Seduzioni e misteri del Basso Egitto
Il Cairo, con i suoi 10 milioni di abitanti, è l’agglomerato urbano più popoloso dell’Africa. Le sue periferie si sono allargate a dismisura e senza controllo, continuando ad attrarre la popolazione rurale alla continua ricerca di condizioni di vita migliori.
Inquinata e trafficatissima nelle ore di punta, la città è una vera sorpresa per chi intendesse inoltrarsi nei vicoli medioevali e scoprire il cuore dei suoi antichi quartieri, quasi rimasti inalterati nel corso del tempo.
Nella seconda metà dell’800 il khedivé Ismail (il governatore ottomano nominalmente dipendente dal sultano di Costantinopoli) avviò un grande processo di modernizzazione del Paese e delle sue città principali. Il Cairo, rimasta fino ad allora intatta nel suo impianto urbanistico dall’epoca Fatimide e Mamelucca, si ampliò notevolmente sulla riva occidentale del Nilo e si arricchì di sontuosi edifici cercando di assomigliare alla capitale francese Parigi. Le casse dello stato risentirono pesantemente dei dispendiosi progetti e delle guerre espansionistiche di Ismail che portarono il Paese alla bancarotta e all’occupazione inglese. La Gran Bretagna dominò di fatto fino al 1956, anno in cui le ultime truppe lasciarono il controllo del canale di Suez e delle basi militari nelle mani del governo nazionale.
Il processo di decolonizzazione fu particolarmente traumatico per il Cairo ed il punto di svolta fu il “black Saturday” del 26 gennaio del 1952, quando cominciò la rivoluzione egiziana contro la monarchia, accusata di connivenza con gli inglesi. Durante le sommosse, i rivoltosi attaccarono i siti d’interesse per gli stranieri e le imprese, soprattutto se gestite da britannici.
Il Cairo avrebbe mutato improvvisamente il suo volto ed i tumulti determinarono purtroppo la distruzione di edifici famosi, tra i quali il mitico Hotel Shepheard’s, annoverato per la sua opulenza tra gli alberghi più prestigiosi del mondo. Tramontava così l’epoca glamour del turismo dorato e benestante assieme a tutti i luoghi simbolo che ne erano stati il centro di aggregazione e da cui trassero ispirazione scrittori e registi.
Atterriamo nel tardo pomeriggio e con il nostro autista arriviamo all’Hotel Windsor, nascosto tra i vicoli affollati del centro in un palazzo risalente alla seconda metà dell’800.
L’Hotel Windsor è una vera e propria reliquia sopravvissuta ai moti del ’52 che ricorda l’epoca prerivoluzionaria. La famiglia copta che lo gestisce lo rilevò dal proprietario di nazionalità svizzera e da allora nulla è stato modificato: si è così conservata l’atmosfera dei tempi andati nelle polverose e decadenti parti comuni, nelle stanze e nel Barrel Bar, con il suo mobilio da club inglese anni ’40.
Nella reception è ancora utilizzata la vecchia pulsantiera per trasferire manualmente le telefonate all’interno e all’esterno dell’albergo oltre all’ascensore a manovella, attivata dal personale, che si dice sia la più antica del Cairo.
Inizia così la scoperta della capitale e delle meraviglie del Basso Egitto, nell’ideale cornice nostalgica di una struttura che certamente si rimpiangerebbe negli alberghi delle grandi catene internazionali senz’anima che incombono sulle rive del Nilo.
La visita inizia dal quartiere copto, sorto all’interno della fortezza romana Babilonia e della quale rimangono ancora visibili le fondamenta delle due grandi torri circolari d’accesso. L’esercito presidia in forze la zona, per garantire la sicurezza degli abitanti cristiani oltre che l’incolumità dei turisti.
