Stati Uniti: Georgia – Alabama – Mississippi – Arkansas – Texas – Oklahoma – Louisiana – Florida

Un'altra entusiasmante esperienza "on the road" interamente programmata e realizzata fai da te, un lungo viaggio di 6.220 km
Scritto da: nonna70
stati uniti: georgia - alabama - mississippi - arkansas - texas - oklahoma - louisiana - florida
Partenza il: 05/06/2017
Ritorno il: 19/06/2017
Viaggiatori: 2
Spesa: 3000 €
Ancora una volta negli Stati Uniti con mio figlio Giovanni, per un lungo viaggio di 6.220 km. partendo da Atlanta in Georgia, attraversando vari Stati, in particolare l’Oklahoma che ci ha permesso di percorrere alcuni tratti della mitica “route 66”, il Texas con i suoi sterminati pozzi petroliferi, il Mississippi e l’Alabama con le loro estese piantagioni. Un’altra entusiasmante esperienza “on the road” interamente programmata e realizzata con il fai da te nel giugno del 2017.

Venezia-Atlanta-Douglasville (Km.60)

Partenza da Venezia e arrivo ad Atlanta alle 16.00 ora locale con volo diretto Delta Airline; quindici minuti a piedi per giungere al controllo passaporti (prima elettronico poi di persona) con lunghe file ma chi aveva l’ESTA è stato agevolato.

Una fitta pioggia ci attende all’uscita e dobbiamo aspettare quasi venti minuti lo shuttle che ci porta al terminal dell’Avis per noleggiare la macchina (una comoda Nissan Altima Sedan); anche lì ci vuole un’ora per perfezionare il contratto e poi ancora quaranta minuti per raggiungere Douglasville quando sono ormai le ore 20 e il nostro agognato Hotel: Sleep Inn (€ 85) molto buono. Le quasi undici ore di viaggio e le quattro seguenti sono state lunghe e stressanti; sono veramente esausta e vado subito a letto.

Douglasville-Birmingham (Al)-Tuscalosa (Al)-Columbus (Mss) (Km. 470)

Alle ore 9,20 siamo pronti per la partenza con una temperatura di 23° e la pioggia intensa che ci accompagna per buona parte del viaggio. Ci immettiamo sulla I-20W e, dopo circa mezz’ora, attraversiamo il confine con l’Alabama dove entriamo anche nella Central Time Zone per cui dobbiamo mettere l’orologio indietro di un’ora; dalle 11 alle 11,15 facciamo una breve sosta presso una “rest area” dopo aver attraversato boschi, campi coltivati, la cittadina di Pen City sul fiume Coosa, la periferia nord di Birmingham che si estende per quasi 25 km (l’avevamo già percorsa in un nostro precedente viaggio) e la città di Tuscaloosa dove prendiamo la US 82W.

Dopo circa 80 km superiamo il confine con il Mississippi. Qui il paesaggio cambia caratterizzato da enormi piante di magnolie fiorite e dopo altri 20 km arriviamo nella città di Columbus presso il Quality Inn (€ 78); sono solo le ore 14,00 (non avevo considerato il cambio dell’ora) ma ne approfittiamo per riposarci e riprenderci dalle fatiche del giorno precedente.

Alle ore 18,00 ci rechiamo presso il ristorante Applebee’s Seafood dove consumiamo una cena veramente ottima: per me cinque filetti e due polpettine di pesce gatto panati e fritti con fagioli, patata dolce rossa con buccia cotta in carta argentata e burro fuso sopra; per Giovanni un grosso hamburger molto spesso, con anelli di cipolle e patate fritte su fette di pancarré imburrato. Delizioso!

Columbus (Mss)-Greenville (Mss)-El Dorado (Ark) (Km. 450)

Ho fatto un giro all’interno dell’hotel che si presenta molto bene e pulitissimo soprattutto nella sala della colazione dove un’addetta si assicura che sia tutto splendente e i contenitori del cibo sempre ben riforniti.

Con Giovanni ci fermiamo un po’ per gustarci un ottimo breakfast tipico americano a base di: panini caldi con una salsa cremosa da versare sopra (gravy), frittata, wurstel, patate lesse e tanto altro a scelta.

Alle ore 8,50 siamo pronti per la partenza continuando sulla US-82W, una bella strada con 2+2 corsie e in mezzo tratti aperti per cambi di direzione e accessi alle fattorie che punteggiano questa pianura; la temperatura è di 23° e la velocità massima consentita di 104/km.

Si alternano ranch con larghi pascoli e boschi di querce, cedri e pini; lasciamo ai lati la cittadina di Starkville e da Eupora la strada si presenta con continui saliscendi più o meno accentuati (tipici degli USA) attraversando estese piantagioni di mais, soia e grano. Superiamo Winona, Greenwood e, dopo una breve sosta di quindici minuti, alle ore 12,20 attraversiamo un lungo ponte sul fiume Mississippi al termine del quale si entra in Arkansas a Greenville; la temperatura è salita ai 27° quando ci fermiamo presso un’area di sosta con annesso ufficio informazioni (varrebbe la pena di fare un viaggio negli States solo per vedere come sono attrezzati e gestiti)) a Lake Village dove sostiamo una ventina di minuti, anche se soffia un forte vento, per scattare alcune foto.

Il paesaggio cambia: non vedo più alcun albero di magnolia, non ci sono campi coltivati ma enormi distese di boschi fitti. Arriviamo a El Dorado alle ore 15,00 e ci dirigiamo subito al Country Inn & Suites (€ 120) un super hotel un po’ caro ma che merita tutti i soldi che abbiamo speso. Solito riposo fino alle 17,30 quando decidiamo di dirigerci verso il centro: una breve passeggiata per le vie di questa cittadina di circa 20.000 abitanti si rivela una delusione; i negozi sono tutti chiusi, molti abbandonati, non ci sono persone in giro, anche la temperatura di 30° non facilita. Ci rifugiamo per la cena presso l’Hotshots bar & grill: io ordino una terrina con insalata, bacon, gorgonzola, pomodori, uova sode, cipolla e petto di pollo.

Alle ore 20,15 siamo di ritorno in hotel e mi fermo nel gazebo a leggere fino alle ore 21 quando rientro per il meritato riposo.

