“Oh!Oh! Cavallo Oh!Oh!

Uzbekistan/Turkmenistan “Oh! Oh! Cavallo, Oh! Oh!”La disgregazione dell’Unione Sovietica ha aperto al turismo le repubbliche centroasiatiche. Alessandro Magno (356-323 a.C.) si avventurò alla conquista di queste terre dopo aver sottomesso l’impero persiano; il regno dei Parti (sec. III a.C-III d.C), situato nell’odierno...
Scritto da: Lu.Ce.
oh!oh! cavallo oh!oh!
Partenza il: 01/06/2007
Ritorno il: 18/06/2007
Viaggiatori: in gruppo
Spesa: 1000 €
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Uzbekistan/Turkmenistan “Oh! Oh! Cavallo, Oh! Oh!”

La disgregazione dell’Unione Sovietica ha aperto al turismo le repubbliche centroasiatiche. Alessandro Magno (356-323 a.C.) si avventurò alla conquista di queste terre dopo aver sottomesso l’impero persiano; il regno dei Parti (sec. III a.C-III d.C), situato nell’odierno Turkmenistan, tenne testa vittoriosamente all’Impero Romano; Marco Polo (1254-1324) le attraversò nel suo viaggio verso la Cina; Gengis Khan (1162-1227) e Tamerlano (1336-1405) vi fondarono grandi imperi. Ora anche noi possiamo percorrere in sicurezza l’antica Via della Seta e visitare città di cui basta il nome ad evocare il mito: Samarcanda, Khiva, Buchara, Ashgabat.

___________________________________________________________ testo e fotografie di Lu.Ce.

Quando: aprile-giugno; settembre-ottobre Durata: 16 giorni Viaggio : aereo Alloggio: hotel, tenda Costo a persona: 1000 US$ a testa per un gruppo di 9 persone, escluso il viaggio aereo.

Shopping: *** Divertimento: ** Relax: * Cultura: ***** Globale: ****

Il mito di Samarcanda e della Via della Seta ha attaversato i secoli. Un viaggio in questi luoghi è sempre stato molto difficile per ragioni di costi, carenza di strutture ricettive e una situazione politica poco favorevole al turismo. Finalmente da una decina di anni anche questi paesi sono diventati accessibili. Chi non ha mai sognato di andare a Samarcanda? Ebbene, ora si può!. Naturalmente il turismo indipendente è ancora difficile: ci sono difficoltà nell’ottenere i visti, carenza nei mezzi di trasporto, difficoltà linguistiche, per cui è per ora consigliabile farsi aiutare da un tour operator locale. Comunque le strutture turistiche sono adeguate e stanno migliorando sempre più, le autorità non ostacolano i turisti e la gente è molto amichevole e ansiosa di conoscere tutto quanto viene dall’occidente.

Il nostro è stato un viaggio di un gruppo di nove amici. Che si sono procurati un volo Milano-Tashkent al miglior prezzo disponibile al momento e si sono fatti organizzare il viaggio da un tour operator locale contattato via e-mail. Vogliamo qui proporre un diario e fornire le informazioni utili a quanti vorranno ripercorrere questo itinerario..

1 Tashkent Partenza: Tashkent Tempo di Arrivo: Khiva spostamento: 2 h Distanza: 1032 km Mezzo: aereo + pullman L’arrivo all’aeroporto di Tashkent è puntuale alle 4,45. Il controllo dei passaporti e il passaggio doganale sono lunghissimi: c’è una lunga coda e la procedura è molto lenta, impieghiamo 2 ore. Occorre compilare un modulo in cui si dichiara tutta la valuta di cui si è in possesso nonché altri eventuali oggetti di cui si deve dichiarare il valore in US$. Fuori dall’aeroporto ci aspetta Irina, la nostra guida russa, in pullman in 15 minuti arriviamo nell’albergo prenotato. E’ centrale e lussuoso, ma non abbiamo molto tempo per godercelo, dopo una doccia e un breve riposo scendiamo a fare colazione: c’è un buffet abbondante e vario, bene, deve bastarci anche per il pranzo. Nella hall incontriamo Ferouza a cui paghiamo la prima metà del viaggio. Per cambiare un po’ di dollari dobbiamo fare il giro degli sportelli bancari di diversi hotel: sembra incredibile, ma le banche scarseggiano di valuta locale. Andiamo nella città vecchia a visitare il complesso islamico Khast Iman. C’è una grande piazza intorno alla quale ci sono gli edifici religiosi: il mausoleo di Kaffal Shoshi, l’Istituto Islamico in restauro, la madrasa (scuola coranica) di Barak Khan dove risiede il Gran Muftì (una specie di arcivescovo) dell’Asia Centrale. Sono in costruzione una nuova grande moschea e un museo dove sarà messo il Corano di Osman del VII secolo, considerato il più antico del mondo, al momento non visibile. Qui accanto, di fianco a un canale dall’acqua torbida in cui i bambini fanno il bagno, si snodano le viuzze sabbiose della città musulmana con casette di mattoni di argilla, dove si può visitare un laboratorio artigianale di tessitura della seta. Poco lontano su una collinetta la Madrasa di Kukeldash è una scuola coranica funzionante, l’ingresso è a pagamento, sull’ampio cortile si affacciano le aule; visitiamo l’aula di calligrafia, dove ci vengono illustrati i vari tipi di scrittura araba e ci viene spiegato come la calligrafia sia un’arte non inferiore alla pittura. Uscendo dalla madrasa attraverso la porta opposta all’entrata ci affacciamo sul Chorsu bazar, grande e animato. E’ situato sotto una grande cupola, ma una buona metà si espande all’esterno con centinaia di bancarelle protette da tende bianche. E’ il paradiso dei fotografi: si vende veramente di tutto. Molto fotogenico è il mercato delle spezie e della frutta: le polveri colorate e le montagnole rosse di ciliegie e lamponi attirano gli scatti. Troviamo inoltre catini colmi di spaghetti (ammesso che siano spaghetti), enormi piatti di verdure tagliate, le ruote di pane decorato tipico dell’Asia Centrale, scope di saggina e altri oggetti di uso quotidiano.