Numerose le chiese da visitare, tra cui quella di San Giorgio amministrata dagli ortodossi greci e la cosiddetta chiesa “sospesa” (AI-Muallaqa in arabo), caratterizzata da elaborate decorazioni geometriche, piastrelle e legni intarsiati. Nel quartiere c’è anche la sinagoga Ben Ezra, i cui interni ricordano i sontuosi luoghi di culto dei Sefarditi e l’imperdibile museo copto, che raccoglie resti architettonici e pregevoli opere d’arte d’ispirazione cristiana all’interno di un palazzo tradizionale, con grandi finestre decorate con le mashrabyya, elaborate grate lignee che garantivano nelle antiche case la naturale ventilazione degli ambienti ed alle donne di osservare con discrezione ciò che avveniva all’esterno.
Nelle immediate vicinanze del quartiere copto sorse il nucleo originario della città di Fustat fondata dagli arabi, dove si trova la grande moschea di Amr Ibn al Aas, la prima mai costruita nel continente africano e poi rimaneggiata ed ingrandita nelle epoche successive. La struttura, dalle massicce mura esterne dal colore ocra, presenta all’interno un arioso cortile quadrato circondato da porticati colonnati con al centro la fontana per le abluzioni. L’accesso nelle moschee del Cairo è garantita a tutti, in taluni casi non viene nemmeno richiesto alle donne straniere di velarsi. Nel visitare questi luoghi tranquilli, ci si ritrova a vagare tra prospettive ed arcate moresche, spesso in totale e solitudine. La vita quotidiana delle strade e dei bazar è ancora ambientata in scenari che ricordano le favolose immagini delle vecchie stampe ingiallite, senza che si avverta la sensazione di pericolo o insicurezza.
La moschea di Ibn Tulum è la più antica. Realizzata in mattoni d’argilla, la doppia recinzione muraria intendeva garantire il raccoglimento dei fedeli ed un maggiore isolamento dal trambusto esterno di negozi e scuderie che in epoca medioevale si trovavano nei suoi pressi. Il sole filtra tra le arcate laterali creando giochi di luci e di ombre nel grande cortile, dominato dall’imponente cupola della fontana delle abluzioni. Il minareto, unico nel suo genere in Egitto, ha una caratteristica forma a spirale probabilmente ispirata a quello della moschea di Samarra, in Iraq. E’ possibile accedervi dando una mancia al custode per osservare dall’alto il panorama del Cairo islamico con l’imponente Cittadella sullo sfondo. Mentre le rondini volteggiano nel cielo azzurro, l’orizzonte si perde sul profilo della città che sembra abbracciarti con il suo calore ed il suo fascino orientalista.
Nei pressi della moschea, la casa-museo di Gayer Anderson è una tappa obbligata che consente di visitare una dimora tradizionale completa del suo eclettico arredamento, curato dall’ufficiale britannico che l’abitò con la sua famiglia fino agli anni ’40. Nelle diverse stanze a tema è stato raccolto del mobilio proveniente da diversi Paesi (Cina, Siria, India, Persia), oltre a tappeti ed antichità. Nella terrazza e nel salone dei ricevimenti sono state girate alcune scene di un film di James Bond negli anni ’80.
Raggiungiamo l’imponente portale della madrasa mamelucca del sultano Hassan. Il cortile interno, a pianta cruciforme, si suddivide in quattro iwan ciascuno dedicato all’insegnamento delle diverse scuole di pensiero della teologia islamica. Sotto la grande cupola è custodito il mausoleo del sultano, deceduto prima dell’ultimazione del complesso. Di fronte alla madrasa, sorge la moschea al-Rifai costruita in stile antico nella seconda metà dell’800 per di custodire le spoglie mortali degli appartenenti alla famiglia reale egiziana. Gli interni della sala delle preghiere e degli ampi corridoi dagli altissimi soffitti quasi ricordano le verticalità di una cattedrale gotica.
Siamo ai piedi della Cittadella, realizzata dal Saladino riciclando blocchi di pietra delle Piramidi utilizzate come cave. Non ci sono luoghi di ristoro nei suoi pressi in quanto, come ci fa notare l’autista, si tratta di una zona povera della città e ancora poco visitata dagli stranieri.
