Trekking in Val Borbera: l’anello al mignolo

Alla scoperta di una valle tanto facile da raggiungere quanto poco conosciuta, dove i sentieri portano alla scoperta di panorami emozionanti, memorie partigiane, villaggi fantasma, eccellenze enogastronomiche
Scritto da: Bushwag
trekking in val borbera: l'anello al mignolo
Partenza il: 03/06/2015
Ritorno il: 05/06/2015
Viaggiatori: 1
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La Val Borbera, una scheggia impazzita di Piemonte conficcata nel dorso del Genovesato, o forse un morso bulimico del mastodonte subalpino al ventre di quella striscia di terra, simile ad un’acciuga, di nome Liguria. Di certo un posto di confine, dove i dialetti, le usanze, le ricette, perfino l’architettura di queste ed altre regioni si fondono, sebbene l’elemento ligure, a cominciare dal suffisso del nome di molte località, tenda a prevalere su quella che attualmente è la collocazione geografica. Una vallata che seppure oggi sia facile da raggiungere, ed in passato fosse attraversata dalle rotte commerciali tra Genova e la Pianura Padana, ha saputo mantenere aspetti aspri e selvaggi, ma anche per questo genuini ed originali, come il carattere dei suoi abitanti, nascondendo quasi gelosamente agli occhi distratti del visitatore gran parte delle sue bellezze paesaggistiche, storico-culturali, architettoniche e gastronomiche.

ABS: “Anello Borbera Spinti” indicato con il segnavia CAI numero 200… quante volte mi è capitato di incontrarlo nelle passeggiate nei boschi e sui monti nei dintorni, però mai mi aveva seriamente sfiorato l’idea di percorrerlo tutto. Non tanto perché si snodi per circa 100km con dislivelli a volte impegnativi, quanto per il fatto che spesso tendiamo ingiustamente a snobbare i luoghi vicino a casa.

Teoricamente il sentiero in questione partirebbe da Stazzano e terminerebbe ad Arquata Scrivia, non risultando quindi un vero e proprio percorso ad anello. Tuttavia alcune semplici varianti consentono di partire ed arrivare a Vignole Borbera, porta dell’omonima vallata, che è facilmente raggiungibile sia con il treno (la stazione di Arquata Scrivia è a meno di 3km) che con l’auto (uscita Vignole dell’autostrada A7). Giocando in casa, io non consumerò altro che le suole degli scarponi indossati dal momento dell’uscita di casa a quello del rientro tra le mura domestiche. Si, ma che c’entra il mignolo con questo anello? Il fatto è che due giorni prima di partire mi sono fratturato il ditino del piede destro, ma per fortuna questo piccolo incidente non ha pregiudicato il mio cammino, sebbene i primi passi siano stati un po’ dolorosi.

Vignole Borbera è una tranquilla località che, anche in virtù della sua strategica posizione, ha visto crescere di molto la popolazione negli ultimi anni. Di contro sta purtroppo svanendo quell’atmosfera tipica da paesino dove tutti si conoscono. Il nucleo originario del paese era legato all’esistenza dell’abbazia di Precipiano, ora residenza privata, sulla direttrice che portava all’insediamento romano di Libarna (visitabile, a pochi km, nel comune di Serravalle Scrivia oggi più noto per l’esistenza di un grande centro commerciale). Il nome del paese parrebbe derivare da “ad vinoleas” con chiaro riferimento alle vigne che dovevano coprire un tempo campi e pendii. La sponda orografica sinistra del torrente oggi è riservata al centro abitato dove alcuni interessanti pannelli, tradotti anche in lingua inglese, espongono foto d’epoca e raccontano come era strutturato il paese e come vi si viveva. Tracce di quelle mitologiche e toponomastiche vigne sopravvivono invece sulla sponda destra.

Dopo eventuali rifornimenti nei bar e alimentari del paese, si parte dalla piazza principale sulla quale si affacciano il Palazzo Comunale e la Chiesa di S.Lorenzo dal campanile con originale ed insolito bulbo a cipolla. Si segue il segnavia 203 che passa accanto ai giardinetti ed al Castello (oggi residenza privata) scendendo ripidamente dapprima su asfalto e poi su ampia carrabile sterrata fino alle sponde del torrente Borbera che si attraversa su una larga passerella. Alzando lo sguardo non può sfuggire l’imponente mole del Santuario di Monte Spineto che volendo si può raggiungere con una breve deviazione nel momento in cui si lascerà il sentiero 203 per immettersi nel numero 200. Il Santuario, che fino a pochi anni fa ospitava una suora eremita, offre una splendida vista che, se il cielo è terso, abbraccia la pianura padana e l’arco alpino, per cui la deviazione, che richiede circa 15 minuti, è consigliabile. Io invece compio una deviazione imprevista e meno piacevole perché mi rendo conto di aver scordato a casa le borracce, devo quindi tornare indietro e ricominciare il cammino dopo questa falsa partenza.