Dopo una breve sosta a un bar nella città nuova ci rechiamo alla Madrasa di Absul Khasim trasformata in centro artigianale. In ogni celletta un artigiano espone i suoi prodotti: pittura, ceramica, lavori in legno, ecc..Questa madrasa si trova in una zona di parchi con alberi, prati e fontane tra il Palazzo dell’Amicizia tra i Popoli, eredità sovietica, da cui lo separa una serie di fontane e l’Oliy Majlis (parlamento). In una tranquilla zona residenziale di ville con giardini si trova il Museo di Arti Applicate, dove si visita una esposizione di tessuti, ceramiche, gioielli e armi. E’ ormai tempo di andare all’aeroporto, terminal nazionale. Il nostro volo per Urgench parte puntuale alle 18; arriviamo in poco più di un’ora. Qui ci attende un pullman che percorre rapidamente i 30 km che ci separano da Khiva: la strada è bella, a quattro corsie, il traffico è scarso, ci sono però anche carri a trazione animale, pecore e qualche mucca. Attraversiamo una pianura coltivata a cotone, grano e alberi da frutta grazie all’acqua dell’Amu Darja; c’è ancora qualcuno che lavora nei campi nonostante l’ora. Dopo la cena in albergo, dove arriviamo alle 20, non possiamo fare a meno di fare un primo assaggio di medioevo: alla luce della pila frontale entriamo dalla porta sud nell’Ichon-Kala. Le strade sono sterrate e sconnesse, le case di fango, ci sono persone sedute in strada davanti a casa, i bambini giocano al buio. Qualche edificio è illuminato, a rovinare l’atmosfera medioevale provvedono una TV accesa che si intravede da una finestra e una macchina parcheggiata in uno slargo.

2 Khiva Partenza: Khiva Tempo di Arrivo: Khiva spostamento: tutto il giorno Distanza: alcuni km Mezzo: a piedi Tuffo nel medioevo: oggi ci attende la visita dell’Ichon-Kala..

Il nostra albergo è appena fuori dal South Gate. Usciamo a dare un’occhiata prima di colazione, la scena è piuttosto animata e colorita: sotto le mura merlate e turrite è parcheggiato un carretto mentre un bambino trattiene l’asino per la briglia, un ragazzino con la maglia di Shevchenko sta entrando dalla porta, alcune donne trasportano dei secchi d’acqua e un uomo si sta tirando dietro una mucca.

Dopo colazione inizia la visita ufficiale con Irina. Dobbiamo recarci all’ingresso principale per fare il biglietto Passiamo accanto al minareto di Islom-Huja costruito nel 1908-10 da un ministro del Khanato di Khiva insieme alla madrasa adiacente. E’ alto 45 metri ed è decorato con strisce orizzontali di piastrelle blu, verdi, azzurre e bianche. Svoltiamo a sinistra, subito dopo a destra c’è il Mausoleo di Pakhlavan Makhmud, santo protettore di Khiva, poeta e lottatore del 1300 molto venerato. E’ un luogo di culto in cui i fedeli entrano a pregare insieme al mullah portando dei doni (pane, polli, ecc.). C’è un cortile con un pozzo, in fondo c’è la camera con la tomba del khan Mohammed Rakim II (1865-1910) e a sinistra di questa, protetta da una grata, c’è la tomba di Pakhlavan Makhmud. Di fianco al cortile ci sono le tombe di Asfandiar-Khan, suo figlio e sua madre. Quest’ultima è l’unica tomba occupata, il khan e suo figlio furono uccisi fuori dalle mura e secondo le leggi di Khiva il morto non può entrare in città. Arriviamo alla via principale che attraversa l’Ichon-Kala da est a ovest e ci dirigiamo verso il West Gate; ci sono le bancarelle, i negozietti per i turisti e un cammello preso d’assalto per le foto ricordo; i locali vanno in giro riparandosi dal sole con l’ombrello. Dopo aver fatto il biglietto e il permesso per fotografare visitiamo Kukhna Ark la residenza del khan (1804-1806). Si passa accanto alla prigione dove sono illustrate le condanne inflitte al’epoca del khanato: impalamento, lancio dal minareto, essere rinchiusi in un sacco con dei gatti selvatici (riservato alle prostitute), si visita la sala del trono a forma di ajvan (porticato) nel cui cortile una piattaforma era riservato alla yurta reale, accanto ad essa si sedeva il khan durante i ricevimenti. Si visitano poi la moschea all’aperto: un terrazzo con due file di colonne in legno e pareti e torri laterali rivestite di maioliche; il soffitto a travi rotonde è dipinto con motivi rossi, verdi, bianchi e blu; la moschea invernale che contiene un museo storico dedicato agli scienziati di Khiva, tra cui Al-Khorezmi il matematico inventore dell’algebra, il famoso medico Avicenna e altri; segue la zecca che ospita un museo in cui sono esposte, tra le altre cose, delle banconote stampate su seta. Dalla parte opposta della piazza di fronte all’Ark sorge la Madrasa di Mohammed Rakhim Khan (1863-1910), che contiene un museo dedicato all’ultimo periodo del khanato di Khiva, che nel 1873 venne occupato dalle truppe zariste. Accanto all’Ark sorge la più grande madrassa di Khiva fatta costruire da Muhammed Amin Khan (1845-1855) che in 125 celle era in grado di ospitare 260 studenti; attualmente è trasformata in albergo. Il minareto relativo è il Kalta-Minor interamente ricoperto di piastelle verdi-azzurre. La costruzione di questo minareto, destinato a diventare il più alto dell’Asia Centrale, fu interrotta all’altezza di 26 metri per la morte del khan. Attraversiamo ora l’Ichon-Kala e andiamo a visitare il Tosh-Khovli (casa di pietra) considerato l’harem di Alla-Kuli-Khan (1825-1842). Alla sinistra del cortile ci sono 5 ajvan (porticati) con colonne, finemente decorati, per il khan e le sue quattro mogli. Le camere sui due piani della parte destra erano riservate a servi, parenti e concubine. Poco oltre si entra nel bazar di Alla-Kuli-Khan, galleria commerciale che dà accesso al bazar moderno e al caravanserraglio che attualmente ospita i grandi magazzini. E’ arrivata intanto l’ora di pranzo per cui siamo al posto giusto per comprarci qualcosa da mangiare.

