Polinesia con zaino in spalla

POLINESIA FRANCESE 20 giugno- 5 luglio 2003Dopo ventiquattro ore quasi ininterrotte di volo ti aspetteresti di scendere dall’aereo, baciare la terra e collassare immediatamente dopo sotto la scaletta. Invece noi eravamo freschi come delle rose, felici di essere a Tahiti, inebriati dal profumo dei fiori di Tiarè che i rappresentanti dei...
Scritto da: Simona Portaluppi
polinesia con zaino in spalla
Partenza il: 20/07/2003
Ritorno il: 04/08/2003
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 3500 €
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POLINESIA FRANCESE 20 giugno- 5 luglio 2003

Dopo ventiquattro ore quasi ininterrotte di volo ti aspetteresti di scendere dall’aereo, baciare la terra e collassare immediatamente dopo sotto la scaletta. Invece noi eravamo freschi come delle rose, felici di essere a Tahiti, inebriati dal profumo dei fiori di Tiarè che i rappresentanti dei tour operator in loco donavano sotto forma di collane alle coppie in luna di miele prima di condurle ai loro splendidi hotel da sogno.

Noi passiamo inosservati, coi nostri zaini in spalla evidentemente non sembriamo appartenere al genere “all inclusive” e ci dirigiamo verso la strada. Per essere le quattro del mattino c’è già parecchia gente in giro, una signora sulla porta di casa ci indica la fermata dell’autobus, meglio chiamato truck, non prima di averci raccontato che sua madre è greca, suo padre cinese e di aver lavorato a lungo in aeroporto. Almeno questo è quanto riusciamo a capire, ahimè siamo delle schiappe in francese, cosa piuttosto imbarazzante considerando il fatto di trovarci in Polinesia francese e soprattutto, ma questo lo scopriremo poi, che praticamente nessuno parla inglese.

C’è il tipico fermento della città che rinasce all’alba, i baretti che aprono, chi si reca al lavoro, al porto conosciamo due ragazzi, uno americano e uno inglese, arrivano da Rarotonga, nelle isole Cook, entrambi stanno in giro da circa un anno, beati loro dico, aspettiamo insieme le 6.30, ora di partenza del traghetto per Moorea.

Un’ora dopo siamo sulla nostra prima isola, prendiamo l’autobus e scendiamo ad Haapiti, al camping Nelson, suggeritoci dai nostri amici anglo americani, carino, pulito, se non hai la tenda ti puoi sistemare in un dormitorio, mentre la stanza doppia ci costa 3800 xpf a notte.

La spiaggia è a pochi metri e finalmente davanti a noi si presenta l’acqua più bella che abbia mai visto, cristallina, con mille sfumature dall’azzurro al verdino, calma, popolata di pesciolini colorati e noi, senza troppe remore ci buttiamo. La spiaggia è corallina, perciò è un po’ doloroso camminarci sopra, intorno ci sono solo palme, ci stendiamo a ci godiamo un meritato riposo fino alle 14 circa, quando un bell’acquazzone ci ricorda che siamo in mezzo all’oceano pacifico, ove le nuvole transitano spesso e volentieri, Gianni si era addormentato e solo quando le gocce si fanno pressanti si rende conto di dove si trova e si alza pigramente, arrivati in stanza ci spalmiamo sul letto ad aspettare che la pioggia termini. Ci svegliamo pronti per correre di nuovo fuori a goderci il sole ma dalla finestra ci sembra buio pesto, in effetti è mezzanotte, ossia, per il nostro orologio biologico è mezzogiorno, tra l’altro ho una gran fame ma non c’e’ molto da fare, così ci rimettiamo a letto e ci riaddormentiamo, evidentemente dobbiamo ancora assorbire il jet lag.

Finalmente alle sette apre il bar, una bella colazione a base di omelette prosciutto e formaggio, poi decidiamo di farci un giro dell’isola, anche perché le nuvolette del giorno prima hanno deciso di sostare sopra di noi, affittiamo lo scooter per otto ore a 5000xpf, andiamo a vedere la celebre baia di Cook, dove tanti anni fa ha approdato il grande esploratore inglese, non possiamo salire al Belvedere perché la strada è solamente percorribile in 4×4, ma non importa, non vedremmo niente in ogni caso in mezzo alle nuvole. La vegetazione è incredibile, fiori splendidi crescono come fossero da noi papaveri o violette, ammiriamo le Bouganville, l’albero del pane e tante altre meraviglie della natura sconosciute ad una ignorantona in botanica come me. Tutti gli abitanti locali che incontriamo ci salutano, è un continuo susseguirsi di bonjour, mica ci sono abituata, a volte mi scordo, ci fermiamo a scattare foto ad ogni laguna o scorcio romantico, la cosa più incredibile sono le montagne nell’entroterra, alte e appuntite come pinnacoli, coperte di verde lussureggiante, non scordiamo che una volta erano vulcani ed è per merito loro che sono nate queste isole. Ci fermiamo in una spiaggia accanto al Sofitel Ia Ora, spettacolare, si vedono gli agglomerati corallini senza nemmeno entrare in acqua, certo che questo hotel cinque stelle si è scelto proprio la parte migliore di tutta Moorea per montare le sue super lussuose palafitte! La giornata passa velocemente, alle 18 cala il buio, torniamo in stanza per un riposino prima di cena, è molto dura resistere alla tentazione del sonno ma alla fine vince la fame, pollo al curry e latte di cocco con riso e patatine fritte, il primo pasto serio dopo giorni, delizioso.

