Qualche nota sul Sudafrica 2
Io sono andato nel giugno scorso, all’inizio dell’inverno australe, con mia moglie e mio figlio di otto anni; il nostro viaggio si è articolato in due parti distinte: 1) la prima parte, da Città del Capo a Port Elizabeth – nove giorni che consiglio solo a coloro che come noi non trovano mai ripetitive le luci, i colori, le spiagge e più in generale le atmosfere nordiche, specie se, come in questo caso, assaporate al di fuori della stagione turistica – ha compreso Città del Capo e la Penisola (tre giorni), la costa (consiglio Arniston e Wilderness come tappe), il Klein Karoo (Outdshoorn, con atmosfere vagamente New England), l’Addo (un po’ deludente, dopo aver conosciuto l’Etosha; però se non avete voglia di spingervi fino al Kruger, gli elefanti si vedono davvero anche lì) e lo Tsitsikamma (bello a vedersi, ma un po’ poco “fruibile” dal turista medio sul genere “toccata e fuga”…). A noi è piaciuto molto, però ripeto, a parte la luce e l’originalissimo innesto di profumi e vegetazione esuberanti nel quadro climatico prettamente nordico, di “africano” questa parte del viaggio ha avuto poco o nulla. Se è solo l’Africa che cercate, limitatevi a Città del Capo e alla Penisola (per quanto, anche lì…), e poi spingetevi più a nord, verso il Namaqualand o il Klein o – ancora meglio – Great Karoo. Certe volte, come ad esempio a Cape Aguhlas, sembrava di essere in Bretagna o in Norvegia: a noi questo nord capovolto piaceva, però magari ad altri… 2) la seconda, altri nove giorni da Durban (dove siamo giunti in volo da Port Elizabeth) a Sabie, dedicati soprattutto al St. Lucia Wetland (è più grande di quanto sembri dalla cartina, non pensate di girarlo tutto facendo base a St. Lucia!), allo Swaziland (la vera Africa, dove lo spettacolo è la gente) e al Kruger (consiglio vivamente di partecipare ai safari del primo mattino e, soprattutto, notturni organizzati dai vari campi. E’ vero che entrambi si svolgono sulle stesse strade che potrete percorrere da soli con le vostre auto; però da soli non potrete oltrepassare i cancelli del campo dopo le cinque e trenta del pomeriggio, perdendo così la possibilità di assistere a uno spettacolo come quello al quale abbiamo assistito noi: il banchetto di dieci leonesse proprio sul margine della strada, un’impressionante ma indimenticabile spettacolo fatto di ruggiti, odore di sangue e rumore di ossa frantumate) e qui sì, qui era davvero Africa, nel bene e nel male: le luci, i tramonti, gli odori e tutto il resto che sembra solo retorica, e che invece, quando lo si prova di persona, si scopre che non lo è. Due viaggi in uno, quindi; entrambi belli, ed entrambi avrebbero meritato anche da soli la noia del lungo volo (ma vi è mai capitato di tornare da un viaggio e dire che non vi è piaciuto? A noi no…).
Avessimo avuto tempo a sufficienza, non avremmo certo tralasciato la zona della Wild Coast, e anziché in aereo l’avremmo percorso in auto. Ma il tempo è stato tiranno come al solito.
Il problema della criminalità dilagante è stata la cosa che, prima della partenza, mi ha creato più perplessità. La situazione che si ricava da una consultazione del sito “Partire sicuri”, gestito dall’A.C.I. – che per altri versi e altre destinazioni rimane utilissimo se non indispensabile – credo di poter dire che sul Sudafrica si lasci andare a un pessimismo esagerato e fuori misura.
