Polinesia, una volta è per sempre
Indice dei contenuti
La meta è per noi italiani dall’altra parte del mondo e relativamente costosa. Bisogna fare attenzione e scegliere bene. Il volo più economico è quello di Air France/Air Tahiti Nui da Parigi a Tahiti via Los Angeles. Abbiamo scelto ottobre perché è la fine della stagione secca e abbiamo pernottato in piccoli alberghi B&B;, che fanno promozioni se appartengono alla stessa catena, situati vicino ai villaggi, ove possibile, per avere maggior libertà di movimento e abbiamo evitato i motu, piccoli atolli all’interno delle lagune, per lo stesso motivo. Per praticità abbiamo acquistato in Italia il pass dei voli interni nelle isole che abbiamo scelto di visitare. Funzionano come autobus tra un’isola e l’altra e possono essere affollati. Dopo una decina di ore di viaggio partiti da Parigi il 3 ottobre atterriamo a Los Angeles per lo scalo tecnico e, benché in transito, dobbiamo passare i controlli americani dei documenti come se entrassimo in territorio statunitense perdendo così una mezzora. A bordo dell’aereo di Air Tahiti Nui si respira già profumo di Polinesia quando le hostess, vestite con abiti tipici coloratissimi, ci offrono un fiore di tiare, una specie di gardenia simbolo del Paese. Atterriamo sempre il 3 ottobre a Papeete puntuali alle h 21,35. Qui abbiamo – 12 ore rispetto all’Italia. All’arrivo siamo accolti da musica e dono di collane realizzate con profumatissimi fiori. Il tempo di arrivare in hotel, dove un comodo letto ci accoglie per un sano riposo in attesa del giorno seguente quando ha inizio la nostra avventura polinesiana.
Un giorno a Tahiti, l’isola della luce
Al nostro risveglio notiamo che il nostro albergo è situato a 3 km da Papeete su una graziosa spiaggia e di fronte l’isola di Moorea molto vicina ci schiaccia l’occhiolino. La nostra vacanza tropicale è ufficialmente iniziata! Papeete, porta d’ingresso della Polinesia è una cittadina non troppo grande e il suo nome significa “bacinella d’acqua”. Il centro ha case coloniali in legno ricche di fascino antico. Il posto più caratteristico di Papeete è il vivacissimo Mercato Coperto, edificio coloniale a due piani, con banchi di frutta, verdura, pesce, cibo pronto e articoli di artigianato locale in un trionfo di colori e di sorrisi dei venditori; il piano superiore è in restauro e quindi alcuni banchi sono posti all’esterno. Bisogna fare però attenzione a quello che si compera perché molti prodotti provengono da Cina, Indonesia o Filippine (evviva la globalizzazione…). Poiché ci hanno detto che l’assortimento e la qualità dei prodotti sono comunque i migliori di tutta la Polinesia decidiamo di fare subito shopping e scegliamo parei disegnati a mano in Polinesia e il famoso olio Monoi ottenuto dalla macerazione di fiori di tiare nell’olio di copra estratto dalla noce di cocco. Si dice che curi il corpo e l’anima perché in passato era un olio sacro usato in numerosi riti. Nel municipio, in stile vittoriano, in questo periodo è allestita una mostra del passato storico della Polinesia rispetto ai vari periodi bellici che hanno coinvolto questi luoghi sia durante la 1° che la 2° guerra mondiale. La cattedrale cattolica Notre-Dame al centro della città è la più vecchia chiesa cattolica della Polinesia. Un’originale statua in legno della Madonna col Bambino ci accoglie all’entrata e le vetrate colorate, raffiguranti dettagli di vita polinesiana, filtrano i raggi di sole con bei giochi di luce. Tappa d’obbligo è il Museo della Perla Robert Wan per scoprire tutti i segreti della coltivazione delle perle nere uniche al mondo, grande risorsa economica del Paese, vendute soprattutto in Asia e Usa. Le tecniche d’innesto sono estremamente delicate: si inserisce un granello di sabbia del Mississippi (è risultato il più compatibile) nell’ostrica che secernerà madreperla intorno al nucleo. Occorrono circa quattro anni per produrre una perla. È interessante la collezione sfarzosa di gioielli con i colori delle perle che sfumano dal pastello all’antracite passando dall’azzurro al verde. Sulla Promenade troviamo l’église Evangelique, che è la più grande chiesa protestante della Polinesia, culto maggiormente seguito in queste isole dove i missionari protestanti arrivarono prima di quelli cattolici. Per rilassarci entriamo nel fresco e lussureggiante Parco Bouganville, una vera oasi nel centro della città.