Oltrepassato il torrente, il tratto iniziale del sentiero 203 presenta alcune difficoltà, non solo perché si sale abbastanza ripidamente, ma soprattutto perché l’alluvione di ottobre 2014 ha provocato alcune frane che non impediscono il passaggio ma certamente lo rallentano e richiedono un minimo di prudenza. Per i motivi suddetti attualmente il percorso non è molto battuto ed in alcuni brevi tratti è invaso dalla vegetazione, ma normalmente si snoda tra vigne, cespugli di ginestra, boschi di roveri, robinie e castagni. In poco più di 30 minuti, si raggiunge la località Bocca del Lupo, dove si incontra il segnavia 200 che di qui in avanti diverrà un fedele compagno di viaggio per quasi tutta la durata del percorso. Andando a sinistra, come ho detto prima, si raggiunge Monte Spineto, io proseguo invece a destra in direzione Madonna di Ca del Bello.

Si alternano tratti ombreggiati nel bosco ad altri più soleggiati, ma tranne qualche breve saliscendi non si affrontano dislivelli impegnativi e si procede spediti incontrando anche qualche isolato casolare. Se si è fortunati tra le fronde potrebbero spuntare anche daini e caprioli. Prima di raggiungere il Santuario di Ca del Bello si transita nei pressi della Cascina Rughè dove un cartello ricorda trovarono riparo e ristoro i partigiani. I monti della Val Borbera furono teatro di numerosi scontri ed un interesse legato a questo itinerario può essere sicuramente quello di approfondire la conoscenza della storia partigiana locale ricca di episodi e curiosità come testimoniato da questi pannelli e da numerosi libri scritti sull’argomento.

Mi trovo ora nel territorio di Borghetto di Borbera, comune molto esteso che può vantare un bel Castello in località Torre Ratti e la piccola chiesa di S. Antonio di origine medievale, ma anche una famosa discoteca con tanto di parco acquatico per la gioia dei più giovani. Il Santuario di Ca del Bello, sorto nel 1672 ed ampliato a più riprese, offre una bella vista sul sottostante paese e mi offre la possibilità di un gradito ristoro dopo circa due ore di cammino: silenzio, ombra, panchine ed una fontanella. Mi concederei volentieri una dormita sull’erba, ma mi aspettano ancora tante ore di cammino e dopo una bevuta ed alcuni esercizi di stretching devo ricaricarmi lo zaino sulle spalle.

Appena ripreso il cammino una croce commemora il sacrificio del partigiano Tricoli, ferito e poi finito a pietrate dai “Mongoli” della divisione Turkestan. Mancavano solo due settimane al 25 aprile e due suoi compagni riuscirono con maggiore fortuna a salvare la vita e vedere la fine della guerra.

Il sentiero dapprima si snoda su una larga sterrata carrabile, poi si restringe, rimanendo comunque agevolmente transitabile fino a raggiungere la frazione di San Martino di Sorli duramente colpita dagli eventi alluvionali del 2014 e rimasta isolata per alcune settimane. Oggi la frazione è nuovamente raggiungibile e si possono ammirare l’antico oratorio di S.Martino in stile romanico, le cui origini risalgono all’undicesimo secolo, ed anche le belle case in pietra che recano targhe con riferimenti storici. Uscendo dal piccolo borgo si incontra una fontanella e poi si inizia una ripida ascesa sterrata la quale passa nei pressi dei ruderi del Castello di Sorli (XII Sec) che merita una breve deviazione, in quanto offre una meravigliosa panoramica della bassa val Borbera e della pianura novese-tortonese.