El Dorado (Ark) – Texarcana (Tx) – Sherman (Tx) (Km. 425)

Giovanni ed io andiamo a fare una sostanziosa colazione all’americana e notiamo che le tazze, i piatti, i bicchieri e la posateria sono di ceramica non di plastica come di norma; trovo anche la panna con mirtilli e lamponi!

Dopo aver fatto benzina, iniziamo il nostro viaggio alle ore 9,30 con un bel sole caldo e una temperatura di 22° che man mano aumenterà fino ai 30° delle ore 13,00. Continuiamo a seguire la US-82W attraverso il solito paesaggio e, dopo aver superato Magnolia, alle 11,40 entriamo in Texas; segna il confine, la cittadina di Texarcana. La velocità è salita a 113/km. iniziano i grandi pascoli con foraggio, i campi coltivati, le colline ondulate e i boschi, notiamo un gruppo di detenuti (segnalati da un cartello) che stanno pulendo i bordi della strada. Dalle ore 13,10 alle 13,30 facciamo una sosta e ne approfittiamo per mangiare degli ottimi tranci di pizza con salamino piccante.

Dopo aver superato la cittadina di Paris, arriviamo a Sherman alle ore 15,15 presso l’hotel che avevo prenotato tramite Booking (come tutti gli altri nei quali abbiamo pernottato durante il viaggio): La Quinta Inn & Suites (€ 75). La prima impressione è ottima e ci mettono al quarto piano in una stanza silenziosa come avevo chiesto; sistemati i bagagli, ci rilassiamo sui letti ma, dopo un’ora, sentiamo un rumore assordante e continuo provenire dal corridoio. Proprio davanti alla nostra camera sono piazzati una macchina del ghiaccio e un distributore di bibite che sono entrati in funzione; Giovanni scende subito per chiedere il cambio con una stanza lontana dai rumori. È subito accontentato con tante scuse da parte dell’incaricato; rifaccio le valigie, prendo tutta la nostra roba e ci risistemiamo finalmente nel silenzio assoluto e posso dedicarmi alla lettura, ai cruciverba e anche a un sonnellino fino alle ore 18,00.

Usciamo con la macchina e ci dirigiamo verso il Catfish (ristorante specializzato in pesce gatto e gamberi) locale senza pretese, il servizio alla buona ma con cibo molto gustoso: quattro enormi filetti di pesce gatto, quattro grossi gamberi aperti a farfalla, fagioli, insalata mista, patata intera e salse varie.

L’hotel è dotato di una piscina esterna e di un curatissimo giardino con fiori e gazebo così, al rientro, mi siedo fuori a leggere fino alle ore 20,30.

Sherman (Tx) – Vinita (Ok) – Miami (Ok) (Km.440)

Il cielo è molto nuvoloso con un po’ di pioggia ma quasi subito esce il sole; partiamo alle ore 9,40 con una temperatura di 21°, prendiamo la US-75N e, dopo pochi chilometri (a Denison è segnalato che qui è nato nel 1890 il generale e 34° Presidente Ike Eisenhower) a Colbert, superiamo il confine con lo stato dell’Oklahoma.

A Durant usciamo attratti dalle indicazioni che portano a un’area con casinò, resort, negozi e ristorante gestiti dai nativi Coctaw che formano una nazione indipendente con proprie leggi e governo (oltre a loro ci sono nello Stato altre 39 tribù di nativi che tramandano le tradizioni della loro cultura); dopo una breve sosta per prendere la mappa dello stato, continuiamo la nostra strada. Alle ore 12,40 un altro stop per fare benzina e acquistare al vicino market i prodotti degli amish (comunità religiosa nata in Svizzera nel 1500 e stabilitasi negli USA nel 1700): torte ai mirtilli e biscotti con uvetta che gustiamo quasi subito apprezzando il sapore delle cose fatte in casa ben diverso dalle confezioni industriali.

La temperatura è salita fino ai 30°, attraversiamo immense praterie con pascoli e foraggio, ad Atoka la US-75 lascia il posto alla US-69N e, prima di Muskogee, superiamo su lunghi ponti gli ampi bacini dei laghi artificiali (se ne contano nello Stato ben 200) Eufaula e Gibson; vediamo in lontananza le cittadine di Pryor e Vinita per arrivare, alle 15,50 a Miami, un comune di circa 14.000 abitanti situato in angolo quasi al confine sud dello stato del Kansas e con il Missouri ad est. Troviamo subito il nostro “Microtel” (€ 70) con una spaziosa piscina interna, belle camere confortevoli e ben accessoriate; solito riposo poi alle ore 18,15 ci rechiamo in centro (la Main street non manca mai sia nei paesini sia nelle grandi città e segna il punto più importante) presso lo Stonehill Grill: Giovanni ordina un grosso hamburger con sopra purè e sugo denso di manzo, per me cinque enormi pezzi di pesce gatto panato e fritto con riso saltato e broccoli.

Al rientro in hotel mi dedico alla lettura poi cerco di dormire ma i ragazzi della stanza accanto fanno “casino” fino alle 23,30 quando mi decido di bussare alla loro porta per invitarli a smettere: si scusano e promettono di stare più attenti ma io non mi fido e preferisco mettere i tappi alle orecchie così posso dormire tranquilla.

Miami (Ok) – Tulsa (Ok) – Edmond (Ok) (Km.360)

