Tanzania 4

Siamo andati in Tanzania nel 1997. Il giro comprendeva un safari di tre giorni e una visita alle isole di Pemba e di Zanzibar. Siamo arrivati a Nairobi in Kenya e abbiamo preso l'autobus che ci ha portato ad Arusha, la città dove abbiamo prenotato il safari. Il viaggio in autobus è stato molto particolare. Unici turisti in mezzo a tanta gente...
Scritto da: Silvia Nicolini 1
tanzania 4
Siamo andati in Tanzania nel 1997. Il giro comprendeva un safari di tre giorni e una visita alle isole di Pemba e di Zanzibar. Siamo arrivati a Nairobi in Kenya e abbiamo preso l’autobus che ci ha portato ad Arusha, la città dove abbiamo prenotato il safari. Il viaggio in autobus è stato molto particolare. Unici turisti in mezzo a tanta gente di colore tra cui qualche donna Masai con i costumi tipici. Una seduta vicino a me allatta il suo bambino incurante della mia presenza.

Arrivati al confine dobbiamo scendere dall’autobus per farci timbrare il passaporto e per la visione dei visti. Arriviamo dalla parte tanzanica a piedi. Dopo molte ore arriviamo ad Arusha e veniamo subito “adescati” da un ragazzo che sa già cosa vogliamo: un safari. Entriamo nel suo taxi e ci porta all’agenzia. Qui contrattiamo le tre giornate di safari, poi il tassista ci porta in un albergo. Il giorno dopo partiremo per il safari, ma oggi possiamo visitare questa bellissima cittadina.

C’immergiamo in un mercatino di frutta, verdura, statuette e maschere d’ogni genere. Il giorno dopo partiamo alla volta del lago Manyara. Animali come zebre, bufali, elefanti, babbuini, facoceri, gazzelle e giraffe si possono vedere ad ogni angolo, ma la particolarità del parco è la presenza dell’Hippo pool che accoglie uno dei più numerosi gruppi di ippopotami. Arrivati alla “pozza” la cosa che mi colpisce, oltre agli ippopotami, è la presenza di un gran numero e varietà di uccelli che si accalcano in una zona di poche centinaia di metri. Facciamo l’incontro con un gruppo di elefanti, che sembrano ben poco impauriti dalla nostra presenza, anzi uno di loro si avvicina e ci osserva con la stessa curiosità con cui lo guardiamo noi. Ogni tanto scorgiamo un facocero che corre con la coda ritta, e spesso è seguito a poca distanza dal suo piccolo.

Dapprincipio mi sembra di guardare animali addomesticati, ma poi ripenso ai vari documentari girati in queste zone. Queste stesse zebre vengono davvero catturate dai leoni, dai giaguari e dalle iene, e anche se a me sembrano addomesticati sono liberi, e questa libertà la si respira mano a mano che si prosegue col safari.

^Percorrendo la strada troviamo una giraffa intenta a mangiare da un albero, e siamo noi a doverci spostare. Verso l’uscita del parco ci troviamo di fronte ad un grosso gruppo di babbuini che continuano nelle loro faccende senza neanche degnarci di uno sguardo. Il secondo giorno raggiungiamo uno dei parchi più famosi della Tanzania, il cratere di Ngorongoro. Cominciamo la discesa per un sentiero di color rosso intenso, tortuoso e pieno di buche. Arriviamo alla prima radura dove scorgiamo dei pastori Masai che pascolano un gregge di mucche. Di fianco ad esse pascolano libere un gruppo di zebre. Il numero di turisti è maggiore di quello del lago Manyara. Non si riesce a fare dieci metri senza incontrare una jeep che procede in senso contrario, e il nostro autista Jimmy si ferma a parla in Swahili (la loro lingua ufficiale) a quasi tutti gli autisti.