Lasciamo Papeete e proseguiamo sull’unica strada perimetrale dell’isola per scoprire un altro mondo: l’oceano blu intenso e le cime svettanti delle verdi montagne vulcaniche che si stagliano contro il cielo azzurro. Tahiti ha la forma curiosa a otto di due isole distinte unite dall’istmo Taravao: Tahiti Nui (Grande Tahiti) la più popolosa a nord e Tahiti Iti (Piccola Tahiti) la più tipica a sud. Percorriamo la highway procedendo con calma (il limite è 60 km/h), e ci fermiamo spesso nei punti panoramici per scattare foto. Arriviamo alla Pointe Venus sulla baia Matavai dove in un parco pubblico troneggia un imponente faro bianco. Un monumento ricorda i primi missionari protestanti che sbarcarono a Tahiti la prima volta proprio in questo punto. Poco prima di Tiarei dietro una curva l’acqua del mare rumoreggia impetuosa in una fessura nella roccia all’Arahoho Blowhole cioè il trou du souffleur (buco del soffiatore). Bisogna stare attenti perché quando il mare è forte altissimi getti d’acqua possono trascinare in mare le persone che si trovano sulla roccia. Qui vicino ci sono una serie di cascate e noi decidiamo di arrivare a quella di Faarumai (60 m di salto) in una ventina di minuti a piedi nella foresta lussureggiante. Attraversiamo la campagna sulla penisola di Tahiti Iti, saliamo verso l’altopiano di Taravao e raggiungiamo un punto panoramico da cui ammiriamo i due lati dell’istmo, le due baie e la forma imponente di Tahiti Nui, dominata dalla cima Orohena di circa 2200 metri che rievocano le leggende dell’isola. Centinaia di specie di piante ci regalano colori e profumi nuovi. Il mare ci parla e l’aria ci incanta. A Papeari visitiamo il Museo Gauguin, eccezionale omaggio alla vita e alle opere di Paul Gauguin. Il giardino è splendido e tre tiki, grandi statue sacre provenienti dall’isola Raivavae, troneggiano nella vegetazione. Sono giganteschi, alti oltre 2 m, e pesantissimi. Le leggende locali dicono che non amano essere spostati e infatti gli uomini che li portarono qui, morirono “misteriosamente” poco dopo il loro arrivo a Tahiti. Facciamo una breve tappa alla grotta Maraa, grande quanto un lago, dove due bimbe stanno facendo il bagno tra grida e sorrisi spumeggianti. Il ritmo è lento e incarna la filosofia di vita tipica polinesiana. Sembra che gli Dei si siano trasformati in montagne e dolci colline. Avevano visto bene gli illustri viaggiatori dei tempi antichi come Melville, Stevenson, Matisse e Gauguin che furono conquistati dalla semplicità e dalla calorosa accoglienza polinesiana! Tahiti evoca fiori tra i capelli e note di ukulele, ma è anche altro. Qui si può capire la cultura antica e orgogliosa dei polinesiani, la forte influenza francese e il fascino di questi luoghi. Purtroppo l’arrivo della “civiltà occidentale” ha intaccato il loro modo di vivere e oggi si trovano ad avere un traffico intenso con le conseguenze che noi tutti conosciamo. La sera ci concediamo la cena in una delle famose roulottes di place Vaiete, camioncini che preparano cibo gustoso a partire dalle ore 18. Questi piccoli chioschi friggono e grigliano bistecche e patatine, pizze e crepes, hamburger e pollo, a prezzi modici.
Moorea, lucertola gialla o montagna forata
Il giorno seguente siamo già in partenza per Moorea. Si racconta che fu una gigantesca lucertola gialla con la sua coda a creare le baie di Cook e di Opunohu. Un’altra leggenda narra che il guerriero Pai scagliò la sua lancia in battaglia contro il dio Hiro. Mancò il bersaglio e colpì la montagna dell’isola che da allora fu chiamata Mou’a Puta cioè “montagna forata”. Dopo 10 minuti di volo ci appare l’isola, separata da Tahiti dal “mare della luna”, come una farfalla verde adagiata sull’oceano blu intenso: un’immagine poetica della laguna turchese e delle scogliere smeraldo. Il nostro hotel è situato su una delle più belle spiagge dell’isola, vicino alla punta Hauru, e ci resteremo quattro giorni. La laguna è ricca di corallo e il nostro bungalow vista mare, immerso in una giardino rigoglioso, è grazioso e funzionale.
