Ovest: grandi parchi e non solo..
Lo scopo del nostro viaggio è stato quello di vedere la natura e i grandi spazi, limitando al minimo i contatti con le grandi città e cercando invece di curiosare nelle piccole località lontane dai riflettori e dagli itinerari più battuti, il tutto per assaporare quel side B degli States che non sempre viene alla luce nei viaggi più tradizionali; per questo abbiamo spesso deciso di pernottare in piccoli o piccolissimi centri e per noi ne è valsa la pena!.
Siamo partiti avendo prenotato solo il noleggio dell’auto e la prima notte in terra statunitense, il resto abbiamo voluto viverlo in libertà senza vincoli, lunghi programmi o luoghi da raggiungere a tutti i costi.
Se cercate quindi big cities, grattacieli, vita mondana, shopping frenetico e luci multicolori questo viaggio non fa per voi, se invece siete incuriositi (come noi) da altri aspetti meno glamour degli USA, qui potrete forse trovare qualche spunto interessante.
Alcune cifre: budget complessivo tutto incluso 3500 €, partenza 29 aprile, rientro 19 maggio, sveglia ogni mattina alle 6.30, 9460 Km percorsi, 7 Stati attraversati, 12 parchi visitati, punto più basso -86 m (Badwater), punto più alto 4250 m (Pike Peak).
E ora via! Arriviamo a Los Angeles il giorno 30 alle ore 12.55 con volo British via Londra (ottimo servizio e prezzo interessante) e, dopo aver sbrigato le pratiche burocratiche, ci dirigiamo con l’apposita navetta gratuita (che si prende subito fuori dall’aeroporto) all’Alamo Rent, dove abbiamo prenotato il noleggio dell’auto per i prossimi 20 giorni. Alle 14.30 siamo comodamente seduti sulla nostra fiammante Chevrolet Malibù dotata di ogni comfort, cruise-control incluso. Piccolo consiglio: il noleggio dell’auto, a nostro parere, non è il momento più adatto per essere parsimoniosi; se vi aspettano diversi giorni con molte ore da trascorrere in macchina, avrete sicuramente modo di apprezzare la differenza tra un’auto grande, comoda e spaziosa ed una più piccola e scomoda, questo ben oltre le immediate esigenze di spazio per i bagagli… quindi non è questa la voce del budget in cui lesinare fondi. Se poi, come noi, pensate di viaggiare on the road utilizzando spesso strade secondarie, diventa indispensabile anche avere un dettagliato atlante stradale che vi metta al riparo da brutte sorprese: non sempre le strade sono ben mantenute e una normale cartina può essere insufficiente nel caso vi troviate a dover cambiare in corsa l’itinerario.
Noi ci siamo trovati di fronte ad alcune strade chiuse per neve e senza un buon atlante avremmo sicuramente percorso molti più Kilometri per riportarci sul nostro itinerario.
L’uscita da Los Angeles è infernale: appena ci immettiamo in tangenziale siamo fagocitati da una coda pazzesca e ci muoviamo a passo d’uomo sotto un sole cocente: la città degli angeli si dimostra all’altezza della sua fama di luogo perennemente incasinato. E’ impressionante vedere la mole di auto che riempiono le 6 corsie fino a farle scoppiare; ad un certo punto ci salva l’inizio di una tollway: si tratta di corsie riservate ad auto con 2 o più persone a bordo che si trovano in genere sul lato sinistro della carreggiata e che sono sempre vuote perché gli americani non vanno mai in due sulla stessa auto! Tra una toll way e una coda riusciamo ad uscire da LA verso le 17.30 e ci immettiamo sull’IS15 per Barstow, luogo della nostra prima notte. Una nota sui pernottamenti: negli USA è facilissimo trovare una sistemazione per dormire, a tutti i prezzi e per tutte le esigenze. Anche in luoghi apparentemente dimenticati da Dio si trova un numero sorprendente di soluzioni, dal lussuoso albergo Best Western allo sgangherato motel, stile Norman Bates. Dipende da voi, da cosa cercate, da quanto volete spendere, da quanto sono importanti per voi tutta una serie di facilities che ovviamente incidono sul prezzo. Noi abbiamo provato alcune catene di motel e crediamo che una in particolare (non la cito per non incorrere in pubblicità occulta) offra un’ottimo rapporto qualità-prezzo: stanze spartane ma sempre pulite, ordinate e con tutto il necessario ad un costo limitato. Altre soluzioni sono sicuramente più belle da vedere ed hanno qualche facilities in più ma non sempre il gioco vale la candela (ovvero pagare il doppio per differenze non del tutto sostanziali). Ma questa è ovviamente un’opinione, dipende dalle esigenze di ognuno e non c’è niente di meglio che l’esperienza sul campo per capire meglio qual è la soluzione su misura per ciascuno.