La mattina seguente ci sveglia un sole abbagliante, solito bar, frullato al cocco e spiaggia. Dovete sapere che il frullato di cocco non è molto usuale in queste isole, ossia potrete trovare palme da cocco ovunque, vedere cocchi appesi e cocchi che vi cadono a pochi centimetri dal cranio, ma non ne troverete mai nei supermercati e il massimo che potrete ottenere sarà di bere il succo di un cocchetto non maturo in qualche bancarella del mercato. Ma se riuscite a raccoglierne uno maturo e sapete usare il macete, allora potrete farne una scorpacciata.

Il camping è popolato da un folto gruppo di adolescenti francesi in vacanza, probabilmente figli di europei che vivono e lavorano a Papeete, hanno un grosso stereo che spara musica hip hop a profusione, ballano e flirtano tra loro, avrei preferito un po’ più di tranquillità, ma ci sarà tempo. A mezzogiorno ci tocca levare le tende e andare al porto per tornare a Papeete, il progetto è di imbarcarci sul mercantile che ogni lunedì si reca a Bora Bora, si presenta però un piccolo intoppo: io mi sento male. Ho preso freddo alla gola andando in scooter, e come sempre mi accade mi sono beccata la solita laringo-faringite accompagnata da febbre alta, sul traghetto ho i brividi di freddo, ma ci sono più di 30 gradi! Mezz’ora di camminata con lo zaino in spalla per trovare l’attracco del cargo mi debilitano ma non demordo, l’orgoglio non mi permetterebbe mai di cedere, tuttavia, quando ci viene annunciato che la nave è piena provo un certo sollievo, una notte sul ponte a guardare le stelle sarebbe stata certo romantica, ma con febbre, brividi, nausea e chissà che altro avrebbe perso un po’ di fascino. Mi trascino fino al centro città, lo stomaco sottosopra, non sappiamo dove andare a dormire, il caso vuole che, mentre solitamente ci portiamo sempre l’immancabile lonely planet questa volta abbiamo deciso di andare allo sbaraglio, niente guide! Viva l’avventura! Due ragazze francesi ci danno una mano, biascicando un po’ d’inglese ci indicano un ostello chiamato Te Amo, nome promettente, 5000xpf la doppia, stanze un po’ logore ma quanto meno con un tetto sulla testa, collasso nel letto alle 18, mentre rimugino sul fatto che prima di compiere trent’anni non avevo tutti questi acciacchi, mentre ora mi sento una derelitta…..Ma proprio in paradiso mi deve succedere, dico io????? La mattina seguente ci arrendiamo all’evidenza: dobbiamo acquistare il pass aereo della Air Tahiti, così ci rechiamo nei loro uffici e paghiamo i nostri 400 euro a testa, poi andiamo in banca a recuperare un po’ di contanti. Importantissimo! Se volete prelevare ai bancomat dovete usare la carta di credito e sperare di ricordarvi il codice, l’unico circuito Cirrus a funzionare è quello francese, se siete fortunati come noi da non ricordare neanche una cifra del codicillo vi ritroverete in fila in qualche banca con VISA e passaporto in mano.

Poche ore dopo siamo a Huahine, la mia salute è ancora cagionevole, me la sto cavando bene però. Mi riprometto che se riuscirò a sconfiggere questo male senza antibiotici e aspirine ma soltanto con lo spray e le pastiglie che mi ha dato una farmacista sospettosa di aver dinnanzi un caso di SARS mi merito in premio una bella perla nera.