Il giorno dopo ci organizziamo per un tour dell’isola in auto. Moorea è un vulcano estinto e la vetta più alta supera i 1200 m. Due magnifiche baie, Cook e Opunohu, indicano i resti del cratere con scenografici picchi montuosi e vallate ricoperte di verde vellutato. Seguendo la strada costiera si arriva alla magnifica Baia d’Opunohu, dove furono girate le scene del film “Il Bounty” con Mel Gibson. La storia del famoso ammutinamento è stata resa in film diverse volte. Quella che ha fatto più scalpore però è stata la versione interpretata da Marlon Brando girata a Tahiti e Bora Bora, perché durante le riprese del film Brando incontrò la bellissima tahitiana Tarita che sposò qualche anno dopo. In seguito acquistò l’atollo di Tetiaroa, il suo paradiso privato, a una sessantina di km a nord di Tahiti. Finché visse Brando l’atollo aveva una piccola pensione spartana per i visitatori. Oggi l’isola è raggiungibile da Papeete con una gita giornaliera, ma purtroppo è in costruzione un lussuoso eco-resort che sarà pronto nel 2013.
Percorriamo una bella strada che si snoda nella foresta per raggiungere il Belvedere, terrazza naturale a 240 metri di altezza dalla quale ammirare il panorama mozzafiato sulla laguna, la Baia Opunohu e i monti sospesi all’orizzonte. Facciamo una gradita sosta alla Scuola di Agricoltura che produce ottime conserve e marmellate artigianali con frutti tropicali coltivati da loro e persino col fiore di tiare. Ci offrono anche un gustoso succo di ananas preparato al momento e abbiamo l’occasione di vedere la piantagione di ananas dove un paio di uomini stanno raccogliendo i frutti maturi che sono piccoli ma molto dolci. Ritorniamo sulla strada costiera e arriviamo alla spettacolare Baia di Cook dominata dal Monte Rotui. In questa valle troviamo gli affascinanti marae (templi tradizionali), alcuni dei quali sono tra i più importanti di tutta la Polinesia. Il complesso comprende marae familiari, comunitari, luoghi di culto, abitazioni e altre strutture. Risalgono al XIII sec. e sono i resti più visibili dell’antica cultura polinesiana. Nei modesti marae di famiglia si celebravano nascite, morti ed eventi privati mentre i marae più grandi erano i templi dei capi e venivano usati per le riunioni degli abitanti, per sacrifici umani e cerimonie religiose. C’erano poi i marae reali, dove i capi venivano a giurare fedeltà al re. Passeggiamo sul sentiero segnato, ma il senso di mistero e di scoperta che proviamo è enorme e accresce il fascino di questi tesori nascosti e soffocati dalla vegetazione. Sulla costa ci fermiamo per uno snack veloce a base di pesce e verdura in un locale tipico in riva all’oceano. Arriviamo ad Haapiti, il villaggio più grande della costa occidentale, famoso per l’imponente Eglise de la Sainte-Famille, chiesa cattolica con due campanili costruita con blocchi di corallo e di calcare. Le onde che si infrangono al largo di questo tratto di costa sono adatte agli appassionati di surf che in Polinesia affrontano importanti gare internazionali. Proseguiamo sulla strada costiera e, deviando in una strada sterrata, arriviamo alla spiaggia di Teavaro che, secondo noi, è la spiaggia più bella dell’isola: sabbia bianca, acqua turchese, la barriera corallina racchiude la laguna e l’oceano cobalto all’orizzonte fa da cornice. Da un punto panoramico ammiriamo la baia dove a destra si trova un resort lussuoso con bungalow che si allungano sull’acqua rendendo subito l'”effetto Polinesia”. Trascorriamo la giornata godendoci il mare in tutto il suo splendore.
La mattina seguente abbiamo prenotato un giro in barca. La laguna è stupenda, il cielo azzurro solcato da nuvolette bianche, la luce splendente si stende sul mare trasformando il blu in un colore indescrivibile. Abbiamo giocato con eleganti mante e squali innocui che si lasciano avvicinare dall’uomo senza problemi. Abbiamo ammirato il fondale di questo mare splendido e sotto di noi pesci di ogni dimensione e colore come se fossimo in un documentario Tv. Avvistiamo anche delle tartarughe timide che si nascondono ai nostri occhi e arriviamo al sito dove un artista locale ha gettato anni fa otto sue sculture Tiki a simboleggiare gli idoli polinesiani che i missionari al loro arrivo in queste isole buttarono in mare. Prenotiamo per il giorno dopo uno spettacolo per la sera al famoso Tiki Village che è la ricostruzione di un antico villaggio polinesiano, ma ancora abitato da abili artigiani che intrecciano foglie di palma per realizzare cesti, scolpiscono legno o tingono stoffe con colori vegetali. Le donne producono oggetti ornamentali con materiali naturali come conchiglie, perle, fiori. Compreso nel biglietto c’è la visita in mattinata del villaggio, della ricostruzione della casa di Gauguin, del vivaio di perle e la dimostrazione della tintura di un pareo. È vero che tutto è stato creato per i turisti, ma è comunque l’unica occasione di un tuffo nelle tradizioni maori di un tempo. Questo antico popolo misterioso ha colonizzato l’Oceano Pacifico diffondendo la propria cultura fino alle Hawai, Nuova Zelanda e Isola di Pasqua, ma non si conosce la sua provenienza. Ogni giorno al Tiki Village 60 artisti tengono spettacoli con musica e danze tipiche e su richiesta è possibile organizzare la tradizionale cerimonia nuziale polinesiana. Infatti proprio oggi assistiamo al matrimonio di una coppia di francesi, effettivamente molto singolare e romantica. Portano coroncine di fiori sui capelli, lui con pareo e camicia fiorata, lei in pareo bianco. Il cerimoniere è pomposamente adornato di piume di gallo colorate e in lingua maori dice la formula magica. Vengono fatti accomodare su un trono e portati a spalla sulla barca che li porterà su un bungalow sull’acqua per trascorrere la prima notte. Lo spettacolo serale si svolge al villaggio in un teatro all’aperto con musica, danze e leggende polinesiane: gli uomini ballano con forza e simulano battaglie antiche mentre le donne si muovono con grazia e sono molto sensuali. Impressionante la famosa danza del fuoco dove gli artisti si esibiscono nel buio totale impugnando torce infuocate e facendole abilmente roteare.