Ogni catena di motel ha ovviamente un proprio book gratuito (ritiratelo alla prima sera in reception) con gli indirizzi e i recapiti nelle diverse località e un sito internet su cui, in genere, prenotare garantisce del risparmio rispetto alla normale tariffa. Noi riprogrammavamo il nostro itinerario sui 2-3 giorni successivi e abbiamo spesso prenotato online i relativi pernotti, avendo già un’idea di massima di cosa avremmo fatto.
Per l’accesso ad internet potete contare sulle Public Library (biblioteche); ce ne sono dappertutto e garantiscono accesso free ad internet ed eventualmente stampe a pochi centesimi con la sola esibizione del passaporto.
Altra cosa utile da sapere è che ogni motel ha gratuitamente la macchina di distribuzione dei cubetti di ghiaccio: se vi portate una borsetta frigo potete garantirvi bevande, frutta e cibo fresco per il pranzo limitando la spesa e le escursioni nei famigerati fast food.
Noi abbiamo preferito così: spesa di frutta e cibo fresco nei supermercati per il pranzo e la giornata, e cena in fast food, steak-house o locale in base al luogo dove capitavamo.
Anche qui c’è da dire che ogni piccolo luogo è dotato di almeno 4-5 fast food appartenenti alle diverse catene (Pizza Hut, TacoBell, KFC, Harby’s, Denny’s, Wendy’s, BurgerKing, Mc Donald e diversi altri): vedete voi quello che si aggrada di più ai vostri gusti; bene o male tutti servono qualcosa di commestibile… non sarà come la cucina di mamma, ma non si muore! Riprendiamo il racconto: dopo una colossale dormita siamo pronti ad iniziare l’avventura.
La prima parte della mattina del 1 maggio la passiamo a Barstow nel Tanger Outlet che ci dicono avere prezzi pazzeschi in confronto all’Italia; pur non essendo amanti dello shopping rimaniamo di stucco di fronte a quello che vediamo: grandi marche che da noi costano centinaia di euro, qui sono in vendita a poche decine di dollari… pazzesco!!!. Ci togliamo velocemente qualche sfizio e partiamo alla volta della prima meta: Death Valley.
Entriamo nel pomeriggio attraverso la 395 da Olancha e Panamint Springs, dove paghiamo il fee di accesso al parco (20 dollari) alla macchina automatica perché il visitor center è già chiuso.
Consigli per l’accesso ai parchi: entrare nei National Parks costa una cifra variabile dai 10 ai 25 dollari ma esiste un pass globale (Interagency Pass) che vale un anno e alla cifra di 80 dollari vi permette l’accesso illimitato a tutti i parchi degli USA; fatevi due conti e vedete se vi conviene pagare i singoli accessi o comprare il pass globale… a noi ovviamente è convenuto il pass.
Tra l’altro, quando ci siamo recati la mattina dopo al visitor center per comprare il pass, ci hanno abbuonato i 20 dollari pagati il giorno prima e abbiamo dovuto solo aggiungere i rimanenti 60… chissà se in Italia sarebbe successo lo stesso: ai posteri l’ardua sentenza.
Ogni parco è dotato di uno o più visitor center dove potete trovare depliant informativi e ranger disponibili e gentilissimi che vi daranno tutte le indicazioni su escursioni, attività, passeggiate. La prima cosa da fare, entrando in un parco, è quella di andare al visitor center e farsi chiarire le idee dai ranger su cosa si può fare.