Riprendendo il cammino, dopo un tratto soleggiato a mezza costa si arriva alla località Poggio Maggiore dove si segue l’asfalto fino ad una curva sulla sinistra. Qui il sentiero 200 si stacca sulla destra seguendo una comoda sterrata che attraversa un paesaggio incantato tra boschi, calanchi e pascoli scendendo di quota fino a raggiungere, dopo quasi cinque ore dalla partenza, la frazione di Molo Borbera. Chi vuole prendersela comoda qui potrebbe effettuare una golosa pausa pranzo. Proprio accanto al sentiero si trovano un ristorante specializzato in funghi e tartufi, eccellenze del territorio, ed una macelleria che tra le altre cose produce un ottimo salame del Giarolo, una delle specialità gastronomiche della zona. Io invece mi limito ad un veloce spuntino su una panchina accanto alla fontanella, gustandomi un panino preparato a casa e godendomi la vista della bella chiesa parrocchiale e di alcune case in pietra sapientemente ristrutturate. Riprendo poi il cammino lungo una ripida salita asfaltata che termina dove si trova una piccola cappelletta dedicata alla Trinità, nei pressi della antica torre che domina l’abitato. Qui si prosegue su sterrato, ed il sentiero 200, tra tratti aperti e zone boscose in cui raccoglierò una manciata di deliziose e succulente fragole di bosco, conduce con alcuni ripidi strappi fino al punto panoramico della Forcella del M.Barillaro. Si apre un’ampia e splendida vista sulle vallate circostanti. A sinistra spicca Montebore, la località che da il nome ad un formaggio di latte misto (vaccino e ovino) dalla caratteristica forma a torta nuziale. Questo prodotto caseario di origine tardo-medievale ha rischiato l’estinzione ma ora, forte del titolo di presidio Slow Food, è una delle bandiere della gastronomia valborberina.

A destra il sentiero 208 conduce in circa un’ora al paese abbandonato di Rivarossa. Quello dei villaggi fantasma è un altro aspetto affascinante che potrebbe essere approfondito nel corso di questa escursione, poiché il sentiero 200 passa nei pressi di numerosi borghi lasciati dalla popolazione nel dopoguerra. Le case costruite da mani sapienti ad onta di sforzi immani oggi invase dalla vegetazione che si riappropria del territorio, qualche stoviglia sbrecciata e mobilia sfondata che rendono più viva la memoria della presenza umana, magari una cappelletta in disfacimento ed un piccolo cimitero con le foto sbiadite sulle lapidi dai nomi ormai quasi illeggibili…tutti elementi che emanano un fascino particolare tanto che sempre più spesso libri e pubblicazioni narrano la storia e le vicessitudini di questi paesi e dei loro abitanti tra fatiche e miseria, ricordi struggenti degli ultimi abitanti e, come vedremo, un tocco di cronaca nera.

Ho già visitato Rivarossa, dove si trova anche un bivacco non custodito, per cui tralascio la deviazione e proseguo diritto. Di fronte a me compare il Monte Giarolo sul quale transiterò tra qualche ora. La vetta è facilmente riconoscibile per la sgradevole presenza di numerosi ripetitori, segni di una moderna religione pagana e volubile, con i suoi riti ed i suoi costosi feticci. Sotto un sole rovente, scendo velocemente verso Costa Merlassino, frazione di Cantalupo Ligure, che offre una delle viste più belle della vallata. Dolci declivi coltivati si alternano ai vigneti della pregiata uva autoctona Timorasso digradando verso i torrenti Borbera e Sisola. Il paesaggio è racchiuso tra monti contrapposti che sul lato sinistro sono dolci e coperti di boschi e pascoli, mentre sul lato destro aspri e rocciosi. Qui, in località Pertuso, inizia infatti la zona nota come “Strette” in cui il torrente Borbera si è scavato nei secoli tra i ripidi versanti di conglomerato una sorta di canyon che oggi nella stagione estiva è assediato da turisti in cerca di aria buona, acque fresche e pulite. Il nome “Strette” evoca anche ricordi di epiche lotte partigiane per il controllo dell’unica strada di accesso alla alta valle e proprio nel comune di Cantalupo si tenne una delle battaglie più cruente. Vi perse la vita Fjodor Poletaev un soldato russo schieratosi con i partigiani. Qualche anno fa l’ex presidente sovietico M.Gorbaciov recatosi di persona sul luogo in cui sorge la lapide che commemora quello scontro infuocato, rese omaggio al valoroso connazionale.

