Spendida Anatolia
Il tempo è stato splendido per tutto il viaggio, con un cielo praticamente sempre sgombro dalla minima nuvola. Alcune giornate sono state caldissime, ma il clima asciutto ci ha comunque sempre concesso serate piacevoli prive dell’afa dell’estate romana. Un po’ di “sofferenza” ci è costata la visita di alcuni siti archeologici effettuata all’ora di pranzo, mentre per il resto abbiamo usufruito pesantemente dell’aria condizionata della macchina!! Per quanto riguarda gli aspetti pratici, gli unici problemi sono stati un disguido, risolto felicemente, per la macchina a nolo che ha rischiato di rovinarci il viaggio e le prenotazioni on line di un paio di pensioni mai pervenute a destinazione, fortunatamente sempre senza conseguenze vista la disponibilità di stanze (anche la Turchia questa estate ha subito un grosso calo del turismo causato probabilmente dalle preoccupazioni per il terrorismo). Il paese è risultato abbastanza economico con due grosse eccezioni che hanno inciso notevolmente sulle nostre spese: la benzina ancora più cara che in Italia e gli ingressi ai siti veramente esosi. I turchi sono stati quasi tutti molto cordiali e disponibili nei nostri confronti, contribuendo a lasciarci un ricordo piacevole del paese e il desiderio di tornarci. La Turchia del resto è una nazione molto grande e noi ne abbiamo visitato solo una minima parte, tralasciando completamente le coste dell’Egeo e del Mar Nero, tutta la parte orientale e città piene di storia e monumenti come Konya e Bursa.
Ed ora il diario di viaggio !! Il viaggio è durato tredici giorni con il seguente itinerario di massima: Ankara – Hattusas – Cappadocia – Nemrut Dagi – Costa Mediterranea – Smirne 14/15 agosto: Roma – Zurigo – Instanbul – Ankara Il piano di volo che ci porterà a destinazione è abbastanza elaborato: dopo mezzanotte raggiungiamo Istanbul, volando con la Cross Air via Zurigo, ma l’aereo per Ankara parte solo alle sei e mezzo del mattino; non ci resta quindi che cercare di dormire sdraiati sulle poltrone del terminal dei voli nazionali. Raggiunta Ankara, ci sistemiamo nel Farabi Oteli situato nel quartiere centrale di Ulus, dedicando il resto della giornata alla visita della città. Trasformata nella capitale del paese per decisione di Ataturk quando era solo un piccolo paese di provincia, Ankara non ha particolari attrattive, ad eccezione dello splendido museo, ma per noi rappresenta una tappa quasi obbligata per riprenderci dalla notte trascorsa in aeroporto. Dopo un rapido pranzo con il nostro primo kebab, ci dirigiamo verso la Cittadella per visitare il Museo delle Civiltà Anatoliche, ospitato in un antico bazar coperto. La raccolta è molto interessante e copre le varie civiltà succedutesi nell’attuale territorio turco (certo deve essere un po’ strano per i turchi convivere con la storia di popoli a loro completamente estranei!!). L’esposizione segue un ordine cronologico e, dopo qualche vetrina dedicata al paleolitico, si apre con il neolitico rappresentato da una serie di pitture murali e bassorilievi raffiguranti teste di toro, provenienti dall’antica città di Catal Hoyuk. Tra le pitture spicca una riproduzione della città con lo sfondo di un vulcano in eruzione; molto interessante è anche una statuetta delle dea-madre, simbolo della fecondità, rappresentata come una grassa “dama” nell’atto di partorire. Una delle sezioni più ricche del museo è quella dedicata all’età del bronzo. La maggior parte dei reperti proviene dal periodo pre-ittita di Alaca Hoyuk; spiccano in particolare splendide statuette di cervi dalle lunghe corna e vari dischi solari in oro. Si passa poi al periodo delle colonie assire con una serie di lettere/tavolette commerciali in caratteri cuneiformi (comprese le loro buste in terracotta!!). La sezione ittita è ospitata nella sala centrale del bazar. Le sculture più belle sono gli ortostati che decoravano le mura esterne attorno alla porta delle sfingi di Alaca Hoyuk; tra i bassorilievi spicca una rappresentazione del re e della regina, accompagnati da giocolieri e acrobati, nell’atto di fare un’offerta davanti a un altare con una statua di toro. La panoramica completa del museo prosegue con il periodo frigio, rappresentato dalla ricostruzione della camera sepolcrale in legno del re Mida della Lidia proveniente da Gordio, e con una sezione dedicata all’epoca ellenistica.
Conclusa la visita lasciamo il museo e saliamo alla Cittadella, la parte più antica di Ankara situata sopra una collina. Il quartiere ha un aspetto molto decadente anche se alcune case sono state restaurate nel tentativo di attrarre i turisti. Nelle mura notiamo il curioso riutilizzo di rovine dell’epoca romana. Purtroppo tutti i punti panoramici sono occupati da locali e quindi non possiamo apprezzarli. Appena usciti dalla cittadella visitiamo la moschea più antica della città, Arslanhane Camii, al cui interno si trovano 24 belle colonne di legno.
Ridiscesi verso la città bassa ci dedichiamo alla ricerca di una serie di monumenti risalenti all’epoca romana, non senza qualche difficoltà per individuarli in mezzo al dedalo di stradine. Il tempio di Augusto e Roma purtroppo è in restauro e le impalcature lo nascondono parzialmente. L’edificio è famoso perché riporta una lunga iscrizione con il testamento politico di Augusto, ripreso anche a Roma nella costruzione moderna che ospita l’Ara Pacis. Al suo fianco si trova un’antica e venerata moschea piena di fedeli per la preghiera del venerdì. In una vicina piazzetta ammiriamo la colonna di Giuliano, costruita in occasione di una visita dell’imperatore apostata ad Ankara. Sulla cima si trova un grosso nido di cicogne, al momento apparentemente disabitato. Concludiamo il giro con le Terme Romane, vaste ma abbastanza mal ridotte. Per completare la visita di Ankara decidiamo di fare una puntata al Mausoleo di Ataturk. Superata Ulus Meydani, nodo nevralgico della città vecchia dominata dalla statua equestre di Ataturk, una lunga passeggiata ci porta fino alla collina che ospita l’edificio. Si tratta di una struttura imponente e molto retorica, testimonianza dell’amore incondizionato nutrito dai turchi per il “padre della patria”. L’architettura ricorda un po’ quella della nostra epoca fascista. Si accede al complesso attraverso un lungo viale fiancheggiato da leoni in pietra di imitazione ittita; il mausoleo vero e proprio è un vasto edificio, situato su un lato di una corte porticata, nel cui sobrio ma imponente interno si trova il sarcofago di Ataturk, un gigantesco monolite di marmo. In un altro edificio sono ospitate le auto d’epoca utilizzate da Ataturk. Dopo la scarpinata dell’andata decidiamo di tornare a Ulus Meydani in metro. La notte quasi insonne comincia a farsi sentire e in albergo cadiamo addormentati per un paio di ore. Concludiamo la giornata cenando in un locale vicino all’albergo, il Gaziantep Fethi Bey, frequentato solo da locali, dove mi gusto una zuppa, degli ottimi spiedini e un dolcetto ricoperto di miele.
16 agosto: Ankara – Hattusas – Cappadocia Dopo la colazione in albergo ci rechiamo in autobus a Tunus Caddesi, per ritirare l’auto a nolo. Ci consegnano una Fiat Palio praticamente nuova (ha percorso appena 2000 chilometri), dotata di aria condizionata, optional che si rivelerà preziosissimo per il viaggio. Lasciamo Ankara, attraversando la città moderna e passando davanti alla Kocatepe Camii, una delle moschee più grandi al mondo. Usciti dalla città i paesaggi diventano subito brulli e disabitati. Il programma della giornata prevede la visita dei siti ittiti che raggiungiamo dopo circa tre ore. Nei pressi del paesino di Bogazkale si trovano Hattusas, l’antica capitale ittita, e il santuario rupestre di Yazilikaya. Iniziamo la visita da quest’ultimo, approfittando del fatto che è l’ora giusta per ammirarne le sculture rupestri: le rappresentazioni si trovano infatti sulle pareti rocciose di due gole e solo nella tarda mattinata sono illuminate dalla luce del sole. Il primo santuario opera di Hattusili III (1275 – 1250 a.C.) è più largo, circondato su tre lati da pareti con varie raffigurazioni: si ammirano da una parte una processione di dei-guerrieri e dall’altra un corteo di dee, mentre sulla parete di fondo si trova la scena principale: il dio della tempesta Teshub è in piedi sopra Namni e Hazzi, incarnazioni delle montagne, e di fronte si trova la dea solare Hetapu, in piedi sopra una pantera. Il secondo santuario si raggiunge attraverso uno strettissimo passaggio tra alte pareti rocciose, sorvegliato da due sfingi. In uno spazio angusto circondato da alte pareti si ammirano splendidi bassorilievi rupestri. A destra ritorna il tema della processione di dei-guerrieri: le figure armate di spade ricurve e con la caratteristica acconciatura conica orientale, sono conservate molto bene. A sinistra si ammira la strana rappresentazione del “dio spada”, formato da due spade incrociate con quattro teste di leone culminanti in una testa umana e il dio Sharruma che tiene sotto braccio il re Tudhaliyas IV (1250 – 1220 a.C), costruttore del santuario.
Hattusas è l’antica capitale ittita e sorge in una bella regione di scoscese e brulle colline. Il caldo è notevole ma per fortuna, vista anche la sua notevole estensione, la visita può essere effettuata in macchina utilizzando una strada ad anello che percorre tutto il sito. Iniziamo il giro da Buyuk Mabet, il tempio principale della città. Oltre l’edificio religioso il complesso ospitava tutta una serie di ambienti di servizio (magazzini, negozi, uffici) che ne facevano una specie di cittadella. Le pareti delle costruzioni avevano la parte inferiore in pietra, l’unica sopravvissuta, e quella superiore in materiali più leggeri oggi scomparsi. Una curiosità è rappresentata da un grosso cubo di pietra verde perfettamente liscia, regalo del faraone egiziano Ramses II. La tappa successiva è il palazzo reale di Buyuk Kale, situato su un’alta collina che domina la città. I resti sono abbastanza scarsi ma proprio in questo posto sono state ritrovate numerose tavolette con incisioni a caratteri cuneiformi, tra le quali alcune relative al trattato di Kadesh del 1270 a.C. Tra Hattusilis II e Ramses II. Un altro breve tratto in macchina ci porta al santuario di Nisantepe nel quale spicca su una roccia un’iscrizione in geroglifici in memoria di Suppiluliuma II, ultimo re ittita. Gli ittiti utilizzarono dapprima una scrittura a caratteri cuneiformi, influenzati dagli assiri, passando poi ai geroglifici. A questo punto raggiunte le mura visitiamo le varie porte, i monumenti più belli di Hattusas. Iniziamo con la Porta dei Re, costruita come le altre da grossi blocchi di pietra; sui pilastri della porta interna è rappresentato il dio Teshuba che indossa il caratteristico cappello conico e solleva un braccio nell’atto di impugnare una spada invisibile (si tratta in realtà di una copia dato che l’originale è al museo di Ankara). Proseguiamo con la Porta delle Sfingi, una struttura veramente imponente: si tratta di un vero e proprio bastione sopra il quale si trova la porta mentre sotto corre un lungo tunnel, sulla cui funzione si è molto dibattuto (non sembra plausibile che fosse un’uscita nascosta per prendere di sorpresa eventuali assedianti visto che è facile da individuare mentre è più probabile che avesse una funzione religiosa). Nonostante la presenza di un pipistrello lo percorriamo integralmente. Il nostro giro delle porte si conclude con la splendida Porta dei Leoni, così denominata per le due statue situate sul suo lato esterno (come al solito si tratta di copie visto che gli originali sono al museo di Ankara). Sopra il leone di sinistra si nota anche un’iscrizione ittita. Completiamo l’anello con un’occhiata dal basso alla fortezza di Yenicekale, appollaiata su un’alta collina.