La visita prosegue nel pomeriggio. Il piccolo mausoleo di Sayid Alauddin del 1300 è un luogo di culto molto frequentato, ci sono la sala di preghiera e la tomba piastrellata di Sayid Alauddin. Torniamo sulla via principale e svoltiamo a destra fino al minareto e alla moschea Juma situati al centro della città: entriamo e ci troviamo in un’ampia sala in penombra con un soffitto piatto sostenuto da una selva di 212 colonne intagliate di varia epoca e provenienza; all’ingresso una colonna finemente decorata risale al 1300 e sarebbe stata portata dall’India da Pakhlavan Makhmud, nella decorazione è inserita una figura umana, vietata dalla religione musulmana, in cui si è voluto vedere l’immagine di Budda. Poco oltre la Madrasa di Abdulla Khan del 1855 contiene il museo della natura: piante e animali impagliati dell’Uzbekistan. E’ un museo polveroso e piuttosto mal tenuto, di stile sovietico. Di fronte c’è la moschea Aq (Bianca) del XVII secolo, trasformata in negozio di tappeti. Dal lato opposto della strada la madrasa di Kutlug-Murad-Inak del 1809 contiene nel cortile una cisterna d’acqua sotterranea (sardoba). In fondo alla strada, accanto al bazar, troviamo infine due madrase sovrapposte: la più antica del 1688 è la madrasa Kujamberdibia, sopra la quale è stata costruita nel 1835 la madrasa di Alla –Kuli-Khan , ora sede del centro artigianale dell’UNESCO.

3 Le fortezze nel deserto Partenza: Khiva Tempo di Arrivo: Khiva spostamento: 7 h e ½ Distanza: 200 km Mezzo: pullman Oggi è prevista l’escursione alle fortezze nel deserto. Decido di fare un giro in città prima di colazione, approfittando della temperatura fesca. Gli abitanti dell’Ichon-Kala dormono ancora, all’aperto, davanti a casa su una specie di divano-letto o su un tappeto. Attraversiamo la città addormentata e giungiamo al West Gate, uscendo vediamo sulla sinistra la statua di Al-Khorezmi (787-850), il matematico inventore dell’algebra, una delle glorie di Khiva; in fondo un grande dipinto illustra la via della seta: da Osaka, in Giappone, fino a Roma, passando per la Cina, l’Asia Centrale dove ora ci troviamo, Damasco, Istanbul e Venezia.

Dopo colazione, partenza alle 8 per il deserto. Si torna a Urgench e ci dirigiamo verso Cholish attraverso una grande pianura coltivata formata da appezzamenti rettangolari separati da canali di irrigazione. Giungiamo al ponte galleggiante sull’Amu Daria dove si paga un pedaggio, scendiamo dal pullman e attraversiamo a piedi, sembra che il ponte non regga gli autobus coi passeggeri. Oltre il fiume siamo nella repubblica autonoma del Karakalpakistan. Passiamo da Beruny e ci dirigiamo verso Nukus attraverso una pianura coltivata e pascoli con mucche. Incontriamo alcuni villaggi agricoli, superiamo Abay, che segna la fine delle coltivazioni e l’inizio di un deserto cespuglioso. Dopo Abay prendiamo una stretta strada asfaltata a destra, attraversiamo un passaggio a livello non custodito e al successivo incrocio a T prendiamo a sinistra. Naturalmente non c’è nessuna segnalazione, se non si conosce la strada non si arriva da nessuna parte. Ci sono ancora case di contadini e appezzamenti coltivati con gente al lavoro. A sinistra è visibile dalla strada, ma non accessibile, Kisil-Kalà, piccolo avanposto militare del I-II sec. Con mura di argilla. Al successivo incrocio a T si prende a destra, si supera un villaggio e si imbocca la prima strada sterrata a sinistra: poco lontano raggiungiamo Tobrak-Kalà (90 km da Khiva), grande fortezza del I-II sec.Con tre torrioni, un palazzo, il tempio del sole del culto di Zoroastro, la zona artigianale e la piazza. Le mura della fortezza sono crivellate da buchi in cui nidificano gli uccelli che a centinaia planano nell’aria, portati dalle correnti ascensionali. Io la chiamerei “Fortezza degli Uccelli”. Si torna sulla strada asfaltata e si prosegue a sinistra, passando accanto a un lago; ora la campagna è irrigata e coltivata, ci sono contadini al lavoro, case coloniche, mucche al pascolo, carretti e biciclette. Attraversiamo un villaggio, poco dopo a sinistra imbocchiamo un’altra strada asfaltata segnalata da un cartello verde in cirillico, attraversiamo un altro villaggio di casette con tetti di lamiera. Ora la strada è bella e alberata e corre tra due canali di irrigazione, dopo alcuni chilometri si comincia a vedere la fortezza, l’asfalto finisce e finiscono le coltivazioni. Proseguiamo su una strada sterrata nel deserto fino ai piedi di una collina: in basso ci sono i resti del palazzo e in cima la fortezza Ayaz-Kalà. Saliamo a piedi, all’interno non c’è niente, ma dall’alto delle mura lo spettacolo è suggestivo: siamo forse nel Deserto dei Tartari? E questa non è la Fortezza Bastiani? Dov’è il tenente Drogo? Scendiamo dalla parte opposta e raggiungiamo il campo delle yurte alimentato a energia solare, dove volendo si può pranzare e anche pernottare. Prendiamo il the in una yurta, l’interno è effettivamente fresco, mentre dalle porte lasciate aperte entra una gradevole brezza, scattiamo le ultime foto e prendiamo la via del ritorno: per Khiva ci sono 100 km.