Dopo una buona colazione continentale, alle ore 9,35 con un bel sole ma tanto vento e una temperatura di 30° iniziamo il nostro viaggio che oggi prevede di percorrere buona parte della leggendaria Route 66 che attraversa tutto lo stato da est a ovest fino al confine con il Texas. La prendiamo a Vinita (uno dei più vecchi centri abitati dell’Oklahoma) ma abbiamo scoperto che, per seguire tratti del tracciato originale, bisogna fare delle deviazioni all’interno dei paesi così decidiamo di fermarci solamente in quei posti che ci attraggono di più. Il primo si presenta dopo circa 40 chilometri a Foyil (un piccolissimo paese di circa 300 abitanti) che abbiamo girato in lungo e in largo perché non riuscivamo a trovare il “Totem Pole Park” che volevamo visitare. Finalmente dopo tanto girovagare abbiamo imboccato la strada giusta che, dopo qualche chilometro in mezzo al nulla, ci ha condotto al parco: un esteso campo con dei totem magnificamente istoriati a colori vivaci al cui vertice sono rappresentate le più importanti tribù indiane (il più alto misura 20 m), altre strutture indiane, un negozio di souvenir e nient’altro! Ma noi siamo stati fortunati: c’era un raduno campestre di quelli che avevo visto solamente al cinema; donne, uomini, bambini, anziani arrivati qua con le auto dalle quali scaricavano seggiole, tavolini e si apprestavano a fare pic-nic. Sotto un albero un gruppo di maschi e femmine di una certa età stava suonando con dei violini la musica country e folk che a me piace molto: ho chiesto il permesso e si sono volentieri messi in posa per alcune foto. Da un’altra parte, su una cucina da campo, dei cuochi stavano preparando della carne con la quale avrebbero imbottito i panini per il pranzo; abbiamo domandato a una ragazza cherokee se era possibile restare ma, dispiaciuta, ci ha informati che era già tutto prenotato! Ci siamo fermati ancora un po’ a parlare con lei poi ci siamo recati al negozio, dove si possono acquistare manufatti originali dei nativi ed io ho preso degli orecchini fatti con perline bianche e nere.

In complesso abbiamo trascorso quasi un paio d’ore vivendo da vicino una giornata di festa di queste piccole comunità rurali: una simpatica esperienza. Alle ore 12,00 riprendiamo la nostra strada ma, dopo circa 15 km. siamo attratti da un’indicazione che segnala la presenza a Claremore del “Davis Arms & Historical Museum”: la più vasta collezione privata al mondo di armi da fuoco. Incuriositi, decidiamo di visitarlo: si presenta una grande costruzione che si estende su 3.700 mq, all’interno il banco informazioni, un negozio di souvenir, carrozzelle per handicappati, passeggini a disposizione per i bambini, servizi igienici impeccabili e poi….centinaia di bacheche e vetrine con esposti i circa 50.000 oggetti qui conservati.

Le armi da fuoco fanno la parte del leone: ce ne sono quasi 20.000 soprattutto pistole (dalla più piccola a un cannone a mano cinese del 1350) ma anche fucili e carabine, mitra e mitraglie, spade, coltelli, una vetrina è dedicata alle armi dei Samurai, manufatti dei nativi americani. Ci sono anche 1.200 boccali di birra, 70 selle da cavallo, centinaia di teste e corna di animali, strumenti musicali, bastoni da passeggio, medaglie e onorificenze, poster delle guerre mondiali e tanto altro. Non sapevamo più dove guardare e cosa fotografare data la vastità e varietà degli oggetti custoditi; abbiamo trascorso qui più di un’ora e alle 13,30 siamo ripartiti sempre seguendo la Route 66 verso Tulsa (una delle città più importanti dell’Oklahoma con un museo dedicato al celebre cantante folk Woody Guthrie che è nato in questo stato). Nei pressi di Catoosa abbiamo scorto da lontano una delle attrazioni più famose: una gigantesca balena blu lunga 24 metri che emerge dalle acque di un laghetto, abbiamo superato un ponte sul fiume Arkansas, lasciato da parte la città di Tulsa e, dopo Stroud, la strada ha iniziato a presentarsi a saliscendi anche accentuati per tantissime miglia, senza traffico con la vista di campagne alternate a boschetti, qualche rara fattoria e nient’altro.

Siamo arrivati così a Edmond presso lo Stratford House Inn (€ 75) un ottimo hotel gestito da una famiglia indiana: apertura delle porte con chiave magnetica, pulitissimo, arredo funzionale, stanza e servizi spaziosi e assenza di rumori. Sono le ore 16,30 fuori c’é il vento e una temperatura di 33° ma noi stiamo bene dentro e ci riposiamo fino alle 18,20 quando usciamo per andare a cena.

Abbiamo scelto il “Fish City Grill” ed io ho ordinato una baguette ripiena di gamberi grigliati, insalata, pomodoro, cipolla, verdure miste tritate e salsa; Giovanni un hamburger formato da polpa di granchio: tutto veramente buonissimo.

Oggi abbiamo vissuto una giornata intensa e appagante, siamo stati a contatto con gli abitanti e parlato con i nativi indiani, abbiamo visitato un museo unico al mondo e, anche se non abbiamo percorso dei tratti storici della Route 66, io mi sono sentita coinvolta nella sua storia commentandola con Giovanni.

Mi sono resa conto, una volta di più, che gli Stati Uniti sono un grande paese: a parte l’estensione e le sue contraddizioni qui si respira un’aria di libertà che si fa fatica a descrivere; quando ci fermiamo ai distributori, nelle aree di sosta, in ristorante o nei negozi, mi piace osservare le persone che mi circondano. Noto che l’obesità è comune sia ai maschi sia alle femmine anche giovanissimi, vedo molte coppie anziane che si tengono per mano, magari sono piene di acciacchi e faticano a camminare (ho visto una signora che girava tranquilla con la sua bombola di ossigeno e un’altra forse della mia età che, con la sua amica, guidava un enorme camper e faceva benzina). Qui nessuno ti osserva con occhi critici o di disapprovazione, ognuno si veste come vuole, c’è il rispetto massimo dei luoghi e della natura (a chi sgarra vengono comminate multe severe; chi occupa il posto riservato agli handicappati deve pagare $ 700 come minimo!).

Edmond (Ok) – Oklahoma City – Amarillo (Tx) (Km. 470)

Oggi abbiamo deciso di visitare Oklahoma City, capitale dello Stato, con una popolazione di circa 600.000 abitanti. Dopo una buona colazione continentale, ci mettiamo in strada alle ore 9,30 con un bel sole, un forte vento (la costante di questo viaggio) e una temperatura di 26°; vediamo dalla mappa che è facile arrivare seguendo prima la US-77S quindi la I-235S che raggiunge proprio il centro della città che presenta i soliti grattacieli, bei viali spaziosi e parchi. Seguendo le indicazioni raggiungiamo il Campidoglio, sede del governo e, in altre costruzioni, dei principali ministeri e uffici amministrativi. Il palazzo costruito nel 1919 in stile neoclassico, ricorda tutti quelli che abbiamo già visto in passato; ciò che ci colpisce è la vasta area antistante e quella dei parcheggi (centinaia di posti) completamente deserta sia di persone sia di auto. Siamo assolutamente soli! Giovanni fa alcuni giri prima di parcheggiare indeciso e perplesso; io ne approfitto per recarmi a piedi davanti al Campidoglio per scattare alcune foto e concludiamo che, essendo domenica, anche tutte le attività degli uffici sono ferme e immaginiamo cosa possano essere questi luoghi durante la settimana lavorativa.