Huahine, la mistica
La mattina del giorno seguente lasciamo Moorea diretti a Huahine, selvaggia e con montagne misteriose ed eleganti. La leggenda narra che il dio Hiro con la sua piroga spaccò in due l’isola creando Huahine Nui (a nord) e Huahine Iti (a sud). Dall’aereo vediamo che emerge da una meravigliosa barriera corallina che forma una laguna con numerosi motu di sabbia bianchissima. Il nostro albergo situato in ottima posizione vicino al villaggio Fare è stato aperto nel 2011 su un sito archeologico “Lapita”. I bungalow sono originali, immersi nella vegetazione e si affacciano su un lago con pesci e fiori di loto. Di fronte alla spiaggia, sulla baia Haamene, sorge l’isola Raiatea, alta e imponente, e più a est l’isola Taha’a. Trascorriamo il pomeriggio girovagando intorno a questa baia naturale, immergendoci in queste acque deliziati da tanta bellezza.
Il mattino seguente iniziamo il nostro giro di perlustrazione dell’isola. Partiamo da Fare tranquillo villaggio, dove le donne portano vivaci coroncine di fiori sui capelli e tengono un pittoresco mercat0 di frutta, verdura e articoli artigianali. Passeggiamo in riva al mare e ci godiamo l’aria sonnacchiosa del posto. Incontriamo anche una signora che vende alcuni pesci appena pescati dal marito. La gente è molto serena, tutti si salutano per la strada e anche noi siamo privilegiati da questa abitudine. Arriviamo a Maeva dove ci sono una trentina di marae per gli appassionati di archeologia e si ipotizza che furono abitate da famiglie reali e aristocratiche. Alcune sono situate in riva al mare sulla strada che da Fare porta a Maeva, altre sulla collina Matairea. La suggestiva passeggiata tra le rovine prende due ore circa di puro divertimento. Il complesso è composto da case, terrazzamenti agricoli, altari e una piattaforma arroccata sulla collina dalla quale si gode uno stupendo panorama sulla laguna e sul Lac Fauna Nui. Queste vestigia archeologiche sono le più antiche ed estese della Polinesia ed evocano indubbiamente miti e leggende, come Tane il dio della guerra e della pesca venerato soltanto a Huahine. Questi siti archeologici si trovano in genere in posizione splendida, dopo brevi camminate nella vegetazione esotica si ha la sensazione di essere i primi a scoprirli dopo centinaia di anni. Chi erano gli antichi abitanti di queste isole e da dove venivano? Sicuramente non conosceremo mai i loro segreti ma la visita dei marae polinesiani ci regala comunque una forte emozione. Attraversiamo un ponte dal quale osserviamo numerose trappole per pesci risalenti a diversi secoli fa e alcune ancora in uso. Sono formate da pietre disposte a V con la punta rivolta all’oceano, altre hanno un corridoio che porta a una sezione circolare dove i pesci con la bassa marea entrano e restano intrappolati. Ritorniamo sulla strada costiera che corre verso la Baia de Faie con l’omonimo villaggio. Nel fiume vivono la famose grasse anguille dagli occhi azzurri considerate sacre dagli abitanti del villaggio. Seguiamo la strada sul pendio del Mont Turi e dal Belvedere ammiriamo il paesaggio che affaccia sul piccolo villaggio Maroe e sulla sua grande Baia nella zona di Haapu. Visitiamo una piantagione di vaniglia, una liana erbacea della famiglia delle orchidee. La coltivazione di questa pianta ha qualcosa di erotico. L’impollinazione si chiama mariage e si effettua a mano perché qui non vive l’ape addetta a questa operazione. Il contadino ci mostra la coltivazione di questa pianta che non è endemica di quest’isola ma è stata introdotta dalle Filippine verso il 1850. E’ una varietà molto fragrante e profumata. Arriviamo