Il sentiero a tratti non facile da seguire per segnaletica un po’ carente e perché poco battuto, si mantiene ad altitudine più elevata rispetto al fondovalle, attraversando alcune piccole località. In una di queste, Zebedassi, mi fermo per uno spuntino e per riempire le borracce ad una fontanella e chiacchiero con un simpatico anzianotto seduto all’ombra della casa. Commetto l’errore di verificare la temperatura sul termometro appeso sul muro alle sue spalle: 32°C all’ombra che di colpo mi sembrano 100 e mi fanno emettere fumo dalle orecchie come una vetusta macchina a vapore non appena mi rimetto in moto sotto un sole implacabile. Alle 16, dieci ore dalla partenza, raggiungo Borgo Adorno dove chi avesse intenzione può fermarsi per la cena e per la notte in strutture alberghiere (soluzione alternativa si trova a pochi km, a Pallavicino). Il sentiero sterrato incontra l’asfalto proprio nei pressi di un laboratorio dell’Università di Milano dove vengono allevati ovini. Il rovente nastro bituminoso mi conduce al bel Castello, appartenuto alla nobile famiglia degli Adorno e poi, durante la guerra, sede del comando partigiano del battaglione Casalini. Oggi è residenza privata con stallaggio ed io, mentre mi ristoro su una panchina ombreggiata nei pressi di una fonte, mi godo il passaggio di alcuni splendidi equini che circolano liberi nella corte del Castello. Questa gradevole sosta precede uno dei tratti più duri del percorso: una lunga, ripida, pietrosa ed assolata salita, che conduce alla vetta del M.Giarolo. Stanchezza ed un principio di crampi vessano e rallentano il mio cammino inducendomi una crisi di sconforto. La supero nei pressi di alcune stalle in stato di abbandono, dove il percorso si fa più agevole ed ombreggiato. Poco prima delle 18 mentre il sole incomincia a calare all’orizzonte, Cristo Redentore mi saluta con un cenno della mano. Non si tratta di un’allucinazione… ho raggiunto la vetta del Monte Giarolo (1473mt) caratterizzata da questa statua. Purtroppo una fastidiosa foschia impedisce di ammirare l’ampio panorama indorato dalle luci del tramonto, ma riesco comunque a ripercorrere idealmente il tragitto percorso da questa mattina seguendo il corso del Borbera e scorgendo alcuni dei crinali calpestati. Poi scruto quello che mi aspetta. Di fronte a me si snodano i “mammelloni”, come alcuni chiamano le cime arrotondate di questa dorsale montuosa, ed il primo di essi è il M.Gropà che si raggiunge facilmente seguendo un largo sentiero lungo il crinale. Qui arriva la seggiovia, proveniente da Caldirola, che in inverno offre i suoi servigi agli sciatori mentre in estate è utilizzata dagli appassionati di down-hill che si scatenano sulle due ruote con folli evoluzioni ed alte velocità in discesa, richiedendo una certa attenzione all’escursionista. Proprio accanto alla seggiovia si erge un triste monumento allo spreco di soldi pubblici: un rifugio quasi ultimato da anni ma mai utilizzato e che inizia a mostrare le prime crepe dovute ad incuria ed abbandono.

La mia prima tappa volge quasi al termine che raggiungo abbandonando il segnavia N.200 nei pressi del passo Bruciamonica per seguire il N.106 che attraversa a mezza costa una bella faggeta dove si incontrano un paio di fonti. Se procederete silenziosamente, con buona probabilità potreste scorgere anche alcuni esemplari di ungulati, ammirandone l’eleganza della corsa quando, percepita la presenza umana, con agili balzi si allontaneranno da voi. Alle 19, dopo 13 ore dalla partenza, sono di fronte al bel Rifugio E.Orsi (1400mt) dove mi fermerò per la notte. Con me ho una tenda ma non la utilizzerò perchè la struttura ha un bivacco, una sorgente per dissetarsi e rinfrescarsi ed una panchina su cui consumare un frugale pasto al riparo di un porticato, insomma tutto quanto possa servire per affrontare una tranquilla notte nei boschi. Stanchezza, buio e silenzio mi fanno piombare ben presto nel mondo dei sogni dai quali mi desterò la mattina seguente alle sei e mezza. Di fronte a me una calorica colazione ed una nuova giornata di cammino.

