Hannah Montana, Malibù e la Death Valley: 15 giorni in California si organizzano così

Scritto da: Bissi Bossy
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hannah montana, malibù e la death valley: 15 giorni in california si organizzano così

In ritardo di qualche anno causa pandemia e con una serie di infiniti tentativi di pagamento ma soprattutto con una compagnia aerea destinata ad entrarci nel cuore anche per il suo nome ammiccante, il mio travel companion ed io partiamo alla scoperta del golden state: la California. Unica regola: se Spotify mette Madonna non si cambia canzone.

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Diario di viaggio in California

Giorni 1 e 2: porchetta a colazione e gelato tra le nuvole

Come sempre nella vita le persone che hanno comprato i voli non sono le stesse persone che poi li devono effettivamente fare e quindi in questo caldo martedì di agosto ci ritroviamo a prendere un treno per Roma perché Fiumicino ci sembrava costare molto meno delle altre opzioni (Euro 750 a testa andata/ritorno a cui aggiungere Euro 50 di treno andata/ritorno da Roma a Bologna) Spoiler: considerando i disagi, il caldo e la stanchezza forse non una idea geniale, ma da questa esperienza non abbiamo imparato nulla e continuato anche dopo a comprare voli con scali improbabili.

Ormai siamo qua e quindi ci godiamo un’ottima carbonara e soprattutto una colazione con porchetta prima di imbarcarci. La compagnia aerea prescelta è irlandese, la incredibilmente verde Aer Lingus (nessuna ironia) e infatti comodo scalo a Dublino di un’ora con dogana americana prima di un volo infinito allietato solo da House of Gucci e un gelato alla panna offertoci mentre sorvolavamo i ghiacciai. Los Angeles ci accoglie con un tramonto emozionante e noi siamo pronti a diventare le prossime Julie Cooper Nichols Roberts Cooper.

Giorni 3 e 4: Los Angeles ma senza macchina

Sempre con la stessa teoria del filtro “più economico” e vari altri disagi organizzativi, la nostra avventura statunitense inizia senza l’elemento più indispensabile in un road trip: la macchina. Non ci perdiamo d’animo e sperimentiamo Los Angeles attraverso tre diversi mezzi di trasporto:

  1. La fase Hop-On Hop-Off (Euro 45 a testa per accedere a qualunque bus della giornata da qualunque fermata) che inizia con una fermata inesistente ma ci permette di vedere Beverly Hills e Rodeo Drive dove mangiamo con delle Real Housewives una insalata da Euro 25 e un cupcake con troppo cioccolato erogato da una macchinetta automatica, Venice Beach dove gli skater sono molto affascinanti ma l’atmosfera generale non ci convince e Santa Monica dove ci innamoriamo completamente complici anche le pericolosissime montagne russe del Pier (Euro 10 per giro e chi siamo noi per non farne almeno due)
  2. La fase metro perché, quando davanti alla Walt Disney Concert Hall non troviamo nessuna traccia della fermata di Hop-On Hop-Off, pensiamo ingenuamente che siamo cittadini del mondo viaggiatori esperti uomini veri e donne guerriere che hanno preso svariate metro in svariate città, inclusa New York, e non saranno certo i racconti terrificanti sulla metro di Los Angeles a spaventarci e quindi decidiamo di spostarci alla fermata successiva con questo mezzo così efficiente e così economico, un biglietto è meno di Euro 2. Prima pessima decisione della vacanza (forse l’unica così tremenda, le altre sono discutibili ma le rifarei) che ci costringe a venti minuti di pura ansia nei vagoni sotterranei a diretto contatto con tutte le difficoltà, ipocrisie e malesseri di una città meravigliosa ma non accessibile a tutti.
  3. La fase Uber che non solo costa meno dei taxi di Milano (la tratta LAX – centro città ci è costata Euro 35 a testa per oltre un’ora di viaggio) ma è super efficiente e ci permette di rientrare dal Pier all’hotel senza rischiare la vita o correre dietro ad un bus e come tutte le vacanze appena iniziano ancora ti illudi di avere budget a disposizione e ti permetti di chiamare Uber con serenità, preparatevi perché questa illusione durerà ancora poco.

Alla fine di questa variegata esperienza di trasporti (mancavano solo i rollerblade ma ci piaceva l’idea di non sanguinare subito) andiamo a ritirare la nostra fedele compagna ed elemento fondamentale del road trip: la macchina (Euro 500 a testa per dodici giorni, benzina esclusa). E così inizia la discesa verso la prima tappa.