Le escursioni sono in genere facili, anche se i ranger (come giusto) mettono in guardia sulla difficoltà e sui pericoli dei sentieri, magari anche esagerando un pò: per una persona mediamente allenata non c’è nulla di mostruoso, anzi; l’unica cosa a cui badare, specialmente al sud, è il caldo torrido che può fiaccare le gambe e la testa: noi abbiamo questo problema nel fare il Primitive Trail all’Arches che, in sé, non è certamente complicato ma se affrontato a quasi 40° senza un filo d’ombra può rivelarsi faticoso. Fate i conti con la vostra voglia e il vostro allenamento e… enjoy the parks! La Death Valley garantisce uno spettacolo unico, spettrale ed affascinante: Zabriskie Point, Dante’s view e Badwater valgono una bella sosta sotto il sole cocente, il resto potete percorrerlo in macchina fermandovi qua e là per foto o filmati.
Noi ci siamo fermati nel pomeriggio del 1 e nella prima parte della mattina del 2, attraversandola completamente da Panamint Spring fino a Shoshone e dormendo nella notte a Beatty, un paese degno di nota per gli amanti del famoso side B degli USA: cena a base di bistecca e patate lesse in una specie di saloon frequentato da ominidi in evidente stato di ebbrezza… non male!! Sabato 2 ci trasferiamo dalla Death Valley fino a Las Vegas sulle 178 e 160: arrivo nel primo pomeriggio e tuffo nella Strip fino a sera inoltrata nell’orgia di casinò, casino (senza l’accento), donnine seminude, messicani che ti propongono squillo a buon mercato e gente sovraeccitata.
Unica nota: tento di imbucarmi al match di pugilato Pacquaio-Hatton al MGM ma ottengo solo il risultato di perdermi all’interno della struttura e di metterci mezzora buona per ritrovare l’uscita. Attenzione!! Non avventuratevi troppo nei casinò senza avere ben chiaro dove sono le uscite: se salite, scendete, girate a destra e poi a sinistra e poi ancora a destra senza ricordarvi di ciò che avete fatto, siete praticamente fottuti!! Domenica 3: è il giorno dello Zion National Park in Utah; arriviamo in tarda mattinata attraverso la IS 15 e la 17. Si lascia l’auto al parcheggio del visitor center e si entra nel parco utilizzando le frequenti navette gratuite che girano all’interno.
Il parco è stupendo: ambiente tipicamente montano, clima fresco e gradevole e diverse possibilità di fare camminate per ogni gusto ed esigenza. Le escursioni partono in genere dai punti di fermata del bus e sono sempre ottimamente segnalate. Vale la pena spenderci una mezza giornata.
Nel tardo pomeriggio attraversiamo il parco lungo la strada 9 aperta alle auto (stupenda vista) verso Orderville e raggiungiamo Cedar City con la 14 (sale a 3000 m, quindi in vetta fa un freddo porco ma la vista è notevole), dove facciamo la nanna.
Lunedì 4: è il giorno del Bryce Canyon; arriviamo nella prima mattina dalla 12 e passiamo buona parte della giornata a camminare nel parco. Il Bryce è uno dei luoghi che mi ha colpito di più: decine di incredibili pinnacoli di roccia rossa si stagliano al cielo disegnando forme e paesaggi inimmaginabili, merita sicuramente una visita approfondita per godere appieno dei diversi punti di osservazione. Nel pomeriggio ci muoviamo con la 12 verso Escalante, Boulder, Torrey, Loa, Salina e Nephi, luogo prescelto per la nanna.
La 12 è una strada molto panoramica, permette punti di vista estremamente spettacolari e mozzafiato, incluso un paio di discese da brivido ma è lunghissima e tremendamente tortuosa: con il senno di poi forse non la rifaremmo anche se quando sei lì, alla fine ti dispiace lasciar perdere.
A Nephi, come nella maggior parte di Utah e Wyoming si mangia con le galline e dopo le 20 è difficile trovare gente disposta a cucinare… quindi ci dobbiamo accontentare dell’unico locale ancora aperto ma non ci troviamo male.