Il parco Tarangire ha un fiume che lo percorre e che forma acquitrini in mezzo a una regione collinare verde attorniata da una savana bruciata. Subito all’entrata notiamo che il parco ha caratteristiche proprie, molto differenti da Manyara e da Ngorongoro. L’aspetto è quasi palustre nei pressi del fiume, ma a pochi metri da questo comincia subito la savana. Troviamo sempre le solite giraffe, zebre e bufali, facoceri, manguste e scoiattoli. Il numero di elefanti è impressionante. Ci avviciniamo al gruppo più numeroso e scattiamo le foto, e qui accade qualcosa. La capo elefantessa, forse impaurita dal rumore della jeep, da segni di irrequietudine, scuote la testa, alza la proboscide lancia un barrito e si avvicina con fare minaccioso. Siamo impietriti. Ora ho la prova che non sono in uno zoo, se ancora avessi avuto dei dubbi. L’elefantessa si avvicina e vede che non siamo una minaccia e si tranquillizza un poco, però ora sono io a non essere più tranquilla. Per fortuna l’autista decide di allontanarsi alla ricerca, questa volta, del leopardo.

^Come a Ngorongoro a tutte le jeep che incontriamo (molto poche) Jimmy chiede se si è visto il leopardo. Dopo aver parlato con un autista Jimmy comincia una corsa verso un boschetto di baobab, e anche se non abbiamo capiamo quello che si sono detti, capiamo che forse abbiamo qualche speranza. Sembra di fare caccia grossa, però armati di macchina fotografica e telecamera. Arrivati al boschetto, però, del leopardo non c’è l’ombra. Dopo aver girato a vuoto per un po’, delusi e un po’ amareggiati riprendiamo il safari ad un’andatura più lenta. Poi Jimmy si ferma, segna col dito in mezzo all’erba e dice “cheetah”. Non vedo assolutamente niente, anche se capisco che dovrei vedere un ghepardo, ma io non lo vedo. Me lo faccio indicare di nuovo, e finalmente appaiono sotto i miei occhi, e a pochi metri, non uno, ma ben due ghepardi appollaiati sotto un cespuglio. Non capisco come facevo a non vederli, e ancora di più non capisco come li abbia visti l’autista. Capiamo di aver avuto una grossa fortuna ad avere un autista così in gamba.

Alla fine delle tre giornate devo dire di essere veramente sfinita, ma di essermi arricchita di sensazioni e ricordi che mai mi abbandoneranno.

Finita l’avventura safari ci portiamo sulla costa per visitare le due isole Pemba e Zanzibar.

Partiamo per Tanga, città portuale, in autobus. Qui incontriamo un ragazzino, Nugho a cui chiediamo aiuto per trovare un albergo per la notte e un ristorante per mangiare visto che anche qui c’è il Ramadan e metà dei negozi sono chiusi. Con un’estrema gentilezza ed educazione veniamo guidati per tutto il giorno dal ragazzino che scopriamo avere 16 anni. Ci racconta che sta studiando e che gli piacerebbe sapere bene l’italiano. Il suo sogno è di venire a studiare in Italia, e di giocare a pallacanestro. Poi ci guarda per un poco e ci chiede se possiamo spedirgli il biglietto d’aereo dall’Italia, così può venire.

Io sono commossa, ma so di non poterlo accontentare. Ci guida per la città, facendoci visitare il mercato del pesce, e il porto, il mio ragazzo mi scatta una fotografia con lui, e lui ci chiede se gliela possiamo spedire. Poi ci suggerisce una stupenda spiaggia da visitare. Gli chiediamo se il giorno dopo ci può riaccompagnare al porto, e così la mattina del giorno dopo questo ragazzino mantiene la sua promessa. Decidiamo di regalargli qualcosa: due paia di calzini ed un cappellino e una mancia di scellini. Lui ci saluta con un sorriso caldo e felice.