In circa 30 minuti il sentiero 106 sale ripido, dapprima tra i faggi e poi tra i pascoli, fino a congiungersi sul crinale con il percorso dell’ABS poco prima del M.Ebro, come di consueto sferzato dal vento. Dalla vetta si potrebbero ammirare il Mar Ligure, le Alpi e la Pianura Padana se solo la visibilità fosse migliore di oggi. Scendendo verso la Bocca di Crenna incontro un signore che procede spedito sebbene sia piuttosto avanti negli anni. Con il fazzoletto a quattro punte che adorna il suo capo mi ricorda i personaggi di certi film neorealisti. E’ il primo escursionista che incontro, dimostra grande conoscenza dei monti e dei sentieri della zona, così scopro che è un salesiano e che un tempo trascorreva le estati nella colonia che si trovava appena sotto il valico di Capanne di Cosola. Ci allontaniamo in direzioni opposte ed in breve raggiungo le vette dei monti Prenardo e Chiappo a quota 1700 mt. Quest ultimo è punto di arrivo della seggiovia che parte da Pian del Poggio e che finalmente nell’inverno 2014-15 ha ripreso a funzionare per la gioia degli sciatori. Sulla vetta si trovano anche un rifugio, raramente aperto, ed una statua di San Giuseppe. Il sentiero 200 in questo punto si sovrappone per alcuni chilometri ad una delle antiche Via del Sale che mettevano in comunicazione la pianura lombarda con la riviera ligure.

“La giornata… comincia alle Capanne di Cosola, valico in capo al mondo a quota 1493, dopo una salita da bestie…una strana locanda con il bancone in Emilia, i tavoli in Piemonte e la terrazza in Lombardia. Ma anche la Liguria è lì ad un tiro di schioppo” con queste parole, fantasiose ma non troppo, il famoso giornalista e scrittore Paolo Rumiz celebra in “La leggenda dei monti naviganti” il suo arrivo al valico delle quattro province: Alessandria, Genova, Piacenza e Pavia. Per fortuna il futuro di questa storica ed eroica struttura ricettiva sembra assicurato. Paolo già da anni affianca il padre e si spera che il nipotino una volta cresciuto segua la tradizione famigliare consentendo al mitico Fausto di godersi un meritato riposo. Mi permetto di suggerirla come secondo posto tappa per chi voglia affrontare l’anello della Val Borbera con più calma, anche perché la cucina offre un gustoso mix di prodotti e cucine del territorio. Io posso fermarmi solo per uno spuntino. In cucina fervono i preparativi per una cena di beneficenza alla presenza del vescovo e si sente canticchiare allegramente, una signora intona una nenia mentre spinge la carrozzina del nipotino nell’attiguo cortile. Il servizio è cortese ma lento e questa atmosfera rilassata, d’altri tempi, amplifica il piacere della mia sosta golosa a base di the caldo, pane e coppa piacentina.

Dopo una divagazione musicale sulla “curma di pinfri” che celebra i pifferi e le fisarmoniche, per generazioni colonna sonora delle feste famigliari e religiose, Rumiz ricorda che in queste valli e valichi sono passati innumerevoli genti ed eserciti, dai celti ai cartaginesi, dai romani ai lanzichenecchi, dalle truppe napoleoniche a quelle naziste ed americane. Anche i Mongoli sono passati di qui, come indica uno dei cartelli “sentieri della libertà” collocato proprio dove il sentiero ricomincia dopo aver attraversato il nastro d’asfalto che transita per il valico. La guerra è finita da settant’anni, oggi è una bella giornata di sole, ma si può essere facilmente suggestionati dall’immagine dei mongoli che, forse sotto l’effetto dell’alcool, escono dalla nebbia sfidando il fuoco nemico, ululando come lupi. Anche perché l’ululato potrebbe capitarvi davvero di udirlo, ma quello dei lupi veri, che sono tornati in questo angolo di appennino come testimoniato da alcuni avvistamenti, sebbene sia decisamente remota la possibilità di incontrarne qualche esemplare, soprattutto di giorno.

