista. Al posto dei monaci incontrammo due religiosi islamici. Il Gangsu è definito provincia autonoma musulmana e in quel caso l’ex tempio buddista era stato convertito in un centro religioso islamico.

L’accoglienza fu festosa: il religioso più anziano cominciò subito ad impastare farina, acqua e lievito per preparare il “mantou”, pane di grano tenero cotto a vapore, scusandosi in continuazione per non avere molto da offrirci. Il più giovane rivelò in modo puro e innocente la propria tendenza omosessuale chiedendo a turno ad alcuni di noi se volevamo amoreggiare con lui.

Sumana e Diego recitarono la parte dei fedeli islamici chiedendo di partecipare alla preghiera serale. Il primo approfittò della proprie sembianze indiane/pakistane, il secondo del titolo in arabo di un libro che si portava dietro insieme alla telecamera e alle macchine fotografiche, lo zaino più pesante della spedizione, più di 35 chili! Il quarto giorno perdemmo la tracce della muraglia, inghiottita dalle dune di sabbia.

Per una sosta non sincronizzata ci dividemmo in due gruppi: i due neozelandesi puntarono verso una torre a 5 chilometri, l’unica visibile.

Io, Diego e Sumana, più lenti, giunta sera, decidemmo di fermarci presso un villaggio. Gli abitanti, inaspettatamente si dimostrarono poco ospitali e ci accampammo fuori dall’abitato. Era di venerdì 13 ottobre, luna piena.

Nel mezzo della notte arrivò un pulmino con tre poliziotti che ci controllarono i documenti e se ne andarono. Due ore più tardi due di loro ritornarono con un ufficiale della polizia per gli affari esteri che si presentò col distintivo e senza mezze misure ci invitò a smontare velocemente le tende e a salire sul mezzo.

Solo qualche giorno più tardi scoprimmo il motivo dell’arresto: eravamo capitati nei pressi di una zona militare.

Quante storie da raccontare! Dovrei proprio cominciare a scrivere un libro.

Quest’esperienza cinese cominciata nel 2000 mi ha portato a fondare un’associazione per lo scambio culturale con la Cina denominata How Are You.

Tra gli obiettivi c’è quello di offrire la possibilita’ di visitare la Cina rurale piu’ autentica privilegiando il contatto diretto con le comunità locali e sostenendo alcuni programmi di solidarietà.

Inoltre desideriamo promuovere la medicina cinese basata sullo sviluppo dell’energia vitale, tecniche genericamente denominate “Qi Gong”. Per informazioni e per le foto di viaggio potete visitare www.Howareyou.It.



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