Sulla Cittadella svetta la moschea di alabastro di Mohamed Alì Pascià in stile ottomano con i caratteristici minareti sottili a matita: si tratta spesso dell’unico edificio di culto islamico dove fanno tappa i gruppi organizzati, anche per il panorama sulla città vecchia che si gode dai contrafforti.
In un elegante palazzo novecentesco a nord della Cittadella è ospitato il Museo di Arte Islamica. Ristrutturato di recente, nelle varie sale sono esposti tappeti, oggetti ed elementi architettonici provenienti dai Paesi musulmani di tutto il mondo oltre a quelli locali, dall’epoca della conquista araba dell’Egitto a quella ottomana.
La moschea e l’Università di al-Azhar, tra le più influenti ed antiche del mondo sunnita, è inserita nel cuore pulsante dei vecchi quartieri. Il suo interno è ora in ristrutturazione e non visitabile. All’ombra dei suoi elaborati minareti si snoda il bazar delle tende, così denominato per la miriade di botteghe che un tempo tessevano variopinte stoffe stampate. Antiche farmacie, negozi di caffè e spezie, bancarelle alimentari si affastellano tra polverosi edifici cadenti, vecchi caravanserragli in disuso e le sabil, fontane di acqua pubblica ormai prosciugate che un tempo alleviavano l’arsura dei viandanti. Resiste ancora un’antica fabbrica di tarboush (i cappelli a forma di fez ereditati dalla dominazione ottomana) e caduti in disuso con il regime di Nasser che li individuava come un simbolo della vecchia monarchia; oggi vengono prodotti ancora manualmente per case cinematografiche o ai pochi ancora interessati tramite antichi macchinari ottocenteschi.
Altre splendide viste sulla città islamica le regalano le terrazze della moschea Muayyad, nei pressi della porta meridionale Bab Zuwaila del quartiere fatimide con la sua coppia di torri gemelle ed il complesso di al-Ghouri, dove saliamo sul minareto di quattro piani attraverso una stretta e buia scala a chiocciola.
Di fronte al piazzale della moschea Hussein, l’unica dove l’accesso ai non musulmani non è consentito, si aprono i vicoli di Khan el Khalili, un bazar ora dedicato ai turisti. Tra i numerosi caffè, l’antico el-Fishawy serve da oltre 200 anni shisha (pipe ad acqua) e limonate alla menta; artisti ed intellettuali si incontravano spesso tra le sue specchiere ed i suoi tavolini. Tra i suoi frequentatori vi era anche Farouq, l’ultimo re dell’Egitto e lo scrittore Mahfouz, premio Nobel della letteratura, che vi ambientò uno dei suoi romanzi più famosi ed al quale è stato dedicato un altro affascinante locale dove conviene sostare per una pausa.
Il centro del quartiere Fatimide è la Sharia al-Muizz li-Din Allah, cioè una strada da mille e una notte dove si visitano mausolei, madrase, hammam ed antichi palazzi che vi si affacciano pagando un biglietto unico di 100 lire egiziane. In prossimità, c’è anche la moschea al-Hakim, restaurata negli anni ’80 dopo aver attraversato un lungo periodo di decadenza e la Beit as-Suhaymi, una casa ottomana con meravigliose finestre in legno intagliato. Numerosi in quest’area i negozi di ramai che vendono articoli in ferro battuto e piatti con elaborate incisioni.
Eccoci alla piana di Giza. Sostiamo brevemente per pranzo al Mena House Hotel, storico albergo rimodernato, sorto all’ombra delle Piramidi in epoca coloniale all’interno dell’area archeologica.
La periferia del Cairo ormai lambisce le millenarie costruzioni e la Sfinge. Il governo vorrebbe eliminare gli edifici sorti a ridosso delle rovine, ma i locali si oppongono perché in molti beneficiano degli introiti del turismo che affolla quelli che vengono giustamente considerati come i monumenti più celebri dei faraoni.