Che dire di Huahine, l’isola selvaggia e incontaminata, solamente sfiorata dal turismo, quindi la mia preferita. Non avevamo la più vaga idea di dove andare a dormire, o meglio, mi ero stampata un po’ di pensioni e camping da internet, ma prima di avere il tempo di guardarli alcune signore in attesa dei nuovi arrivati ci chiedono quanto vogliamo spendere, vista la nostra risposta Cecile ci porta a Parea, al camping Ariiura. E’ suo e della sua famiglia, ci chiedono 4900xpf a notte, ne blocchiamo tre, il bungalow è di fronte al mare, in stile locale, vale a dire con la sabbia al posto del pavimento, la doccia e’ fredda e all’aperto, in comune con tutti gli altri ospiti del campeggio, idem il bagno. Ci troviamo subito a nostro agio, Cecile parla inglese così come suo padre e suo fratello Wilfred, un gran pezzo di macho polinesiano. A questo punto occorre una riflessione: ho visto uomini veramente degni di nota, con fisici scultorei e lunghi capelli neri mentre le donne, a parte quelle giovani e snelle, superata l’adolescenza tendono ad allargarsi un po’, vuoi che sia la conformazione delle ossa o il metabolismo, o l’alimentazione. Devo ammettere di aver provato un guizzo di piacere nel notare questo particolare, insomma, le maniglie dell’amore, la pancetta e i fianchi un po’ larghi da quelle parti non sono un difetto, anzi, pare siano particolarmente apprezzati, hurrà! Mangiamo pollo arrosto e patatine allo snack accanto, cerchiamo di far conversazione con i francesi ospiti del camping ma senza grandi risultati, passeggiamo in lungo e in largo per la spiaggia. Certamente siamo dalla parte del torto non parlando la loro lingua, ma un minimo sforzo per venirci in contro potrebbero pur farlo! Due di loro sono accampati qui da sei mesi, ormai sono parte della famiglia e hanno assunto lo stesso aspetto trasandato e selvaggio di Tom Hanks in Castaway. Vorremmo cucinare qualcosa per la sera ma non ci sono supermercati così trascorriamo la serata al bordo della strada aspettando l’arrivo di un cinese che con il suo furgoncino provvede al sostentamento di tutti questi posti isolati con scatolette, riso, tabacco e poco più. Pazzesco.

Il giorno seguente siamo ricoperti di macchie rosse e ci grattiamo come dei cani con le pulci, i nonò hanno fatto la loro comparsa e non hanno risparmiato certo Gianni, è decisamente ridotto peggio di me. Non sono allarmata in quanto la stessa cosa mi era successa qualche anno fa in Australia, sulla barriera corallina, solo che i colpevoli si chiamavano sandflies ed io, non sapendo di che cosa si trattasse pensavo di essermi presa una terribile malattia! I maledetti stanno nella sabbia e nelle prime ore del mattino e nel tardo pomeriggio attaccano senza che tu te ne accorga, ci spiegano che il solo modo per difendersi sia spalmarsi di olio di monoi con citronella. Ora, il monoi e’ olio di cocco nel quale vengono fatti macerare i fiori di Tiarè e i polinesiani ci fanno di tutto, saponi, creme, shampoo, ha un profumo gradevole, mischiato alla citronella è fortissimo! La seconda sera riusciamo a conversare un po’ di più, grazie ai ragazzi del loco che non appena Gianni si allontana un attimo colgono l’occasione per conoscermi meglio, ma guarda te, anche qui le bionde hanno un certo fascino! La mattina seguente prendiamo il truck per la città di Fare, colazione e spesa al Magazin, i prezzi degli alimentari sono piuttosto alti, solamente pasta, riso e prodotti locali sono economici, troviamo il nostro anti zanzare e attendiamo pazientemente l’autista per il ritorno. Passiamo il pomeriggio a rosolarci sul porticciolo del Relais Mahana, lì pare ci siano meno zanzare, saranno pagate per lasciare in pace gli ospiti più abbienti dell’hotel. A cena una bella insalata di tonno e riso, finalmente mi sento meglio, niente brividi e solo un leggero bruciore alla gola, abbronzatura in progresso, amici polinesiani, insomma, sono veramente felice e rilassata.

C’è una stellata fantastica, passiamo la serata a chiacchierare con un ragazzo francese a spasso con il padre, in procinto di partire per il Madagascar a insegnare matematica, rifletto su quante persone e vite interessanti si conoscano solo viaggiando. Gli altri sono andati al largo a pescare, la mattina seguente li troviamo a pulire il pesce e buttarne le interiora nel mare, in pasto alle murene, peccato dover partire e perdersi la grigliata per cena.

Mi dispiace molto partire, mi ero affezionata a questo luogo e ai suoi abitanti, ma il tempo è crudele e corre veloce, così eccoci di nuovo in volo per la meta più celebre, Bora Bora. L’Aeroporto si trova su una motu, ossia un piccolo atollo, ci sono navi attraccate per condurci all’isola passando attraverso la laguna, mi sembra di trovarmi in un catalogo di viaggi di nozze, lo spettacolo intorno è mozzafiato, i colori del mare, i motu di sabbia e palme, è proprio come te lo immagini, l’Eden, il paradiso terrestre. Per fortuna faccio qualche foto perché due ore dopo arrivano le nuvole e la pioggia, non rivedrò più il sole a Bora Bora.

Alloggiamo a Pointe Matira, alla Pension Maeva, gestita da Rosine Masson, moglie di un pittore piuttosto celebre sull’isola, le pareti della casa sono coperte dai suoi quadri, che ritraggono la sua donna in diverse pose e paesaggi colorati. La cucina è pulitissima e ben attrezzata, c’è una veranda di fronte al mare e un salotto comune, la camera doppia ci costa 6500xpf a notte.