Martedì 5: giornata di visita on the road verso il nord; la mattina la trascorriamo a Salt Lake City dove visitiamo tutta la cittadella mormone, con Tempio, Museo e annessi vari. I mormoni sono gentilissimi, per nulla invadenti e alcuni di loro si sforzano di parlare anche in italiano per spiegarci meglio le cose. L’impressione che abbiamo di Salt Lake è quella di una tranquilla, ordinata e verde città, per nulla caotica, con gente simpatica e gentile ad ogni angolo… insomma il posto ideale dove abitare!! Ci sono pure i mitici Utah Jazz, di cui acquisto qualche gadgets al merchandise center. Nel pomeriggio ci spostiamo verso nord con l’obiettivo di vedere Logan, il Bear Lake e di puntare verso il nord del Wyoming ma un temporale misto a nevischio ci consiglia di starcene ben acquattati in auto e tirare dritto sperando nella clemenza del tempo. L’arrivo dall’alto sul Bear Lake dalla 89 / 30 è comunque spettacolare.
Proseguiamo in Wyoming di cui ci colpiscono gli enormi spazi in cui la presenza dell’uomo è veramente effimera: una terra selvaggia in cui percorri decine di miglia senza incrociare nessuno, se non numerosissime mandrie di mucche che tappezzano ovunque la prateria, e poi antilopi, volatili, procioni.
Qua e là, senza una logica apparente, compaiono ogni tanto recinti e qualche abitazione che si raggiunge solo attraverso sgangherate mulattiere. Yes man, this is USA! Altro che New York e i suoi grattacieli! C’è un vento gelido che ci costringe a stare in macchina più di quanto vorremmo ma stare all’aperto per più di 10 minuti è veramente fastidioso. Arriviamo a Lander dove ci fermiamo per la nanna e dove assistiamo all’ennesimo inseguimento della police americana.
A proposito: gli americani al volante sono molto tranquilli, vanno pianissimo e rispettano tutte le norme possibili ed immaginabili, limiti di velocità in primis. Quindi occhio a non fare gli “italiani” al volante anche perché dietro ogni angolo potrebbe esserci un poliziotto pronto a castigarvi… noi ne abbiamo visti tantissimi e ovunque. E quando dico ovunque potete credermi che mi riferisco a posti dove l’essere umano più vicino era a 50 miglia!!.
Mercoledì 6: da Lander ci muoviamo sulla 789 alla scoperta di altre remote lande di questa terra così particolare ed affascinante: incontriamo cowboy a cavallo in mezzo alla strada, ancora centinaia di mucche, qualche ranch qua e là.
Arriviamo per l’ora di pranzo a Laramie dove facciamo 4 passi in centro ed al campus dell’università ma il vento non accenna a darci tregua; ci muoviamo quindi verso Cheyenne, la capitale del mitico Wyoming dove arriviamo a metà pomeriggio. Sosta al visitor center e giro per l’old town: si incontrano veramente un sacco di tizi strani, sembra di essere sul set di un film di John Waine… ma questi non sono attori, sono veramente così!!! La sera mangiamo in un’ottima steak- house (se volete una dritta contattatemi), dove gustiamo una fantastica ed enorme bisteccona circondati da motociclisti stile “Svalvolati on the road” e cowboys con cappello e cinturone. Il posto è mitico… vale una sosta sia per l’ottimo cibo che per la coreografia.
Giovedì 7: da Cheyenne ritorniamo verso sud (e verso un clima più gradevole) con la IS25; dopo il difficoltoso passaggio a Denver ci fiondiamo a Colorado Springs, sede prescelta per questa giornata. Merita una visita con passeggiata inclusa il Garden of the Gods (sulla 24), il vicino centro di Manitou Springs e, se avete tempo, prendete la cremagliera che parte dal centro di Manitou e in poco meno di 2 ore vi porterà ai 4250 m della vetta del Pike Peak. Noi siamo partiti con la corsa delle 13.30 (sold out, quindi arrivate in tempo) e siamo rientrati per le 17.00 con una sosta in vetta di una buona mezzora. La vista dalla vetta è notevole, spazia su grandi superfici e una gita a più di 4000 m vale sicuramente l’esperienza… ricordatevi solo che (sarà banale ma è bene ricordarsene) a quella quota ci possono essere anche -20° e che la mancanza di ossigeno può creare qualche problema respiratorio. La sera rientriamo al Garden of the Gods per un magnifico tramonto e poi tiriamo dritti fino a Pueblo per fare la nanna.