nella regione di Fitii, importante zona agricola dove si coltivano vaniglia, albero del pane, pompelmi e altri frutti. Attraversando il ponte che separa le due baie, Maroe e Bourayne, e collega Hauhine Nui a Huahine Iti arriviamo al villaggio Maroe sulla riva meridionale dell’omonima baia, in una zona ricca di ricordi del passaggio del dio Hiro che, secondo la leggenda, divise in due Hauhine. Una sosta è d’obbligo per godere della vista spettacolare di Huahine Nui, del monte Turi e a ovest dell’imponente silhouette montuosa creata dalla pagaia del dio Hiro. Su una roccia si possono scorgere, con molta fantasia, i segni lasciati dalla pagaia e l’impronta del suo dito. Proseguiamo seguendo la strada che costeggia diverse insenature sino al villaggio Tefarerii che evoca antichi splendori quando era residenza della famiglia reale dei Pomare. Sulla punta estrema di Huahine Iti troviamo il marae Anini costruito con blocchi di corallo consacrato al dio della guerra Oro che prevedeva sacrifici umani. Vicino a Parea decidiamo di fermarci su una splendida spiaggia di sabbia bianca affacciata su una laguna turchese incontaminata ideale per fare snorkeling. Verso sera passiamo dal villaggio Haapu e percorrendo il ponte si chiude il giro dell’isola.
Il giorno seguente abbiamo in programma una gita in barca al Passe de Avapeihi che da Fare si raggiunge in brevissimo tempo per l’immersione di mio marito E. sulla barriera corallina e di snorkeling per me. È stato interessante vedere tra l’altro il passaggio di squali grigi che si aggirano alla ricerca di prede trasportate dalla corrente. Abbiamo avvistato murene fare capolino dalle loro tane, una varietà di pesci di ogni forma e colore e giardini di coralli disseminati sul fondale sabbioso. È stata un’esperienza entusiasmante terminata con uno spuntino a base di pesce, riso e verdure. I racconti di E. relativi alla sua immersione sono particolarmente eccitati: è sceso sulla barriera esterna dell’atollo e ha visto banchi di barracuda e tonni, pesci pappagallo, farfalla e napoleone, tartarughe, razze e squali grigi. Malgrado la sua pluriennale esperienza mi dice di non aver mai visto tante creature marine concentrate nello stesso tratto di oceano.
Bora Bora, la perla della Polinesia
Il giorno seguente siamo in partenza per la celebre Bora Bora, isola “mito”. Il suo nome significa “prima nata” perché è stata la prima a sorgere dall’oceano dopo Raiatea, l’isola sacra. Già dall’aereo vediamo che si tratta di un vulcano che si specchia in una delle più belle lagune al mondo circondata da motu con lingue di sabbia bianchissima orlate di palme. L’acqua trasparente è una tavolozza di sfumature: si passa dal turchese all’indaco, dal verde allo zaffiro, colori che si fondono uno sull’altro come in un quadro impressionista. Dalla sua forma allungata svettano i monti Hue, Pahia e Otematu di 600-700 m. Il Passe di Teavanui a ovest è l’unico canale tra la laguna e l’oceano. L’arrivo a Bora Bora è decisamente suggestivo. L’aeroporto si trova sul motu Mute a nord della laguna, il trasferimento sull’isola viene effettuato da grandi catamarani (il prezzo è incluso in quello del biglietto aereo) diretti a Vaitape e che in pratica offrono uno splendido tour del versante occidentale dell’isola in una mezz’ora. Il nostro albergo si trova a sud sulla Punta Matira dove si trova la bella spiaggia omonima. La nostra camera con terrazza è immersa nella giungla lussureggiante. Di fronte si scorge l’isola di Taha’a e a est Raiatea. Trascorriamo il pomeriggio facendo bagni nella laguna più bella del mondo con colori così intensi che sembrano artificiali.