Mi sento un po’ disorientata in quanto c’è parecchio traffico in strada e ristoranti, hotel, negozi, boutique di perle nere, supermercati, oltretutto sento parlare americano e italiano, questo mi da la conferma di essere giunta nell’isola polinesiana più sfruttata dal turismo invasivo mondiale. Ero abituata ad una certa tranquillità, oltretutto il tempo è brutto e certo non mi aiuta ad apprezzare il paesaggio. Devo però ammettere che la vegetazione è rigogliosa, le montagne scendono a picco nel mare, ragione per cui non ci sono grandi spiagge, devi andare all’esterno sui motu per goderti la sabbia bianca e vedere il meglio della barriera corallina e della fauna di mare, cosa che purtroppo, per il mal tempo, non abbiamo potuto fare. I polinesiani di Huahine ci avevano parlato di Bora Bora in modo poco entusiastico, sostenendo che la sua fama deriva esclusivamente dal fatto che gli americani vi avevano costruito il primo aeroporto, elogiando invece altre isole pressoché sconosciute e incontaminate. Purtroppo non sono in grado di esprimere un giudizio obbiettivo, è proprio vero che anche quando ti trovi nel posto più bello del mondo, il maltempo ti fa vedere tutto con occhi diversi, velati di malinconia e delusione.

Nel pomeriggio, tra un acquazzone e l’altro facciamo un po’ di snorkelling, i fondali sono ricchi di coralli e di pesciolini colorati, verso sera vediamo una razza venire verso riva, è così armoniosa, sembra danzare. Per cena ci cuciniamo mezzo chilo di spaghetti con il sugo di pesto alla siciliana della Buitoni trovati in un minimarket, eravamo affamati! Il secondo giorno camminiamo un po’ intorno all’isola, cerchiamo di carpire qualche raggio di sole e nella nostra pensione facciamo la conoscenza di una coppia di francesi in viaggio di nozze, lui parla un buon inglese, ci racconta di aver trascorso dieci giorni in Hotel lussuosi, poi, a corto di soldi hanno deciso di optare per una sistemazione più economica per prolungare il soggiorno. Un altro ragazzo francese si è preso invece un anno sabbatico, ha messo da parte un po’ di soldi lavorando a Parigi come cameriere ed ora sta girando il mondo, dopo la Polinesia andrà in Asia, passando per la Nuova Zelanda, poi, al suo rientro tornerà a lavorare, far soldi con le mance e magari ripartire. Provo una invidia indescrivibile ogni volta che incontro gente con racconti di questo tipo, perché non trovo anch’io il coraggio di mollare tutto e partire? La famiglia apprensiva, la paura di perdere un lavoro “sicuro” che ormai non esiste più? La pigrizia? Lasciamo i discorsi psicologici e torniamo a Bora Bora, la sera nella città del porto c’è un festival con danze e canti locali, ci andiamo con i francesi dividendo il costo di un taxi, 300xpf a testa, ma la fortuna non è dalla nostra parte e la manifestazione viene annullata per la forte pioggia, e te pareva! Rientriamo sempre in taxi, ma ci chiedono 600 xpf questa volta, è tariffa notturna. La cosa interessante è che la tariffa notturna per taxisti e truck inizia nel momento in cui fa buio, perciò oscilla da isola a isola, a seconda che sia più a nord o a sud, tra le 17.30 e le 18.30.

Rientrati nella nostra casetta bagnati fradici accettiamo l’invito della coppia francese ad unirci a loro e ubriacarci di rhum e succo di mango, passiamo una bella serata e alle undici suonate decidiamo di andarcene a letto, è la prima sera che facciamo così tardi, mi sembra notte fonda.

Il giorno seguente abbandoniamo l’arcipelago della Società e ci dirigiamo alle isole Tuamotu, Rangiroa dista più di un’ora di volo da Bora Bora, perciò preghiamo di lasciarci alle spalle il maltempo e veniamo miracolosamente esauditi. Dall’aereo vediamo gli atolli sotto di noi, sono così diversi! Le isole dell’altro arcipelago erano formate da una o più montagne vulcaniche centrali, verdissime, circondate dal mare e poi, più al largo dai motu, queste invece sono dei veri e propri anelli, il vulcano è imploso sprofondando nell’oceano, lasciando solamente il contorno di atolli, all’interno del cerchio c’è la laguna con la barriera corallina, all’esterno l’oceano.

All’arrivo veniamo accolti da una musica soave, è l’ukulele, una sorta di piccola chitarra che emette un suono che non si può non associare ai movimenti flessuosi delle danzatrici polinesiane, e al loro canto, mi piace già quest’isola! Non abbiamo prenotato ma una signora, probabilmente intenerita dalla nostra aria spaesata ci si avvicina e ci chiede dove vogliamo andare, abbiamo il nominativo di due guesthaus che offrono mezza pensione a prezzi ragionevoli, lei si offre di accompagnarci con la sua auto. Durante il tragitto cerchiamo di praticare il nostro italo francesismo, veniamo a sapere che lei pure possiede una pensione con il marito, però ci tiene a precisare che offre solo pernottamento, il prezzo è buono, 5400xpf la camera, le chiediamo di vedere il posto, ci piace, c’è anche una cucina comune e addirittura il bagno in camera! Si chiama Rangiroa Lodge, è pulito e solo una striscia di spiaggia corallina lo separa dal mare, dopo aver conosciuto il marito cinese ed essere rimasti colpiti dagli occhiali enormi che indossa decidiamo che è il posto che fa per noi.