Alle ore 10,30 ripartiamo attraversando ancora la città per collegarci con la I-40W, una comoda autostrada a 2+2 corsie che percorre una pianura sconfinata con pascoli, mucche e foraggio; superata la cittadina di El Reno (patria degli hamburger alla cipolla), prendiamo l’uscita 108 attratti dall’indicazione “Cherokee Trading Post Calumet”, stazione di servizio, ristorante e negozio di souvenir gestito dagli indiani. Tende, totem e murales dai colori sgargianti completano l’area; ci fermiamo qui dalle ore 11,00 alle ore 12,00 e dopo un breve giro, fa già molto caldo, entro nel negozio per fare degli acquisti poi, dopo le fotografie di rito, riprendiamo la nostra strada.

Trascuriamo la Route 66 perché fermarci in ogni cittadina con le sue caratteristiche attrazioni ci porterebbe via troppo tempo: Weatherford (Air&Space Museum), Clinton (Oklahoma Route 66 Museum), Elk City (National Route 66 Museum) e infine Texola (con la sua pittoresca “ghost town”) che segna anche il confine con lo stato del Texas che superiamo alle ore 13,40. La velocità concessa è di 120/km e il paesaggio cambia: ancora praterie ma intervallate da boschetti e bassi arbusti caratteristici delle zone aride; alle ore 14,20 ci fermiamo in un’area di sosta con strutture coperte caratteristiche che fotografo, il vento è sempre presente e la temperatura supera i 32°. Prima di arrivare ad Amarillo, tappa della nostra giornata, lasciamo sempre a lato la Route 66 e i paesi da essa attraversati con le loro attrazioni: Shamrock (Pioneer West Museum), Groom (unico luogo dove usciamo per fotografare una famosa cisterna di acqua inclinata e dove si può vedere una croce gigante che è ritenuta la più grande dell’emisfero occidentale), McLean (sede di un campo di prigionieri della seconda guerra mondiale) Conway (con esemplari di Maggiolini Wolkswagen conficcati nel terreno).

Raggiungiamo Amarillo alle ore 16,15 e l’Ashmore Inn & Suites (€ 73) un buon motel con piscina interna e vasca idromassaggio. Per la cena abbiamo preferito recarci, a piedi, al vicino “Cracker & Barrel” (catena molto buona che già conoscevamo dai nostri precedenti viaggi) anche se soffia un vento caldo e soffocante. Non rimaniamo delusi: io ordino un piatto composto da 15 pezzi di gamberi e palline di peperoni dolci panati e fritti con due panini caldi imburrati, verdure cotte e broccoli; speciali!

Oggi abbiamo percorso molti chilometri ma l’andare è piacevole, tranquillo, con soste interessanti

E un paesaggio mutevole.

Amarillo (Tx) – Lubbock (Tx) – Midland (Tx) (Km. 525)

Oggi abbiamo programmato una visita al Palo Duro Canyon, secondo per dimensioni dopo il Grand Canyon in Arizona, inaugurato nel 1933 si estende su una superficie di 113 km quadrati, lungo 195 km e profondo al massimo 250 m; il nome spagnolo (legno duro) fa riferimento alle piante di ginepro che crescono nella regione e il tipico colore rosso è dato dalla presenza di ferro nel terreno.

Dopo una buona colazione continentale (sempre compresa nel prezzo della camera), prendiamo il via alle ore 9,00 con una temperatura di 21° immettendoci sulla I-27S che in venti minuti ci porta a Canyon dove deviamo sulla TX-217E, una lunga strada dritta che dopo circa venti chilometri ci porta al centro visitatori del parco. Ritirati i biglietti (5$ a testa) e le informazioni relative al percorso, subito si apre davanti a noi uno scenario spettacolare di rocce rosse, piccoli canyon e lo sguardo si perde all’infinito; poi si scende a valle su una strada tortuosa con curve strette e ai lati cespugli, alberi ed erbe che con il loro verde intenso fanno un bel contrasto con il rosso del terreno e delle rocce. Questo tracciato, tutto asfaltato, procede per 10 km più un anello di altri tre lungo i quali si trovano parcheggi, piazzole per il campeggio, servizi igienici, aree pic-nic, spazi per i camper e anche un anfiteatro nel quale durante i mesi estivi si svolgono manifestazioni di vario genere. Le attività che si esercitano all’interno sono il campeggio, il ciclismo, l’escursionismo e l’equitazione alle quali sono dedicati chilometri di sentieri e percorsi appositi. La vegetazione varia dalle margherite selvatiche, agli astri, alla salvia, yucca, bacche rosse di ginepro e cactus che crescono in una parte specifica del canyon.

Siamo rimasti quasi un’ora e mezza affascinati dai colori, dalle formazioni rocciose, dal silenzio, dallo scarso traffico quindi siamo usciti ripercorrendo la strada dell’andata fino a Canyon continuando poi sulla I-27S dove la velocità consentita è di 120/km e a mezzogiorno la temperatura segna 34°. Procediamo fino a Lubbock dove la strada diventa US-62/82W e si snoda sempre tra sconfinati campi coltivati a mais e pascoli con foraggio; facciamo una sosta per acquistare bocconcini di pollo, patate e involtini ripieni cotti al momento che poi consumeremo durante un’altra breve fermata alle ore 13.30 (soffia un forte vento e un caldo torrido di 40° perciò rimaniamo all’interno dell’auto). A Seminole deviamo sulla US-385S e da qui in avanti all’improvviso, come per magia, tutta la pianura fino all’orizzonte è disseminata di decine e decine di trivelle che stanno lavorando per estrarre il petrolio: guardo affascinata i loro movimenti lenti, continui, ritmici, quasi sincronizzati, che mi ipnotizzano e così quasi non mi accorgo del tempo che passa e dei chilometri che maciniamo.