Prima di cena abbiamo il tempo di fare un altro giro dell’Ichon-Kala. La porta est, dove un tempo si teneva il mercato degli schiavi, è chiusa, per cui andiamo a osservarla dall’esterno girando intorno alla mura, attraverso un quartiere residenziale di case piuttosto malandate di argilla impastata con paglia e strade sterrate. Si possono osservare le cupole del passaggio attraverso le mura, di fronte c’è una moschea in uso da cui si leva il canto (registrato) del muezzin. Insieme a Irina torniamo quindi al Kukhna-Ark e saliamo sul bastione Shihbobo per goderci il panorama delle mura e della città al tramonto; nel cortile fervono i preparativi per una cena con concerto a cui non siamo invitati per cui veniamo gentilmente pregati di andarcene.

4 Il cratere infuocato Partenza: Khiva tempo di Arrivo: cratere infuocato spostamento: 13 h Distanza: 560 km Mezzo: pullman + fuoristrada Oggi lasciamo l’Uzbekistan. Partiamo alle 8 e ci dirigiamo verso il confine, naturalmente bisogna conoscere la strada perché le indicazioni come al solito mancano. Superiamo i centri abitati di Qoshkopir, Shovot e alcuni piccoli villaggi; la campagna è irrigata e coltivata e la strada procede tra due filari di gelsi bassi che vengono sistematicamente potati onde utilizzarne le foglie per l’alimentazione dei bachi da seta. Alle 9 siamo alla frontiera che dista un centinaio di km. In un’ora sbrighiamo le formalità doganali uzbeche, salutiamo Irina e percorriamo con i bagagli i 100 metri che ci separano dal confine, qui ci sono dei taxi in attesa che ci trasportano per 1 km fino alla dogana turkmena: ci accoglie un grande ritratto e il benvenuto del presidente, sarà ancora quello vecchio (Niyazov) o quello nuovo appena eletto, dal nome che sembra uno scioglilingua (Berdymuhamedow Gurbanguly)? Consegnamo i passaporti e aspettiamo seduti sul marciapiede sotto il sole. Verso le 11 arriva Maksat, un militare che sarà la nostra prima guida in Turkmenistan; riempie vari moduli, scritti solo in lingua locale per cui sarebbe veramente arduo compilarseli da soli. Compiliamo una dichiarazione valutaria analoga a quella dell’Uzbekistan, consegnamo due fotografie e paghiamo un totale di 65 US$ a testa, i nostri bagagli vengono sottoposti a un controllo radiografico come in aeroporto, dopo di che ce li riprendiamo e percorriamo gli ultimi 100 metri che ci separano dai nostri fuoristrada in attesa. In tutto il passaggio del confine ha richiesto 3 h e ½.. Andiamo a pranzo al ristorante Nadira di Dashoguz, la strada per la città è piena di buche, in città ci sono grandi viali alberati con spartitraffico fiorito. Mangiamo dei buoni ravioli russi accompagnati da un delizioso pane caldo a ciambella con impresso un disegno decorativo al centro, analogo, anche se un po’ più piccolo, al pane di Khiva. Partiamo per Konye-Urgench da cui ci separano 130 km. Usciamo da Dashoguz tra grandi palazzi colore pastello, notiamo subito quella che sarà una costante del paesaggio urbano in tutto il paese: da ogni balcone e da ogni finestra si affaccia un’antenna parabolica. All’uscita dalla città ci sono un posto di blocco e un grande arco con la foto del presidente. Superiamo i centri abitati di Volunk, Akbolson, Gubadag, la strada è diritta e piana, attraversiamo la cittadina di Boldumesaz con nuovo posto di blocco e giungiamo a Konye-Urgench. Dopo aver fatto benzina (400 MANAT per 1 litro, il che corrisponde a 57 litri per 1 dollaro) ci dirigiamo verso la zona archeologica. L’antica Urgench, distrutta e ricostruita più volte, venne definitivamente abbandonata quando l’Amu Daria cambiò il suo corso nel XVI secolo. Rimangono pochi monumenti alla periferia sud della città nuova, ai lati della strada per Ashghabat. Approfittiamo della presenza di alcuni cambiavalute non ufficiali e con l’aiuto della nostra guida cambiamo un po’ di dollari al mercato nero, come è la regola in Turkmenistan. Di fronte alla biglietteria si trova il Mausoleo di Turaberg Khanym del XII sec., considerato uno degli edifici più belli dell’Asia Centrale. E’ interamente di mattoni, con cupola e ha il tetto parzialmente distrutto. L’interno è decorato con maioliche smaltate e i particolari architettonici formano un gigantesco calendario in cui sono rappresentati i giorni, i mesi e le stagioni. Dall’altro lato della strada attraversiamo un cimitero oltre il quale svetta il minareto di Gutlug Timur del 1320 alto 64 metri anche questo di mattoni e simile al camino di una gigantesca fornace. Poco oltre arriviamo al mausoleo di Tekesh del XII sec. Con copertura conica, attualmente avvolta da impalcature per il restauro. Proseguendo raggiungiamo il piccolo mausoleo di Il-Arslan, morto nel 1172, padre di Tekesh. E’ un edificio piccolo di forma cubica, sormontato da una copertura piramidale con dodici lati e una decorazione di mattoni disposti a zig.Zag. Ripartiamo, troviamo subito un posto di blocco in cui ci controllano i passaporti. Ora la strada asfaltata, ma stretta e sconnessa, corre in un deserto di cespugli, ogni tanto c’è ancora una coltivazione, incontriamo greggi di capre e qualche mucca. Giungiamo al villaggio di Sadulla Razmetow a 65 km da Konye-Urgench dove riprendono le coltivazioni grazie a un canale che porta l’acqua dell’Amu-Daria. All’incrocio sulla destra un edificio rettangolare di mattoni senza insegna è un bar-ristorante dove facciamo una breve sosta. Se chiedete del bagno vi indirizzano a uno sgabuzzino in mezzo ai campi che preferisco non descrivere. Proseguiamo e poco dopo sulla destra sono visibili le rovine di una fortezza medioevale, un tempo luogo di sosta lungo la via della seta; un piccolo aereo sta irrigando i campi con insetticida. Al successivo incrocio con una strada che porta a Dashoguz c’è un posto di blocco in cui ci controllano i passaporti, un cartello indica che Ashghabat dista 440 km. Qui vediamo che è in costruzione una nuova strada di fianco a quella che stiamo percorrendo, superiamo il villaggio di Sa Mulki e ci addentriamo in una zona collinosa, la strada sale un po’ e fa anche qualche curva in un deserto di cespugli rinsecchiti. Nuovo posto di blocco con controllo passaporti accanto a un altro canale di irrigazione. Ora il deserto diventa sabbioso, la strada pessima sale e scende fra le dune, a un passaggio a livello assistiamo al transito di un treno che trasporta minerali. Appena dopo lasciamo la strada asfaltata e imbocchiamo una pista, non segnalata, a sinistra che sale sulle dune; i nostri autisti si lanciano in una spericolata esibizione di guida sulla sabbia, mentre il sole sta tramontando, evidentemente conoscono il percorso a memoria. In lontananza un bagliore rossastro infrange le ombre della notte, che sta calando rapidamente. Il bagliore aumenta sempre più, finchè arriviamo a un tratto pianeggiante, ci fermiamo, scarichiamo i bagagli e mentre Maksat e i suoi amici preparano il campo, ci avviamo a piedi verso la porta dell’inferno.