Venerdì 8: ci dirigiamo al Grand Sand Dunes National Park, meta della nostra mattinata. Il colpo d’occhio è sensazionale: sullo sfondo troneggiano cime da 4000 m ricoperte di neve, foreste di conifere e davanti a noi si staglia un’enorme distesa di dune di sabbia finissima… sembra di essere nel cuore del Sahara e la cosa è indubbiamente sorprendente se pensiamo per un attimo a dove siamo in realtà. Il mix di ambienti ed ecosistemi diversi a così poca distanza l’uno dall’altro è uno dei ricordi più particolari che ci portiamo a casa da questo viaggio.
Dopo esserci rincorsi e rotolati giù dalle dune (fighissima la discesa, estenuante la salita in cima) percorriamo il Mosca Pass Trail in cui abbiamo un incontro ravvicinato (a meno di 100 m) con un black bear intento a fare una passeggiata in riva al torrente creato dal disgelo.
Nel pomeriggio abbandoniamo il parco e ci dirigiamo verso Salina e poi dritti fino a Durango, dove arriviamo in serata. La ricerca del motel è più lunga del solito perché i prezzi che ci sparano in alcuni posti sono folli (noi pensiamo anche di fermarci due notti) ma poi troviamo un’ottima sistemazione ad un prezzo decisamente vantaggioso; riceviamo anche due free entrance allo spettacolare Recreation center di Durango (palestra, fitness center, piscina, campo da basket e altro ancora) che poi sfrutteremo la domenica mattina.
Sabato 9: è il giorno del Mesa Verde National Park. Si raggiunge comodamente in poco più di un’ora da Durango: arriviamo presto, solita sosta al visitor center e ci iscriviamo ad una delle gite guidate (costo 3 dollari) per l’ingresso nei Pueblos degli antichi Anazasi. Se vi interessa avere qualche notizia su questi villaggi costruiti nella pietra dei canyon (e vederli più da vicino) vale sicuramente la pena, altrimenti lasciate perdere e godetevi il parco percorrendo qualche altro percorso naturalistico. Ci tratteniamo nel parco fino a metà pomeriggio e torniamo a Durango per una doccia ristoratrice e per fare quattro passi nella bella old town.
Parentesi per addetti ai lavori: è il giorno di gara 3 Denver- Dallas di basket ed io, incallito fan dei Mavericks mi accomodo in un saloon per godermi la partita… circondato da decine di energumeni con la maglietta dei Nuggets!! OOOPPPSS è vero, qui siamo in Colorado e quindi è meglio stare sotto coperta senza attirare troppo l’attenzione. Il risultato finale non mi incoraggia ad essere più sfacciato e, incazzato nero per il finale da lotteria che ha condannato i miei adorati Mavs affogo nel luppolo il dispiacere.
Ci sono un paio di saloon sulla Main che vale la pena visitare sia per l’arredo stile vecchio west, sia per le ottime birre… Durango è molto carina e se capitate da queste parti programmateci una sosta.
Domenica 10: appena svegli ci fondiamo al Recreation Center dove ci concediamo un paio d’ore abbondanti di sport a 360°. In tarda mattinata, dopo una sosta all’internet point della biblioteca per prenotare i motel delle sere successive partiamo alla volta di Silverton. La strada, nonostante si sfiorino ( e si superino ) spesso i 3000 m di altezza è larga, senza pericoli, perfettamente asfaltata e ci permette di vedere paesaggi fantastici. Ci fermiamo nei numerosi view point per le immancabili foto e arriviamo a Silverton dove facciamo una bella passeggiata e vediamo l’arrivo del treno storico a vapore da Durango.
Ripartiamo verso nord e a metà pomeriggio entriamo nel Black Canyon of the Gunnison National Park.
Il parco è poco noto e, date anche le sue ridotte dimensioni, non viene proposto nei giri più tradizionali ma offre punti di vista mozzafiato: si tratta di un susseguirsi di profondissime e strette gole di roccia grigio-nera scavate dal fiume che si dominano da un’altezza siderale. Da non consigliare a chi soffre di vertigini! La sera facciamo la nanna a Grand Juncton.