Le tre Piramidi di Cheope, Chefren e Micerino furono costruite, secondo la storiografia ufficiale, dai sovrani della IV Dinastia e sarebbero state utilizzate quali tombe monumentali. Altre teorie invece ritengono che tali strutture, dalle incredibili perfette proporzioni, siano di molto antecedenti e che il loro effettivo utilizzo non sia ancora del tutto chiarito. E’ soprattutto la Grande Piramide di Cheope a porre numerosi interrogativi e la tecnica impiegata per la sua realizzazione con grandi e pesantissimi blocchi è oggetto di dibattito.
Pagando un biglietto separato, è possibile accedere all’interno per visitare gli enigmatici ambienti, tra cui la grande galleria e la stanza del re, dove è custodito un sarcofago di granito. Le mura, prive di decorazioni, sono realizzate da monoliti ad incastro perfettamente levigati.
Entrare nella Grande Piramide è piuttosto faticoso e non si riesce a trattenersi a lungo per l’aria rarefatta, ad ogni modo si ha la strana sensazione di ritrovarsi all’interno di una sorta di curioso marchingegno dagli scopi misteriosi.
Diversi punti di osservazione consentono di ammirare le Piramidi da varie angolazioni e di apprezzare la loro magnificenza. Erodoto rimase affascinato dalle loro rilucenti geometrie: alla sua epoca erano ancora rivestite dalle candide lastre levigate di calcare che oggi rimangono solo sulla vetta della piramide di Chefren. Fu il grande storiografo a descrivere la tecnica costruttiva impiegata per la loro realizzazione, anche se in maniera piuttosto confusa, visto che gli scritti si basarono sui resoconti dei sacerdoti di Menfi relativi ad eventi risalenti ad almeno 2000 anni prima il suo viaggio in Egitto.
A 30 chilometri da Giza, si raggiunge la necropoli di Saqqara e la piramide a gradoni del faraone Zoser che ne costituisce l’edificio più rappresentativo. Si accede alle mastabe (cioè tombe a pozzo) o in delle piramidi realizzate con tecniche di qualità inferiore rispetto a quelle di Giza, essendo ormai ridotte a grandi cumuli di pietre tra cui quella del faraone Teti dove uno stretto cunicolo conduce in una stanza ricca di geroglifici ed al sepolcro con un grande sarcofago di granito nero privo di decorazioni.
Tra i luoghi più sconcertanti di Saqqara (oltre che dell’intero Egitto) si annovera il Serapeum, un dedalo di gallerie scavate nella roccia con nicchie in cui sono stati riposti 24 enormi sarcofagi di granito o basalto, dal peso di circa 100 tonnellate ciascuno. Si tratta davvero di un luogo incredibile, nessuno sa davvero come sia stato possibile realizzarlo e portare al suo interno quelle immense bare di pietra, anche in considerazione del limitato spazio di manovra. I sarcofagi sono stati scolpiti in modo estremamente preciso, difficile da realizzare con gli strumenti tecnologici moderni, e la pietra durissima ha una levigatura a specchio in grado di riflettere i raggi luminosi. I manufatti non hanno iscrizioni o decorazioni, tranne uno dove dei geroglifici grossolani risalenti al Nuovo Regno descrivono il Serapeum come luogo utilizzato per la sepoltura dei corpi mummificati dei tori sacri del dio Apis. Alcuni archeologi eterodossi ipotizzano che in realtà tali iscrizioni siano successive alla realizzazione del sito e che descrivano l’uso che ne è stato fatto a seguito della sua riscoperta. Percorrere i silenziosi ed inquietanti corridoi fa riflettere sui misteri di un remoto passato e sugli interrogativi che rimangono ancora senza risposte del tutto plausibili.
A breve distanza da Saqqara si raggiunge Dashur, altra interessante necropoli con edifici piramidali. Lasciata la strada principale ed attraversato il fitto palmento si raggiunge una tranquilla aerea desertica dove svettano due piramidi attribuite al faraone Snefru (padre di Cheope) che, per dimensioni, non hanno molto da invidiare a quelle più famose di Giza. La piramide rossa è particolarmente imponente ed è possibile entrarvi attraverso uno stretto cunicolo in discesa per circa 60 metri che conduce a due grandi ambienti collocati ad altezze diverse e caratterizzati da un soffitto a gradoni, simile a quello che si osserva nella grande galleria della Piramide di Cheope.