Il mattino seguente siamo pronti a esplorare l’isola. Una Range Rover guidata da Cyril ci passa a prendere per l’inizio del tour con altre sei persone. Dopo qualche km sulla strada costiera verso nord ci avverte di tenerci forti perché si sale sulla collina nella peggiore strada sterrata dell’isola fino a raggiungere una batteria di cannoni a difesa della costa della II guerra mondiale quando gli americani costruirono a Bora Bora una base. Da quassù il panorama è splendido e sembra incredibile che questo paradiso tropicale abbia vissuto giorni drammatici. 5000 soldati americani si insediarono sull’isola nel 1942. Costruirono una pista d’atterraggio di 2 km e otto cannoni di artiglieria furono installati in altrettanti punti strategici. Oggi alcuni di questi cannoni si trovano su terreni privati e quindi non accessibili ai turisti. Il nostro giro prevede una sosta in una piantagione tradizionale di frutta tropicale dove ci offrono papaia, mango, banane, cocco e pompelmi grossi e verdi ma molto più gustosi dei nostri. La moglie del contadino è un’artista e dipinge a mano parei usando tinte vegetali. Non sono i soliti soggetti ma sembrano tele di quadri. Concludiamo il pomeriggio in totale relax sulla spiaggia dell’albergo nuotando e facendo snorkeling perché i pesci tra i coralli sono numerosi. Per visitare la laguna di Bora Bora prenotiamo per il giorno successivo una piccola crociera. Il capitano e il mozzo sono molto simpatici e allegri (come la maggior parte dei polinesiani) e la giornata si preannuncia divertente. Siamo diretti al giardino dei coralli e al Passe Teavanui (l’unico canale tra la laguna e l’oceano a Bora Bora) per vedere squali e mante. Questa laguna idilliaca è molto vasta. Se una critica si deve fare è che la laguna è molto congestionata da catamarani e imbarcazioni piccole e grandi ai quali si aggiunge un servizio di navetta che assicura i collegamenti da ogni albergo ai motu per portare gli ospiti sull’isola-madre. Inoltre, davanti ai motu privati sorgono i famosi bungalow sull’acqua sicuramente incantevoli per chi vi soggiorna ma di forte impatto visivo per chi transita in laguna. Per fortuna ci sono i motu disabitati che fanno vedere l’isola da una prospettiva diversa. Appena superato il Passe Teavanui gettano l’ancora e si scende in acqua a vedere squali grigi innocui e squali limone. Un gruppo di mante ci nuotano accanto con leggiadria venendoci letteralmente addosso appena battiamo le mani sul pelo dell’acqua. Gli squali ci girano intorno a una certa distanza, quelli limone più grossi restano sul fondo. Dopo questa emozione attraversiamo la laguna e andiamo al giardino di coralli davanti a due piccoli motu. Ci tuffiamo in acqua con maschere e boccaglio per entrare in un mondo ricco di colori: coralli blu, gialli e rosa, tridacne pervinca e pesci multicolori che noi cerchiamo di non disturbare. Poi scendiamo su una piccola striscia di sabbia setosa con palme che fanno da cornice e ci sentiamo immersi in una natura ancora selvaggia. Ci sentiamo un po’ Robinson Crosue anche noi!
Ci rilassiamo tutto il giorno facendo snorkeling in mezzo ai pesci: l’acqua è cristallina e deliziosamente tiepida. Gustiamo un pranzo semplice a base di pesce alla griglia, riso e frutta fresca. Questa escursione è stata un’esperienza memorabile e, secondo noi, una vacanza a Bora Bora non può dirsi completa senza la gita in barca in laguna. Il mare di cristallo, camminare sulla spiaggia è come passeggiare sulle nuvole, difficile non farsi stregare da un luogo così. Avendo già fatto il giro dell’isola durante il safari decidiamo di prendere il bus e passare qualche ora a Vaitape, il centro principale di Bora Bora. Di fronte al pontile sorge lo splendido motu Tapu dove fu girato il film “Taboo”. Ci sono negozi, due piccoli supermercati, una farmacia, la posta, alcune banche e una grande chiesa. Qui di giorno c’è un notevole viavai e ci si può fare un’idea di come vive la gente del posto. Trascorriamo il resto della giornata sulla spiaggia tranquillamente per assaporare al meglio la filosofia di vivere tipica polinesiana che abbiamo imparato a conoscere. I Maori sono generalmente molto aperti verso il nuovo e hanno grande curiosità, disponibilità e ospitalità verso gli altri. Sono sempre sorridenti e conoscono l’arte di essere felici. Sono molto legati alla loro terra “Fenua” che rappresenta sia l’isola dove sono nati che gli uomini che la abitano perché il legame è indissolubile. Nella loro tradizione “l’uomo appartiene alla terra e non il contrario!” La sera ci concediamo la cena in un ristorante che ci hanno consigliato. La bella terrazza si affaccia sulla spiaggia e l’atmosfera è decisamente romantica. Gustiamo pesce spada e gamberi mentre uno spettacolare tramonto accende il mare d’argento.