Indubbiamente nelle città più grandi l’atmosfera è, palpabilmente, un po’ pesante: i benestanti, vale a dire i bianchi, vivono letteralmente rinchiusi dentro recinti individuali o “di gruppo” fatti di cemento e filo spinato, sorvegliati da imprese di vigilanza con nomi poco rassicuranti (tipo “fuoco pronto” e “risposta armata”); nei paesi in giro per le strade si vedono solo neri, e a volte viene il dubbio che questo non dipenda solo dal fatto che sono loro a non potersi permettere di farlo in automobile; alle sette di sera non si vede più in giro nessuno, ma dopotutto nei posti dove abbiamo fatto tappa noi abitavano un migliaio scarso di abitanti, e per di più eravamo in inverno.
L’atmosfera opprimente si stempera decisamente mano a mano che ci si allontana da Città del Capo, o Durban o Port Elizabeth o George o, credo soprattutto, Johannesburg, allorché ci si perde nella costa nel Western ed Eastern Cape, nel Karoo, nel St. Lucia Wetland e a maggior ragione nei Parchi, tanto che alla fine si trovano ridicole raccomandazioni tipo quella di “viaggiare solo in gruppi di più automobili”, o di “rimanere chiusi in auto in attesa dei soccorsi, in caso di guasto, senza scendere sulla strada”, impartite dal sito dell’A.C.I.. Non so cosa accada nelle strade secondarie o nelle zone meno frequentate dal turismo (es.: deserti centrali e Namaqualand e costa atlantica sopra Città del Capo); ma a Wilderness, tanto per fare un esempio, se avessi bucato sarei tranquillamente sceso a cambiare la gomma.
Viaggiate facendo caso alla vegetazione, anche quando non è appariscente come quella del St. Lucia Wetland, perché poi il ricordo dei suoi profumi e della sua varietà sarà uno dei più belli che vi porterete a casa. Nel Karoo abbiamo viaggiato sempre con un persistente odore di timo selvatico che filtrava in auto; la foresta pluviale dello Tsitsikamma (quello che ne rimane) sa di liquirizia e di umido; il Capo di Buona Speranza sembrerebbe una tundra artica, se non fosse per l’incredibile varietà di licheni (credo che siano licheni) e di cespugli che la contraddistingue; tutto questo – e sono solo esempi – è ben diverso dalle esalazioni degli scappamenti a cui siamo abituati, no? Al contrario di quanto letto in vari resoconti, il paesaggio non raggiunge forse mai picchi di spettacolarità assoluta – come può accadere, ad esempio, nei parchi del Nord America a Bryce Canyon o a Zion – però si mantiene sempre costantemente bello, o almeno gradevole, nella peggiore delle ipotesi. L’unica eccezione – in negativo – è forse la zona di Johannesburg.
Siamo Italiani, e non possiamo non parlare della cucina. Io, poi, forse a causa dell’età, comincio a soffrire piuttosto sensibilmente la mancanza non tanto dei piatti, quanto degli ingredienti italiani (pasta, parmigiano, olio di oliva e quant’altro). Dopo un esordio disastroso contraddistinto dall’imperversare della nefasta cucina anglosassone e americana, abbiamo cominciato a scegliere guidati non dall’istinto, ma dai consigli della guida (la Lonely Planet, nel ns. Caso), e allora la musica è cambiata. La cosa che consiglio più vivamente sono i piatti di carne: ignorando per questa volta la possibilità di gustare tipi di carne (tipo kudu e impala, che vengono macellati comunque e non solo a beneficio del turista in cerca di “sticchiature”), personalmente mi sono dedicato al filetto, infilando una serie di cene che in Italia solo le classi abbienti possono permettersi. Il costo della vita (alloggi, pasti, carburante, ingressi nei parchi, escursioni) è infatti decisamente conveniente, le strade – soprattutto nella prima parte del viaggio – sono ottime, gli standard in genere sono da Paese europeo o nordamericano, e davvero non si capisce come questo possa conciliarsi con la realtà delle township, a volte enormi, che si vedono a Capetown, a Knysna e altrove.
E’ tutto quello che sul momento mi viene in mente. Resto comunque a disposizione per chiarimenti e informazioni dettagliate (oblomov2ele2.It).