Giorni 5 e 6: Surf per gli altri, tacos per noi e San Diego

Sicuramente è necessario riconoscere la spigliatezza con cui il mio travel companion inizia l’avventura automobilistica californiana e in due ore ci porta nella meravigliosa San Diego. Complici il cielo azzurro, l’oceano blu, le palme verdi e gli incredibili surfisti, siamo già innamorati e cominciamo a fare i turisti:

  • Downtown dove palme e grattacieli si intrecciano e si trovano ottimi tacos a poco prezzo ma prestate molta attenzione alle vie prescelte per la passeggiata perché ci siamo imbattuti in situazioni poco piacevoli
  • Little Italy dove il caffè mi ha comunque delusa ma gli umarell che giocavano a bocce hanno compensato un pochino l’umore
  • Coronado dove ci sente quasi più poveri che a Beverly Hills e volendo si trova anche il bar che ispirato quello di Top Gun, ma noi eravamo troppo stanchi dal jet lag (mi sono letteralmente addormentata mentre davo indicazioni stradali al mio travel companion)
  • La Jolla che è sul podio dei posti più belli visti in California dove i tramonti sono davvero stupendi anche se gli shooting maternità delle americane sono molesti. Noi ci siamo goduti lo spettacolo dall’ UCSD Scripps Pier dopo un pomeriggio a fare le foche al sole e un breve momento in cui il giuramento di Ippocrate ha costretto il mio prode eroe di amico ad avvicinarsi al surfista/dio greco ferito da un animale non ben identificato nell’oceano per fingere di rendersi utile finché poco dopo non è arrivato il bagnino a sollevarci dall’imbarazzo
  • Grazie ai preziosi consigli di una amica abbiamo mangiato benissimo dal panino al pesce cotto al momento da El Pescador Fish Market (Euro 22 a testa), al brunch vista oceano da Duke’s (Euro 30 a testa) fino ai tacos per strada in una delle varie sedi di Taco Stand (Euro 12 a testa)

Vi ricordate quando dicevo che arriva nella vacanza il momento di vedere il budget – deformazione professionale – e rendersi conto che a questo ritmo dobbiamo trovare un lavoro per permetterci il resto della permanenza statunitense? Ecco dopo questo triste bagno di realtà decidiamo di imbarcarci nella prossima impresa: la spesa da Target (una banana al giorno compensa gli hamburger vero?). Che esperienza incredibile e vi prego comprate la merenda della Nutella coi pretzel, ma soprattutto che pessimo sapore ha l’acqua in California? E ora che abbiamo tutti gli snack necessari possiamo ripartire per il nostro road trip.

Giorni 7 e 8: California 1, dove tutto è blu e verde

Quando abbiamo pensato all’itinerario della vacanza ci siamo dati come obiettivo quello di goderci tutta la costa e nello specifico percorrere la California 1 detta anche Pacific Coast Highway e quindi i tre giorni successivi sono dedicati alla guida con alcune tappe imperdibili:

  • Laguna Beach dove tutto è molto verde e molto blu, dove ho deciso che mi sarei tatuata una palma (prima di sapere il prezzo), dove abbiamo inavvertitamente pagato due volte un parcheggio perché non avevamo capito che il parchimetro su entrambi i lati del palo forse riferito solo al parcheggio sottostante e non fosse per tutta la via (un saluto al signore a cui abbiamo offerto due ore di sosta).
  • Malibù, se dico Hannah Montana ho detto tutto giusto?
  • Santa Barbara dove abbiamo pagato un sovrapprezzo di Euro 4 per aggiungere il pollo ad una cesar salad che già costava Euro 16
  • San Simeon, una insenatura con affaccio sull’Oceano Pacifico piena di leoni marini, foche e scoiattoli e proprio questi ultimi hanno spinto il mio coraggiosissimo compagno di viaggio ad usarmi come scudo umano perché si sa che sono una specie super pericoloso.
  • Big Sur per cui abbiamo avuto una enorme fortuna a vederlo senza foschia, che nostro malgrado diventerà sempre di più una presenza fissa della vacanza
  • Monterey dove abbiamo dormito per una notte fingendoci vicini di casa (o meglio, vicini-lontanissimi con il nostro umile motel) delle protagoniste di Big Little Lies e soprattutto dove vi ritroverete dei leoni marini a meno di un metro da voi che producono un livello di rumore degno di un concerto metal
  • Menzione d’onore per l’assurdità a Pescadero dove abbiamo pranzato con dei veri cowboys e noi palesemente eravamo gli unici stranieri avvistati in paese da almeno un secolo

L’esplorazione della costa non può che portarci alla città dove già sapremo che ci innamoreremo e dove la foschia sarà una nostra grande nemica insieme al: San Francisco. Senza neanche passare dall’hotel andiamo diretti a conoscere il Golden Gate e facciamo l’unica foto al ponte prima che venga coperto dalle nubi.

Giorni 9-12: San Francisco ma non parla di te, Francesco!