Lasciata Hattusas facciamo una puntata al paese di Bogazkale dove pranziamo in un locale in piazza con un panino con hamburger. Proseguiamo poi raggiungendo il terzo sito ittita della regione, Alaca Hoyuk, dal quale provengono gli splendidi bassorilievi ammirati il giorno prima ad Ankara. Sul posto gli originali sono stati sostituiti da copie ma l’effetto di vederli nella loro collocazione naturale è comunque bello: decorano le mura esterne a fianco della porta delle sfingi. Le rovine sono meno impressionanti rispetto a quelle degli altri siti; osserviamo le tombe vuote da cui provengono gli splendidi corredi funebri conservati al museo di Ankara ed una porta con un tunnel a gomito, simile a quello della porta delle sfingi di Hattusas.
Il nostro giro attraverso i siti ittiti si è concluso e ci aspetta un lungo tratto di strada fino alla Cappadocia. Per fortuna le strade turche sono ottime, molto curate e con poco traffico. In questo caso poi il percorso è anche pianeggiante e quindi verso le sette di sera giungiamo a destinazione. Superata Avanos la strada per Goreme offre uno spettacolo stupendo correndo a fianco dei “camini delle fate”. La loro formazione è stata prodotta dall’erosione: una roccia più dura ha fatto da “cappello” salvando lo strato sottostante e creando queste curiose colonne di roccia. Dall’Italia ho prenotato tre pernottamenti a Goreme ma prima di recarci in albergo decidiamo di fare una puntata a Uchisar, per goderci il tramonto. Il paese è dominato dal “castello”, una gigantesca formazione rocciosa di tufo, circondata da camini più piccoli, utilizzata a lungo per abitazione e quindi costellata di porticine e finestrelle. Il posto è veramente affascinante e dalla cima del castello si gode un panorama stupendo sulle sterminate distese di camini. Pochi chilometri ci portano finalmente a Goreme, dove parte la ricerca dell’albergo prenotato via e-mail. Dall’Italia avevo scritto allo Sos Cave Motel ma all’albergo ci spiegano che sono pieni e quando mostro una stampa della mail di conferma mi viene detto che devo andare alla Sururi Pension (in effetti la conferma mi è venuta da un turco di nome Sururi con il quale ho anche parlato telefonicamente per lasciargli il numero di carta di credito). Nonostante le dimensioni ridotte del paese abbiamo molte difficoltà a rintracciare la pensione e quando finalmente la individuiamo ci troviamo di fronte a un edificio con tutte le luci spente e apparentemente disabitato !! Compaiono due ragazze che dicono che ci stavano aspettando e vanno a chiamare il “famoso” Sururi. Finalmente il nostro “referente” arriva e ci accompagna in macchina ad una terza pensione, quella dove abbiamo effettivamente la stanza prenotata. Si tratta della Panoramic Terrace Pension, con una splendida terrazza affacciata su Goreme dove ci viene offerto un tè di benvenuto. La nostra stanza è scavata nella roccia ed è molto grande. Il posto è incantevole e facciamo un po’ di conversazione con Sururi sulla terrazza. E’ un tipo “interessante” e molto intraprendete, fidanzato con una australiana ed amante dei viaggi. Per cena Sururi ci consiglia l’Orient ma la scelta si rivela infelice: il servizio è lentissimo e pessimo (prendo il menù fisso ma non mi portano una portata) e la moussaka deludente .
17 agosto: Cappadocia Iniziamo la nostra prima giornata dedicata alla Cappadocia facendo colazione nella terrazza della pensione, splendidamente affacciata su Goreme. In macchina raggiungiamo poi, alla periferia del paese, l’Open Air Museum, il complesso monastico più famoso di tutta la regione dichiarato dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità. Ci troviamo in un vallone con coni e pareti rocciose, nei quali i monaci cristiani ricavarono una serie di chiese e monasteri, decorati con splendidi affreschi. Superato l’ingresso si ha subito di fronte la massa di roccia del Convento delle Monache, formato da 6-7 piani oggi in gran parte non accessibili. Un percorso circolare fa il giro della valle consentendo di visitare i vari complessi. Sicuramente gli affreschi più belli sono quelli recentemente restaurati della Karanlik Kilise, la “Chiesa Buia” (XII-XIII secolo), per la quale si deve infatti pagare un biglietto a parte. Attraverso una stretta scala si accede prima a un nartece e poi alla chiesa vera e propria, a pianta cruciforme con cupola centrale (il tutto naturalmente scavato nella roccia!!). La scarsa illuminazione dall’unica finestra del nartece ha consentito l’ottima conservazione degli affreschi che ricoprono tutte le pareti con i loro splendidi colori, rappresentando scene della vita di Gesù, gli evangelisti intenti alla scrittura, il Cristo Pantocratore nella cupola centrale, i quattro arcangeli nelle cupole più piccole, ecc. L’edificio faceva parte di un vasto monastero scavato nella roccia, del quale visitiamo tre ambienti: il refettorio con un lungo tavolo e le panche tagliate nella pietra, la cucina con il focolare e la cantina con cavità nelle pareti usate come dispense per i viveri. Le chiese rupestri si succedono una vicina all’altra: visitiamo la Chiesa dei Sandali, la Cappella di Santa Caterina, con tombe ricavate nel pavimento, la chiesa del Serpente, con dipinti raffiguranti San Giorgio che atterra il drago e l’imperatore Costantino con la madre Sant’Elena. Una della chiese con gli affreschi più belli secondo le guide, la chiesa della Mela, purtroppo è chiusa per restauro. Dopo un’ultima occhiata alle splendide formazioni rocciose della valle, lasciamo l’area recintata e attraversata la strada passiamo alla Tokali Kilise, la “Chiesa della Fibbia”, stracolma di turisti. Si tratta della chiesa più imponente di Goreme, diversa da tutte le altre dato che è formata da un atrio che è in realtà la navata della Chiesa Vecchia e una navata trasversale che è in realtà la Chiesa Nuova. La Chiesa Vecchia con volta a botte risale al X secolo ed è decorata con un ciclo di affreschi in uno stile naif che narra la vita di Gesù e deve essere letto in ordine cronologico dall’alto in basso passando da una parete all’altra. La Chiesa Nuova, costruita meno di un secolo più tardi, è decorata anch’essa da affreschi dedicati alla vita di Gesù, veramente splendidi e raffinati, caratterizzati da un luminoso sfondo azzurro.
Conclusa la visita del museo open air, lasciamo Goreme per iniziare il nostro giro attraverso la Cappadocia. Pochi chilometri ci portano a Cavusin, piccolo villaggio ai piedi di un’alta muraglia di roccia, nella quale è stata ricavata la Cavusin Kilise. Saliamo alla chiesa tramite una scala in ferro, ammirando tra i vari affreschi quello raffigurante Niceforo Foca con la moglie; l’imperatore attraversò la Cappadocia prima dell’anno mille durante una campagna militare in Cilicia. La tappa successiva è Pasabagi, una delle valli più pittoresche, con splendidi camini delle fate, alcuni addirittura a tre coni. Il cappello di roccia basaltica di uno di essi appare sospeso miracolosamente in equilibrio; in un gruppo i monaci hanno ricavato una serie di celle e sembra di essere in mezzo a un villaggio di funghi giganti di roccia!! Percorsi un altro paio di chilometri raggiungiamo il complesso monastico di Zelve. Popolato da monaci tra il IX e il XIII secolo, è stato abitato da greci e poi da musulmani fino al 1952, quando la popolazione ha dovuto abbondare la valle per la sua precaria stabilità geologica. A testimonianza del villaggio islamico è rimasta una moschea scavata nella roccia con un piccolo minareto. Le chiese rupestri non sono all’altezza di quelle di Goreme, ma la valle è ancora più bella per il suo aspetto selvaggio. L’erosione ha reso abbastanza avventurosa la visita di alcuni complessi che si raggiungono arrampicandosi su pareti verticali aiutandosi con degli incavi per infilare piedi e mani!! Lasciando Zelve la strada ci porta nella valle di Devrant, anche questa splendida. I camini delle fate fittamente addossati gli uni agli altri formano un paesaggio incredibile. Proseguiamo verso nord in direzione di Avanos, deviando poco prima per raggiungere il caravanserraglio di Sarihan. L’edificio è stato restaurato ed è in ottime condizioni. Varcato lo splendido portale entriamo in un cortile sul quale affacciano i vari ambienti. In fondo si trova una vasta sala a tre navate, simile nell’aspetto alle nostre chiese e utilizzata per gli spettacoli di danza dei dervisci rotanti. Non potendo assistere ad una loro performance ci consoliamo acquistando un paio di CD delle loro musiche caratteristiche. Terminata la visita raggiungiamo Avanos, dove pranziamo con un panino con hamburger. Il paese è famoso per la sua produzione di ceramiche. Visitiamo Chez Gallip, uno dei laboratori di produzione più apprezzati, ammirando degli splendidi pezzi (alcuni sono costosissimi!!). In una lunga sala pendono dal soffitto centinaia di ciocche di capelli, ciascuna con un bigliettino attaccato: si tratta dei capelli di donne di tutto il mondo che sono passate da queste parti, una collezione veramente singolare!! Tornati sulla piazza principale, “tipicamente turca” con la solita statua di Ataturk e una grande moschea, gettiamo un’occhiata anche al Kizilimark, il Fiume Rosso, attraversato da un ponte pedonale che alcuni ragazzi si divertono a fare oscillare. Riprendiamo il nostro giro per la Cappadocia tornando verso sud e, superata nuovamente la valle di Devrant, raggiungiamo Urgup. Il paese è letteralmente invaso dal turismo e quindi ci limitiamo ad una rapida ascesa alla terrazza panoramica sulla grande collina rocciosa che domina l’abitato. Superato il paese di Mustafapasa proseguiamo per un bel tratto, fino a che la strada comincia a scendere infilandosi in una vallata e raggiunge il paese di Guzelov. Proseguendo ancora raggiungiamo le valli gemelle di Soganli, molto meno visitate rispetto a quelle di Goreme e Zelve, ma anche queste ricche di chiese rupestri. Dopo una rapida puntata nella valle a sinistra della strada, dove visitiamo una chiesa molto rovinata e le “stanze” di un monastero rupestre con le solite tavola e panche scavate nella roccia, passiamo nella valle di destra, con le chiese più interessanti. Visitiamo prima le chiese sul fianco destro della valle, la Chiesa delle Teste Nere, la Chiesa del Serpente con San Giorgio che uccide il drago e poi passando a piedi sul versante opposto oltre un torrente, la chiesa della Cupola, scavata in un grosso cono roccioso e culminante con una insolita cupola, e infine la chiesa Nascosta, che si cela alla vista fino all’ultimo. Sulla strada del ritorno ci fermiamo per un paio di foto alle pareti rocciose trasformate in una specie di piccionaia dalle decine di aperture delle abitazioni rupestri. All’altezza di Guzelov dobbiamo attendere il passaggio di un grosso gregge che blocca la strada.
