Pico de la Neblina
Quando nell’edizione del 1998 della prestigiosa rivista Llonely Planet, abbiamo letto tra questi, il Pico de la Neblina, abbiamo ricordato il nostro tentativo fallito nel 1987, di raggiungerlo. Il Pico de la Neblina è comparso sulle carte geografiche nel 1953, prima la zona era indicata come un’immensa pianura, e solo nel 1968 è stato riconosciuto come il monte più alto del Brasile. Esso fa parte del’omonima Serrania e deve il suo nome e il suo oblio alle nebbie costanti che lo avvolgono.
A nostre spese, avevamo scoperto che partendo da Manaus esistono difficoltà insormontabili considerato il limitato tempo a nostra disposizione che approfittiamo delle nostre ferie per avventurarci in tali imprese. Il primo aereo sarebbe partito dopo 21 giorni ed il battello forse e se sarebbe mai partito. Da ciò è nata l’idea di affrontare tale impresa partendo dal Venezuela.
Dopo aver assunto tale decisione, considerata la tanto sbandierata voglia di viaggi e di avventura espressa da tutti coloro che sono intervistati, abbiamo pensato che avrebbe potuto essere più divertente affrontare l’impresa in compagnia di “appassionati”.Per questo abbiamo pubblicato un’inserzione su una rivista specializzata con il risultato di ritroverci all’aeroporto in due:mio marito, artigiano di 56 anni ed io, impiegata statale.
Subito dopo l’atterraggio a Caracas è iniziata la ricerca dei mezzi che rendessero possibile il raggiungimento della nostra meta:18 ore di corriera da Caracas a Puerto Ayacucho da dove, considerato che la strada è stata soppiantata da una ragnatela di corsi d’acqua e paludi, abbiamo proseguito con un Chessna a 4 posti fino a San Carlos de Rio Negro e poi, con una lancia a motore, abbiamo raggiunto Cucui.E’ questo il primo villaggio del Brasile al confine con Venezuela e Colombia, composto da pochissime case, ma ha una discoteca! La sua popolazione è costituita, per la maggior parte da militari che cercano di contrastare il contrabbando, sport qui molto diffuso.
Ogni sera, all’imbrunire si assiste ad uno spettacolo inusuale: mentre da una parte si spara, dall’altra la discoteca diffonde la sua musica ad altissimo volume…Es i suoni si mescolano con quelli della sirena dell’allarme.
I due giorni trascorsi nel villaggio in attesa della corriera che parte la domenica, ci hanno permesso di assaporare labellezza dei colori del cielo che si specchiano nelle acque del Rio Negro, creando così una maestosa cornice ad un luogo che al trimenti, a parte “TV Cucui” ,non presenta alcuna particolarità.
Il bus che collega Cucui a Sao Gabriel de Cocheira non mantiene fede al suo importante nome. “Il Profeta” infatti, già dopo pochi chilometri è fermo per un guasto irreparabile. L’attesa della corriera di riserva ed il terreno particolarmente fangoso e molle, fanno si che, per giungere alla meta – distnte circa 280 Km,occorrano oltre 25 ore.
L’IBAMA , ente preposto alla protezione dell’ambiente che ospita molte tribu, ci rilascia il permesso, dopo aver presentato le persone disposte ad accompagnarci nella spedizione della durata di circa dieci giorni.
Con la “guida” abbiamo provveduto alla ricerca della barca, del motore, della benzina (un fusto di 200 litri), all’acquisto dei viveri ed al reperimento di un mezzo di trasporto idoneo a contenere il materiale, la guida, i portatori e naturalmente noi. Occorre sempre ricordare che la riuscita di queste imprese, come quella dei grandi scopritori, è tuttora legata all’uso colonialistico delle persone del luogo.
Finalmente si parte! Dopo il percorso con il camion non troppo agevole a causa delle molte buche presenti sul terreno e per l’ostruzione degli alberi caduti sulla strada, si comincia quello in canoa che dura tre giorni durante i quali si alternano momenti di freddo intenso, quando siamo completamente inzuppati dalle piogge torrenziali che dobbiamo subire senza alcun riparo, a momenti a rischio ustioni, quando il sole ricompare con rinnovata forza dalla fitta coltre di nuvole nere.
A Boca del Tucano nascondiamo la barca, il motore e tutto ciò che non serve in foresta: si inizia la salita.
Siamo nella zona dove vivono i pochi esesplari di indios Yanomami rimasti: E’ questa una tribu che vive isolata dalle altre, non è iscritta in alcuna federazione tra le tante istituite per la difesa delle popolazioni indigene, non riconosce la legge brasiliana e vive in modo del tutto primitivo.
Lungo il difficile percorso nella foresta che si inerpica fino a 2000 metri, incontriamo qualche indio e qualche garimpero, i cercatori illegali d’oro di cui tutti conoscono l’esistenza.
Non possiamo, dimenticare che esistono vari tipi di pericolo tra cui la presenza di numerosi tipi di serpenti che abitano nella selva amazzonica in particolare per un incontro raccapricciante con un cascavelvicino alla tenda. Non possiamo non provare brividi di paura pensando che il suo veleno agisce in duplice forma: sul sistema nervoso, determinando la paralisi dell’apparato respiratorio e sui vasi sanguigni linfatici, causando imponenti emorragie agli organi interni.Il suo morso non dà scampo, qualunque siero è inefficace.
Considerato il tipo di terreno dove le radici degli alberi sono in superficie e il clima in cui l’umidità è tale da produrre il 70% dell’acqua dell’intero pianeta, la risalita risulta pericolosa e faticosa: gli alberi cadno frequentemente costituendo un rischio causato dai rami che potrebbero anche infilzarci; il clima fa si che noi siamo sempre bagnati o per la pioggia o dal sudore per cui, anche se siamo idealmente vicini alla linea dell’equatore, spesso soffriamo il freddo.
Il Pico de la Neblina ci è di fronte… Non possiamo vederlo, la nebbia che lo ha nascosto per millenni, ancora una volta ce lo impedisce. Aspettiamo, in questa stagione si mostra per non più di cinque minuti al giorno.
Tra le nuvole, compare l’ombra, l’emozione ci attanaglia la gola…I viveri scarseggiano…
La discesa è leggermente più veloce e solo ora ci rendiamo conto delle tante difficoltà incontrate e superate.
Recuperiamo tutte le nostre attrezzature e in due giorni, a favore di corrente, ritorniamo al punto in cui finisce la gita in barca, però non troviamo alcuna traccia del camion.
Dopo dieci giorni di tenda, di fame, di pioggia, di scarpe abiti e zaini fradici, non vediamo l’ora di tornare alla civiltà. Come un miraggio ci appare un Toyota pik-up e contrattiamo con il padron per ottenre la possibilità di utilizzare quel mezzo.
Si carica la canoa di 7,5 metri sul cassone di circa 3, ci risediamo in barca e via, alla volta di Sao Grabriel dove arriviamo, che novità, completamente bagnati a causa di un forte temporale che ancora una volta abbiamo dovuto subire senza alcun riparo.
Forse, pur essendo consapevoli delle difficoltà che avremmo potuto incontrare non abbiamo valutato appieno la difficoltà del viaggio che si è dimostrato una vera e propria spedizione: da quando è stato scoperto, solo 300 persone al mondo possono vantare di aver ottenuto il permesso di raggiungere il Pico e non si sa con quali risultati.
Amaly Azzarni