Avvicinandoci a Midland (115.000 abitanti e città natale dei Presidenti Bush), tiro fuori la mappa che avevo stampato da casa per trovare il nostro hotel ma mi sfugge l’uscita indicata così arriviamo fino al centro della città e qui perdo completamente l’orientamento; giriamo a vuoto per circa mezz’ora e finalmente, con un colpo di fortuna, riesco a riconoscere il nome di una via che avevo come riferimento e da lì è stato tutto molto semplice per arrivare al Quality Suites (€ 70) camera con angolo salotto, pulita, silenziosa e piscina esterna.

Sono già le ore 17,15 poi dopo mezz’oretta quando ci stiamo rilassando, si scatena una violenta bufera di vento ma poca pioggia che ci sconsiglia di muoverci per andare a cena; io sono anche molto stanca per i tanti chilometri percorsi e non mi spiace digiunare per una sera.

Termina così un’altra giornata a contatto con la natura, con le bellezze del canyon, con lo stupore delle trivelle e le piccole disavventure ed io sono contenta perché mi sto divertendo a conoscere questa parte degli Stati Uniti.

Midland (Tx) – Weatherford (Tx) (Km. 470)

Ci mettiamo in strada alle ore 10,00 con una temperatura di 28° e seguiamo la I-20W che attraversa ancora spazi aperti con trivelle e accanto enormi cisterne per contenere il petrolio estratto; lasciamo sulla destra la città di Big Spring e dopo 130 chilometri, superata anche Colorado City ritroviamo gli estesi campi coltivati a grano e altri appena arati.

Alle ore 12,30 ci fermiamo per fare benzina e acquistare due tranci di pizza che consumeremo più tardi presso un’area di sosta attrezzata; curiosa e particolare questa struttura che espone all’interno una macchina d’epoca, una pompa di benzina degli anni venti e, all’esterno un cartello che avverte di fare attenzione per la presenza di serpenti velenosi (crotali) nei dintorni. Oggi la temperatura è più accettabile di ieri (30°) ma soffia sempre un vento fastidioso; viaggiamo così, tranquilli, superando Abilene e arrivando infine a Weatherford dopo aver percorsi altri duecento chilometri. Ci sistemiamo presso l’hotel Econo Lodge (€ 61) molto buono, ben gestito e tranquillo: sono le ore 15,45 quando prendiamo possesso della nostra camera dove rimaniamo volentieri a riposarci fino alle ore 18,30 poi ci rechiamo a cena al “Mesquite Pit”. Io ordino un piatto formato da cinque grossi pezzi di pesce gatto panati e fritti con riso scuro e anelli di cipolle, Giovanni dodici gamberi giganti con patate e anelli di cipolle panati e fritti: saporiti, abbondanti e belli da guardare tanto da meritarsi una foto. Prezzo 29 € comprese le bibite e la mancia!

Oggi abbiamo rifatto lo stesso tratto di strada che avevamo percorso durante il nostro precedente viaggio nel Texas del 2009 e stiamo anche pernottando nella stessa città di Weatherford ma presso un altro hotel: chi l’avrebbe mai detto che, a distanza di molti anni, ci saremmo trovati ancora qui!

Weatherford (Tx) – Bossier City (Lou) (Km. 470)

Iniziamo la nostra giornata con una buona colazione continentale, prendiamo il via alle ore 9,30 con un cielo velato e una temperatura di quasi 30°; restiamo sempre sulla I-20E che si dirige verso Fort Worth e Dallas che avevo proposto a Giovanni di visitare ma lui ha scartato decisamente l’idea perché non se la sente di affrontare le difficoltà del traffico caotico. L’autostrada è già intasata di macchine anche se le 4+4 e più avanti le 5+5 corsie facilitano l’andare; piuttosto preferisce percorrere tutta la circonvallazione esterna (in totale quasi 100 km ma sulla nostra direttrice di marcia) per andare a visitare la tomba di uno dei suoi miti musicali, Stevie Vaughan, dopo averla individuata su internet e che si presenta facile da raggiungere. Affrontiamo incroci complessi, superiamo estese zone commerciali e industriali che si allungano per chilometri (impressionante il numero delle concessionarie di auto che espongono le più diverse marche) e, dopo circa 70 km, deviamo sulla I-35E verso il centro di Dallas continuando per altri quattro e arrivare al “Laurel Land Memorial Park” dove parcheggiamo.

Giovanni va a chiedere informazioni sull’ubicazione della tomba e, data la vastità del parco, dobbiamo riprendere l’auto seguendo il percorso indicatoci: arrivati, Giovanni si ferma alcuni minuti in silenzio poi scatta delle foto da inviare ai suoi amici che hanno amato la stessa musica. Siamo rimasti qui dalle ore 10,30 alle 11,00 poi ritorniamo sulla I-20E che lasciamo poco dopo per fermarci ad acquistare dei sandwich da consumare più tardi e per deviare sulla TX-19N decidendo di percorrere una strada interna dopo tanta autostrada. Seguiamo la US-80E per altri 110 chilometri fino a Longview dopo aver superato Mineola e Big Sandy e, ripresa la I-20E, arriviamo al confine con lo stato della Louisiana poco prima delle ore 13,00; altra sosta di mezz’ora presso un’area di sosta dove consumiamo il pranzo: io due pezzi di pesce gatto e i panini rimasti dalla cena, mentre Giovanni si mangia i sandwich che avevamo acquistato. Scatto delle foto ma fa anche molto caldo con una temperatura di quasi 34°.

L’autostrada attraversa la città di Shreveport (avevamo già pernottato qui durante un nostro precedente viaggio) e, dall’altra parte del fiume Red, si trova Bossier City dove abbiamo prenotato al Quality Inn (€ 65); scelta veramente infelice per la condizione in cui troviamo la stanza: puzza di chiuso, cestini non svuotati, fili elettrici penzolanti, mobili vecchi, frigo rotto e piumino strappato. Per fortuna il letto è comodo e il bagno pulito e siamo così stanchi per la lunga giornata che ci adattiamo: peccato, è una delle rarissime volte in cui siamo capitati male!