Raggiunto nuovamente Mustafapasa, facciamo una breve sosta per un’occhiata dall’esterno alla chiesa dei Santi Costantino ed Elena, testimonianza della popolazione greca che popolava il villaggio fino alla prima guerra mondiale. Recentemente restaurata reca sul frontone bei grappoli in terracotta policroma.
Per il nostro appuntamento quotidiano con il tramonto scegliamo Ortahisar, dove si trova una gigantesca guglia rocciosa scavata di abitazioni, simile a quella di Uchisar. Per raggiungere la cima dobbiamo arrampicarci in modo abbastanza avventuroso aiutandoci in certi passaggi con delle corde. In vetta troviamo solo due coppie di Milano, con le quali scambio un po’ di chiacchiere. Il panorama è meno bello rispetto a quello della sera prima, con le case del paese proprio sotto di noi. In cielo si scorgono altissimi un paio di aquiloni mentre in lontananza, proprio sulla linea del tramonto, spicca il castello di Uchisar. Dopo il tramonto facciamo finalmente ritorno a Goreme, concludendo un’intensa giornata piena di splendidi ricordi.
Dopo l’esperienza negativa del giorno prima, seguiamo i consigli della Lonely Planet cenando ottimamente al Local Cafè: gustiamo degli ottimi involtini di manzo farciti con funghi, formaggio e aglio e una squisita torta al cioccolato.
18 agosto: Cappadocia La nostra seconda giornata piena in Cappadocia è dedicata alla visita dei siti più “periferici”. Lasciata Goreme, facciamo una puntata a Uchisar, per ammirare nuovamente nella luce del giorno lo splendido “castello”. Proseguiamo poi fino a Nevsehir e pieghiamo verso sud raggiungendo Derinkuyu, dove si trova una delle più famose tra le numerose città sotterranee della Cappadocia. All’ingresso veniamo “accalappiati” da una guida: parla un buon italiano e ci fornirà alcune interessanti spiegazioni. La città è stata abitata da migliaia di persone sin dai tempi antichi ed è formata da dodici livelli (se ne visitano otto) scavati nel tufo. Profondi camini di aerazione assicuravano una buona ventilazione (Derinkuyu significa “pozzo profondo”); visitiamo vari locali, stanze di abitazione, stalle, una cappella bizantina, un aula scolastica, ecc., tutti collegati da un labirinto di scale e corridoi. Alcuni giganteschi dischi di pietra fungevano da porte permettendo di isolare un settore dall’altro. Conclusa la visita riprendiamo la marcia verso sud superando la città di Golcuk fino a raggiungere lo splendido monastero di Gumusler. L’affioramento roccioso attorno al paese è pieno di abitazioni troglodite ma la vera attrazione è il monastero. Siamo fuori dai tradizionali giri turistici, tanto è vero che al nostro arrivo troviamo il sito chiuso e dobbiamo attendere qualche minuto il ritorno del guardiano. Il monastero è interamente scavato nella roccia: percorrendo un passaggio si accede ad una bella corte centrale, sulla quale si aprono i vari locali. La parete di fondo ospita la chiesa, che personalmente ritengo la più bella tra le tante visitate. Entriamo in un nartece coperto da una volta affrescata, passando poi all’ambiente principale: nella roccia è stata realizzata l’architettura di una chiesa tradizionale, con pianta quadrata e quattro enormi colonne sormontate da una cupola. Le splendide pitture murali risalgono all’XI secolo e riprendono i soliti temi (la Natività con San Giuseppe seduto pensieroso in disparte, una Madonna con bambino dal bel sorriso, ecc.). Anche le colonne sono ricoperte di dipinti raffiguranti motivi geometrici. Proseguiamo poi la visita con gli altri ambienti del monastero: la cucina, il refettorio, le celle dormitorio al primo piano con i letti naturalmente scavati nella roccia. Improvvisamente l’impianto di illuminazione cessa di funzionare rendendo più difficile la visione dei “locali”. All’uscita acquisto per ricordo alcune cartoline che assomigliano a vecchie foto ingiallite. Per raggiungere il monastero ci siamo spinti un po’ a sud rispetto al percorso anulare della giornata; torniamo quindi fino a Golcuk dove pieghiamo verso ovest. Percorriamo un lungo tratto, durante il quale le vaste e piatte distese della mattinata lasciano il posto a brulli paesaggi montani. Superato il paesino di Guzelyurt, finalmente raggiungiamo Ihlara, dove pranziamo in un locale sulla piazza seduti all’ombra di un bell’albero. Gustiamo un ottimo e abbondante pide, la “pizza turca” che può essere preparata in vari modi (con il formaggio, con la carne, ecc.). Ci troviamo ad una estremità della valle di Ihlara attraversabile integralmente con un trekking fino al paese di Belisirma. Dovendo necessariamente effettuare un percorso di andata e ritorno per recuperare la macchina decidiamo di portarci al centro della valle, dove si trovano le chiese più belle. La vista sulla gola è splendida: il torrente Melendiz Suyu ha scavato un canyon profondo 150 metri, chiuso da pareti verticali e ravvivato dalla fitta vegetazione del fondo valle. Una lunga scalinata porta dall’albergo-ristorante situato sull’orlo della gola fino alla base, costellata di chiese scavate nella roccia. Visitiamo per prima la Agacalti Kilise, “Chiesa sotto l’Albero”, con dipinti molto naif, proseguendo poi a destra verso Belisirma. Raggiungiamo così la Sumbullu Kilise, “Chiesa dei Giacinti”, facente parte di un vasto complesso monastico scavato nella roccia e caratterizzata da una bella facciata decorata con nicchie. Attraversato il torrente su un ponte di legno, raggiungiamo la Yilanki Kilise, “Chiesa dei Serpenti”, dove sono rappresentate punizioni inflitte ai dannati ad opera di serpenti. A questo punto tornati indietro effettuiamo un trekking più lungo in direzione di Ihlara, lungo il quale visitiamo un paio di chiese abbastanza rovinate. La passeggiata ci permette di apprezzare a pieno la bellezza della valle con le alte pareti che incombono sopra di noi e la fitta vegetazione che circonda il torrente. Terminata l’esplorazione del fondo valle risaliamo per la lunga scalinata (una faticaccia !!). Ripresa la macchina seguiamo la strada che corre sull’altopiano, lontana dal canyon, facendo una ulteriore deviazione per raggiungere il paese di Belisirma, situato sul fondo valle all’estremità opposta del canyon.
Lasciata la valle di Ihlara ci fermiamo nuovamente dopo pochi chilometri per visitare lo splendido monastero di Selime. I vari ambienti sono scavati nelle formazioni rocciose sparse sul fianco di una montagna: accompagnati da un ragazzo che ci abborda con la scusa di farsi cambiare degli euro, visitiamo la cucina con il soffitto interamente occupato da un gigantesco camino, una corte con una galleria a due piani e addirittura due chiese, una con nicchie e colonne, l’altra con sei belle colonne.
Ripresa la marcia prima di raggiungere la città di Aksaray, pieghiamo verso est prendendo la strada per Nevsehir. Ci troviamo sul percorso di antiche piste carovaniere e dopo qualche chilometro raggiungiamo, Agzihara Han, un caravanserraglio selgiuchide del 1200. Oltrepassato il bel portale si entra nel cortile in mezzo al quale si trova una piccola moschea-chiosco “sospesa” su quattro archi: la sala della preghiera si trova al primo piano e si raggiunge con una scala esterna. Su un lato del cortile, oltre un altro magnifico portale, si apre una gigantesca sala. Lungo la strada scorgiamo un altro paio di caravanserragli, molto rovinati e finalmente, superata Uchisar, giungiamo in vista di Goreme, facendo una paio di soste per ammirare lo splendido panorama del paese visto dall’alto al tramonto, con le formazioni rocciose alternate alle costruzioni. Facciamo una rapida puntata in paese per una foto al cosiddetto castello romano, un alto cono vulcanico con una tomba rupestre romana. A testimonianza che la facciata a forma di tempio è stata scavata nella roccia sono sopravvissuti solo i tronconi superiori delle due colonne. Vicino Goreme si trova la Valle dell’Amore, così chiamata perché i camini rocciosi hanno assunto la forma di falli giganteschi. Sulla Lonely leggiamo che si raggiunge seguendo una stradina secondaria prima dell’Open Air Museum, ma non riusciamo ad individuare la valle e dobbiamo quindi rinunciare alla sua esplorazione.
Ceniamo al SOS Restaurant, segnalato dalla Lonely Planet, con il testi kebab, un piatto a base di carne e verdure molto particolare: la cottura avviene in forno entro un’anfora di terracotta, che viene portata in tavola sigillata. Parte del divertimento consiste proprio nel romperla a martellate (Tullio per ricordo si fa consegnare i cocci avvolti in un giornale). Il piatto inoltre risulta veramente gustoso.