Lunedì 11: ripartiamo presto alla volta dell’Arches National Park che dista circa due ore di auto. Su questo parco non mi dilungo anche perché rappresenta un “classico” di tutti i tour e su cui quindi ne avrete lette di cotte e di crude.
Dico solo che la fama è meritata e ci sono punti di eccezionale impatto visivo (Delicate Arche su tutti, almeno secondo noi); il parco offre numerosi sentieri e come ho già accennato all’inizio alcuni sono faticosi a causa del caldo soffocante. Noi, tra l’altro, abbiamo fatto il Primitive Trail sotto un sole che spaccava le pietre e abbiamo sofferto un pò; inoltre non è perfettamente segnalato e in alcuni punti richiede di arrampicarsi sulle rocce… nulla di eccezionale ma è bene saperlo prima di partire per poi non trovarsi in difficoltà.
Nel pomeriggio decidiamo di fare una puntata al vicinissimo (mezzora di auto) Canyonland National Park. Dico solo una cosa: grandioso!! Ho letto su altri blog che a qualcuno non è piaciuto e francamente la cosa mi lascia a bocca aperta.
Per me è uno dei posti più belli che ho visto in questo viaggio: spazi enormi, giochi di erosione multipla che creano gole, anfratti e canyon circondati da mesas imponenti e a picco sul vuoto. Allo spettacolo ha contribuito anche la caduta di un meteorite che ha creato un cratere gigantesco al centro dell’altopiano. Da vedere assolutamente! Ci tratteniamo fino alle otto passate e andiamo a fare la nanna a Green River (se esiste un luogo dimenticato da Dio è da queste parti).
La sera è allietata da gara 4 tra Denver- Dallas e la vittoria (finalmente) dei Mavs ci mette di fronte ad un bivio: proseguire il nostro viaggio sul percorso originale o modificarlo per andare mercoledì 13 a Denver a vedere gara 5 al Pepsi Center? Nadia (Dio la benedica) appoggia il mio scriteriato progetto di andare a Denver e ci addormentiamo pensando a come procurarci i biglietti per la partita.
Martedì 12: partiamo alla volta di Moab, città estremamente turistica a pochi passi dall’Arches, e alle 9 in punto entriamo nella Public Library per setacciare internet alla ricerca dei biglietti. Dopo qualche tentativo finito miseramente finalmente trovo due e-ticket con spedizione immediata alla mia mail: devo solo ordinare, pagare con carta di credito, aspettare pochi minuti e stampare dalla mia mail i biglietti… Non mi sembra vero ma va proprio così! Alle 10.30 stringo in mano con espressione felice i miei due lecca-lecca, pardon i miei due biglietti per il Pepsi Center! E vai!! GO MAVS!! In realtà so bene che assisterò ad un massacro legalizzato (Denver è troooooooppo forte) ma vuoi mettere? Gara 5, playoffs NBA ed io lì in prima fila a fare casino?? C’è di che accontentarsi.
Partiti da Moab ci dirigiamo verso sud con meta Monument Valley: ci arriviamo in circa 3 ore di auto e la percorriamo da Mexican Hut a Kayenta tra un sole cocente ed una tempesta di sabbia rossa che ci offusca il panorama. Sulla strada si incontrano decine di bancarelle di indiani che vendono i loro prodotti ed oggetti; noi non siamo particolarmente interessati, ma se lo siete ricordatevi di non avere fretta perché, come detto, lungo la strada ce ne sono veramente tante e le occasioni di fare shopping non mancano.
Poco dopo Kayenta entriamo nel Navayo National Monument, dove muoversi autonomamente è ai limiti dell’impossibile: si tratta infatti di zone sacre per le tribù Navayo e quindi ci si muove solo in tour organizzati e con guide Navayo.
Anche sulla Monument Valley avrete letto fiumi di inchiostro e di opinioni, quindi non vi aggiungo la nostra: come avrete capito ci hanno decisamente impressionato di più altri luoghi e non abbiamo simpatizzato particolarmente con i “fathers” (anche per la nostra scarsa propensione all’acquisto di chincaglierie varie).
La sera facciamo la nanna a Farmington, città ai margini della riserva in territorio New Mexico.