Alle ore 18,15 usciamo per andare a cena, dopo lunghi giri in auto per il centro che non offre nulla d’interessante, ci fermiamo presso il Logan’s Roadhouse dove io mangio dei gamberi caramellati in salsa piccante con patatine fritte al momento e Giovanni un hamburger di bufalo. All’uscita vorremmo fare un giro a piedi ma la temperatura ancora troppo alta ci scoraggia e rinunciamo.

Bossier City (Lou) – Jackson (Mss) – Forest (Mss) (Km. 480)

Dopo una buona notte di sonno, scendo per la colazione e trovo un’ampia scelta così preferisco quella classica americana. Terminato con calma di preparare le valigie, partiamo alle ore 9,45 con un cielo un po’ nuvoloso e una temperatura di 31°; seguiamo sempre la I-20E (autostrada a 2+2 corsie con velocità massima di 112/km) il cui tracciato passa attraverso boschi formati da alberi di cedro, olmo, pino, noce, tante magnolie (simbolo dello Stato e raffigurate nella bandiera) mentre al di là si scorgono estese piantagioni di soia, cereali, ortaggi e alberi da frutta (le vedremo più da vicino quando percorreremo strade interne) con fattorie che vendono direttamente i loro prodotti.

Dopo duecento chilometri, superata Monroe, noto sulla mappa un sito indicato come interessante così decidiamo di andare a vedere di cosa si tratta; a Delhi deviamo sulla LA-17N, costeggiamo un bacino artificiale, e dopo 35 km a Epps prendiamo la LA-134E (tutto attraverso campi coltivati, traffico nullo e poche fattorie) che ci porta dritti al Poverty Point National Monument. E’ un sito archeologico che deve il suo nome alla piantagione in cui fu scoperto nel 1873 e protetto dall’Unesco dal 2014; si estende su una vasta area dove si possono vedere dei cumuli funerari che variano da un’altezza di pochi centimetri a quasi 40 metri e si ritiene che appartengano alla civiltà precolombiana del 1800/1400 a.C.

Tutto questo lo apprendo leggendo le informazioni appese in bacheca, non c’e nessuno nei dintorni, per visitare questi siti a piedi ci vorrebbe del tempo ma l’ora (le 12,30) e la temperatura di quasi 35° ci consigliano di riprendere la macchina. Ripercorriamo la stessa strada fino a Epps dove facciamo una sosta presso un piccolo negozietto per acquistare pesce gatto, pollo e spicchi di patate fritti; arriviamo nuovamente a Delhi per rientrare in autostrada (poco dopo, stupiti, notiamo dei segnali stradali che indicano “pericolo orsi per 20 km!) e, dopo Tallulah, alle ore 14,00

Transitiamo su un lungo ponte che segna il confine con lo stato del Mississippi.

Subito dopo, presso una piazzola di sosta, consumiamo il nostro pranzo rimanendo all’interno della macchina perché spira un forte vento e la temperatura è arrivata a 37°.

Vediamo da lontano Jackson, la capitale dello stato e, dopo aver percorso quasi 160 km dal confine, arriviamo finalmente a Forest e troviamo subito il Days Inn (€ 67) un buon hotel pulito, curato, molto confortevole, silenzioso e ben rinfrescato anche con un ventilatore a soffitto.

Mi distendo e dormo per quasi un’ora poi leggo mentre Giovanni ricerca dei ristoranti per andare a cena: la scelta cade sul Penns Fish House dove mi gusto un po-boy (panino tradizionale di questi posti) composto da una baguette ripiena di gamberetti fritti con verdure e, a parte, patatine fritte e insalatina; veramente gustoso.

Al rientro in hotel faccio in tempo a cogliere, con la macchina fotografica, gli ultimi sprazzi rossi del sole che sta tramontando tra nuvoloni neri carichi di pioggia che inizia a cadere poco dopo.

Oggi abbiamo attraversato la parte nord della Louisiana da ovest a est e più della metà del Mississippi sempre nella stessa direzione.

Forest (Mss) – Demopolis (Al) – Mobile (Al) – Pensacola (Fl) (Km. 520)

Riprendiamo la macchina per un’altra lunga giornata di trasferimento che terminerà sulle coste del Golfo del Messico; alle ore 10,00 ci immettiamo sulla I-20E, superiamo la cittadina di Meridian e alle ore 11,20 attraversiamo il confine con lo stato dell’Alabama; fuori c’è una temperatura di 26° e abbiamo già percorso un centinaio di chilometri.

Da qui ci colleghiamo con la US-80E (sempre larga strada a 2+2 corsie aperta al centro, velocità massima di 104/km) che passa attraverso boschi, dove c’è poco traffico; ancor meno ne troviamo quando prendiamo la US-43S che presenta 1+1 corsia di marcia e una velocità di 75/km. Procediamo così in mezzo al nulla per quasi settanta chilometri finché, dopo aver acquistato dei tranci di pizza, usciamo a Thomasville e ci fermiamo presso il parco delle scuole (deserto ma dotato di tavoli, panchine e molto ben curato) per consumare il nostro pranzo; ci voleva proprio questa sosta rilassante in mezzo alla natura e al silenzio.

Ci siamo fermati mezz’oretta e, quando riprendiamo la macchina, sono quasi le quattordici, la temperatura è salita a 30° e la strada, dopo Jackson, è tornata a 2+2 corsie e si presenta con saliscendi molto ravvicinati e accentuati; attraversa campi coltivati, piccoli paesi molto distanziati gli uni dagli altri (tante le chiese sperdute delle più varie confessioni, gli ospedali per gli animali e i baracchini che vendono arachidi bolliti). Percorriamo anche lunghi tratti di strada fiancheggiata da alberi con le caratteristiche lunghe “barbe bianche” che si protendono al centro della carreggiata quasi a formare una galleria: immagine molto spettacolare!

A Creola, dopo aver percorso altri ottantacinque chilometri, entriamo nell’autostrada I-65S che seguiamo fino a Mobile, passiamo per il centro e ci raccordiamo con la I-10E; superiamo un lungo ponte di circa 15 km che lascia vedere ai lati (finalmente) le acque della baia di Mobile sul golfo del Messico. Ancora una settantina di chilometri ed entriamo nello stato della Florida; poco dopo, imbocchiamo la I-110S che ci porta in centro città di Pensacola dove avevamo prenotato presso il “Victorian Bed & Breakfast” (€ 128) che troviamo dopo qualche giro e sono già le ore 16,50.