19 agosto: Cappadocia – Nemrut Dagi La prima parte della giornata prevede il lungo trasferimento fino a Nemrut Dagi. Ci alziamo quindi presto e facciamo colazione alle sei e mezzo. Il “solito” panorama su Goreme dalla terrazza della pensione è reso ancora più pittoresco dalle numerose mongolfiere che a quest’ora si levano in volo per portare in giro i turisti, librandosi tra i camini rocciosi della città. Salutato Sururi partiamo verso le sette. Ci dirigiamo verso est, superando Kayseri (Cesarea) la città più grande della Cappadocia, e proseguiamo per strade semideserte verso sud-est. A metà mattinata raggiungiamo Kahramanmaras e facciamo una sosta per assaggiare il suo gelato, molto apprezzato dai turchi. E’ molto compatto e richiede un certo “lavoro” al gelataio che ne approfitta per fare un piccolo teatrino. Proseguiamo ancora verso oriente fino ad Adiyaman, raggiungendo infine Kahta, l’ultima città prima di Nemrut Dagi, verso le due del pomeriggio.
Finalmente entriamo nel parco di Nemrut, fermandoci alla prima attrazione, il tumulo di Karakus. Si tratta di una collinetta artificiale formata da piccole pietre, creata come tumulo per la sepoltura dei familiari dal re Mitridate II. Attorno si trovano alcune colonne sormontate da statue: quella dal lato del parcheggio reca in cima un’aquila, una delle due affiancate sul lato opposto un leone. Dalla sommità del tumulo la vista spazia sulla regione: si scorge il lago artificiale creato dalla diga Ataturk sull’Eufrate e in lontananza il monte Nemrut, la vetta più alta della regione. Una ripida discesa ci porta nella valle del fiume Cendere, fino al ponte romano. Costruito all’epoca di Settimio Severo, è stato rialzato recentemente dopo il crollo dovuto al passaggio di un camion. E’ un bel ponte a schiena d’asino con tre colonne alle estremità (la quarta è stata fatta eliminare da Caracalla perché dedicata al fratello Geta). La strada prosegue portandoci fino alla fortezza mamelucca di Yeni Kale (XII secolo), appollaiata su una collina che domina il villaggio di Kocahisar. Tra le rovine si distingue un’iscrizione in caratteri arabi. Dall’alto si gode una bella vista su impressionanti pareti rocciose ed un ponte di epoca selgiuchide.
Continuiamo in salita, deviando a sinistra rispetto alla strada principale in corrispondenza dell’entrata vera e propria del parco, dove acquistiamo i vari biglietti d’ingresso. Raggiungiamo poi Arsameia, l’antica capitale del regno di Commagene, fondata da Mitridate I intorno all’80 a.C e ampliata dal figlio Antioco I, fondatore del complesso di Nemrut Dagi. Salendo per un sentiero incontriamo per prima una grande stele raffigurante Mitra (o Apollo visto il sincretismo religioso di questa regione a cavallo tra Oriente e Occidente) con un copricapo dal quale si irradiano i raggi del sole. Proseguendo incrociamo altre due steli affiancate su una piattaforma davanti a un precipizio; sul retro recano due lunghe iscrizioni mentre sul davanti la più alta raffigura Mitridate e Antioco. Alle spalle delle steli si trova l’ingresso (chiuso) di un tunnel che porta a una sala sotterranea, utilizzata probabilmente come tempio di Mitra. Salendo ancora si raggiunge il pezzo più bello del sito, un rilievo perfettamente conservato raffigurante Mitridate I nell’atto di stringere la mano ad Ercole. Accanto un altro tunnel scende per oltre 150 metri nella roccia fino ad una grotta. Sopra l’entrata una lunghissima iscrizione greca racconta che Mitridate I, padre di Antioco, è sepolto nelle vicinanze e il sito è consacrato a lui. Armati di torcia cerchiamo di scendere nel tunnel insieme ad un gruppo di americani ma dopo una decina di metri dobbiamo desistere dal proseguire perché la discesa si fa troppo ripida e pericolosa. Usciti dal tunnel saliamo per un altro breve tratto raggiungendo la cima della collina, in mezzo a scarsi resti dell’antica città e a un bel paesaggio montano.
Ripresa la macchina continuiamo a salire per una strada con fortissime pendenze e frequenti tornanti ma con un ottimo manto (contrariamente a quanto affermato dalla Lonely Planet) e dopo una decina di chilometri ci immettiamo nella strada per il monte Nemrut. Anziché puntare subito alla cima, percorriamo qualche chilometro in discesa nella direzione opposta per assicurarci prima un tetto per la notte. La strada è in condizioni tremende: il manto è fatto in sanpietrini ma sono tutti dissestati e quindi costituiscono un vero pericolo per i pneumatici. Varcata l’uscita del parco subito dopo incontriamo la pensione Cesme Lokantasi, dove decidiamo di sistemarci. La stanza è spartana (e di notte ci accompagnerà un profumino di fogna !!) ma la sistemazione è molto comoda visto che è la più vicina alla cima. Scaricati i bagagli ripartiamo senza perdere tempo verso la vetta, in quanto non intendiamo mancare il tramonto. Una decina di chilometri sull’infame strada in salita, sobbalzando sui sanpietrini, ci porta fino al parcheggio finale, dal quale un sentiero in salita conduce alla vetta in una ventina di minuti.
In cima al monte Nemrut, a oltre 2100 metri di quota, Antioco I fece costruire nel I secolo a.C., una tomba santuario formata da un grande tumulo artificiale e due terrazze speculari rivolte a oriente e occidente. L’ultimo tratto del sentiero costeggia il tumulo, una struttura conica alta una cinquantina di metri e formata di pietre non più grandi di un pugno (!!), probabilmente frantumate sul posto. Raggiungiamo poi la terrazza orientale, che a quest’ora del tardo pomeriggio si trova in ombra. Come quella occidentale era dominata da cinque grandi statue sedute, raffiguranti Zeus, Ercole, Apollo-Mitra, il re Antioco e la regione Commagene-Tyche (dea della fortuna). In questo caso sono sopravvissuti parte dei corpi, scomparsi nell’altra terrazza, privi delle teste che giacciono allineate alle loro basi (date le dimensioni delle statue si tratta di veri e propri “capoccioni”!!). Altre statue completavano l’insieme e oggi possiamo ammirare in particolare le teste di un leone e di un’aquila. Sulla terrazza sorge anche un grande altare a gradini, dove venivano bruciati i sacrifici. Il luogo è di grande suggestione anche perché si accompagna a uno stupendo panorama fino al lago artificiale sull’Eufrate, formato dalla colossale diga Ataturk. Passiamo poi alla terrazza occidentale, affascinante illuminata dalla luce del tardo pomeriggio. Le teste sono conservate molto meglio e sono splendide, una più bella dell’altra. L’unica rappresentazione femminile è la Commagene, Ercole e Zeus hanno una folta barba mentre Antioco ed Apollo indossano il tipico cappello orientale a punta. Le rovine giacciono in ordine sparso sul pianoro: notiamo le “solite” teste di leone e di aquila e una serie di lastre con bassorilievi. Purtroppo alcuni dei bassorilievi più belli sono in restauro, probabilmente in un capanno situato a poche decine di metri di distanza: mancano le rappresentazioni di Antioco che stringe la mano a Ercole, Apollo e Zeus (una anticipazione degli incontri al vertice della nostra epoca!!) e un leone con il corpo ricoperto di astri a rappresentare un oroscopo (molto belli visti in cartolina). A questo punto non ci resta che attendere il tramonto insieme a una compagnia abbastanza numerosa e apprezzare le suggestive tonalità assunte dalle teste con il calare del sole mentre ombre sempre più lunghe si proiettano fra di esse. Lo spettacolo è quasi perfetto manca solo qualche nuvola per accendere un po’ il cielo al tramonto. Calato il sole dietro le montagne, aspettiamo ancora qualche minuto per goderci la terrazza che ormai va spopolandosi e poi iniziamo anche noi la discesa. Al parcheggio acquisto un paio di riproduzioni delle famose teste e poi ripresa la macchina torniamo lentamente e con grande prudenza fino alla pensione.
Ceniamo in pensione con una sorta di spezzatino e subito dopo andiamo a dormire visto che il giorno dopo ci alzeremo all’alba.
20 agosto: Nemrut Dagi – Kizkalesi Questa mattina ci aspetta l’alba sul monte Nemrut e quindi la sera prima abbiamo puntato la sveglia alle quattro; già alle tre e mezzo il gestore dell’ostello passa a svegliarci, sperando di convincerci a raggiungere la vetta con il suo pulmino ma noi preferiamo utilizzare la nostra macchina. Dopo esserci “sfamati” con un po’ di biscotti acquistati il giorno prima, partiamo per la nostra spedizione sulla vetta. E’ notte fonda e procediamo molto lentamente sulla strada sconnessa che abbiamo imparato a conoscere il giorno prima. Arrivati al parcheggio troviamo un gruppo che si sta scaldando al rifugio con un caffè e decidiamo di imitarli. E’ ancora notte ma la luna garantisce una certa visibilità. Decido quindi di iniziare la salita a piedi verso la vetta da solo mentre Tullio preferisce attendere per aggregarsi al gruppo e avere una maggiore visibilità. Arrivato alla terrazza orientale trovo già numerose persone in attesa dell’alba. Fa abbastanza freddo e tira un po’ di vento ma con un maglione di cotone, il pail ed il k-way sono sufficientemente coperto!! Pian piano comincia a schiarire e dopo un po’ arriva anche Tullio. Siamo in grosso anticipo e così l’attesa dell’alba, seduti sui gradini dell’antica pedana cerimoniale, è abbastanza lunga. Finalmente il sole sbuca dalle montagne, cominciando a illuminare prima i corpi seduti delle statue e poi le teste ai loro piedi. La suggestione del posto è veramente intensa. Facciamo una puntata anche alla terrazza occidentale, la mia preferita per le belle teste e il disordine delle rovine. Trascorso un po’ di tempo la maggior parte delle persone, appagata della visione dell’alba, inizia la discesa e così ci ritroviamo da soli insieme ad una coppia di francesi. La terrazza ormai è in piena luce e lo spettacolo lascia senza fiato. Poco prima delle sette iniziamo anche noi la discesa e, raggiunto il parcheggio, ritorniamo in macchina alla pensione dove finalmente facciamo colazione. L’alzataccia è stata dura ma tutto sommato la stanchezza e il sonno non si fanno sentire. Lasciamo Nemrut Dagi seguendo questa volta la strada principale che, raggiunto dopo qualche chilometro il villaggio di Karadut, migliora notevolmente. Procediamo quindi speditamente fino a Katha, da dove proseguiamo seguendo a ritroso la strada del giorno prima. Superiamo Adiyaman e dopo un lungo tratto pieghiamo finalmente verso sud in direzione di Gaziantep, non lontana dal confine con la Siria. Questa giornata stabiliremo il record di chilometri percorsi ma per fortuna ci viene in aiuto una delle poche autostrade della Turchia che da Gaziantep ci porterà quasi alla meta finale. Naturalmente, visto il generale scarso traffico di queste parti, l’autostrada è praticamente deserta.