Mercoledì 13: sveglia all’alba e mega-trasferimento a Denver. Studiamo sul mitico Rand McNally il tragitto più breve e in poco più di 6 ore siamo a Denver, inclusa una sosta a Manitou Spring per comprare un orso di legno che Nadia vuole assolutamente mettere nel giardino di casa: è alto più di un metro e pesa 15 Kg ma lei sembra particolarmente determinata a portarlo fino a casa… quindi devo cedere.
Facciamo una bella passeggiata a Denver, il centro è piccolo ed è quasi tutto pedonale. Non c’è molto di interessante da vedere ma fare 4 passi serve a sgranchire le gambe e ad ingannare l’attesa.
La partita inizia alle 19; per le 18 siamo pronti ad entrare al palazzo e vediamo subito scene inimmaginabili per qualsiasi partita italiana: sul tetto del Pepsi Center c’è Rocky, la mascotte dei Nuggets che, a ritmo di musica, balla e lancia decine di gadgets sulla folla di sotto. Cerco di prendere una maglietta ma la competizione è selvaggia e prima di pagare con la vita decido di lasciar perdere. Odiati Nuggets… Entriamo e ci sistemiamo ai nostri posti: comodissimi, tipo poltrone del cinema con il cassettino porta vivande e porta bibita.
La vista è ottima ed in breve tempo siamo circondati da ciccioni che si strafocano di ogni ben di Dio per tutto il tempo; certe volte sembra che della partita non gliene freghi niente a nessuno: la folla si esalta soprattutto nelle pause quando lo speaker lancia concorsi improbabili come la sfida dance a ritmo hip hop tra due bambini di 3 anni, la kiss cam o concorsi a premi per il più bello, il più brutto, il più ciccione e via dicendo.
Fa un certo effetto vedere tutta questa gente che mangia e dorme durante la partita e urla durante le pause… ma in ogni caso è veramente una festa e non c’è il minimo momento di tensione.
Grande! Dettaglio finale: abbiamo perso, ma va bene così.
Giovedì 14: giornata di trasferimento bis, verso sud. Oggi non passa proprio… era prevedibile.
Nel primo pomeriggio visitiamo Santa Fe in New Mexico: bella città, molto particolare con un numero incredibile di gallerie d’arte che propongono pitture, sculture e oggetti vari veramente curiosi ed interessanti. Passiamo alcune ore a visitare le gallerie e mi passa per la testa l’idea di acquistare un’autentica zanna di mammuth ma poi desisto, memore dell’orso di legno che già appesantirà il nostro bagaglio a mano.
Se capitate da queste parti, Santa Fe vale sicuramente 2-3 ore di sosta.
In serata proseguiamo per Alberqueque dove facciamo 4 passi nell’Old Town (carina ma non paragonabile a Santa Fè) e facciamo la nanna.
Venerdì 15: di prima mattina ci rechiamo al Petroglyf National Park, a pochi silometri dal centro di Alberqueque dove vi sono diverse pitture rupestri degli antichi nativi. Le pitture rupestri mi hanno sempre incuriosito parecchio e quindi questa tappa era pressoché obbligata; del resto negli USA non esistono molti siti archeologici dove sono conservate così tante testimonianze di questo tipo.
La passeggiata all’interno del parco si rivelerà ben presto ancor più sorprendente del previsto: mentre camminiamo con il naso all’insù alla ricerca delle testimonianze sulle pietre laviche arriviamo ad un paio di metri da un enorme rattlesnake che ci accoglie facendo tintinnare il sonaglio e mettendosi sulla difensiva.
Superato l’attimo di spavento ci mettiamo alla giusta distanza e iniziamo a scattare foto a ripetizione: siamo rapiti dal fascino magnetico di questi animali, così apparentemente indolenti ma così tremendamente pericolosi.
Ragazzi che incontro!! Proseguiamo il giro con gli occhi ben aperti, consci che pochi passi in più ci avrebbero potuto creare dei grandissimi guai.
In tarda mattinata partiamo verso la nostra meta pomeridiana: Painted Desert and Pietrificated Forest National Park.
Il parco è in ambiente desertico e fa molto caldo, le possibilità di escursioni sono limitate e richiedono buona predisposizione al sacrificio a causa del clima torrido.