Lo spettacolo è grandioso: in un buco ovale di centinaia di metri di diametro un gigantesco fornello a gas sta bruciando senza fumo, mentre stormi di uccelli bianchi illuminati dalle fiamme disegnano nel cielo notturno costellazioni volanti. Con prudenza ci si può avvicinare finchè la temperatura lo consente. Naturalmente le foto si sprecano. Dopo la cena consumata al campo su un tappeto steso sulla sabbia, torniamo al cratere a fare altre fotografie e infine ci ritiriamo nelle nostre tende.

5 Partenza: cratere infuocato Tempo di Arrivo: Ashghabat spostamento: 6 h Distanza: 300 km Mezzo: auto fuoristrada Notte in tenda. Verso le 5 siamo svegliati da un leggero tamburellare, mi affaccio: piove! Incredibile, mi avevano detto che nel deserto del Karakum non piove mai. Non mi resta che portare i bagagli in tenda e tornare a dormire un paio d’ore. Speriamo che la pioggia non spenga le fiamme.

La pioggia è cessata, ma il tempo è incerto. Prima di colazione salgo sulla collina che domina il nostro campo per fare le foto del cratere e del campo con le tende. Nuova visita al cratere dopo colazione e altre fotografie. Alle 8 si parte, facciamo una sosta presso una yurta lungo la pista, ci sono dei pastori nomadi che vivono lì, con cammelli, capre a animali da cortile in un recinto; l’energia elettrica è assicurata da un motore a benzina e non mancano il frigorifero e la televisine con antenna parabolica. Torniamo alla strada asfaltata, ora la strada è nuova, appena costruita, e corre sempre tra le dune del deserto. Dopo circa un’ora imbocchiamo una deviazione a sinistra, una piccola strada asfaltata, senza indicazioni, a tratti coperta di sabbia, che conduce a Yerbent villaggio grande, costruito sulle dune, di casette bianche, yurte e casette di fango. E’ arrivato anche l’autobus di linea, che sta aspettando i passeggeri, accanto c’è il distributore di benzina, consistente in una serie di tanniche di carburante allineate. Facciamo una breve passeggiata, ci sono dromedari legati ai pali e recinti con dromedari che stanno cambiando il pelo, molte galline, massicci camion sovietici (funzionanti?) a cui sono legate le capre. La gente è molto amichevole, ci saluta e si fa fotografare. C’è anche un monumento alla resistenza turkmena antisovietica. Tornati alla strada principale c’è subito un controllo della polizia, che vuole vedere i nostri passaporti. Oltrepassiamo i villaggi di Bokurdok e Chalis in un’oasi coltivata. Dopo un nuovo controllo della polizia finisce il deserto, compare una catena di montagne all’orizzonte, ora c’è qualche casa e la strada corre tra due file di alberi. La strada diventa a quattro corsie separate e giungiamo alla porta d’ingresso di Ashgabat. Comincia anche il traffico, superiamo un canale, passiamo accanto all’aeroporto e ci dirigiamo verso il centro della città. La strada è un grande viale con alberi, prati,fiori e siepi; il centro cittadino è un insieme di parchi e fontane, costellati da grandi edifici di marmo bianco. Siamo finalmente arrivati ad Ashgabat “la città bianca”, “la nuova stella dell’Oriente”. Ci dirigiamo verso il quartiere degli alberghi e ci sistemiamo al nostro hotel, accanto a un grande viale a quattro corsie, lo spartitraffico è un prato verde perfettamente rasato e curato e poco lontano c’è il grandioso edificio del Museo Nazionale. Andiamo a pranzo in centro presso il ristorante della nostra agenzia: in nostro onore ci servono degli spaghetti al ragù! Dopo pranzo facciamo una passeggiata in centro, certamente Ashgabat merita la visita: il contrasto con quanto abbiamo visto finora è stridente. Pare che i proventi ottenuti dalla vendita delle risorse naturali del paese, petrolio e gas, vengano usati per abbellire la capitale: gli edifici di marmo bianco si sprecano, ci troviamo in un immenso parco fiorito, solcato da enormi viali alberati, dovunque ci sono fontane e monumenti. In piazza Indipendenza saliamo sull’Arco della Neutralità, che richiama vagamente la Tour Eiffel, in cima c’è la statua dorata del presidente Niyazov, che gira seguendo il percorso del sole; la statua poggia su un basamento formato da cinque anelli su cui sono riprodotti a bassorilievo i disegni del cinque tipi di tappeto del Turkmenistan. Dall’alto c’è uno splendido panorama sulla piazza, sul palazzo del presidente, sul Parlamento e sul monumento ai terremotati: un toro in bronzo che regge un bambino. Su un edificio accanto alla “Tour Eiffel” troneggia una gigantografia del nuovo presidente appena eletto, chissà se tra breve anche la statua dorata sarà sostituita? Proseguendo la passeggiata passiamo accanto agli edifici di vari ministeri, la banca nazionale, l’Università. Giungiamo fino al monumento al cavallo turkmeno, l’orgoglio del paese, davanti al quale troneggia l’onnipresente statua dorata di Niyazov, questa volta col mantello. Ci rendiamo conto che c’è un costante controllo della polizia con divisa e senza e che, per motivi misteriosi, alcune cose non si possono fotografare. Vorremmo tornare in albergo a piedi ma siamo praticamente costretti da Maksat, che non ci ha lasciato un minuto, a prendere un taxi. Probabilmente ha ragione lui, l’albergo è troppo lontano.