Lo stesso pomeriggio andiamo a fare un tour in barca, ci vengono a prelevare con un furgone e ci portano ad un attracco, due bimbe spettacolarmente graziose e scatenate vengono con noi, sono le figlie della nostra guida, preleviamo un’altra coppia di italiani, poverina, lei ha una fasciatura al ginocchio, si è ferita cadendo su un corallo, cercando di salvare la videocamera e il casco di banane che aveva in mano.

Ci fermiamo in un punto dove il ragazzo che ci accompagna si butta in acqua con del pane e viene subito circondato da una moltitudine di pesci di ogni foggia e colore, il fondo della barca è trasparente così potremmo goderci lo spettacolo senza andare in acqua, ma non se ne parla proprio, noi ci vogliamo tuffare. Cambio idea nel preciso momento in cui vedo cinque squali avvicinarsi attirati da un pesce che il nostro polinesiano ha appena infilzato, ok, dicono che i pinna nera sono innocui, ma glielo ricordi tu a loro? Gianni si tuffa per primo, lasciando tutti gli altri partecipanti a bocca aperta, del resto quando gli ricapita di nuotare con questi mangiauomini? Poi vedo anche le bimbe sguazzare tranquillamente in acqua al che non resisto all’umiliazione e mi butto a mia volta. Gli squali si trovano a circa 4 metri sotto di me, fanno a gara per mangiarsi il pesce che ha con sé il ragazzo, che coraggio, lui sta in mezzo a loro, li tocca, li prende sotto alla pinna e li trascina a galla, tra l’altro ha solo maschera e boccaglio, ma rimane in apnea per un sacco di tempo prima di prendere fiato, è un mito! Dico a Gianni che se vuole trasferirsi a vivere da queste parti deve imparare a fare lo stesso, mentre io posso intrecciare i fiori a collanine…… Le due bimbe ci hanno preso in simpatia, ci insegnano il saluto locale, ci dicono che noi siamo la mamma e il papà e tante altre cose che io proprio non capisco, facciamo qualche foto insieme.

Il tutto ci costa solo 3000xpf a testa, lo stesso tour a Bora Bora ci sarebbe costato il doppio.

Ci godiamo il tramonto, il più bello visto fino ad ora in Polinesia, il cielo sembra una tavolozza di tinte pastello che vanno dal rosa confetto all’arancione all’azzurro al blu cobalto, fino a diventare tutt’uno con il mare.

La sera ceniamo da Filipo, il solo ristorante aperto di domenica sera, caso vuole che sia una pizzeria, Gianni fa il nostalgico di cucina italiana mentre io provo la tartare di tonno, ottima scelta direi, si tratta di pezzetti di tonno crudo conditi con pomodoro, aglio, olio e riso. Accompagniamo la cena con la birra locale, buona, amarognola come piace a me.

Non sono ancora le 19, così ci facciamo una passeggiata per Avatoru, il paese più grande dell’isola, nonché l’unico in verità, fatta eccezione per il minuscolo Tiputa, che si trova però al di là del passaggio che collega la laguna all’oceano. Accanto alla strada ci sono moltissimi cespugli di Tiarè, il cui profumo si diffonde nell’aria, ne stacco uno e me lo metto dietro all’orecchio, come fanno tutte le donne polinesiane. Arriviamo alla chiesa, sentiamo dei canti, provengono da una sala attigua, ci avviciniamo e la gente che sta dentro ci invita a prendere posto all’interno. Si tratta di un ritrovo per raccogliere fondi per la comunità, parlano in Tahitiano, un gruppetto suona mentre altri signori e signore, tutti di una certa età cantano, quando termina il canto un signore estrae delle noci di cocco da un sacco e li mette all’asta, sono tutti sorridenti, vestono in colori allegri e sembrano divertirsi molto, come vorrei capire quello che si dicono! Mi rendo conto di essere così diversa da loro, con la mia carnagione chiara e i capelli biondi, eppure non mi guardano con sospetto, anzi, sembrano vedere la nostra presenza con assoluta normalità. Noi però ci sentiamo degli intrusi, così usciamo e un gruppetto di ragazzine ci circonda con le solite mille domande, sono così curiosi di sapere tutto su di noi, ci regalano dei fiori e ci invitano a rimanere a cena con loro e i loro genitori nella sala del ritrovo. Rifiutiamo, non ci sembra il caso e oltretutto abbiamo già la pancia piena. Ci chiedono se siamo arrivati in auto dalla pensione, si stupiscono nel sapere che siamo a piedi, non hanno proprio idea delle distanze, di dove sia l’altro capo dell’isola o Bora Bora, figuriamoci l’Italia. La loro vita si limita a quel paesino ed alle attività che vi si svolgono, mi chiedo se il fatto di avere una visione del mondo così ristretta possa impedire loro di essere felici, noi sappiamo tutto della geografia ma non abbiamo mai avuto i volti così beatamente sorridenti come i loro.