Per poter essere apprezzato appieno per il suo valore, il parco richiede un interesse in ambito geologico; da questo punto di vista offre sicuramente diversi spunti: all’interno dei tronchi fossilizzati si ammirano conformazioni ai limiti dell’incredibile e lo stesso deserto dipinto e le Blue Mesas non lasciano indifferenti per le svariate e anomale colorazioni che assumono i profili.
Per chi non è colpito da questi aspetti e cerca invece un impatto visivo più immediato può risultare meno accattivante, quindi valutate secondo i vostri gusti.
Personalmente comunque ve lo consiglio.
La sera facciamo la nanna a Flagstaff, poco distante.
Sabato 16: è il giorno del Gran Canyon. Anche qui c’è poco da dire… ne saprete già tantissimo.
Dico solo che occorre spenderci un giorno intero per goderne la vista sia dall’alto (nei diversi point of view), sia addentrandosi e scendendo nel canyon per vedere più da vicino il Colorado River.
Ci sono diversi trail che partono da punti diversi, come al solito lasciatevi guidare dai ranger per scegliere quello più tarato sui vostri gusti e sulle vostre esigenze.
I trail che scendono nel canyon fino al Colorado River o fino a punti di vista più bassi partono in genere nelle vicinanze della vecchia stazione ferroviaria di arrivo del trenino da Williams e possono essere percorsi anche in groppa ad un mulo. Noi abbiamo incontrato diverse carovane che salivano e scendevano. Questi trail in discesa sono sicuramente affascinanti ma ricordatevi che: nel canyon fa un caldo bestia e non c’è ombra, c’è pochissima acqua e quasi tutta all’inizio della discesa, c’è un sacco di polvere nell’aria, l’andata è (ovviamente) tutta in discesa e il ritorno in salita quindi se arrivate in basso e siete morti sono cazzi amari (abbiamo visto diverse persone in grave difficoltà per la fatica ed il caldo); francamente è il trail più faticoso che abbiamo incontrato e secondo noi non si adatta a chi non è ben allenato e abituato a questo genere di sforzi.
Ci abbiamo messo quasi 6 ore tra discesa e salita e siamo arrivati in cima molto stanchi.
La sera, dopo una doccia mai così desiderata che ci ha tolto stanchezza e qualche tonnellata di polvere, facciamo 4 passi per l’Old Town di Flagstaff (bella!), ci beviamo un paio di Sasquatch (una birra nera locale stile Guinness) che ci ammazzano del tutto.
E poi… buona notte! Domenica 17: partiamo da Flagstaff alla volta di Los Angeles per ricongiungerci al nostro punto di partenza. Durante il tragitto ci fermiamo 3 ore allo Joshua Tree National Park (anche qui fa un caldo infernale e gli sforzi del giorno prima ci tolgono brillantezza) in cui affrontiamo un paio di morbide escursioni (Mastodon Peak e giardino dei Cactus) che ci permettono di apprezzare la notevole varietà di piante (in particolare grasse) che ci sono nel parco: cactus di ogni tipo, alcuni bellissimi e fioriti, piante di jucca enormi, fiori bellissimi… insomma un grande spettacolo.
Ripartiamo alla volta di Los Angeles verso metà pomeriggio perché temiamo di essere inghiottiti nuovamente dalla coda mostruosa in tangenziale, ma questa volta fila tutto liscio e alle 18.30 siamo già al Motel nei pressi dell’aeroporto.
Cena frugale al fast food e serata dedicata alla sistemazione dei bagagli, orso di legno incluso.
Per la cronaca finirà nell’enorme zaino da montagna di Nadia in cui entra per miracolo e lo riempie fino quasi a farlo esplodere. Speriamo bene per il check in!.
Lunedì 18: arriviamo presto in aeroporto dopo aver restituito la nostra auto al Rent Car; sbrighiamo le pratiche e siamo pronti a ritornare a casa, stanchi morti.
Abbiamo vissuto quasi 20 giorni in moto perpetuo senza pause perché siamo convinti che viaggi del genere vadano vissuti così, senza risparmiarsi per non avere rimpianti dopo, dando tutto fino all’ultima energia.
Questo è il nostro modo di viaggiare… un po’ spartano, un po’ selvatico ma incredibilmente soddisfacente. Ciao a tutti! Francesco e Nadia.