La cena è al Trade Centre Golden Century (Altyn Asyr): dal ristorante panoramico lo spettacolo della città illuminata è straordinario. E’ evidente come l’eletttricità non costi nulla. Dopo cena una breve passeggiata attraverso il Ruhnama Park ci permette di ammirare il monumento dedicato al libro scritto da Niyazov (intitolato appunto Ruhnama, che significa “libro dell’anima”), circondato dalle colonne dedicate ai suoi antenati. Poco lontano c’è la colonna dell’indipendenza alta 91 metri (il 1991 fu l’anno dell’indipendenza), che vedremo domani.

6 Ashgabat Partenza: Ashgabat Tempo di Arrivo: Ashgabat spostamento: 1 h Distanza: 50 km Mezzo: pullman Da oggi siamo affidati a Tatiana, una guida russa che parla inglese e ci accompagnerà per il resto del nostro viaggio in Turkmenistan.

Oggi è giovedì ed è il giorno giusto per visitare il mercato di Tolkuchka. Si trova alla periferia nord della città oltre l’aeroporto, dopo il canale del Karakum. C’ è un grande parcheggio zeppo di automobili, pullman e furgoni. All’esterno della porta principale troviamo il mercato di generi alimentari: frutta, verdura, pane, enormi vassoi di insalata già pronta e condita, collinette di carote tritate, piramidi di pomodori e montagne di angurie; i colori vivaci e la disposizione scenografica delle merci sono un invito per i fotografi. Subito dopo l’ingresso c’è la zona più interessante per i turisti, dove si vendono le merci tradizionali del paese: tappeti, tessuti, cappelli, colbacchi, borse, gioielli, lane variopinte. Più in là si estende il mercato dove si vendono le merci di uso quotidiano per i locali: vestiti, scarpe, casalinghi. Non mancano i punti di ristoro dove si cucinano spiedini, da cui si levano colonne di fumo. C’è una grande folla, tra cui a volte è difficile farsi largo, composta da turkmeni in abito tradizionale e russi vestiti all’occidentale. Naturalmente le foto si sprecano.

Dopo il mercato, che ci occupa per l’intera mattinata, andiamo a pranzo al Turkmenistan Hotel, un posto elegante in centro città, in cui ci sentiamo un po’ fuori posto col nostro abbigliamento piuttosto “informale”. Ci dirigiamo quindi al Museo Nazionale, che si trova nel quartiere di Berzengi, non lontano dal nostro albergo. E’ un imponente edificio di marmo a cupole, preceduto da due ali semicircolari di colonnato tipo piazza S. Pietro e da una grande fontana. L’interno è grandioso, sostenuto da colonne gigantesche. Al piano terra c’è una sezione dedicata alle realizzazioni del Turkmenistan moderno e al suo primo presidente, a cui è dedicato un tappeto gigante. C’è poi una sezione dedicata agli animali, nonché l’esposizione di un meteorite. Al piano superiore c’è il museo archeologico: reperti del neolitico, plastico di Nissa, oggetti rinvenuti a Nissa tra cui i dieci famosi rithon di avorio a forma di corno ornati all’apice dalla scultura di una figura mitologica, oggetti che ripercorrono la storia del paese, armi e armature, i ritratti degli eroi del Turkmenistan, l’ultimo dei quali è il primo presidente del Turkmenistan moderno Niyazov. I rython scoperti sono in realtà 14, di cui due sono a Mosca e altri due all’Hermitage di San Pietroburgo.