La macchina non è il mezzo ideale con cui girare San Francisco per cui lasciamo il nostro bolide in un parcheggio a pagamento (Euro 30 al giorno) e ritentiamo la fortuna con i mezzi pubblici per i successivi quattro giorni. Noi avevamo aspettative altissime, soprattutto il mio travel companion per via dell’omonimia, e la città le ha anche superate. Di seguito un elenco senza ordine particolare di tutte le esperienze vissute in città che ricordo con più entusiasmo:

  • Abbiamo visitato la prigione di Alcatraz e personalmente la parte più interessante è stata la mostra finale sul sistema giudiziario americano, il razzismo sistemico che lo pervade e i dati oggettivi che comunque ne fanno mettere in dubbio l’efficacia (si potrebbe qui aprire un esteso discorso riguardo il tema carceri ma non è né il luogo adatto né ho le competenze adatte però sappiate che la visita genera spunti di riflessioni molto stimolanti). Parallelamente è altrettanto evidente la totale mancanza di riferimenti ai popoli nativi americani, alle loro rivendicazioni territoriali dell’isola e in generale alla loro presenza nella storia di questo luogo e di questa città.
  • Mission Dolores Park entrato nel podio dei posti più belli della vacanza semplicemente perché ricordo di esserci passata in una calda giornata di sole (evento raro per SF) e si stava proprio un gran bene, come a primavera quando esci dal lavoro e c’è ancora luce. Se vi capita passateci qualche ora a fingervi abitanti invece che turisti e poi nelle vie accanto è pieno di locali e birrerie per concludere la giornata.
  • Abbiamo trovato le due cose che più mi mancavano di più: caffè e prosciutto crudo a Little Italy. Poi dato che non ci sentivamo abbastanza italiani basic (ci tengo a precisare che abbiamo mangiato cucine da tutto il mondo incluso giapponese, cinese e indiano), abbiamo camminato per oltre venti minuti per andare a mangiare un gelato al bourbon consigliato dalla guida e ci è parso buonissimo.

Side note: la passeggiata era attraverso un quartiere residenziale di medio alta borghesia molto ben curato con case colorate stupende a cui, più spesso di quanto ci aspettassimo, si alternavano tende o rifugi approssimativi di persone senza fissa dimora spesso in stato di alterazione. Come già successo a San Diego ma in maniera anche più amplificata, a San Francisco è impossibile non notare i problemi e le difficoltà della società americana.

  • Sempre a proposito di cibo, nei nostri stessi giorni si trovano a San Francisco due amici del travel companion che ci propongono una cena stellata ma economica (effettivamente circa Euro 45 a testa senza vino) allo State Bird Provisions, dove puoi optare per il menù a la carte oppure i camerieri passano in sala con vassoi ciascuno recante un prezzo (in un range da Euro 3 a Euro 20) di diverse pietanze, dalle ostriche alla quaglia da cui prende il nome il locale. Esperienza divertente originale e soprattutto pensate a quattro turisti palesemente underdressed che contavano la spesa ad ogni ordinazione all’interno di un locale molto raffinato di gente che nemmeno leggeva il totale dello scontrino mentre pagava. Ricambiamo il favore portandoli a bere in uno speak easy, Bourbon & Branch, dove per entrare devi sapere la parola segreta, non puoi fare foto e per un paio d‘ore sembra di essere ai tempi del proibizionismo con degli ottimi barman.

Prima di lasciare San Francisco, torniamo a salutare il Golden Gate e poi in modo molto cinematografico, allungando la strada di quasi mezz’ora decidiamo di attraversarlo in macchina.

Giorni 13-15: orsi e ranger Frank allo Yosemite

Il meteo ci cambia i piani perché le incessanti piogge hanno allagato la Death Valley rendendo le strade inagibili e decidiamo a malincuore di cancellare la nostra prenotazione e optando per una notte in più al parco nazionale Yosemite. Aver fatto allagare un deserto è tra le migliori performance della nuvola di Fantozzi che spesso mi porto appresso in ferie.

Il consiglio che mi sento di dare è che una sola notte per ciascun luogo era troppo poco sia date le enormi distanze da percorrere negli spostamenti sia per effettivamente vedere e godersi entrambe le destinazioni. Le prime due notti dormiamo in questo b&b a circa un’ora di macchina dall’ingresso del parco disperso nella natura dove incontri dei daini mentre fai colazione e la sera puoi vedere la Via Lattea (oltre alla prima puntata di House of Dragon mangiando pasta pronta in una busta di plastica con gallette di riso come forchette). La proprietaria Ruth è una persona quantomeno eccentrica che all’arrivo ti requisisce per un interrogatorio e una serie utilissima di consigli sul parco che lei frequenta da oltre sessant’anni.

Il nostro primo impatto è a Mariposa Grove, al Welcome Plaza ci sono delle navette gratuite che ti portano all’inizio dei percorsi a piedi. Noi abbiamo scelto quello intermedio e ci accodiamo ad un ranger (ciao Frank) che, oltre a insegnarci la corretta pronuncia di Yosemite, ci ha spiegato la storia incredibile di queste sequoie.

