Sardegna, storia, natura e leggenda del Sulcis

Durata: tre giorni (dal 2 al 4 aprile 2009) Budget: 150 euro a persona all inclusive Sistemazione: pernottamenti B&B, cena ristorante, pranzo libero. Itinerario: Cagliari, Iglesias, Carbonia, Sant'antioco, Carloforte, Portovesme, Porto Pino, Cagliari (visita alla citta'). Mobilita': fly (Ryanair) & drive (Europecar). Natura, storia, leggenda....
Scritto da: giovanni rutili
sardegna, storia, natura e leggenda del sulcis
Partenza il: 02/04/2009
Ritorno il: 06/04/2009
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 500 €
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Durata: tre giorni (dal 2 al 4 aprile 2009) Budget: 150 euro a persona all inclusive Sistemazione: pernottamenti B&B, cena ristorante, pranzo libero.

Itinerario: Cagliari, Iglesias, Carbonia, Sant’antioco, Carloforte, Portovesme, Porto Pino, Cagliari (visita alla citta’).

Mobilita’: fly (Ryanair) & drive (Europecar).

Natura, storia, leggenda. Tre buone ragioni per scoprire il Sulcis in primavera, lontano dalla ressa del turismo balneare, vicino al cuore antico ed ospitale di una regione sempre nuova.

Arriviamo da Pisa a Cagliari in aereo alle 13,45 (Ryan, 14 euro A/r per due persone…, un’ora di viaggio). Abbastanza puntali. Senza auto. Un rischio accettabile in bassa stagione. Dentro l’aeroporto ci sono una decina di noleggiatori, molti locali. I prezzi, sull’uscio, non sono economicissimi (50 euro al giorno la media). Cento metri fuori dalle porte girevoli, in uffici ricavati da box container, il quartetto dei noleggiatori internazionali: Hertz, Avis, Europecar, Maggiore. Con Europecar abbiamo una convenzione interessante e prendiamo una 500 rosso fiammante (8,5). Alle due e mezzo siamo in viaggio. Piove. Come accaduto spesso quest’anno, come accade assai meno frequentemente in Sardegna. Ci dirigiamo a ovest.

L’idea e’ visitare il Sulcis: miniere, aree lacustri, fenicotteri rosa, saline, le isole di Sant’Antioco e San Pietro, le spiagge bianche di PortoPino. La strada e’ scorrevole, dopo un’oretta superiamo Iglesias. La citta’ e’ circondata da basse montagne. Cave, bocche di miniere, edifici industriali in uso e, molti, abbandonati, modificano, caratterizzandolo, il profilo del territorio. Domina il colore rosso. Del terreno ferroso, ricco di minerali e fossili: piombo, argento, carbone. Qui, l’immagine bucolica della Sardegna di pastori e pescatori lascia il posto ad una storia piu’ antica e dura di miniere e commerci. Una storia remota e operaia. Se la provincia di Carbonia Iglesias e’ nuovissima, visto che e’ stata scorporata definitivamente da Cagliari solo nel 2006, il suo territorio e’ abitato sin dal neolitico, sfruttato per le miniere dal tempo dei nuraghe. Fa un certo effetto pensare che quando Roma era poco piu’ di un villaggio, Sul Ki (in latino Sulcis, oggi Sant’Antioco), contava oltre 10.000 abitanti. Poco meno di quelli di oggi.