La visita del museo ci occupa per oltre due ore. Ci rimane il tempo per una breve escursione sui monti Korpet Dag. Usciamo dalla città per una autostrada a 8 corsie, passiamo accanto al Palazzo degli Orfani, fatto appositamente edificare dal presidente Niyazov, memore del fatto che egli stesso rimase orfano in tenera età. Attraversiamo ora la pineta che circonda la città, mentre sul fianco della montagna di fronte a noi risalta la Passeggiata della Salute, il percorso di trekking a gradini sul Korpet Dag realizzato per volere del presidente. Passiamo nei pressi delle rovine di Nissa, che visiteremo domani e raggiungiamo il villaggio di Gokdepe, dove avvenne l’ultima battaglia tra i Turkmeni e l’esercito russo. Qui si trova la moschea più grande dell’Asia Centrale, fatta costruire dal solito Niyazov dopo la sua conversione all’Islam e il pellegrinaggio alla Mecca. Proseguiamo verso Arçabil per una autostrada a sei corsie tra i vigneti. Passiamo da Uzilnygi e lasciamo l’autostrada: ora si sale a curve sulla montagna tra i boschi, accanto a un torrentello dall’acqua torbida, fino a raggiungere un’area per pic-nic purtroppo piena di immondizia. Non mancano dei militari che sorvegliano la zona, d’altra parte siamo vicini al confine con l’Iran. 7 Kow-Ata e Nissa Partenza: Ashgabat Tempo di Arrivo: Ashgabat spostamento: 4 h Distanza: 200 km Mezzo: pullman Oggi sono previste l’escursione al lago sotterraneo e la visita alle rovine di Nissa. Prendiamo la solita autostrada già percorsa ieri, fiancheggiata da una piantagione di pini. Oltre la pineta si estende la steppa fino alla brulla catena del Korpet Dag. Dopo una sosta al villaggio di Bacyr, di casette dai tetti rossi di lamiera, per comprare l’acqua, si prosegue su una autostrada a sei corsie. Superate le rovine di Nissa, passiamo da Gypchak, villaggio natale del presidente Niyazov, formato da condomini di tipo sovietico, con una fabbrica di succhi di frutta e una centrale elettrica. La strada corre lungo la ferrovia, costruita dai russi a scopo militare; superiamo Gokdepe, con la sua moschea costruita nel 1996 da una compagnia francese per commemorare la battaglia tra Turkmeni e Russi del 1881. Gokdepe è famosa per i prodotti di seta ed è circondata da campi coltivati: grano, cotone, verdura e uva con cui si fa un vino dolce. Sulla destra c’è un lago artificiale che serve per l’irrigazione, formato con l’acqua portata dall’Amu Daria col canale Karakum, che attraversa tutto il paese. A sinistra alla base delle montagne c’è il “tankodrome”, un’area usata dai russi per collaudare i carri armati, c’è poi una fabbrica di cemento che in passato era molto più vicina ad Ashgabat ed è stata spostata qui perché ritenuta inquinante. Usciamo dall’autostrada tra i campi di grano in gran parte già mietuto e ci dirigiamo verso la montagna, si passa accanto a una fabbrica per la lavorazione del cotone costruita con l’aiuto tecnologico della Turchia, quindi passiamo da un cancello ed entriamo nell’area del lago sotterraneo di Kow-Ata. Qui ci sono alcuni alberi, un bar e l’ingresso della grotta che racchiude il lago. Si scende per una scala molto ripida in una grotta umida fino alla profondità di 65 metri. In fondo c’è un lago limpido di 72 metri per 30, profondo da 6 a 13 metri. L’acqua ha una temperatura di 35-37 °C e una composizione chimica complessa formata da 38 elementi. Il bagno è rinfrescante e pare che sia utile per le malattie della pelle, dei ragazzi stanno nuotando, mentre noi ci limitiamo a toccare l’acqua per verificarne la temperatura. Dopo una sosta al bar, prendiamo la via del ritorno. Una deviazione a Gypchak si impone: ci sono la “moschea spirituale” e il mausoleo di Turkmenbashi (Capo dei Turkmeni): si tratta du due grandiosi edifici costruiti da una compagnia francese dal 2003 al 2005. La moschea è preceduta da un bel giardino alberato con fontane e da una fila di pennoni su cui sventolano le bandiere verdi del Turkmenistan; la costruzione è di marmo bianco di Carrara con cupola dorata e quattro minareti. All’interno è tutta una profusione di marmi, stucchi, ori, legni intarsiati, arabeschi, tappeti e lampadari. Oggi è venerdì e c’è un gruppo di fedeli che sta ascoltando un predicatore, che pare che non faccia altro che recitare versetti del Corano. La moschea è enorme, sembra che possa contenere fino a 20.000 persone, la sala inferiore è riservata agli uomini, lungo la parete c’è un matroneo rialzato per le donne a cui si accede dall’esterno per una porta separata. Ci sono otto porte, oggi tutte aperte perché è venerdì; la porta in fondo di fronte all’entrata principale è la porta del paradiso. In alto ci sono 48 finestre a ricordare l’anno del terremoto 1948. Accanto c’è il mausoleo pure di marmo bianco, che contiene le tombe in marmo nero di Niyazov e dei suoi familiari; davanti al mausoleo c’è una guardia militare permanente con cambio ogni due ore. Ammetto che questa esibizione di potere e ricchezza può essere discutibile, comunque se l’intento di Niyazov era quello di rappresentarsi come l’ultimo dei Khan dell’Asia centrale e di rivaleggiare coi monumenti delle città della Via della Seta, a mio parere c’è riuscito.

Dopo il pranzo ad Ashgabat a basre di plov, piatto tipico di riso, carne e verdure, facciamo un giro al mercato russo, in centro città in Azadi kochasi; il mercato alimentare è coperto, animato e colorato; all’esterno ci sono gli altri negozi tra cui una libreria in cui si vende Ruhnama, il libro del presidente, tradotto in tutte le lingue. Pare che la sua lettura sia praticamente obbligatoria e, visto il successo editoriale, Niyazov ha scritto un secondo volume. Resisto alla tentazione di comprare l’edizione italiana.

Andiamo a Nissa, a 18 km da Ashgabat, l’antica capitale dei Parti, che ressero vittoriosamente il confronto con l’Impero Romano. In realtà c’è poco da vedere anche se gli archeologi stanno ancora lavorando con l’aiuto di un gruppo dell’Università di Torino. Nissa è in posizione sopraelevata ed è visibile da lontano. E’ circondata da mura di argilla, all’interno si possono vedere i resti di un palazzo, alcune stanze, tra cui una sala circolare con grandi colonne di mattoni. Sembra che le stanze fossero intonacate di bianco. E’ visibile anche una conduttura dell’acqua, che faceva parte di un ingegnoso sistema idrico in grado di rifornire costantemente la città con l’acqua proveniente dalle vicine montagne.