Un altro punto a favore delle isole Tuamotu: gli abitanti. Forse perché sono meno tormentati dai turisti rispetto alle isole della Società o forse perché vivono in un paradiso terrestre, sono estremamente disponibili e gentili, nonchè onestissimi. La signora della nostra pensione, Rofina, ci ha dato la possibilità di pagarla in euro, per evitare che dovessimo cambiarli in banca, noi, abituati alla prassi comune, abbiamo subito pensato che avrebbe fatto la cresta, invece ci ha allibito chiedendoci la cifra esattamente equivalente a quello che sarebbe stato in xpf. La cosa stupisce se si pensa che i prezzi dei beni di primo consumo qui sono gli stessi per noi e per loro, la vita è cara per tutti.

La mattina successiva conosciamo Antonella e Armando, una coppia di Roma in viaggio di nozze, loro alloggiano all’Hotel più bello dell’isola ma si annoiano a star fermi, così hanno affittato le bici ed eccoli qui sulla stessa nostra spiaggetta mentre cercano di tirar giù un cocco dall’albero, buttandogli addosso sassi e quant’altro. O meglio, Armando tenta l’impresa disperata aiutato da un signore francese, sono piuttosto buffi ma alla fine la loro perseveranza viene premiata e c’è cocco fresco per tutti! Chiacchieriamo per diverse ore, tra una sguazzata in acqua e l’altra, poi ci diamo appuntamento nel pomeriggio da loro.

Anche noi affittiamo delle bici dell’anteguerra e lungo il tragitto di circa otto chilometri ci fermiamo in una coltivazione di perle nere, il nome è piuttosto scontato e sfrutta il povero Gauguin che ha a lungo vissuto in questa parte meravigliosa del mondo, trovo però quello che fa per me, una piccola perla perfettamente circolare e piena di riflessi con qualche minuscola ammaccatura che mi costa circa 45 euro. Decido di farmi creare il ciondolo in Italia, pare che qui l’oro e l’argento costino uno sproposito, e la disparità di prezzo tra la semplice perla e quella con ciondolino annesso sia veramente troppo alta. Sono estremamente affascinata da queste opere d’arte, e dire che le classiche perle bianche non mi hanno mai troppo entusiasmato, leggo e mi documento sulla lunga e meticolosa procedura che porta alla loro creazione e non mi stupisco più del loro costo! La spiaggia dell’hotel non è molto diversa da quella dove avevamo trascorso la mattinata, questo per dire che tanto la piccola pensione quanto l’hotel meraviglioso si trovano di fronte allo stesso mare splendido e la stessa spiaggia corallina.

Sulla via del ritorno ci fermiamo da alcune ragazze che vendono pesce lungo la strada, vorremo comprarne tre o quattro per cucinarceli ma così pochi non ce ne vogliono vendere, 500 xpf per tutta la fila di circa 20-25 o niente. Una di loro si allontana e dopo un istante rieccola apparire con quattro pesciolini tipo triglie in mano, ce li regala!!! Ma noi siamo imbarazzati e diamo loro almeno 300xpf, premio alla gentilezza.

A Gianni manca solo un bel tatuaggio formato gigante per essere un polinesiano a pieno titolo, pulisce i pesci nel mare buttandone le interiora, poi li cucina in padella con dell’olio e due bananine affettate, mangiamo sulla tavolata che separa la nostra stanza da letto dal mare, accompagnati dal piacevole scroscio delle onde, gli altri ospiti della pensione non sono molto loquaci, così ci ritiriamo presto e ci dedichiamo alla lettura.

La mattina seguente si vola a Fakarawa, in compagnia di Anto e Armando che alloggeranno al Maitai Dream, noi per la prima volta abbiamo qualcuno ad attenderci, si tratta di Jacques, un francese che parla un ottimo inglese con accento americano e gestisce un camping a pochi chilometri dall’aeroporto. Ci carica sul suo 4×4 e durante il tragitto posso già notare quanto questa isola sia più brulla e disabitata di Rangiroa, l’aeroporto è stato aperto da poco, stanno costruendo molto lungo la strada, c’è fermento e temo che tra pochi anni non godrà più di tanta tranquillità.