A breve distanza c’è la cosiddetta piramide romboidale, dalla doppia pendenza dei suoi lati e dal rivestimento in calcare molto ben conservato. E’ possibile osservarla soltanto dall’esterno assieme ad altre piramidi ed edifici minori realizzati nei pressi del basamento.
Dopo la visita degli immediati dintorni del Cairo, arriviamo ad al-Fayyum dopo circa 2 ore in macchina.
Si tratta dell’oasi più vasta del deserto occidentale, dove un fitto palmeto cresce rigoglioso sulle rive meridionali del lago Qarun. Esploriamo in gip l’area desertica posta a nord del lago che la nostra giovanissima ed esperta guida sembra conoscere alla perfezione. Terminata la strada asfaltata, percorriamo dune e scavalliamo colline rocciose, attraversando in velocità infinite distese dove gli orizzonti sembrano perdersi nel nulla. Da lontano, quelle che sembrano rocce appuntite sono in realtà resti di un’antica fortificazione in mattoni crudi appartenenti all’insediamento greco-romano di Soknopaiou Nesos (Isola del coccodrillo), così denominata per i resti di un tempio dedicato al dio Sobek. Il guardiano ci offre un tè all’interno del suo ricovero, dove ci rilassiamo al riparo dal sole implacabile. Raggiungiamo Qasr el Sagha, una singolare struttura in monoliti ad incastro che un tempo lambiva le rive del lago Qarun, oggi a diversi chilometri di distanza. Le sue origini sono incerte così come la sua funzione, di certo sembra essere antichissimo per lo stile similare a quello megalitico del tempio della Sfinge a Giza o dell’Osireion di Abydos. A breve distanza, in uno scenario quasi marziano, sono sparsi tra le sabbie i resti pietrificati di una foresta preistorica che prosperava quando il lago Qarun era un tempo molto più esteso.
Nel nostro secondo giorno, raggiungiamo la remota valle delle balene fossili o Wadi al-Hitan. Questo sito spettacolare è stato dichiarato dall’UNESCO nel 2016 patrimonio dell’umanità e non sono in molti a conoscerlo, forse perché spesso in Egitto ci si concentra solo sui resti archeologici più noti del regno dei faraoni. Si raggiunge un piazzale con piccoli edifici in adobe realizzati grazie ad un finanziamento italiano, perfettamente integrati con l’ambiente circostante. Un museo, con un soffitto a cupola, accoglie gli scheletri fossili più grandi del Basilosaurus, cioè un rettile dotato di denti affilati e di piccole zampe posteriori da cui si sono evoluti gli attuali cetacei. Altri resti fossili di epoca preistorica si visitano lungo un percorso che si snoda in quello che era nel Pleistocene un fondale marino camminando tra bizzarre formazioni rocciose e radici di mangrovie pietrificate.
Nel pomeriggio raggiungiamo Medinet Madi (la “città del passato”), dove ancora continuano gli scavi finanziati dall’università di Pisa. Si tratta dell’antica Narmouthis di epoca tolemaica, dove è stato riscoperto un santuario dedicato a Sobek, principale divinità di al-Fayyum, decorato con statue di leoni e di piccole sfingi ed ancora parzialmente invaso dalle sabbie.
Alessandria d’Egitto… la “perla del Mediterraneo”. Cambiano completamente gli scenari nella seconda metropoli del Paese che conta più di 4 milioni di abitanti. Alloggiamo all’Hotel Cecil, il più noto tra gli alberghi storici presso il quale hanno soggiornato Churchill ed il generale Montgomery.
Napoleone fu estremamente deluso quando la raggiunse agli inizi dell’800 in occasione dell’effimera campagna di conquista dell’Egitto: la mitica città fondata dal Grande Alessandro era ormai quasi del tutto spopolata e decadente.