Rangiroa, cielo senza fine
Non possiamo lasciare la Polinesia senza una tappa alle Tuamotu, isole coralline situate a ovest delle isole della Società. Abbiamo scelto Rangiroa, in polinesiano “cielo senza fine”, che è uno degli atolli più grandi al mondo e circondato da una miriade di motu in laguna separati da un centinaio di ho’a (piccoli canali). Dall’aereo si profila all’orizzonte la sagoma allungata dell’isola e la cintura di isolotti corallini che galleggiano su una laguna abbagliante in tante sfumature di blu. Il nostro albergo sorge su una lunga striscia di isole tra i due Passe Avatoru e Tiputa. Prendiamo possesso del nostro confortevole bungalow che si affaccia su una piccola lingua di sabbia. Lasciamo i bagagli e andiamo subito alla scoperta dell’isola. Ci fermeremo in questo luogo incantato gli ultimi quattro giorni di vacanza in Polinesia all’insegna della natura e del relax seguendo i ritmi quotidiani degli abitanti dediti alla coltivazione delle perle nere. Visitiamo Avatoru che è il villaggio principale di fronte al quale sorge il piccolo motu Fara. È un paesino tranquillo con posta, banche e supermercati di generi alimentari. Ci sono anche una chiesa cattolica e una mormone. Costeggiamo la laguna quando abbiamo la fortuna di ammirare alcuni delfini che danzano tra le onde nella corrente del Passe. Proseguiamo sino al villaggio Tiputa che si trova dalla parte opposta al termine di una strada asfaltata di 12 km. Saliamo sul piccolo traghetto che ogni mezz’ora attraversa il canale nella laguna. Il paesino è piccolo e anche qui troviamo due chiese, una cattolica e l’altra mormone. Oltre il villaggio la strada sterrata prosegue attraverso piantagioni di cocco sino al successivo ho’a. Queste isole sono abitate dai paumotu, una popolazione orgogliosa di pescatori e navigatori. La terra corallina è difficile da coltivare, il vento soffia aria salmastra e l’unica acqua potabile è quella piovana. La vita su questi atolli è allo stesso tempo dura e paradisiaca. Un rinomato enologo francese ha impiantato un vigneto su un motu a 10 minuti da Avatoru sfidando la natura. Produce vini che servono nei principali ristoranti di Rangiroa e la cui caratteristica principale è un certo aroma minerale dovuto al suolo corallino e il prezzo alto. In questo nostro primo giro dell’isola abbiamo potuto notare che lo snorkeling e le immersioni sono l’attività fantastica per esplorare questa enorme laguna che il vento increspa. La leggenda narra che l’isola sia stata lacerata dai due gemelli Moana Tea, l’oceano calmo, e Moana Uri, l’oceano agitato.
La mattina seguente partiamo per la nostra prima esplorazione marina in questa laguna e subito siamo immersi in un vero e proprio acquario naturale: nuvole di pesci napoleone, pesci chirurgo, mante, che scivolano silenziose e tonni giganti. La grande quantità di fauna all’interno della laguna è dovuta alle correnti che attraversano i due canali (Passe). Dopo questo “assaggio” di mare, mio marito E. decide di fare un’immersione subacquea il giorno seguente mentre io mi rilasserò sulla spiaggia. Monsieur Cousteau ha definito questo sito tra i più belli e ricchi del mondo e siamo d’accordo con lui. Al suo rientro E. mi racconta entusiasta la sua esperienza. Strapiombi sottomarini si inabissano a picco nella profondità dell’oceano e in particolare imperdibile è la celebre fossa degli squali. È rimasto meravigliato dalla varietà di fauna e flora sottomarina e alcuni angoli sono spettacolari per le numerose grotte che si incontrano lungo la barriera. Mio marito ha fatto strepitosi incontri subacquei e gli occhi gli brillano di gioia al ricordo.
Il mattino dopo usciamo per una gita in mare diretti all’isola dei coralli a un’ora di navigazione. Siamo un gruppetto di nove persone di varie nazionalità e tre polinesiani di equipaggio. Intorno la luce è scintillante e un incredibile gioco di colori che virano dal grigio-verde al turchese-blu fa da contorno. Il mare in laguna è abbastanza mosso, ma il nostro capitano è abile a tagliare le onde in modo che nessuno a bordo abbia problemi di mal di mare. Il capitano àncora la barca e noi attraversiamo l’acqua bassa portando il necessario per scendere su un pittoresco motu disabitato. Le palme da cocco decorano la spiaggia e le nostre due guide ci conducono a fare una passeggiata. Poco dopo si fermano sotto una palma, uno dei due si arrampica agilmente a piedi nudi sul tronco per raggiungere la cima e con un machete e grande abilità fa cadere grosse noci a terra. Tutti noi assaggiamo il latte delle noci verdi e mangiamo la polpa fresca. Poi il gruppetto prosegue il cammino alla ricerca di noci mature e il nostro Tarzan ci insegna come spaccarle su un bastone appuntito conficcato nel terreno. Spicchi di cocco a volontà adagiati su un vassoio di foglie