La salita al Cavalmurone offre una vista impareggiabile della Val Borbera, poi si attraversa un’ombrosa faggeta fino ad arrivare al M.Carmo (1650 mt) dalla caratteristica vetta arrotondata e spoglia per scendere infine su carrabile fangosa fino a Capanne di Carrega. Incrociando l’asfalto ci si imbatte in uno storico edificio, una modesta abitazione con osteria che nel settembre del 1944 ospitò la riunione durante la quale venne riorganizzata la VI zona ligure-alessandrina che andava dal Turchino alla Val Staffora. Oggi i partigiani hanno lasciato il posto ad un altro tipo di resistenza, quella dell’agricoltura e della ristorazione eroica di montagna, infatti qui si possono acquistare prodotti caseari e mangiare nell’annesso agriturismo, gestito da una giovane coppia con prole. Al momento del mio passaggio però il servizio di ristorazione non era attivo e così dopo aver sorriso al piccolo di casa, taciturno ed intento a giocare sotto lo sguardo sornione di un gatto sonnecchiante, proseguo su asfalto per qualche centinaio di metri fino all’albergo–ristorante di Casa del Romano, punto di partenza privilegiato per le escursioni sul M.Antola. Ai tavoli di questa rustica struttura siede una variegata umanità: ciclisti dalle variopinte divise e dalle scarpe tintinnanti, escursionisti in bermuda e scarponi, un paio di persone di passaggio, viaggiatori in pausa pranzo, altri in fuga dal caldo e dal caos cittadino, tutti accumunati da un’età media non proprio verde tanto che io, quarantunenne, sono di gran lunga il più giovane. Gnocchi di patata quarantina (altro prodotto tipico locale) conditi con il pesto, salsiccia e patatine non sono certo un menù leggero e consigliabile per chi cammina, ma in mezzo a pasti a base di panini, barrette e scatolette voglio concedere un po’ di gioia alle papille gustative e cedo alla mia golosità. Per fortuna mi ricordo di riempire le borracce visto che fino all’indomani mattina non troverò più acqua lungo il percorso.

La salita verso il monte Antola inizia accanto ad un osservatorio di recente costruzione che, considerando la poca luce artificiale nei dintorni, deve regalare splendide emozioni agli appassionati di astronomia. Salgo tra boschi e pascoli impreziositi da splendide fioriture, soprattutto di narcisi, ed incrocio una scolaresca che scende in direzione opposta alla mia. Ricordo con tristezza che uno dei ragazzini era tutto preso dal suo tablet e ignorava la bellezza della natura. L’incontro alimenta però la speranza di trovare aperto il Rifugio del Parco Antola. Questa montagna, particolarmente cara ai genovesi, è annualmente meta di una sorta di pellegrinaggio in occasione della festività di S.Pietro, quando alcuni dormono anche in vetta per poter ammirare il sorgere del sole e magari, con un po’ di fortuna, scorgere all’orizzonte la Corsica. Questa primavera, in occasione del 25 aprile, si è svolto anche un pellegrinaggio dai significati meno religiosi e mistici, ma non meno importante e dai grandi risvolti civili e sociali. Infatti su questa vetta, percorrendo tutti gli innumerevoli sentieri che la raggiungono, si sono recate moltissime persone per celebrare il 70° anniversario della Liberazione.

Uno di questi sentieri conduce nella valle dei Campassi ed ai paesi abbandonati di Casoni, Ferrazza e Reneuzzi. Il secondo è l’unico villaggio recuperato grazie al paziente e sapiente lavoro di un gruppo di amici che sul finire degli anni settanta hanno dedicato tempo e risorse alla preservazione del borgo, senza però stravolgerne l’essenza. L’ultimo è il più noto in quanto il suo nome è legato ad un fatto di gelosia e di sangue che forse ne agevolò ulteriormente lo spopolamento. Di Reneuzzi restano tracce di case dall’architettura particolare con forma leggermente arrotondata per agevolare il passaggio delle slitte, qui chiamate “lese”, usate per trainare i carichi pesanti lungo le strette viuzze del paese. Imperdibili l’oratorio di S.Bernardo ed il minuscolo cimitero dove riposano le spoglie mortali dell’omicida-suicida. Gli edifici sebbene invasi dalla vegetazione resistono abbastanza bene agli oltraggi del tempo e dell’abbandono, considerando che nessuno vi abita dal 1961, anche se pare che talvolta vi abbiano trovato rifugio alcuni viandanti e forse anche Giangiacomo Feltrinelli durante la sua latitanza, ma qui si entra nel campo delle leggende, che però a ben vedere si adattano all’alone di mistero che ammanta questo borgo. Non stupisca la presenza di così tanti villaggi fantasma, siamo infatti nel comune di Carrega Ligure, il comune più elevato e meno popolato della provincia di Alessandria, oltre che uno dei più estesi, assorto in tempi recenti all’onore delle cronache per la proposta di vendere le case abbandonate al prezzo simbolico di un euro. Ad onta delle innumerevoli frazioni, gli abitanti attualmente sono poco meno di 80, mentre nel 1861 erano 3300. Questo dato sintetizza drammaticamente l’abbandono del territorio in seguito allo spostamento dei traffici commerciali dalle ripide e sconnesse mulattiere alle infinitamente più agevoli vie di fondovalle. Il sentiero per la valle dei Campassi incrocia il tracciato dell’Anello Borbera e Spinti proprio in corrispondenza del passo Tre Croci, così chiamato perché tanto tempo fa in questo luogo, durante una bufera di neve, persero la vita tre valligiani, oggi appunto ricordati da tre piccole croci di legno.