I bungalow del relais Marama si affacciano sull’oceano anziché sulla laguna, è una scelta precisa, ci spiega Jaques, in quanto c’è più vento che dovrebbe tenere lontane le zanzare e donare un po’ di frescura la notte, visti il caldo e l’umidità è un’ottima ragione, soprattutto durante la stagione delle piogge quando l’afa raggiunge livelli veramente alti. C’è una cucina in comune, pulitissima e super attrezzata, anche i bagni e le docce (fredde ovviamente) sono lindi e grandi, ci sono biciclette gratuite per gli ospiti e anche la colazione è compresa nel modico prezzo di 5600xpf. Gianni ed io concordiamo nell’affermare che questa è sicuramente la sistemazione migliore trovata fino ad ora, il bungalow è carinissimo, con tende colorate, finestrelle che si possono aprire e chiudere, zampirone contro le zanze già predisposto, una piccola veranda attrezzata di due sedie e fili dove stendere i panni. Jaques prepara anche la cena su richiesta, per 2000xpf a testa, noi la prenotiamo per la sera seguente, obbligandolo praticamente a farci trovare pesce crudo marinato nel cocco che io adoro. Insieme a lui nel camping c’è una famiglia di Polinesiani che ci lavorano, la figlia ci prende subito per amici, il suo nome, impronunciabile in Tahitiano significa “piccola principessa”, anche se è un po’ cicciotella in verità, ha due occhi luminosi e quando sorride sembra la protagonista di un fumetto. Fa’ un po’ fatica a pronunciare la S di Simona, mentre non ha problemi con “ciao”, indossa la sua magliettona lunga gialla e passa la maggior parte della giornata sulla bicicletta, è un tesoro, peccato solo esasperarla con i nostri “je n’ai pas compris’” ogni volta che ci fa discorsi in francese.

Lo stesso pomeriggio inforchiamo le bici, il paesino dove ci troviamo noi, Rotoava, è molto piccolo ma vivace, c’è un negozietto che vende un pochino di tutto, dallo shampoo al pareo al pollo arrosto, una chiesetta ornata con lampadari fatti di conchiglie e in fondo alla strada uno snack. La strada costiera sull’oceano è stata asfaltata da poco, prima c’era solo un vialotto sterrato che correva lungo la costa lagunare, intorno la vegetazione è un po’ più povera rispetto a quello che abbiamo visto fino ad ora o forse semplicemente bruciata dal sole, infatti l’aria è molto più secca qui. C’è qualche casupola e decisamente pochissimo traffico, ad un certo punto, non saprei quantificare i kms ma penso non più di sei, vediamo dei bei bungalow sulla sinistra, potrebbe essere un villaggio turistico o un lodge ma sembra disabitato, pensiamo che probabilmente è nuovo di zecca e non è ancora stato aperto, invece entrando vediamo che si tratta proprio del Maitai, siamo già arrivati. Troviamo i nostri amici in sala da pranzo, non dico che siano gli unici ospiti ma quasi. Mentre li aspettiamo ci appostiamo sulla spiaggia e ci buttiamo in acqua a fare un po’ di snorkelling, il mare è così bello da mozzare il fiato, non riesco a starne fuori, appena esco mi guardo indietro e sento subito l’esigenza di rimettermi a mollo, è una malattia! Armando non si tuffa perché nel pieno della digestione, Antonella ha paura di incontrare pesci troppo grossi e spaventarsi, ma dico io, che diavolo ci venite a fare in un posto così se poi non vi godete questo ben di dio??? Passiamo un bellissimo pomeriggio, ci sentiamo ospiti dell’hotel alla stessa stregua loro, ci mostrano la loro dimora che è veramente eccezionale, tutto in legno, di fronte al mare, con veranda e un bagno su due piani. Purtroppo si avvicina il tramonto e scopriamo che una ruota della bici di Gianni è buca, cerchiamo di spiegare in inglese al signore della reception che ci serve una pompa per rigonfiarla ma capisce solo il francese, così arriva Armando che non mastica alcuna delle due lingue, a questo punto e’ d’uopo riportare le sue testuali parole “ ‘a gomma della bici se forè, se buchè, pssssssss”, e come essere più chiari? Arriva subito la pompa. Ripercorriamo la strada in senso inverso, siamo all’imbrunire e la pace e la quiete che ho intorno mi entrano nel cuore fino a sentirmi in perfetta armonia con il mondo, cerco di immagazzinare queste sensazioni e portarle con me.

Dopo una bella doccia e un po’ di relax ci rimettiamo alla guida dei nostri bolidi e ci rechiamo allo snack, è buio pesto e la strada è illuminata solamente dalle migliaia di stelle che ci sovrastano, scendo dalla bici e mi faccio l’ultimo tratto di sterrato a piedi, ho paura di sbattere contro un cane, ce ne sono così tanti qui! Il posto è da favola, si trova davanti alla laguna, un’oasi nel deserto di palme, gode della luce di alcune torce e piccole lampadine colorate tipo quelle dell’albero di Natale, musica brasiliana in sottofondo, tre o quattro cani e due gatti ben nutriti che girano intorno ai cinque o sei tavoli. E’ gestito da un ragazzo polinesiano che dopo cena si siede con noi a parlare un po’ in inglese, ci racconta di aver lavorato a lungo al club Med di Moorea insieme alla moglie francese, di essersi trasferito poi in quest’isola più tranquilla e aver ristrutturato una casupola per farne questo capolavoro di simil – ristorante. Un altro sogno della mia vita! Al tavolo accanto a noi siede una combriccola di omosessuali, hanno movenze palesemente femminili e fiori tra i capelli, non ricordo esattamente come si chiamino in lingua locale, fatto sta che ne abbiamo già visti molti in giro e fanno parte della cultura polinesiana esattamente come le danze e i tatuaggi. Ho scoperto solamente dopo che sono le stesse famiglie a incitare questa tendenza nei figli maschi perché aiutino la famiglia nelle faccende domestiche.