Non possiamo andare via dal parco senza provare una vera escursione quindi dopo aver parlato coi ranger specificando di non avere le scarpe adatte. veniamo indirizzati alle Vernan Falls, le uniche cascate “attive” in estate. Il percorso è sfidante e la parte finale prevede enormi gradoni di roccia alti più delle mie ginocchia senza particolari misure di sicurezza per cui le mie sneakers di dieci anni non erano ideali ma la natura ripaga dello sforzo, anche se precisiamo che siamo ritrovati a farci un panino in bagno chimico all’arrivo perché le vespe attentavano alla nostra vita.

Nel cambiare itinerario decidiamo di prenotare una notte al campeggio dello Yosemite pensando di fare glamping e invece ritrovandoci a firmare una liberatoria che sollevi il parco da qualunque responsabilità nel caso di un attacco di un orso, a mettere tutti i nostri beni (alimentari e non) in un armadietto con apertura a prova di orso (giuro li definiscono così) e a dormire in una struttura per tre lati di cemento e come quarta parete una tenda in plastica che lasciava oltre venti centimetri da terra scoperta cosicché tutti gli animali potessero entrare e uscire liberamente. Per quanto sembri tutto tremendo, dritto al primo posto della vacanza per me è il ricordo del bagno nell’acqua gelata del laghetto lì accanto con vista sulle montagne e un simpatico americano in vacanza con la famiglia e gli amici (loro spontaneamente tutti gli anni da oltre dieci anni fanno le ferie in campeggio allo Yosemite) che aveva studiato a Bologna e adorava la nostra città.

La tenda offriva la possibilità di un letto a castello con materassi separati per la prima volta da due settimane ma noi terrorizzati da orsi e animali stiamo appiccicati sul letto matrimoniale cercando di dormire mentre la nostra vicina emette suoni paragonabili a quelli di un rinoceronte che ha mangiato pesante.

Giorni 16-17: Los Angeles, ma con la macchina

Per rientrare a Los Angeles abbiamo un’intera giornata di guida dove alle grandi autostrade americane a mille corsie, per circa tre ore si sostituisce un incubo di strada a due corsie circondata da lavori e una delle due carreggiate è costantemente piena di camion alti come un grattacielo medio di Milano. Per fortuna abbiamo all’incirca 70 minuti di audio – no non è una esagerazione ma proprio un podcast – di una amica ad intrattenerci.

Abbiamo ancora dodici ore americane prima dell’imbarco verso l’Italia e quindi con Miley Cyrus a tutto volume visitiamo (lo si può fare anche con un free tour come quello prenotabile gratuitamente su Civitatis.com) alcune aree della città nella nostra bucket list: Griffith Observatory per sentirci come James Dean, la Walk of Fame molto poco glamour e la scritta Hollywood che non delude.

Come ultimo atto americano decidiamo di recarci in un centro commerciale di Beverly Hills grande come un quartiere di Milano e usare gli ultimi dollari in contanti che abbiamo per sostituire le sneakers ormai devastate dalla vacanza. Per la cronaca, non credo di aver mai usato contanti i ma l’ansia per lo scenario di blocco improvviso delle carte di credito ci aveva fatto partire preparati. Se siete persone meno nevrotiche non vi servirà (poi ditemi il vostro segreto).

Siamo infine costretti a riconsegnare l’auto e accettiamo il passaggio dell’impiegato al LAX (ce lo ha poi addebitato in fattura) e rientriamo al fuso orario nostrano. Ultime informazioni pratiche, soprattutto economiche, per chi volesse organizzare un viaggio in California:

  • il volo e la macchina sono ovviamente le spese maggiori a cui aggiungere l’assicurazione viaggio (Euro 80 a testa) e una sim americana, indispensabile per le mappe e le indicazioni oltreché la musica (Euro 20 a testa)
  • per dormire considerando spirito di adattamento ma sempre bagno privato abbiamo speso in media Euro 55 a testa per notte. La più costosa era la stanza meravigliosa a San Diego vicino al mare per cui non ho resistito poi subito compensata dal motel fuori Santa Barbara qualche giorno dopo
  • la cena americana standard con hamburger e patatine sono minimo Euro 25 a testa salvo catene di fast food e diciamo che la media dei pasti a sedere difficilmente scende sotto Euro 30 per cui noi ci siamo adattati con la spesa per colazione e pranzi al sacco
  • opinione controversa ma che rivendico: Shake Shack è meglio di In-n-Out

Come sopravvivere alla fine delle ferie in California? Ordinando due caffè e un cappuccino a testa e cercando online a cosa serve il terzo pedale delle macchine manuali perché due settimane di cambio automatico mi avevano montato la testa.

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