Alle quattro, fermandoci tra uno scroscio di pioggia e l’altro a fare qualche foto, arriviamo a Carbonia dove ci aspetta, impermeabile a Giove pluvio, la grande miniera di Serbariu (9) (www.Museodelcarbone.It, tel. 0781.62727, fax 0781.670591). La storia della miniera e quella di Carbonia cominciano insieme. A fine anni ’30 in Italia, causa sanzioni internazionali, Mussolini ordina l’autarchia. Anche dal punto di vista energetico. Cosi’ il giacimento di carbone della piana di Serbariu d’improvviso diventa una risorsa strategica. E nasce, in trecento giorni, la miniera. E nasce, in meno di due anni, la citta’ di Carbonia. Dal nulla. In perfetto stile razionalista. La fame di lavoro, l’opportunita’ di una paga piu’ alta e i filmati dell’istituto Luce su questa opera di “alta tecnologia” e su questa nuovo gioiello urbanistico fanno il resto. Un miracolo italiano… Dal 1938 al 1943 Carbonia passa da 0 ad oltre 40.000 abitanti. La miniera da sola occupa 18.000 persone. In citta’ si parla italiano, melting pot ante litteram con veneti, toscani, siciliani e campani emigrati nel Sulcis (sic!) per trovare fortuna. O per scappare e trovare nuova identita’, magari politica, nascosti nella polvere nera della miniera. Poco importa se la fabbrica non e’ cosi’ tanto moderna, se I processi sono manuali, se servono ancora pala, sudore e piccone per cavar lavoro, se almeno una volta al giorno la sirena suona e denunica un incidente, talvolta mortale. Poco importa se, dalla paga, il padrone trattiene il canone per l’affitto della casa, se il pane a Carbonia costa il doppio rispetto a Cagliari, se per arrivare in fondo al mese spesso si devono fare doppi turni, ovvero 16 ore di fila in gallerie alte meno di un metro e mezzo, con 42 gradi umidita’ all’85% (per I calciofili, altro che Pasadena…), dove si lavora a cottimo. Poco importa, infine, se il Carbone Sulcis, vanto del regime, arriva da giacimenti relativamente giovani, poco pregianti, con basso potere calorico, competitivo solo perche’ le frontiere sono chiuse. Poco importa e soprattutto nessuno conta gli effetti collaterali: problemi ai polmoni, agli occhi che nel tempo, come promesso, garantiscono alle maestranze un futuro diverso. Breve e doloroso. La 626 e’ un uccellino in gabbia, che, con la morte, avverte in tempo l’uomo di fughe di gas, la 626 e’ una coppola di cuoio alla francese ben calata sulla fronte, e’ l’orecchio attento del minatore che tra il rumore dei carrelli e dei martelli pneumatici si accorge dello scricchiolio dei pali di pino, usati per armare le gallerie, uno scricchiolio che anticipa di qualche minuto il crollo. Nel dopoguerra la miniera passa all’Enel. Arrivano le nuove tecnologie. Si scava una decina di livelli, 300 metri, 215 sotto il livello del mare. Poi la riapertura dei mercati rende inesorabile il bluff del Carbone Sulcis che impallidisce di fronte alla concorrenza internazionale. Nel ’64 la chiusura e’ inevitabile e cosi’ la separazione tra la storia della miniera e quella di Carbonia. La citta’ quasi si vergogna della gigantesca area industriale, dei capannoni, dei cumuli di scarti, degli imponenti macchinari. Carbonia fa finta di dimenticare lasciando a vagabondi, speculatori in cerca di materiale ferroso, disgraziati e nomadi quella terra di nessuno. Fino a quando negli anni ’90 comincia un percorso di recupero urbano e, forse prima, di memoria. Ora c’e’ il museo del Carbone, con l’enorme lampisteria piena di foto e reperti, con la sala degli argani che ospita collezioni di arte contemporanea, con magazzini adibiti a centri di ricerca universitaria, con un minigassificatore. Con Loredana, che, entusiasta e paziente, ci guida nella miniera trasformando contenuti da lezione universitaria in sceneggiatura da film d’azione, per scoprire una storia di eroismo quotidiano, di errori, miserie, scommesse perse, truffe di stato. E orgoglio.