Quando raggiungo la croce ben più grande e metallica posizionata sulla vetta del M.Antola (1597mt) c’è solo una coppia con cagnolone al seguito, e la visuale è limitata dalle nubi minacciose di un incombente temporale annunciato da fulmini e tuoni in avvicinamento. Scendo così a passo spedito fino al Rifugio che purtroppo espone un desolante cartello “siamo andati a comprare”. Cerco una fonte o un rubinetto dove potermi rifornire ma non lo trovo ed ironia della sorte l’unica acqua, incapace però di placare la mia sete, cade copiosa dal cielo. Il temporale è di breve durata ma di grande intensità, tanto che il vicino lago del Brugneto (la principale risorsa idrica di Genova) rimane occultato dal muro d’acqua. Tempo incerto e borracce semivuote mi spingono a cambiare i piani. Rinuncio a raggiungere la cappella di S.Fermo, che richiederebbe ancora un paio di ore, e decido di fermarmi al rifugio dove è presente un bivacco di emergenza sempre aperto. Il pernottamento al rifugio, previa verifica dell’apertura, è peraltro la soluzione che consiglio a chi volesse percorrere questo anello con più calma, pernottando sempre presso strutture idonee e con servizio di ristorante. Mentre attendo che spiova, mi riposo e consumo poi una parca cena sulle panche con tavoli in legno disposti sulla terrazza a gradoni che si affaccia sul lago ora sgombero da nubi e pioggia. Attendo invano il rientro dei gestori del rifugio fino al calar delle tenebre e mi preparo per la notte mentre una splendida luna piena occhieggia in cielo. Domani mi aspetta una sveglia antelucana per recuperare le due ore di cammino e dovrò gestire con attenzione la poca acqua che rimane nelle mie borracce per evitare il rischio di disidratazione.

La sveglia alle cinque mi consente di ammirare il sorgere del sole che inonda di luce rossastra il cielo dietro la dorsale montuosa a levante, mentre sul lago si alzano lievi le nebbie mattutine. Mi viene alla mente un’immagine mitologica, è come se Efesto stesse prendendo dalla fucina un manufatto rovente per temprarlo nell’acqua, liberando una colonna di fumo e vapori. Passo accanto ai ruderi del rifugio Musante che, gestito per più generazioni dalla omonima famiglia, ospitò e ristorò persone di ogni genere e razza offrendo una genuina e ruspante ospitalità contadina e montanara. Proprio in quel punto il sentiero numero 200 si stacca sulla sinistra andando in discesa e falsopiano, dapprima tra faggi e maggiociondoli poi tra vegetazione arbustiva e pascoli, fino al M.Buio. Discendo agevolmente alla cappella di S.Fermo, poco lontana dall’abitato di Dova Superiore pure esso citato da Rumiz ne “La leggenda dei monti naviganti” con queste parole: “il paese ha 18 abitanti, un magnifico campanile a cipolla ed una locanda gestita da un parroco di nome Luciano”. Segue una conversazione tra i due di cui riporto uno stralcio che ritengo particolarmente significativo “L’Appennino non sa difendersi come le Alpi, non ha i Messner, i Corona. Di queste montagne poi non ne parliamo, siamo ai margini di tutto”. Dova è frazione di Cabella Ligure, piccolo centro montano scelto per la sua aura da una santona indiana che qui ha collocato la sede europea della sua scuola di yoga e meditazione attirando in loco alcuni adepti con le loro famiglie. E’ curioso come per alcuni si possa essere ai margini e per altri al centro del mondo, come sempre tutto dipende da quale angolazione e con quale spirito una situazione si osservi.