All’esterno si presenta molto bene (la tipica villetta vittoriana con porticato, sedie a dondolo dai cuscini multicolori e giardino curato); ci accoglie la padrona di casa che ci fa visitare i vari ambienti arredati in stile, indicandoci i cibi e le bevande di cui possiamo servirci ma, quando ci porta al piano superiore e ci fa entrare nella stanza che ci ha riservato, abbiamo la prima delusione: si tratta di una camera con un solo letto matrimoniale! Giovanni ed io rimaniamo perplessi perché ero sicura di aver prenotato per un matrimoniale e un singolo. La signora dice che vedrà cosa può fare: aspetto quindici minuti in salotto poi lei ritorna e ci dice che ha sistemato tutto; tiro un sospiro di sollievo e, quando ci mostra la nuova camera, rimango veramente ben impressionata (grande spazio per un letto matrimoniale e un divano letto, poltrone e TV con piante verdi, un vano studio con scrittoio, un ampio antibagno con lavandino, vasca antica e water separato, tavolino rotondo con sedie per relax, biancheria, tende e arredamento di colore blu e sue sfumature). Oltre alla nostra ci sono solo altre tre camere sullo stesso piano.

Ci riposiamo un po’ e, dopo esserci informati per andare a cena, scegliamo un locale situato sulla baia; alle ore 18,30 prendiamo la macchina con l’intenzione di parcheggiarla in centro città quindi fare una passeggiata fino al posto selezionato. Purtroppo le strade di accesso sono tutte bloccate perché sono in corso dei festeggiamenti con sfilate e manifestazioni varie; così, per altre strade esterne, raggiungiamo il “Fish House” una lunga costruzione parte in muratura e tanta parte in legno (scalini di accesso, pavimento, tavoli e sedie) con decine di posti a sedere sia all’interno sia all’esterno con vista baia, illuminata e molto suggestiva. Per fortuna troviamo subito posto all’aperto anche se c’è già parecchia gente; in attesa faccio un breve giro di ricognizione e noto un bar ben fornito e un negozio che vende articoli regalo (bicchieri, magliette, cappellini ecc.). Ordiniamo due piatti caratteristici del locale: per Giovanni dodici grossi gamberi grigliati coperti da granelli di pecan, per me polpette di polpa di granchio con mostarda creola, patate a fiammifero e un’insalata mista; gustiamo tutto con molta calma felici di trovarci qui anche se il posto è rumoroso dovuto alla tanta gente che continua ad arrivare e deve attendere il suo turno per poter sedersi.

Rientriamo alle ore 20,00 e la temperatura è ancora di 37° perciò siamo contenti di trovare la nostra stanza temperata dall’aria condizionata; una gioia di breve durata perché dopo un po’ l’aria è diventata decisamente fredda e il rumore è impossibile da sopportare (sembra di avere un aereo a reazione sopra la testa). Ci guardiamo in giro alla ricerca del termostato per regolare i gradi ma non riusciamo a trovarlo; Giovanni scende per chiedere alla padrona di casa ma si sente rispondere che non è possibile abbassarlo più di tanto perché il dispositivo è centrale e serve tutta la casa. Arrabbiati, gelati e tormentati dal rumore proveremo a dormire. Peccato, non abbiamo proprio fortuna con i “bed & breakfast”!

Pensacola – Fort Walton – Crestview – Valdosta (Ga) – Adel (Ga) (km. 550)

Non abbiamo visto l’ora che arrivi la mattina per alzarci e scendere a colazione che, per la verità è stata preparata molto bene: tovaglia ricamata, tazze, posateria e bicchieri scelti con cura e il cibo servito con eleganza; abbiamo conosciuto le altre tre coppie ospiti ma abbiamo parlato un po’ solo con quella seduta vicino a noi. Marito e moglie polacchi che stavano facendo un tour negli Stati Uniti e avevano già visitato anche parecchie città dell’Italia.

Preparati con calma i bagagli, scendiamo per pagare: altra arrabbiatura perché la signora pretende 37 $ in più per il cambio di stanza e ha già preparato la ricevuta con l’importo maggiorato. Le faccio ancora notare che la mia conferma inviatami a suo tempo da Booking.com tramite e-mail riporta esattamente la prenotazione per una camera con un letto matrimoniale e uno singolo; si lamenta che booking ha combinato il pasticcio ma Giovanni le risponde che noi non siamo responsabili. Alla fine si convince a ricevere quanto stabilito, non parliamo della nottata trascorsa in bianco e ci accomiatiamo.

Ci mettiamo in movimento alle ore 10,15 con un cielo velato e una temperatura di 28° imboccando prima la US-90E che percorriamo per circa dieci chilometri poi entriamo nella US-98E (paghiamo un biglietto di ingresso di $ 3,75) che, dopo aver superato un lungo ponte di circa dieci chilometri, costeggerà le spiagge e le acque della laguna interna; dalle 11 alle 11,30 facciamo una sosta a Navarre con un giro a piedi sulla sabbia bianchissima e, dopo aver scattato alcune foto, ritorniamo sul litorale.

Essendo sabato il traffico è intenso, si procede in fila quasi a passo d’uomo, sembra di essere a Jesolo in ferragosto, le strutture alberghiere, i negozi e luoghi di ritrovo si susseguono senza sosta per quasi trenta chilometri fino a Fort Walton quando decidiamo che ne abbiamo abbastanza di caos e prendiamo la FL-85N per raccordarci, dopo altri quaranta chilometri percorsi in mezzo al nulla (segnali di attenzione orsi), all’autostrada I-10E che attraversa tutto il nord della Florida fino a Jacksonville sull’oceano Atlantico.