Lasciamo Carbonia e puntiamo Sant’Antioco, conosciuta, nei secoli, come Sul ki, la citta’ plumbea, l’isola dai due porti. E’ la quarta isola d’Italia, sposata con la Sardegna dai tempi dei romani, prima con piccoli ponti di sasso e mattone, oggi con un istmo di cemento armato. Lasciate le saline, la strada corre per qualche chilometro tra due mari. Un filo di nero su sfondo blu. Stupendo. Sant’Antioco, invece, al primo impatto e’ disordinata. Sembra una delle (purtroppo tante) capitali dell’arte di arrangiarsi in barba alla tutela del paesaggio. Ad un analisi piu’ attenta, si leggono segni di cambiamento: il lungomare tirato a lucido, la piazza della Basilica, scavi archeologici, un’area museale ben attrezzata. E’ una terra di pescatori. Alle 10 del sabato mattina puoi sentire odore di pesce affumicato passeggiando nelle strade del centro. E’ terra di credenti. La settimana di Pasqua e’ un’antologia di processioni e riti emozionanti. E’ terra di tombe: sotto l’abitato una necropoli punica di 6 ettari. E’ terra dalla storia antica: fondata prima dell’era dei nuraghe, ha avuto grande sviluppo in periodo fenicio. La possibilita’ di avere due porti ravvicinati, infatti, consentiva riparo per le barche con qualunque condizione di mare. Per i romani Sulcis era il porto da cui far partire i metalli (piombo, citta’ plumbea) estratti nelle vicine miniere della Sardegna. E’ la terra di Sant’Antioco, un “medico dei corpi e delle anime” giunto dall’Africa nel secondo secolo dopo cristo per evangelizzare prima Sulcis, poi la Sardinia (di cui e’ patrono) ed infine (tradunt) l’Italia intera. Con la caduta dell’impero romano, la citta’ e’ passata sotto il controllo di Bisanzio (a quel periodo risale la costruzione del primo nucleo basilicale), ma dopo il mille le frequenti invasioni dei saraceni resero l’isola invivibile, la popolazione fece armi e bagagli, attraverso’ l’istmo e costrui nell’isola grande (Sardegna) nuovi villaggi. Senza dimenticare Sant’Antioco, il patrono della Saregna e dell’isola, festeggiato tre volte l’anno (aprile, agosto e novembre), senza dimenticare I campi coltivati, magari solo fino al momento dell’avvistamento delle navi nemiche. L’isola passo’ in mando della chiesa. Di Sant’Antioco. E proprio il santo e’ stato alla meta’ del 1700 protagonista della rinascita. Infatti, a seguito del ritrovamento delle ossa nelle catacombe, gia’ necropoli punica, poi fondamenta della cattedrale, la Chiesa decise di regalare la terra ai contadini che avessero scelto di tornare a stabilirsi in paese. C’erano campi e pesca. C’erano case: le tombe puniche, che la storia nel frattempo aveva svuotato di monili e suppellettili originali, furono riadattate come alloggi. Un quartiere scavato nel tufo, umido, diventato, nei secoli, qualcosa tipo un ghetto. Negli anni ’60 l’area del cd villaggio ipogeo fu sgombrata, gli abitanti spediti in palazzi nuovi. Non e’ stata un’operazione facile, basti pensare che alcune case tombe sono state utilizzate fino a meta’ anni ’90. Oggi, molti dei nuovi edifici hanno cantine realizzate sfruttando le antiche tombe, in una storia che aggiunge, sovrapponendoli, secoli a secoli.

Troviamo da dormire al B&B Il Melangolo (via Nazionale 9, tel. 3494152805, 50 euro notte e prima colazione, bbmelangolo@tiscali.It). Una buona soluzione (8). La camera e’ ampia, pulita, ben arredata e sistemata di recente, con una piacevole vista sul giardino interno. Ci sono spazi comuni, postazione internet, brochures e una bella accoglienza. Unica pecca la colazione un po’ banale. Ottimo il consiglio per la cena. Ristorante da Silvana, localita’ Santa Caterina, (8,5) (tel. 0781 83756, menu’ fisso 22 euro, d’estate e’ quasi obbligatorio prenotare). Posto rustico, tovaglie di carta, tavoli di plastica, servizio veloce, vino in caraffa. Cena a base di pesce, semplice, fresco e buono. Eccezionale la grigliata di pesce ed il mirto. Al mattino visitiamo la Basilica di S. Antioco Martire, le catacombe (7,5) (www.Basilicasantantioco.Com, demetriopinna@tiscali.It, tel. 078183044, 2,5 euro), dove la signorina Annalisa ci racconta con competenza e autentica passione storia, arte e religiosita’ succitane. Quindi ci dedichiamo alla zona museale composta da sei aree (e altrettanti biglietti): museo archeologico, tofet, villaggio ipogeo, la fortezza ottocentesca, il museo etnografico (www.Archeotur.It; tofet@tiscali.It, archeotur@tiscali.It, 0781800596, 13 euro tutto). Per motivi di tempo ci limitiamo al villaggio ipogeo (7,5) ed anche qui siamo fortunati trovando un’ottima guida.

In tarda mattinata ci dirigiamo a Calasetta e dove prendiamo il battello per Carloforte (17 euro solo andata per 2 persone + auto). In mezz’oretta raggiungiamo l’isola, rifondata da una famiglia di Pegli su ordine del re di Piemonte e Sardegna. Carloforte e’ piu’ in di Sant’antioco: piu’ curato il lungomare, piu’ eleganti, omogenei e pregiati artisticamente gli edifici. E’ una cittadina che d’inverno fa 3000 abitanti. Ad agosto supera I 50.000. E per dare accoglienza a tutti, sono stati anche qui effettuati interventi urbanistici a dir poco discutibili con aree sature di brutte seconde case. Fortunatamente molte sono nascoste dietro il Forte che domina la citta’. Carloforte e’ famosa per le sue radici liguri, di cui e’ orgogliosa, per il paesaggio e per il tonno. Da fine aprile a meta’ maggio, infatti sono autorizzate una quindicina di tonnare. Giornate epiche, cruente. Usciamo subito fuori dal paese e la campagna assolata e’ meravigliosa, puntiamo a nord, allo stabilimento della tonnara. Da fuori sembra abbandonata, scogli neri, mare intorno e mura sbrecciate, ma entrando, a fianco ad un prato con un cimitero di ancore rugginose, c’e’ un grande cortile, pavimentato con belle pietre squadrate insediate da brutto asfalto. E poi le reti, gigantesche, stese. Gli equipaggi le stanno pulendo, riannodando per preparare la trappola. La mattanza. Nel pomeriggio scopriamo il lato dell’isola che guarda verso le colonne d’Ercole. Arriviamo a Capo Sandalo (8), oasi della Lipu, con il faro in posizione dominante e panoramica, con la deliziosa Cala Fico, con una bella “passeggiata rossa” che passando in mezzo al niente porta ad una baia ripida, circondata da rocce scure consumate dal vento, da pareti naturali che sembrano colonne. Bello, ma attenzione ai gabbiani che qui abbondano… Tornando indietro visitiamo la parte sud: spiagge e le famose Colonne (7-), dichiarate monumento naturale sardo (mah…) che danno il nome alla punta ed al canale tra San Pietro e Sant’Antioco.