Mohamed Alì Pascià contribuì alla sua rinascita ed in breve Alessandria si arricchì di splendidi edifici e caffè, attraendo una variegata comunità straniera al punto che, nelle sue strade, si sentiva parlare più in francese, inglese, greco od italiano piuttosto che in arabo.
La rivoluzione del ’52 ed il ritiro dei britannici cambiò tutto e la città, con la precipitosa fuga degli stranieri, perse il suo carattere cosmopolita. L’epoca d’oro rivive negli scritti di Durrel e nei romanzi dei diversi scrittori ed artisti, anche se rimangono tracce sbiadite del recente passato nei sontuosi palazzi della corniche ormai scostati dalla salsedine. Il porto è dominato dal Forte mamelucco di Qayt Bey, costruito sull’isola dove un tempo sorgeva il famoso Faro, una delle sette meraviglie del Mondo Antico e crollato a seguito di devastanti terremoti.
Tracce dell’epoca classica sono riemerse dagli scavi effettuati attorno al teatro romano, con resti del foro, delle terme e di un quartiere residenziale; nell’area archeologica sono esposte anche delle statue recuperate dal fondo del mare dai ricercatori subacquei. Rimane piuttosto incerta l’originaria ubicazione della Grande Biblioteca e del Palazzo reale di Cleopatra, l’ultima regina dei Tolomei, mentre il cosiddetto “pilastro di Pompeo” continua a svettare sul sito dove sorgeva il famoso Tempio di Serapide, distrutto dai cristiani e dove trovò la morte la filosofa Ipazia, martire pagana. La colonna, alta quasi 30 metri e dal diametro di 3, si pensava che indicasse il luogo di sepoltura del grande generale romano mentre in realtà venne innalzata per commemorare l’imperatore Diocleziano ed è talmente grande che in cima al capitello ospitò nell’800 una tavola imbandita per 20 stravaganti turisti.
La comunità italiana era particolarmente numerosa fino all’inizio del secondo conflitto mondiale ed ancora oggi diversi termini della nostra lingua continuano ad essere inconsapevolmente utilizzati nei dialetti parlati sulla costa. Il poeta Ungaretti, il fondatore del movimento futurista Marinetti e la cantante Dalidà ebbero i natali ad Alessandria; sono anche numerosi gli edifici realizzati dagli architetti italiani, tra cui il monumento al milite ignoto e la villa Bassili, che ospita il Museo Nazionale. Sulla corniche, spicca il consolato generale costruito agli inizi del ‘900 che si è salvato dalla chiusura condividendo parte dell’immobile con l’Alex Bank (istituto nel quale l’azionista di maggioranza è una nota banca italiana). La città testimonia perciò i fortissimi legami culturali che fino al secolo scorso legarono il nostro Paese all’Egitto.
Torniamo al Cairo, riservando il nostro ultimo giorno al celebre Museo delle antichità egizie, fondato dall’archeologo francese Mariette al servizio del khedivé Ismail nella seconda metà dell’800. Nelle varie sale sono quasi accatastate un numero incredibile di reperti, tra i quali spicca il corredo funebre del faraone Tutankhamon. L’edificio vermiglio in stile neoclassico in piazza Tahrir verrà presto sostituito dal mastodontico nuovo museo ancora in fase di realizzazione a Giza che, grazie all’immensa superficie espositiva, permetterà una migliore catalogazione e l’esposizione di ulteriori manufatti che ormai nella vecchia sede non avrebbero trovato spazio sufficiente. Già alcune sale vengono smantellate e le vecchie polverose teche di legno con le ingiallite didascalie scritte a macchina in francese ed inglese ben presto rimarranno tristemente vuote.
La modernità avanza al cospetto del profilo millenario delle Piramidi, mutando inesorabilmente quell’immaginario romantico ed idealizzato che si ha dell’Egitto ma che rimane una meta irrinunciabile ed un Paese seducente non solo per le sue bellezze trascurate ma anche per la calorosa accoglienza dei suoi abitanti.