Noi però, lasciate ai lati e in lontananza le cittadine di Marianna, Chattaoochee e più avanti Tallahassee (capitale dello Stato con i suoi grattacieli), dopo due fermate in aree di sosta ed essere entrati nella Eastern Time Zone (orologio avanti di un’ora così sono le 15,30 e fuori c’è una temperatura di 32°), deviamo a Greenville sulla US-221N e, alle ore 17,10 superata Ashville, attraversiamo il confine con lo stato della Georgia. Proseguiamo sulla stessa strada, che a Quitman prende il nome di US-84E, per arrivare a incrociare l’autostrada I-75N nei pressi della città di Valdosta; abbiamo lasciato alle spalle le antiche piantagioni di cotone con le classiche ville padronali, sterminate coltivazioni di arachidi, pesche, noci pecan, cipolle le cui qualità sono reclamizzate da enormi cartelli e dalle bancarelle lungo la strada che vendono i prodotti al dettaglio.

Finalmente possiamo correre dopo essere transitati per tante strade interne a velocità più ridotta rispetto ai limiti sull’autostrada e alle ore 18,15, percorsi un’altra quarantina di chilometri, arriviamo ad Adel dove ci sistemiamo presso l’hotel “Super8” (€ 67), discreto e frequentato in larga parte da lavoratori messicani, parecchi ragazzi stanno facendo il bagno nella piscina esterna.

Il tempo di depositare i bagagli e dopo un breve rilassamento via di nuovo in auto per andare a cena al “ Western Sizzlin” un ristorante senza pretese ma con buon cibo che abbiamo scelto al buffet con prezzo fisso assaggiando un po’ di tutto.

Quando siamo usciti alle ore 20 la temperatura era ancora di 30°; oggi è stata la tappa più lunga in termine di chilometri percorsi e quando siamo ritornati in hotel non abbiamo visto l’ora di andare a dormire.

Adel (Ga) – Stockbridge (Ga) (Km. 340)

La colazione non è prevista nel prezzo della camera così abbiamo deciso di recarci a piedi presso un locale tipico dove consumare un’autentica colazione americana a base di: un alto toast imburrato con sopra due uova all’occhio di bue, bacon, formaggio fuso, hamburger di patate grattugiate e cotte alla griglia e, a parte altre fette di bacon, succo d’arancia e caffè lungo; abbiamo voluto trattarci bene il penultimo giorno della nostra permanenza negli Stati Uniti e siamo usciti veramente sazi e soddisfatti.

Prendiamo il via alle ore 10,30 con un bel sole, una temperatura di 28° seguendo sempre la I-75N

(autostrada con 3+3 corsie di marcia e velocità massima di 113/km) che si snoda attraverso estese

Pianure coltivate per la maggior parte a noccioline americane e noci pecan.

Alle ore 12,50, dopo aver percorso circa 230 chilometri, superata la città di Macon (nota per le sue bellezze architettoniche che abbiamo visto durante il nostro precedente viaggio in Georgia), decidiamo di uscire un po’ per percorrere un’ultima volta le strade interne e portarci via il ricordo degli Usa reali dei piccoli paesi, delle strade a saliscendi, delle fattorie isolate, dei pascoli, del bestiame, delle chiesette poste nei luoghi più impensabili. A Forsyth prendiamo la GA-83N continuiamo sulla US-23N e la GA-16W (sempre in mezzo alla natura) per ritornare, dopo aver percorso quasi 55 km, sull’autostrada I-75N che percorriamo per altri 35 chilometri e arrivare, alle ore 14,30, a Stockbridge presso il Microtel Inn & Suites (€ 65).

La stanza non è ancora disponibile perché siamo arrivati troppo presto così ci accomodiamo nella hall dove si sta al fresco visto che fuori la temperatura ha raggiunto i 33°; nell’attesa mi dedico alla lettura e a guardarmi intorno. L’hotel si presenta molto bene, pulito, personale gentile e competente dotato di una piscina esterna e molti altri clienti attendono il loro turno.

Finalmente alle ore 15,15 possiamo prendere possesso della nostra camera, veramente confortevole (questa catena di hotel ha strutture nuove arredate in modo moderno e funzionale), dove restiamo in riposo fino alle ore 17,30 quando decidiamo di muoverci per andare prima a un vicino Valmart per fare alcuni acquisti quindi a cena presso il “Bench Warmers Sports Grill” dove ordiniamo: Giovanni un piatto di gamberetti ed io un hamburger.

Giornata non troppo impegnativa che ci ha portato dal sud al nord della Georgia e quasi alla fine del nostro viaggio.

Stockbridge – Marietta – Atlanta (aeroporto) – (Km. 190)

Ho trascorso una buona notte di sonno e ci prepariamo a trascorrere le nostre ultime ore di vacanza; mi faccio la doccia, andiamo a colazione e, con comodo (ci è stata concessa mezz’ora in più per il check-out) preparo le valigie. Alle ore 11,15 siamo pronti, prendiamo la macchina e ci immettiamo sulla I-75N che attraversa tutto il centro di Atlanta. Il traffico è molto sostenuto anche se le 6+6 corsie facilitano l’avanzata ma si formano lunghe code agli svincoli per uscire ed entrare; noi decidiamo di proseguire sempre verso nord anche per far passare il tempo che ancora manca alla nostra partenza; superiamo la città con i suoi grattacieli (l’avevamo visitata in lungo e in largo durante il precedente viaggio nel 2009), le zone commerciali e industriali che si ripropongono senza interruzioni fino a Marietta dove usciamo per una sosta e fare benzina dopo aver percorso quasi ottanta chilometri e deciso di ritornare.

Dopo qualche giro a vuoto, alle ore 14,45, abbiamo riconsegnato la macchina alla sede dell’Avis; abbiamo atteso cinque minuti l’arrivo del minibus che, con un percorso di quasi venti minuti, ci ha lasciati al terminal del nostro volo. Solo durante questo tragitto, ci siamo resi conto della vastità dell’area su cui si estende questo aeroporto che è il primo al mondo per traffico di passeggeri: le strade, gli incroci, i parcheggi, le zone carico merci avrebbero confuso chiunque.

Finalmente dentro, abbiamo avuto tutto il tempo per compiere le formalità al check-in, al controllo passaporti, alla dogana e prendere il trenino per arrivare, dopo una camminata, al cancello d’imbarco.

Partenza prevista alle ore 17,35 e arrivo a Venezia alle ore 9,10 del giorno successivo, dopo 9h 34m di volo diretto.



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