All’altezza della città di Osmaniye facciamo un deviazione per visitare il parco di Karatepe. Lungo la strada ci fermiamo in un paese, dove pranziamo in un locale frequentato solo da turchi. Un po’ incautamente accompagniamo il pasto con una caraffa d’acqua “sfusa”. Il pranzo è ottimo (assaporiamo due gustosi spiedini) ed economico ma un po’ troppo abbondante e piccante per il caldo che ci aspetta!! Risaliti in macchina proseguiamo per una serie di strade secondarie in mezzo alla campagna, raggiungendo le rovine di Hierapolis-Castabala. Ci troviamo nell’antica Cilicia e nella città soggiornò per un certo periodo anche Marco Tullio Cicerone, quando era governatore della regione. Il sito si trova in mezzo a campi di cotone, dominato da un affioramento roccioso che si erge sulla pianura sovrastato da un castello. Siamo gli unici visitatori e il nostro arrivo sembra “risvegliare” l’addetto alla biglietteria. Sotto un sole cocente percorriamo la via porticata, lungo la quale sono state rialzate alcune colonne, scorgendo nei campi gli scarsi resti di vari edifici. Conclusa la visita proseguiamo alla volta del parco nazionale di Karatepe, nel quale si trovano splendidi bassorilievi neoittiti. Il parco è situato in mezzo a belle colline ammantate di boschi, affacciato sul lago artificiale di Ceyhan. Lasciata la macchina al parcheggio e acquistato il biglietto di ingresso, in qualche modo ci comunicano (parlano tutti solo turco) che dobbiamo aspettare la guida. Dopo un quarto d’ora finalmente giunge il nostro accompagnatore e iniziamo il giro. Grossi cartelli, questa volta anche in inglese, segnalano il divieto di effettuare foto ma visto che siamo da soli con la guida, ci viene concesso di scattare fotografie. Alla fine sarà chiaro che la mossa è finalizzata all’ottenimento di una mancia ma di fronte alla nostra offerta limitata a qualche milione di lire turche la nostra guida preferirà rifiutare (naturalmente non parla una parola di inglese e riusciamo appena a scambiare qualche battuta sul calcio). Karatepe nell’VIII secolo a.C. Fu un palazzo estivo o un castello di frontiera del regno neoittita di Azatiwatas, uno dei piccoli stati sorti dopo la caduta dell’impero ittita avvenuta nel 1200 a.C. A seguito dell’invasione dei frigi. Oggi non è sopravvissuto quasi nulla degli edifici mentre si sono conservati gli splendidi bassorilievi dei due ingressi monumentali alla cittadella. Iniziamo la visita da un punto panoramico dal quale si gode una bella vista sul lago e la pineta che lo circonda. Passiamo poi alla porta superiore, con numerosi bassorilievi. Nella scena principale è rappresentata una festa con il re che si accinge a mangiare: alcuni servitori gli porgono piatti prelibati mentre altri lo intrattengono suonando; su un livello inferiore un toro viene condotto al sacrificio. Le scene sono accompagnate da leoni e sfingi, posti a protezione dagli spiriti maligni, e da una statua del dio della tempesta Baal o Tarhunzas in piedi sopra quattro leoni. Un sentiero conduce alla porta inferiore ancora più ricca di bassorilievi, raffiguranti scene di vario genere: una battaglia navale, altre feste, combattimenti e numerose divinità. Non mancano le rappresentazioni di vita quotidiana con una donna che allatta un bambino. Unico neo del sito sono le “pesanti” strutture moderne costruite a protezione delle sculture. Lasciamo Karatepe percorrendo a ritroso la strada dell’andata fino all’autostrada e puntando poi decisamente verso ovest. Lungo il tragitto scorgiamo i castelli armeni di Toprakkale e Yilan Kalesi, collocati su alture isolate che dominano la pianura. Proseguendo il nostro viaggio attraverso la Cilicia superiamo le popolose città di Adana, Tarsus e Mersin, dopo le quali l’autostrada termina immettendosi nella litoranea, che ci porta finalmente a destinazione a Kizkalesi.
Questa sera non abbiamo l’albergo prenotato ma al primo tentativo troviamo subito una sistemazione all’Hotel Hantur. Siamo in una località a intenso turismo balneare turco e il nostro albergo si trova proprio sul lungomare. Gli edifici sono separati dalla spiaggia solo da un vialetto pedonale e, anche se molto costruito, il posto risulta piacevole per la bellezza del mare e della spiaggia. Kizkalesi significa il “castello della fanciulla”: a duecento metri dalla spiaggia sorge infatti un’isoletta occupata integralmente da un castello, costruito da un re armeno. Secondo una leggenda vi sarebbe stata rinchiusa per proteggerla una fanciulla alla quale era stata predetta una morte precoce causata dal morso di un serpente. La precauzione però si rivelò inutile perché la morte sopraggiunse da una vipera che si celava nel cesto di fichi inviato alla poveretta da un corteggiatore. Il castello illuminato dalla luce del tramonto e circondato dalle acque azzurre, costituisce un soggetto molto fotogenico al quale naturalmente non posso resistere. All’estremità orientale della spiaggia si trova un secondo castello, Korykos, una volta unito a quello sull’isola da una lunga diga. Ormai è troppo tardi per farsi condurre in barca all’isola del castello e quindi non ci rimane che consolarci con un bagno in mare, veramente rinfrescante dopo una giornata di caldo intenso.
Per cena ci allontaniamo dal lungomare, seguendo i consigli delle guide, e scegliamo un semplice locale ordinando un pide, la pizza turca, e una birra. Dopo cena passeggiamo un po’ per il paese (ne approfitto per prendermi un gelato, compatto come quello di Kahramanmaras). Le strade piene di negozi conferiscono a Kizkalesi il tipico aspetto dei luoghi di villeggiatura balneare. Sul lungomare un paio di discoteche, a quanto pare frequentate dai soldati americani di una vicina base militare, sparano la musica a tutto volume.
21 agosto: Kizkalesi – Side Iniziamo la giornata visitando il castello di Korykos; costruito dagli armeni nel XII secolo riutilizzando materiale antico, era collegato tramite una diga con il castello di Kizkalesi. Dai suoi bastioni affacciati sul mare si gode una bella vista sulla città con la spiaggia e l’isola con il castello. Lasciata Kizkalesi, proseguiamo verso occidente lungo la costa raggiungendo la città di Silifke, dove deviamo verso l’interno in direzione di Uzuncaburc. La strada sale rapidamente lungo i contrafforti del Tauro, fiancheggiando un profondo canyon e raggiungendo un altopiano a circa 1000 metri di quota, in un magnifico scenario tra uliveti e scorci panoramici sulla pianura costiera. Raggiungiamo per primo il paese di Demircili, dove sono sopravissute alcune splendide tombe a forma di tempio. Lungo la strada per primo scorgiamo un semplice tempietto e successivamente un “doppio mausoleo”, formato da due splendidi tempietti affiancati, uno dei quali a due piani, con colonne e capitelli di bella fattura. Il fascino dei monumenti è accresciuto dalla loro collocazione nella campagna in mezzo agli ulivi. Proseguiamo raggiungendo Uzuncaburc, l’antica città-tempio di Olba governata da una dinastia di re-sacerdoti, poi Diocaesarea sotto i romani. Le rovine si trovano in mezzo al paese. Entriamo nel sito passando a fianco dell’antica porta monumentale della città ed immettendoci sulla sua via principale. Passiamo poi al grande tempio dedicato a Zeus Olbio, del quale sono sopravvissute una parte delle colonne. Si tratta di uno degli esempi più antichi di architettura corinzia (risale al 300 a.C.) e le sue colonne con lo sfondo del minareto del paese formano un bel quadro. In fondo alla città si trova un secondo tempio, dedicato a Tyche dea della fortuna, con cinque colonne sormontate da capitelli corinzi. Continuando a girare tra le suggestive rovine incrociamo molti archeologi europei al lavoro: alcuni stanno facendo delle misurazioni, altri disegnano accurate piantine. Lasciamo il sito uscendo per una bella porta romana a tre archi e, attraversato il paese a piedi, raggiungiamo un’alta e massiccia torre ellenistica, dalla quale deriva il nome dell’abitato moderno (Uzuncaburc significa “alta torre”). Penetrati al suo interno la visione della precarietà della struttura è veramente impressionante: sembra che possa crollare da un momento all’altro. Tornati verso l’ingresso del sito visitiamo il teatro: più piccolo rispetto ad altri, poteva ospitare 2500 persone, è ben conservato e molto suggestivo anche per la presenza di alcune case “moderne” in pietra che si integrano perfettamente con il monumento. Sulle gradinate sono all’opera un paio di archeologi italiani. Ripresa la macchina facciamo un rapido giro per la necropoli, situata in una valle appena fuori il paese e caratterizzata da una serie di tombe scolpite nella roccia. Concludiamo la visita della zona con un mausoleo ellenistico, situato in posizione dominante a circa un chilometro dalla città. Raggiunta nuovamente Demircili, ammiriamo una terza tomba che ci era sfuggita all’andata, formata da un tempietto a due piani, per poi proseguire fino a Silifke, dove riprendiamo la nostra marcia verso occidente lungo la costa. Questo tratto della costa mediterranea della Turchia è molto bello per il suo aspetto selvaggio, con boscose montagne a picco sul mare. Siamo sulla costa della Cilicia, usata nei tempi antichi come base dai pirati per la sua inaccessibilità da terra. La strada è tutta un susseguirsi di salite e discese piene di curve e dobbiamo quindi rallentare notevolmente la marcia.
Subito prima della città di Anamur, visitiamo Mamure Kalesi, uno dei castelli più imponenti di tutta la Turchia, risalente all’epoca delle crociate. Le alte muraglie e le grosse torri rotonde e poligonali sono conservate molto bene conferendo alla costruzione un aspetto severo, addolcito solo dall’azzurro del mare. Le rovine della città bizantina di Anemurium si trovano appena superato il paese moderno. Le montagne del Tauro raggiungendo il mare formano capo Anamur, il punto più meridionale della penisola anatolica, non lontano dall’isola di Cipro. In questo luogo, splendidamente collocata tra le montagne e il mare, sorgeva la città antica. Per prima scorgiamo sui fianchi della montagna una vasta necropoli ma tutto il sito sembra un po’ lasciato a se stesso e dobbiamo limitarci a una visione globale dal basso. Più lontano si intravedono le mura della città che risalgono la montagna ed in alto l’acropoli. Proseguendo il giro delle rovine della città bassa, visitiamo l’odeon e un vasto edificio termale. Proprio sulla spiaggia si trovano gli scarsi resti di una chiesa bizantina ed incredibilmente alcuni blocchi di marmo scolpiti si trovano direttamente in acqua.