La mattina seguente colazione con caffè e latte, pane e marmellata, abbiamo appuntamento alle 10 con i nostri amici, con i quali ci rechiamo al pass a vedere gli squali. Questa almeno è l’intenzione ma la strada si presenta più lunga e difficoltosa del previsto, sterrata e in mezzo alla foresta, oltretutto il mare è molto mosso per il vento ed è piuttosto pericoloso entrarci e rischiare di sbattere contro gli scogli. Infine troviamo una spiaggetta di sabbia e ci fermiamo stremati, la cosa stupefacente è entrare con i piedi in acqua e vedere due squaletti avvicinarsi incuriositi, girare i tacchi e andarsene! Peccato che il mare sia così burrascoso, chissà che bellissima fauna ci sarà qui vicino al pass che conduce all’oceano aperto! Rientrare è una sfida, abbiamo il vento contro ed è fortissimo, facciamo una fatica pazzesca tanto da essere costretti a scendere dalle bici e camminare perché altrimenti non ci riusciamo a muovere. Giunti a pochi metri dal paese io e Gianni ci buttiamo in acqua per lavare via il sudore, sarà il nostro ultimo bagno perché il giorno dopo le nostre ferie giungono al termine, non vorrei più uscire dall’acqua.

Dopo esserci fatti due gambe da culturista ci avventiamo sulla cena preparata da Jacques, il pesce crudo preparato apposta per me è delizioso!! Scambiamo qualche battuta con un ragazzo francese molto simpatico poi andiamo alla palestra all’aperto che c’è accanto a noi a vedere le prove di danza delle ragazze del paese, si stanno allenando per la grande festa che ci sarà in concomitanza con la festa francese della presa della Bastiglia. Oltretutto a fine mese si prevede l’arrivo di Chirac ed è per questa ragione che tutti quanti si danno così da fare per migliorare l’isola. Gianni si cimenta in una partita a pallacanestro con dei ragazzini, poi getta la spugna sostenendo che picchiano troppo.

La mattina seguente chiacchieriamo un po’ con il nostro amico Jacques, si è stabilito in questo paradiso dopo aver girato molto negli States e sulle altre isole del Pacifico, qui ha trovato la tranquillità che cercava, si è accordato con un ragazzo francese che insegna e organizza uscite in mare aperto per sub, e che sul suo sito internet consiglia agli interessati di alloggiare al Relais Marama. Un bel business, uno passa i clienti all’altro. Ci dice inoltre che per raggiungere altre zone dell’isola occorre farsi portare in barca perché non ci sono altri collegamenti nemmeno per il secondo paesino di Tetamanu, niente traffico e smog insomma!! La giornata è uggiosa e rende la nostra partenza veramente triste, è difficile accomiatarsi dai nostri amici e dalla piccola principessa, vedere altra gente che arriva piena di entusiasmo mentre noi ce ne stiamo andando. Ci attende Papeete, 12 ore in giro per il mercato, veramente bello e colorato e per la città, piuttosto caotica, fino al momento di imbarcarsi, destinazione Italia.

INFORMAZIONI PRATICHE Questo racconto è dedicato a chiunque desideri recarsi in Polinesia ma sia paralizzato dinnanzi ai costi altissimi offerti dai tour operator in Italia. La Polinesia non è solamente il paradiso dei lodge a cinque stelle per vacanzieri abbienti o per chi, come molti fanno, si regalino un viaggio di nozze da sogno per poi rinunciare alle ferie per cinque anni.

Noi siamo partiti con lo zaino in spalla, abbiamo sempre e solo alloggiato in pensioni di famiglia e camping, e ce ne sono molti, abbiamo cenato agli snack con 10-12 euro a testa o abbiamo comprato il necessario nei supermercati per poi cucinare.

L’attuale cambio del franco polinesiano è circa 1000 xpf a 8,68 euro.

Su alcune isole, ai prezzi praticati dalle pensioni occorre aggiungere una piccola percentuale di tassa di soggiorno.

Tralasciando il volo intercontinentale che chiaramente non è eccessivamente economico, abbiamo speso complessivamente 1000 euro a testa, di cui 400 per il pass aereo interno con Air Tahiti.

La stagione secca va da maggio/giugno ad ottobre/novembre, in verità noi siamo andati a cavallo tra giugno e luglio ma di umidità e pioggia ne abbiamo trovate ugualmente, anche là, come da noi, non c’e’ più una distinzione netta tra le stagioni.

Gianni e Simona



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