di palma per tutti. Nel frattempo raggiungiamo il capitano che sta preparando una grigliata di pollo e pesce, riso e dolce per tutti noi. Prima di pranzo andiamo a fare snorkeling in un fondale ricco di coralli, una miriade di pesci e piccoli squali grigi che nuotano tranquilli a riva ed è un vero spettacolo poterli ammirare dalla spiaggia. Non crescono oltre un metro ed entrano in laguna dalla Passe. Dopo il pranzo i nostri accompagnatori improvvisano canti polinesiani strimpellando ukulele e chitarra. Siamo tutti molto allegri ed apprezziamo molto la serenità di questi ragazzi che si divertono lavorando. Poi le nostre guide insegnano a qualcuno di noi come fare cappelli e borse con foglie di palma fresche, mentre altri tornano in acqua a fare snorkeling perché è difficile lasciare questo mare meraviglioso. A piedi arriviamo in un punto sulla barriera dove la formazione di coralli erosi dal vento sono trasformati in strane sagome pietrificate. Questi affioramenti formano canali e bacini che sembrano straordinarie piscine naturali, mentre le onde si infrangono rumorose e spumeggianti oltre la barriera. Ci aggiriamo in questo luogo particolare come su un altro pianeta. Verso le h 16 ripartiamo per far ritorno sull’isola di Rangiroa. Sul Passe di Tiputa vicino al motu Nuhi ci fermiamo all’acquarium: prendiamo maschera e boccaglio e siamo di nuovo in acqua per scoprire il fondale. Branchi di pesci persico, una grossa murena verde fa capolino da una tana, molti pesci argentati guizzano veloci e delfini saltano sulle onde gioiosi. Sono gli ultimi giorni di permanenza in Polinesia e ci godiamo l’atmosfera fuori del tempo di Rangiroa dove effettivamente la vita scorre dolcemente dall’alba al tramonto in una successione di gesti e tradizioni ancestrali in armonia con la natura primordiale e seducente. La magia del mare qui è ancora una favola: spiagge candide e lagune blu, palme che abbracciano l’acqua, silenzio assordante, e solitudine dorata. I panorami che si aprono davanti ai nostri occhi rimarranno impressi per sempre nella nostra memoria. Chiacchierando col simpatico e tatuato capitano ho appreso cosa significa il tatuaggio per i polinesiani. È un’arte e sembra che abbia un’origine divina creata da due figli del dio Ta’aroa (la più importante divinità tahitiana), Mate Mate Arahu e Tu Rai Po che divennero così gli Dei del tatuaggio. A 14 anni i ragazzi polinesiani venivano tatuati come rito di iniziazione perché significava diventare uomini, le donne invece si tatuavano per abbellire la figura. I disegni tribali più diffusi erano di forme geometriche oppure figurative. Oggi, ci racconta il nostro amico Ray, il tatuaggio è diventato uno dei mezzi più espressivi con cui manifestare la loro cultura polinesiana.
Girovagando nelle isole della Polinesia ho capito che non è per niente vero che “vista un’isola, le altre sono uguali”. Niente di più falso. Il paesaggio è incredibilmente vario: montagne scoscese nelle Isole della Società, atolli di sabbia immacolata nelle Tuamotu, vallate misteriose e cascate in mezzo a una vegetazione ovunque lussureggiante ricca di fiori di ibisco, orchidee, gelsomini e gardenie profumatissime. La sensazione che abbiamo è di essere atterrati in un mondo di fantasia e incantesimi, immersi in un caleidoscopio di colori e profumi. Indescrivibile la scia degli aromi che ci ha avvolto come un grande mantello durante tutto il nostro viaggio in queste isole: vaniglia e limone, cannella e cocco, ananas e mango, frangipani e gelsomino. Questi fiori sono usati anche come messaggio: le donne polinesiane portano il tiare all’orecchio sinistro se sono sposate e a destra se sono single. Il famoso olio Manoi è fatto con olio di copra (polpa di cocco essiccata) e petali di tiare ed è un eccezionale prodotto cosmetico. Narra la leggenda che le isole della Polinesia furono create dal dio Maui un giorno mentre pescava coi fratelli. Pescò così a lungo che i fratelli si addormentarono. Iniziò a cantare e all’improvviso sentì uno strattone alla lenza troppo forte per essere un pesce. Svegliò i fratelli e insieme, dopo una lotta accanita, riuscirono a pescare quello che credevano fosse un grande pesce. Ma era un’isola! Gli altri pesci che erano rimasti impigliati riuscirono a liberarsi e a scappare in mare. Da quel giorno ebbero origine le isole della Polinesia, in lingua locale “Moana Nui”.
Questo viaggio ha rappresentato per noi un’esperienza irripetibile che ci lascia la certezza di aver visitato un luogo mitico, ai confini del mondo dove nasce la leggenda di un mare insuperabile, cieli nitidi, colori di smalto e natura rigogliosa. Ci sono esperienze nella vita che vale la pena di affrontare. L’emozione di un viaggio nelle isole polinesiane è una di quelle. Una meta lontana che rimarrà nel nostro cuore per sempre.