Lasciata Anamur la strada riprende a serpeggiare alta sulla costa per un lungo pezzo, fino a che i paesaggi si addolciscono e la costa spiana. Attraversiamo vaste coltivazioni di banane: spesso affacciate proprio sul mare formano un bel quadro insieme all’azzurro delle acque. Proseguendo la nostra marcia verso occidente, raggiungiamo la zona di Alanya, caratterizzata da una delle più alte densità di turismo balneare di tutto il Mediterraneo. Lungo la strada scorrono chilometri di alberghi ospitati in alti palazzoni mentre la spiaggia, nascosta dalla superstrada, nemmeno si vede!! La città vecchia di Alanya sorge su un promontorio e le guide segnalano una bella fortezza ma vista l’ora tarda (il sole sta tramontando) e il traffico bestiale rinunciamo senza esitazioni alla sua visita. Approfittiamo invece di un cambio lungo la strada per rimpinguare le nostre scorte di lire turche. Superata Alanya il traffico per fortuna diminuisce e verso le nove raggiungiamo Side, meta finale della giornata. La città sorge su un piccolo promontorio, nel quale non si può accedere in macchina. Non ci resta quindi che lasciare l’auto nell’apposito parcheggio subito fuori le mura e proseguire a piedi. Per la verità potremmo usufruire di un trenino ma sottovalutando le distanze rinunciamo ad utilizzarlo. Percorrendo la strada che ripete il percorso della strada porticata della città antica, superiamo il teatro romano e arriviamo in centro. Il paese è stracolmo di villeggianti, soprattutto tedeschi. Finalmente raggiungiamo, tutti sudati anche per il peso del bagaglio, la Pettino’s Pension prenotata dall’Italia. L’interno è molto carino, le stanze in legno si trovano intorno ad una corte centrale. Ceniamo al Gama, ripetendo l’esperienza di Goreme, con un piatto a base di carne e verdure cotte dentro un’anfora di terracotta che viene rotta davanti a noi (questa volta ci pensa il cameriere). Sediamo all’aperto e i camerieri rallegrano l’attesa un po’ lunga improvvisando una danza in mezzo alla strada, accompagnati dalla musica a tutto volume proveniente dal locale. Dopo cena passeggiamo un po’ per il paese, arrivando fino alla punta del promontorio, dominata dalle colonne del tempio di Apollo, e ritornando per Liman Caddesi, la via principale stracolma di negozi e turisti dediti allo struscio. Nonostante l’invasione del turismo di massa, Side risulta comunque piacevole per la sua bella collocazione con il mare su tre lati e le rovine di monumenti romani, che visiteremo la mattina dopo.
22 agosto: Side – Cirali Facciamo colazione nel cortile della pensione, scambiando quattro chiacchiere con la proprietaria di origine australiana. Chiediamo anche spiegazioni di quanto visto la sera prima: una cagna che allattava dei gattini!! A quanto pare mamma gatta ha considerato chiuso da qualche giorno il discorso dell’allattamento e così i gattini hanno ripiegato sulla cagna!! La prima parte della mattina è dedicata alla visita delle rovine romane sparse per Side. Il giro comincia con le terme per poi passare ai templi di Apollo e Atena, situati proprio sulla punta del promontorio. Alcune colonne del tempio di Apollo, insieme alla trabeazione decorata con belle teste di Medusa, sono state rialzate grazie ai finanziamenti di una americana innamoratasi del posto; il tempio con lo sfondo del mare azzurro forma un bel quadretto. Prima di proseguire le nostre visite decidiamo di sfruttare il fatto che fino alle dieci il centro è aperto al traffico. Recuperata quindi la macchina dal parcheggio, torniamo in albergo per caricare i bagagli per poi riportare la macchina al parcheggio. La strada verso il teatro romano coincide con la via porticata dell’epoca romana ed è affiancata da colonne e resti di antiche botteghe. Su un lato si trovano inoltre le rovine dell’agorà. La strada si conclude alla porta delle mura antiche, a fianco della quale si trova il monumento di Vespasiano, un’elegante fontana con nicchia, nella quale mi posiziono per una foto “scultorea”. Finalmente visitiamo il teatro: in buono stato di conservazione ed in grado di ospitare 15.000 persone, ha la particolarità di non essere addossato a una collina ma di essere sostenuto da massicce strutture a volta. Passiamo poi al museo che, ospitato in un edificio termale, è ricco di belle statue (una splendida testa di Hermes, un bel gruppo delle Tre Grazie, una statua di Ercole senza una gamba, ecc.).
Conclusa la visita di Side ripartiamo in direzione di Antalya ma prima una breve deviazione ci porta ad Aspendos, dove si trova il teatro antico meglio conservato di tutta la Turchia. Il secolo scorso Ataturk visitando il monumento espresse il desiderio che fosse reso fruibile per spettacoli e manifestazioni sportive e questo spiega anche il suo ottimo stato, visti i successivi restauri!! La struttura, addossata ad una collina, è veramente imponente ed è opera dell’architetto Zenone nativo del posto che lo edificò sotto il regno di Marco Aurelio. Ai nostri giorni è utilizzato per il festival dell’opera e del balletto e infatti al suo interno è allestito un palcoscenico moderno. Nonostante il caldo decidiamo di scalare la collina dell’acropoli subito dietro il teatro per goderne la vista dall’alto e dare un’occhiata alle rovine degli edifici della città alta. Ripresa la macchina percorriamo qualche chilometro fino agli imponenti resti di un acquedotto romano.
La nostra tappa successiva sono gli scavi di Perge, altra città della Panfilia. Sotto un sole cocente visitiamo la porta romana e subito dietro quella ellenistica, con due diroccati torrioni circolari; passiamo poi all’agorà e proseguiamo percorrendo la lunga strada colonnata, asse principale della città; tornati indietro visitiamo l’edificio delle terme, con il caratteristico pavimento sospeso riscaldato. Fuori delle mura si trovano lo stadio, con possenti struttura a volta a sostegno delle gradinate utilizzate come sedi di botteghe, e il teatro con una capienza di 15.000 persone ma chiuso per restauro.
Il terzo sito della giornata è Termessos, uno dei più belli di tutta la Turchia. Per raggiungerlo lasciamo la Panfilia, attraversiamo la periferia di Antalya e pieghiamo verso l’interno, salendo di quota. Ci troviamo in un parco con splendide montagne ricoperte di boschi. La città di Termessos sorgeva sperduta in mezzo alle montagne ed oggi le sue rovine sono avvolte da una fitta vegetazione, creando un effetto meraviglioso (sembra di visitare una sorta di Machu Pichu ellenistica avvolta nella foresta). Dal parcheggio saliamo per un sentiero che ripete l’antica strada reale. Superate le mura per primo ammiriamo il ginnasio, raggiungendo poi lo splendido teatro, situato in cima alla montagna. Lo spettacolo che ci si presenta è veramente fantastico: si gode un panorama bellissimo e seduti sulle gradinate si ammira un fondale scenico naturale formato direttamente da un’alta montagna. Dopo essermi sbizzarrito in una serie di foto riprendiamo il giro visitando l’agorà, l’odeon, una serie di tombe e templi tutti avvolti nella fitta vegetazione. Per tornare al parcheggio scendiamo per una sentiero alternativo che attraversa una bella necropoli, con sarcofagi e una serie di tombe dalla forma di piccoli templi scavati nella parete rocciosa. Il giro si conclude al propileo di Adriano della città bassa.
Completata la visita lasciamo Termessos, tornando fino ad Antalya e proseguendo lungo la strada costiera verso occidente in direzione di Cirali, destinazione finale della giornata. Per raggiungerla lasciamo la superstrada che in questo punto corre alta un po’ lontana dalla costa e prendiamo una stradina che, con una ripida discesa in mezzo a bei paesaggi boscosi, ci porta fino al mare. Dall’Italia ho prenotato il pernottamento alla Gunes Pension tramite il sistema automatico di booking on line del sito internazionale degli ostelli. Tuttavia quando arriviamo alla pensione e mostro la stampa di conferma rimangono tutti molto sorpresi e capiamo che non hanno ricevuto nessuna comunicazione (successivamente ci spiegheranno che il loro computer è rotto da tempo e per accedere a Internet dovrebbero andare fino ad Antalya!!). Per fortuna hanno comunque una stanza libera, ma colti di sorpresa ci chiedono un po’ di tempo per preparala. Approfittiamo quindi dell’attesa per indossare il costume, utilizzando la macchina come spogliatoio, e fare un piacevolissimo bagno in mare. La spiaggia di Cirali è molto bella, situata in una baia circondata da alte e boscose montagne. Le costruzioni inoltre sono tutte basse e il loro impatto sulla natura molto limitato. Dopo i palazzoni di Alanya possiamo goderci un bel posto di mare. Tornati alla pensione finalmente ci mettono a disposizione la camera: la sistemazione è molto carina in un edificio con le stanze disposte a schiera e accessibili dall’esterno da un giardino fiorito. Dopo la necessaria doccia, ceniamo a base di pesce nella pensione. Il giovane proprietario (la gestione sembra a conduzione familiare) si siede per un po’ al nostro tavolo per fare quattro chiacchiere. Ne approfitto per chiedere notizie sulla possibilità di avvistare le tartarughe che utilizzano la spiaggia di Cirali per la riproduzione. Ci conferma che la notte la spiaggia è frequentata da grosse tartarughe marine e quindi dopo cena decidiamo di tentarne l’avvistamento. Arrivati sulla spiaggia muniti di torcia veniamo però fatti allontanare dalle guardie che ci spiegano che la notte è vietato camminare sulla spiaggia perché si rischia di disturbare le tartarughe e schiacciare i piccoli. Rimaniamo comunque in zona, sulla strada pedonale che corre dietro la spiaggia, ma naturalmente non riusciamo ad avvistare nessuna tartaruga. Il tentativo di difendere il loro ambiente di riproduzione dalla “minaccia del turismo” è comunque veramente encomiabile e ci si deve augurare che abbia successo. 