La Cappella di San Fermo offre una splendida vista a 360 gradi sul circondario, fu bombardata durante la guerra di Liberazione ed i boschi nei dintorni furono terreno di duri scontri tra i partigiani arroccati in alta valle e le forze nazifasciste di stanza nella sottostante val Vobbia. Da qui si possono ammirare le Rocche del Reopasso con i conglomerati di Savignone che offrono ampi spazi di divertimento agli appassionati di arrampicata. Purtroppo rimane invece nascosto alla vista lo splendido castello Della Pietra, incastonato e quasi mimetizzato tra due bastioni di roccia. Si scorge inoltre Crocefieschi paese natio di Roberto Pruzzo, mitico bomber di Genoa e Roma negli anni 80. Originaria di Berga, frazione di Carrega Ligure, era invece la famiglia di Enrico Chiesa fromboliere di Samp, Parma, Fiorentina e Siena negli anni 90. Facilmente troverete qualcuno che dirà di aver giocato contro questi campioni in uno dei tanti infuocati tornei estivi per ragazzi che si disputavano un tempo nei paesi della valle per la gioia dei giovani locali e dei villeggianti.

Da San Fermo il percorso dell’Anello Borbera-Spinti, continua a scendere quasi sempre immerso nel bosco, a volte anche con tratti ripidi. Non avendo trovato acqua dalle 14 del giorno prima decido di dissetarmi seguendo un cartello indicante una fonte per raggiungere la quale occorre una breve deviazione. Sono le ore 9,30 e sono in cammino già da quattro ore. Si continua a scendere fino a Costa Salata dove si incontra, per attraversarla solamente, la strada asfaltata e dove si trova un bar ristorante dove potrete rifocillarvi. Il sentiero prosegue poi in falsopiano fino a Caprieto, dove troverete un’altra fonte a cui rifornirvi. Ad un bellicoso cartello indicante l’aggressività dei cani e degli abitanti di una casa, fa da contraltare la cordiale chiacchierata con un anziano signore che per qualche centinaio di metri mi accompagna, indicandomi la via che in questo tratto è comunque ben segnalata, al contrario di quanto avviene dall’Antola al Buio. Si intravede il paese abbandonato di Casissa e si riprende a salire verso il Bric delle Camere la cui sommità mi offre un’ampia visuale e, colpo di fortuna, il volo maestoso di un rapace. Si ricomincia a scendere nel bosco di querce e castagne fino a raggiungere l’asfalto nei pressi di Borassi dove una struttura ricettiva potrebbe essere posto tappa per chi affronta il giro in cinque giorni. Io proseguo fino a Roccaforte, sovrastato dai ruderi di un antico maniero, alternando tratti di sterrato nei campi ad altri su asfalto. Sosto nei pressi del cimitero dove posso riposare e pranzare all’ombra, nonché riempire per l’ultima volta le borracce. E’ quasi mezzogiorno, come indicato dal bel campanile, alcuni contadini stanno ultimando i lavori nei campi, mentre i grilli friniscono come ossessi in questa calda giornata di fine primavera. Riprendo il cammino ed è ora di abbandonare il segnavia n.200 che volge in direzione del mulino Serventino, mentre io proseguo in direzione Vignole Borbera lungo il percorso N.275 che inizia con una breve ma ripida, assolata e sassosa salita. Il bosco prende poi il sopravvento occultando alla vista i ruderi del paese di Avi, altro villaggio abbandonato, che la leggenda vuole fondato da due disertori dell’esercito napoleonico, ed il cui canyon può offrire soddisfazioni agli appassionati di torrentismo. In meno di due ore raggiungo località Monteggio, dove, a differenza della vicina Lemmi, non si trovano fontanelle. Dalla chiesetta, dedicata a S.Lucia, si scorge il fondovalle con la sagoma del Santuario di Monte Spineto. L’anello volge al termine ed in un paio di ore, sempre scendendo lungo il 275, tra boschi e calanchi dalla vegetazione arbustiva che a tratti ricordano l’ambientazione di certi spaghetti western, raggiungo Vignole Borbera nel primo pomeriggio.

Dopo tre giorni e circa cento km, è il momento di riposarsi e godersi i ricordi di questo viaggio. Personalmente consiglio, soprattutto a chi non è della zona, di effettuarlo in cinque tappe per meglio gustare i panorami, i borghi e la cucina che questo territorio ha da offrire. Se invece avete gambe d’acciaio, polmoni enormi e spirito competitivo, vi segnalo che annualmente, con partenza da Cantalupo Ligure, si svolge in primavera una delle più apprezzate competizioni di trail running: le Porte di Pietra, che quest’anno per la prima volta hanno presentato anche un tracciato da cento km che il primo classificato ha percorso in circa dodici ore…vincendo sì la gara ma perdendosi i panorami ed il fascino misterioso di questa valle…



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