I B&B aperti non sono molti. Scegliamo Casanova Bruno (8). E scegliamo bene. La casa, moderna, e’ a cinque minuti a piedi dal centro. C’e’ il posto auto, il terrazzo in camera. La stanza e’ pulita, spaziosa, arredata con gusto giovane, stile Ikea, funzionale (45 euro senza colazione, tel. 3382050553). Bruno e’ gentile. A cena andiamo all’Oasi (6,5). Il menu’ turistico, che cambia ogni giorno, e’ onesto (22 euro per antipasto, primo e secondo). Il servizio adeguato. La cucina interessante: primi abbondanti, il resto (secondo compreso) assaggi. Il vino, imbottigliato per la casa e venduto come un elisir taumaturgico, e’ il classico vino del contadino con pregi, assenza di trattamento, e difetti, sapore di botte vecchia, del caso. Soddisfatti? Non molto. Alla fine spendere 52 euro in trattoria per due primi, qualche assaggio e un vino della casa ci sembra un po’ tanto. L’ultimo giorno colazione al bar, visita agli stagni, con pescatori intenti a sistemare I gozzi per l’estate. Poi traversata a Portovesme, da li veloci lungo la costa fino a Porto Pino (8,5), la prima spiaggia che ci fa veramente venire voglia di fare un bagno. Bellissimo. E ci sembra che uno sfruttamento balneare legato a campeggiatori e camperisti abbia minor impatto ambientale sul profilo della costa e del paesaggio.

E’ l’ora di tornare verso Cagliari. Attraversiam il sulcis dall’interno: S.Anna Arresi, Giba. Poco dopo Acquacadda c’e’ la diga ed il lago di Bau Pressius (7). Nel frattempo il cielo si e’ fatto grigio. Sara’ per il meteo, sara’ per le montagne sullo sfondo, ma questo paesaggio cosi’ verde e liquido, ci sorprende e meraviglia. Dopo molte curve, giungiamo a Siliqua. Da li ad Elmas, dove c’e’ l’aeroporto, e’ una volata tra castelli, nuraghe e case coloniche bellissime. Lasciamo la macchina e prendiamo l’autobus. A Cagliari (7) buschiamo un acquazzone epico. Mentre visitiamo il quartiere Castello, dal bastione Saint Remy (7,5 panorama) scopriamo il profilo disomogeneo di questa grande citta’ di mare, ma anche un po’ lacustre, circondata dai grandi stagni, raccolta tra pianure ed una corona di piccole montagne. Ci rifugiamo nella cattedrale di Santa Maria, l’antico comune, recentemente restaurato in modo brillante (anche se le collezioni ospitate, ci hanno detto poco). Il palazzo regio, oggi sede del consiglio provinciale, ci colpisce con la sua limpida aria impero. Poi, di corsa, cercando improbabili rifugi sotto balconi e inesistenti cornicioni, passiamo in rassegna le torri di San Pancrazio e dell’Elefante. Quindi, zuppi, troviamo il tempo dello shopping e dei regali tra Largo Carlo Felice, via Roma, e tutto il reticolo di ristorantini (che consigliamo) del quartiere di Marina (8,5 per l’aria che vi si respira).

Ed e’ subito sera…

Con l’aereo che parte in anticipo ed arriva presto a Pisa e la voglia di tornare a scoprire il poetto e l’iglesiente. Siti e indirizzi www.Provincia.Carboniaiglesias.It www.Sulcisiglesiente.Eu stlsulcisiglesiente@gmail.Com www.Carlofortebedandbrekfast.It www.Tuttosantantioco.It www.Sardegnaturismo.It www.Museodelcarbone.It www.Basilicasantantioco.Com www.Archeotur.It



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