23 agosto: Cirali – Ucagiz La mattina dopo colazione ci rechiamo a Olympos, che raggiungiamo camminando sulla spiaggia visto che si trova all’estremità occidentale della baia di Cirali. Il posto è molto bello dal punto di vista naturalistico: le rovine sono sparse lungo il corso di un torrente che attraversa una gola rocciosa sboccando in mare in una tranquilla caletta. Per primi scorgiamo i resti della fortezza bizantino genovese che dominano la spiaggia dall’alto di una rupe. Cominciamo poi a risalire il corso del torrente e subito ci imbattiamo nelle cosiddette “tombe del porto”, due sarcofagi lici con il caratteristico coperchio a forma di carena rovesciata, uno dei quali reca una toccante epigrafe. Continuando la passeggiata, tra le varie rovine spicca la porta di un tempio avvolta nella vegetazione. Raggiunta la fine dell’area, in una zona di acquitrini frequentati da rane, non ci resta che tornare indietro. Sulla via del ritorno Tullio finisce in mezzo a un roveto di rami secchi pieni di spine e si graffia le gambe. Tornati in spiaggia facciamo ritorno alla pensione. Caricati i bagagli in macchina lasciamo Cirali, dirigendoci a Chimera, distante solo pochi chilometri, il luogo celebre sin dall’antichità per le fiammelle perenni che escono dal suolo. I greci ritenevano che fossero prodotte dal respiro della Chimera, il mitico mostro dal corpo di capra, la testa di leone e la coda di serpente ucciso da Bellerofonte versando piombo fuso nelle sue fauci. In realtà le fiamme sono prodotte da un gas che filtrando dal sottosuolo si infiamma a contatto con l’aria ed in passato erano molto più vigorose tanto che i marinai in navigazione lungo la costa le potevano distinguere facilmente. Lasciata la macchina al parcheggio affrontiamo il sentiero in salita che porta fino alle fiamme. Fa un caldo bestiale e l’ascesa risulta particolarmente faticosa. Lo spettacolo delle fiamme comunque ci ripaga dello sforzo: il terreno roccioso e cosparso di fori da alcuni dei quali si sviluppano queste incredibili fiammelle. Un gruppo di locali si è attrezzato ed utilizza una fiamma per scaldare il tè!! Ormai è venuto il momento di lasciare la splendida zona di Cirali e quindi ripercorriamo in salita la strada che porta alla litoranea, godendo nuovamente la bella vista dall’alto. Prima di proseguire verso ovest, torniamo indietro per un tratto per visitare Phaselis, che avevamo saltato il giorno prima. Il sito si trova magnificamente sul mare, in prossimità di tre piccole baie, immerso in una vasta pineta. Lasciata la macchina proprio sotto gli archi di un bell’acquedotto romano, visitiamo le rovine con la lastricata strada principale della città, il teatro, fino alla porta di Adriano. Le tre baie sono veramente belle e decidiamo quindi di approfittarne per un bagno (come al solito utilizziamo la macchina come spogliatoio). Il mare è cristallino e visto il caldo intenso è proprio piacevole sguazzare nell’acqua e fare una bella nuotata. Prima di ripartire ci rifocilliamo con un cornetto Algida al pistacchio. Questa voltiamo puntiamo decisamente verso occidente seguendo sempre la strada costiera 400 che ci porta nella regione dell’antica Licia. Questo tratto di costa mediterranea è chiamato la Costa Turchese e sicuramente merita questo appellativo: le acque e le scogliere rocciose sono meravigliose. Finalmente raggiungiamo la nostra prossima tappa, Demre, indicata sui cartelli stradali come Kale. La cittadina è famosa per la chiesa di San Nicola, che ne fu il vescovo nel IV secolo. La sua vita è circondata da leggende tra cui il regalo di borse d’oro a tre ragazze prive di dote. Il santo fece cadere i sacchi nei camini delle loro case e da questa vicenda deriverebbe la leggenda di Babbo Natale. Le vicende di San Nicola proseguono anche da morto visto che dopo il mille alcuni mercanti di Bari rubarono il suo corpo per trasferirlo nella loro città. Sembra peraltro che i ladri abbiamo trafugato il corpo sbagliato ed il santo riposi ancora in qualche posto sotto la chiesa. San Nicola è anche il patrono della Russia e nell’ottocento lo zar finanziò vaste opere di restauro della chiesa. Tutto sommato la visita della chiesa risulta però abbastanza deludente; tra gli aspetti più interessanti c’è il syntronon (gradinata ad emiciclo dove sedeva il clero) situato nell’abside. A pochi chilometri da Demre si trovano le rovine dell’antica Myra, uno dei siti lici più belli, stracolmo infatti di turisti. La parete verticale di una montagna è occupata da una serie di tombe scolpite nella roccia, la maggior parte delle quali riproduce la facciata delle abitazioni di allora (riprendendo persino le travi di legno dei tetti). L’effetto è molto bello, sembra di vedere una sorta di affollato paese di montagna con le case addossate le une alle altre!! A fianco delle tombe si trova il teatro di epoca romana, in buono stato di conservazione. Una particolarità è data dal fatto che il teatro, sorretto da imponenti strutture in pietra, è solo appoggiato sulla parete verticale della montagna retrostante inadatta a sostenerlo. Prima di lasciare Myra approfittiamo del fatto che il sito si è svuotato dalle orde dei viaggi organizzati per un’altra occhiata alle tombe licie.
La strada litoranea 400 si allontana in questo tratto dalla costa e, percorso un breve tratto dopo Demre, deviamo dirigendoci verso Ucagiz, meta finale della giornata. Dall’alto il panorama sulla regione è molto bello. Il paese sorge in una baia riparata, aperta solo da una stretta imboccatura, e fronteggiata dalla lunga isola di Kekova. Dall’Italia ho prenotato il pernottamento alla Koc Pension tramite il booking on line del sito degli ostelli ma anche questa volta non è arrivata nessuna comunicazione!! Per fortuna c’è comunque una stanza disponibile. La pensione si trova a pochi metri dal mare, ma le acque della baia sono molto basse e non è possibile fare il bagno. Siamo nel cuore dell’antica licia e persino nel parcheggio della pensione si trovano un paio di sarcofagi!! Ceniamo a base di pesce nella pensione e poi facciamo una passeggiata per il paese, che una volta era un tranquillo villaggio di pescatori ma ormai è quasi interamente dedito al turismo.
24 agosto: Ucagiz – Pamukkale Il programma della mattinata prevede la visita dei dintorni con una puntata all’isola di Kekova. Decidiamo di iniziare con le esplorazioni “via terra”, prendendo il sentiero che porta fino al villaggio di Kalekoy, l’antica Simena, altrimenti raggiungibile solo in barca. Nonostante siano solo le nove e mezzo il sole picchia già forte; dopo una mezzora giungiamo in vista del castello bizantino che domina il paesaggio dall’alto di una collina. Iniziata l’ascesa deviamo verso la necropoli situata sulla collina di fronte, piena di bei sarcofagi lici con il solito coperchio a forma di carena di nave rovesciata. Passiamo poi al castello, dal quale si gode un bel panorama sulla baia con Ugaciz e l’isola di Kekova. Il villaggio di Kalekoy sorge sulle pendici della collina del castello, dal lato opposto rispetto a quello da cui siamo giunti. Scesi fino al porticciolo abbiamo modo di apprezzare un sarcofago licio posto direttamente in mezzo all’acqua!! Per tornare ad Ugaciz decidiamo di prendere una barca e ci accordiamo con il barcaiolo per 15 milioni di lire turche. Il tratto è breve e in appena dieci minuti arriviamo a destinazione. Arrivando dall’acqua abbiamo modo di apprezzare la necropoli di Teimiussa, situata ad est di Ugaciz, piena di sarcofagi distribuiti lungo il pendio sopra la costa. Dato che la barca della pensione non è presente al molo decidiamo di contrattare con il barcaiolo anche per la gita all’isola di Kekova e alla fine ci accordiamo per 45 milioni di lire, comprensive del tratto già fatto. Passiamo quindi in pensione per indossare il costume e ripartiamo subito. Raggiunta l’isola, costeggiamo la sua sponda settentrionale, dirigendoci verso la punta occidentale. Sott’acqua possiamo intravedere le rovine di una città antica sommersa a seguito del bradisismo, tra le quali in particolare notiamo una vasta piscina. Tutto sommato sono l’unica cosa abbastanza deludente (viste anche le aspettative) di questa splendida regione. Finalmente arriviamo a Tersane, una caletta sabbiosa, dominata dalle rovine dell’abside di una chiesa bizantina. I resti sono messi abbastanza male a causa di una violenta mareggiata dell’inverno del 1996 (sembra strano guardando le acque oggi così calme !!). Sbarcati percorriamo poche decine di metri, raggiungendo la sponda sud dell’isola per ammirare il paesaggio dell’altra costa. Tornati nella baia ci concediamo finalmente un lungo bagno con nuotata. Il posto è incantevole anche se un po’ troppo affollato di barche (si tratta dell’unica spiaggia della zona). Scaduto il tempo a disposizione il nostro barcaiolo “affarista” ci ricorda che ci siamo accordati per un bagno di mezzora e così risaliamo a bordo, puntando dritti verso Ugaciz dove concludiamo la gita. Dato che ci siamo tenuti le chiavi della stanza e i nostri bagagli sono ancora sul posto ne approfittiamo per una doccia liberatrice. Saldato il conto della stanza, non senza qualche incomprensione generata dalla prenotazione on line, lasciamo Ucagiz e la sua splendida baia.
Recuperata la statale 400 procediamo verso occidente lungo la costa, quando improvvisamente la nostra radio “comincia a parlare” in greco. Ci troviamo infatti di fronte all’isola greca di Castelrosso, situata a pochi chilometri dalla costa turca, teatro del film “Mediterraneo”. Proseguendo il nostro giro per la Licia, arriviamo a Patara, segnalata dalle guide, oltre che per le rovine, anche per la splendida spiaggia. Paghiamo un salato ingresso per il parco e, dopo una breve sosta alla porta romana, puntiamo direttamente alla spiaggia. Effettivamente la distesa di sabbia appare sterminata ma tutto sommato sembra di essere ai “cancelli” di Castel Porziano vicino Roma. Decidiamo quindi di passare subito alle rovine limitandoci alla visita del solito teatro. La statale 400 lasciata la costa ci porta verso l’interno, dove una breve deviazione conduce a Xanthos, altra città licia. Il sito è stato teatro di importanti scavi ma il ritrovamento più celebre, il monumento delle Nereidi, uno dei capolavori dell’arte greca, si trova oggi al British Museum di Londra. Entrati nell’area degli scavi ammiriamo per primo il cosiddetto Obelisco Xanthiano, un monumento sepolcrale coperto sui quattro lati dall’iscrizione licia più lunga mai scoperta. Il sito è dominato dal teatro a fianco del quale si trovano due monumenti funerari: quello delle Arpie è un monolito alto più di cinque metri che sostiene una camera sepolcrale ornata da bassorilievi (gli originali sono al British Museum, tra le raffigurazioni si notano le Arpie che trasportano le anime dei defunti); l’altro monumento è formato da una specie di alto piedistallo che sorregge un sarcofago con la solita copertura a carena di nave rovesciata. Il quadro formato dai due monumenti è sicuramente suggestivo. Passiamo poi al teatro romano, molto ben conservato. Dietro il teatro sorge l’acropoli licia, nella quale si trovano anche vari edifici romani e bizantini, con pavimenti a mosaico coperti però da un strato protettivo di sabbia. Una nuova deviazione ci porta a Tlos, il nostro ultimo sito licio, situato in un bel paesaggio montano che domina la valle del fiume Xanthos. In cima all’acropoli sorge un castello ottomano che si è sovrapposto al forte di epoca licia mentre le sottostanti pareti rocciose sono piene di tombe rupestri, formando un bel quadro d’insieme. La tomba più famosa è quella di Bellerofonte ma dobbiamo rinunciare al tentativo di raggiungerla a causa della difficoltà del sentiero in discesa. Ci spostiamo invece nella parte bassa della città dove si scorgono i resti di uno stadio, di un edificio termale ed il teatro di epoca romana, abbastanza ben conservato. Lasciando Tlos dalla strada abbiamo modo di scorgere in lontananza la Tomba di Bellerofonte, con la facciata a imitazione di un tempio scolpita nella roccia.