^Abbiamo deciso di prendere un barcone per arrivare a Pemba, perché il piroscafo parte dopo due giorni. Grande errore, il barcone boccheggia per più di quattro ore prima di arrivare al porto, ed è con estrema difficoltà che reggiamo lo stomaco. Se volete un consiglio per visitare i paesi mussulmani attenti al periodo del Ramadan, purtroppo durante questo periodo nei luoghi meno turistici, come Pemba, non ci si può muovere senza incontrare molte difficoltà. Infatti appena arrivati facciamo molta fatica a trovare da dormire, ma soprattutto non troviamo niente da mangiare. E’ mezzogiorno, e fino al tramonto tutti sono fermi, ristoranti compresi. Per fortuna ci siamo portati una scorta di cioccolato e grissini.

Dopo il tramonto finalmente possiamo mangiare: pollo e patatine. Il giorno dopo vorremmo arrivare ad una spiaggia, ma non si trova neanche un taxi e per noleggiare un motorino ci chiedono troppi soldi, e per di più non ci fidiamo perché sprovvisti di patente. Decidiamo di lasciare l’isola con un po’ di rammarico.

Raggiungiamo così Zanzibar questa volta in piroscafo, molto più comodo e veloce. Arrivati sull’isola si sente un acre odore di spezie che si spande per le vie. L’economia di quest’isola, infatti, si basa tutta sull’esportazione delle spezie che qui si coltivano in grandissima quantità. La prima cosa che facciamo è il tour delle spezie dove visitiamo villaggi tipici, immersi nelle coltivazioni dei chiodi di garofano, pepe, zafferano, cardamomo, noci moscate e tante altre. Ci fanno assaggiare una grande varietà di frutti: mango, icis, cacao e altre. In mezzo ai villaggi si trovano gli ex bagni turchi del sultano di Zanzibar, e le grotte sotterranee dove venivano raccolti gli schiavi utilizzati per le piantagioni.

A mezzogiorno si pranza con del riso condito di tutte le spezie viste nel tour. Vi assicuro che ne vale la pena.

Il giorno dopo visitiamo Changu Island detta Prison Island un’isoletta a 20 minuti di barca da Zanzibar. Chiamata Prison perché vi era una prigione dove venivano incarcerati gli schiavi ribelli. Su questa isola si possono vedere delle tartarughe terrestri giganti, e al mattino durante la bassa marea si può osservare la vita marina: si possono intravedere i granchi che si nascondono fra le rocce aspettando l’alta marea, le patelle arroccate sulle rocce, le stelle marine di un rosso sfavillante muoversi sulla sabbia, i ricci, le spugne, e anche dei pesciolini tutti nell’attesa che la marea ritorni.

Le spiagge dell’isola di Zanzibar sono notoriamente belle per prendere il sole e per nuotare, ma sono altrettanto belle per osservare la vita marina. Le spiagge che ho visitato (Nungwi a nord, Bwejuu a est) erano oltre che stupende per il sole e il mare, altrettanto meravigliose per la natura che le circondava: palme sui bordi della spiaggia, granchi che escono da buche nella sabbia, stelle serpentine nascoste tra i sassi, e gli immancabili ricci.

Ormai le tre settimane di ferie sono quasi finite, ci trasferiamo in piroscafo a Dar es Salaam la capitale, e come tale caotica e trafficata. Nel pomeriggio visitiamo la via dell’ebano, dove vengono costruite le statue e le maschere di ebano tipiche dell’Africa. Mi impressiono del numero di negozi che vendono oggetti tipici (ce ne saranno un centinaio), ma mi impressiona di più che al centro di questo quadrato di negozi ci stanno uomini armati di martello, scalpello e carta vetrata che incidono e danno forma alle statue. La povertà dei loro vestiti, il fatto che qualcuno di essi non abbia nemmeno le scarpe, e che i più indossino semplici infradito ormai logori, mi fa sentire diversa.

Il viaggio è finito, ma mi ha lasciato nel cuore gli odori, i colori e le persone dell’Africa. Se prima non credevo al mal d’Africa ora che ne soffro posso dire che esiste, esiste davvero.

Silvia N.



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