Ripresa la marcia puntiamo decisamente verso l’interno; superiamo un valico e ci dirigiamo verso la città di Denizli. Finalmente verso le nove di sera arriviamo a Pamukkale, dove ci sistemiamo nella Kervansaray Pension prenotata dall’Italia (questa volta non ci sono problemi dato che avevo contattato direttamente il proprietario). Ceniamo mediocremente nella pensione a menù fisso (zuppa, pollo fritto, uova con il sugo e insalata).
25 agosto: Pamukkale- Selcuk Iniziamo la giornata con la visita della collina di travertino di Pamukkale e delle rovine di Hierapolis. Entriamo nel sito dall’ingresso settentrionale incontrando per prima una vasta necropoli. Le tombe sono veramente numerose e molto suggestive. Proseguiamo poi fino all’area centrale del sito, un pianoro sopra le famose terrazze di travertino, alle quali scendiamo con un percorso a piedi nudi. Sono veramente imponenti, di uno splendido colore bianco ma purtroppo gli effetti dell’opera dell’uomo le hanno parzialmente rovinate: l’acqua è “bloccata” in varie piscine di cemento e si è molto ridotta a causa del suo utilizzo per vari scopi. Lo spettacolo è comunque impressionante, una vera montagna di travertino, e la passeggiata a piedi nudi nell’acqua risulta molto piacevole. Tornati sul pianoro e recuperate le scarpe, passiamo all’esplorazione del sito archeologico di Hierapolis, dove fervono i lavori di restauro con tanto di gru in azione. Per primo visitiamo l’ennesimo teatro romano, ammirando questa volta anche la scena ben conservata e splendidamente decorata da statue e bassorilievi dell’epoca dei Severi. Nelle vicinanze le guide dicono che si trova il Plutonium, una cavità dalla quale sprigiona un gas velenoso, utilizzata dai sacerdoti antichi per gli oracoli. Oggi però si riesce solo a intuire la sua presenza dietro una rugginosa ringhiera. Tornati verso il teatro scaliamo, sotto un sole cocente, la collina alle sue spalle fino al Martiryum di San Filippo, una costruzione ottagonale sorta sul luogo del martirio del santo. Il luogo è molto venerato dagli ortodossi ed infatti incrociamo un gruppo di greci accompagnati da monaci con lunghe barbe nere. Ridiscesi al parcheggio rinunciamo alla visita del museo, ospitato nelle terme, e ci spostiamo in macchina in un’altra area degli scavi. Sul crinale della collina di travertino si trova un sarcofago in mezzo all’acqua, molto suggestivo nelle foto di una volta ma oggi molto meno per la crescita di varie erbacce causata dal ridotto flusso di acqua. Dopo un’occhiata alla monumentale basilica, passiamo alla Porta di Domiziano a tre archi, che segnava l’ingresso della città e concludiamo la visita percorrendo la bella strada porticata alle sue spalle. Lasciata Pamukkale ci dirigiamo verso il mare Egeo e con una deviazione di una quarantina di chilometri verso sud raggiungiamo Afrodisia, città della Caria consacrata al culto di Afrodite. Le rovine della città ellenistica sono sufficientemente complete da fornire un’idea generale della città, conferendo un fascino particolare al sito. Visitiamo il “solito” teatro, costruito in epoca ellenistica e modificato sotto Marco Aurelio, un paio di agorà, le terme, raggiungendo poi il tempio di Afrodite, del quale si sono conservate solo alcune colonne rialzate. Splendido è l’odeon, tutto in marmo e riccamente decorato, utilizzato tra l’altro per le assemblee cittadine. La vera attrattiva del sito è comunque lo stadio, considerato quello meglio conservato di tutto il mondo antico. Le gradinate praticamente integre potevano contenere 30.000 spettatori e sembra solo che da un momento all’altro qualche maratoneta debba fare ingresso in pista!! Raggiunte le gradinate della curva ci sediamo all’ombra dell’unico albero presente in zona, per goderci lo spettacolo. Concludiamo il percorso circolare per il sito passando davanti al Sebasteion, tempio dedicato ad Augusto, circondato da un prato verdissimo, per mantenere il quale i turchi devono consumare una marea d’acqua (nel paese abbiamo incrociato molti fiumi in secca ma nonostante ciò sembra che l’acqua non manchi visto che viene sprecata in abbondanza!!). Prima di lasciare Afrodisia visitiamo il museo ricco di statue, tra le quali colpisce quella di Flavio Palmato, governatore bizantino, completamente mal proporzionato con la testa piccola e il corpo grosso.
Ripresa la strada verso il mare, per risparmiare tempo utilizziamo una delle poche autostrade della Turchia raggiungendo Selcuk, situata a pochi chilometri dalle rovine di Efeso. Dopo un po’ di fatica per localizzare un bancomat, necessario per rimpinguare le nostre casse ormai prive di lire turche, finalmente raggiungiamo Efeso, considerata la città romana meglio conservata del Mediterraneo orientale. Naturalmente i monumenti splendidi non mancano, ma forse la ex-capitale della provincia romana dell’Asia non risulta all’altezza della sua fama, anche perché molte sue parti non sono accessibili (l’ingresso inoltre è il più salato di tutto il viaggio). Entrati nel sito raggiungiamo per primo il maestoso teatro, in grado di ospitare 25.000 spettatori. Appoggiato su una collina si trova al termine della strada di Arcadio, proveniente dal porto, una delle più belle della città antica. Oggi le acque si sono ritirate un bel tratto e la strada, non accessibile al pubblico, finisce invece in mezzo ai prati. Il teatro è stato danneggiato durante un concerto di Sting qualche anno fa’ e i restauri sono stati fatti brutalmente in cemento. Alla sua destra inizia la strada principale di Efeso, la Via di Marmo, così chiamata perché interamente lastricata in marmo a testimonianza della ricchezza della città. Alla sua destra sorge l’agorà (chiusa al pubblico) mentre sul marciapiede a metà strada si notano una serie di incisioni tra cui spicca un volto di donna, segnale di un vicino bordello. Al termine della strada si apre una piazza, sulla quale affaccia la Biblioteca di Celso, senza dubbio il monumento più bello di Efeso. Si tratta di uno splendido edificio costruito tra il 110 e il 135 d.C. Dal console Caio Giulio Aquila in onore del padre, Celso Polemeno. Ha una facciata a due ordini di colonne, rialzata dagli archeologi austriaci nel 1975 (per fortuna questa volta sono “scomparse” solo le statue che si trovano a Vienna nel museo di Efeso e non tutto il monumento come è successo in altri casi). L’edificio è di un’eleganza estrema, con tutta una serie di accorgimenti prospettici per farlo sembrare più imponente. A fianco della biblioteca si trova la monumentale porta dell’agorà. Lasciata la piazza pieghiamo verso sinistra prendendo la via intitolata alla casta di sacerdoti dei Cureti, altro asse principale della città anche questo lastricato in marmo. I monumenti si sprecano; spiccano una fontana bizantina costruita riutilizzando marmi di altri edifici e un edificio termale che ospita una latrina ben conservata. Sulla destra della strada, sulle pendici del monte Coressos, si trovano una serie di case che per i loro splendidi affreschi hanno fatto meritare a Efeso il titolo di “Pompei d’Oriente”. Purtroppo però sono tutte chiuse per restauro. Proseguiamo quindi in salita superando il tempio di Adriano, con un portale decorato da bei bassorilievi, fino a raggiungere la porta di Ercole, dove si conclude la via dei Cureti. Varcata la porta con i pilastri raffiguranti Ercole con la pelle di leone, giungiamo nell’agorà superiore. Tra i vari edifici, tutti molto rovinati, si distingue l’Odeon, sicuramente non all’altezza di quello di Afrodisia. Ormai abbiamo concluso la visita e non ci resta che tornare indietro per la strada per cui siamo venuti, approfittando del fatto che ormai, vista l’ora tarda, le frotte di turisti hanno lasciato il sito e i monumenti possono essere ammirati con molta più tranquillità nella bella luce del tardo pomeriggio.
Dopo esserci rifocillati con una spremuta d’arancio, pagata a cara prezzo, torniamo a Selcuk alla ricerca di una pensione per la notte. Ci sistemiamo alla pensione Omeros, consigliata dalla Lonely Planet, in un edificio dagli interni molto belli: sembra di essere ospiti nella casa di una famiglia, invece che in una pensione!! Le stanze sono piene di tappeti, lampade e mille altri oggetti. I proprietari, di fede cristiana, sono molto gentili e ci invitano insieme agli altri ospiti sulla terrazza dell’edificio principale della pensione (noi siamo sull’altro lato della strada) dove ci viene offerto un bicchiere di vino rosso e possiamo ammirare il sole che tramonta sulla città. In lontananza si scorge un’alta colonna antica, unico resto dell’Artemision, una delle sette meraviglie del mondo antico. Ceniamo nella pensione, seduti per terra alla turca attorno a bassi tavoli, con polpette, fagiolini e zucchine con il sugo e altre portate (niente di eccezionale). Dopo cena ci spostiamo nuovamente sulla terrazza per una chiacchierata con una coppia di italiani che viaggia spostandosi di notte con i bus. Sotto di noi nel quartiere è in corso una festa per la circoncisione di un ragazzo.
26 agosto: Selcuk – Smirne – Instanbul – Zurigo -Roma Il nostro viaggio attraverso la Turchia volge ormai al termine. Dopo colazione lasciamo Selcuk verso le sette; un breve e veloce tratto di autostrada ci porta fino all’aeroporto di Izmir dove riconsegniamo la macchina a nolo al terminal dei voli nazionali. Ci aspetta una giornata di voli e attese in aeroporto. Alle dieci con la Turkish raggiungiamo Istanbul; un secondo volo ci porta fino a Zurigo da dove finalmente verso le sette e mezzo di sera raggiungiamo Roma.