Cena all’aperto al ristorante Aladdin al Park N 1, il parco centrale dell’epoca sovietica, con musica dal vivo.

8 Mary Partenza: Ashgabat Tempo di Arrivo: Mary spostamento: 5 h e ½ Distanza: 350 km Mezzo: pullman La strada per Mary segue la ferrovia e il Karakum Canal, attraversando cittadine e villaggi che vivono coltivando il deserto grazie all’acqua dell’Amu Daria portata dal canale. Questo era anche l’itinerario della Via della Seta che ha lasciato nel deserto alcune città abbandonate, che attendono di essere riscoperte. Per uscire dalla porta est di Ashgabat attraversiamo alcuni quartieri di condomini del periodo sovietico, coperti da una selva di antenne paraboliche. Imbocchiamo una autostrada a sei corsie in una zona di fattorie tra campi e vigneti; a destra un edificio a forma di spiga è il museo del grano. L’autostrada ben presto finisce e ci troviamo su una strada stretta e un po’ sconnessa ai piedi delle montagne, apprendo da Tatiana che la manutenzione delle strade è affidata alle singole province, per cui possono esserci delle differenze tra le diverse zone del paese, suddiviso in cinque province. Si susseguono i villaggi: Gawers,Yaslik tra i vigneti, con una cartiera che usa la paglia come materia prima, ora siamo molto vicini al confine con l’Iran; c’è un posto di blocco, ma non ci controllano; seguono Babadurmaz, Kaka-Etraby in una zona di deserto bianco per l’affioramento di sale, Arcac tra campi di cotone e di grano tagliato, Mehinli con capre e dromedari al pascolo, Cowsut, ora la strada si allontana dalle montagne, a destra compaiono le rovine di una fortezza nel deserto con le mura e i quartieri degli artigiani tutto intorno, ora ci pascola un gregge di capre. Poco oltre ci sono la cittadina di Kakà con un moderno cotonificio e subito dopo accanto alla strada le mura a quadrilatero di un’altra fortezza abbandonata e quindi una centrale elettrica. Ora non ci sono più coltivazioni, ma solo greggi e dromedari al pascolo. Raggiungiamo Dusak, siamo a metà strada, lasciamo la catena montuosa diretta a sud, la nostra strada svolta invece verso est, c’è un posto di blocco, ma non ci controllano. Procediamo ora in una pianura desertica con affioramenti salini fino alla cittadina di Tejen, al centro di un’oasi, con casette dal tetto di lamiera e eternit, un bazar e una moschea accanto alla strada; attraversiamo un fiume all’uscita dalla città, passiamo da Alzynasir, abbiamo intanto superato un paio di posti di blocco, ma sembra che la polizia non sia più interessata a noi. Ora ci sono campi coltivati e contadini al lavoro, entriamo nella provincia di Mary, ennesimo posto di blocco a Guwhan, attraversiamo più volte il canale e la ferrovia, passiamo da Daghan tra campi di cotone, con distributore di benzina e caffè, bar e ristoranti accanto al canale. Ancora un tratto di deserto con qualche duna di sabbia, di tanto in tanto c’è un pezzo di strada nuova in costruzione, finchè giungiamo alla porta d’ingresso di Mary terza città del paese con 200.000 abitanti, abitata fin dall’età del bronzo e conosciuta come terra di Margiana da Greci e Romani. La città deve la sua esistenza al fiume Murgab, che poi scompare nel deserto, ora è raggiunta anche dal Karakum Canal che permette la coltivazione di frutta e vedura; ci sono anche depositi di gas naturale e centrali elettriche. La città attuale è stata fondata dai Russi nel 1884, la zona aecheologica di Merv si trova 30 km ad est tra i campi di cotone, il clima è caldo e secco. Ci sono i soliti grandi viali alberati a quatto corsie, casette con tetto di eternit e condomini sovietici, al centro parchi e giardini. Dopo il pranzo al ristorante Sahra andiamo a visitare il Museo. Si trova in centro, vicino al fiume, in un vecchio edificio di mattoni dell’inizio del XX secolo. Contiene una riproduzine dell’ antica Merv e una esposizione di oggetti provenienti dagli scavi; tappeti, abiti e oggetti turkmeni e una raccolta di oggetti del secolo scorso introdotti dalla dominazione sovietica. Il custode del museo ci fa da guida. Il nostro albergo è in centro di fronte a un parco in cui si trova una gigantesca statua dorata del primo presidente, questa volta seduto in poltrona. Andiamo a visitare il bazar, animato e interessante, nonostante sia verso l’ora di chiusura; la gente al solito è amichevole, ha voglia di parlare, anche se non è facile comprendersi, e di farsi fotografare. Lungo il tragitto vengo fermato dalla polizia, che mi costrige a cancellare una foto che ho appena fatto a una giagantografia del presidente, non diversa da quelle che compaiano dovunque di tanto in tanto. Cos’avrà questa di speciale? Andiamo a cena al ristorante Eskisehir, oltre il fiume, passando accanto a una grande moschea in costruzione. Pare che i lavori siano stati iniziati molti anni fa e poi interrotti. Oltre il fiume c’è anche un nuovo centro medico dall’aspetto molto moderno. Dopo cena facciamo due passi fuori dall’albergo e incappiamo proprio lì accanto in una festa di matrimonio: siamo immediatamente invitati a fare una foto con gli sposi, molto ben vestiti, lei in bianco e lui in abito scuro con giacca e cravata. Naturalmente ci offrono vodka e ci invitano ad unirci alle danze.

9 Merv Partenza: Mary Tempo di Arrivo: Mary spostamento: 1 h Distanza: 60 km Mezzo: pullman Partiamo presto per la visita alle rovine di Merv, 30 km ad ovest di Mary, perché non faccia troppo caldo. Percorriamo una strada a quattro corsie con spartitraffico fiorito, tra campi coltivati. Le rovine di Merv si trovano alla periferia di Bayramaly, una cittadina che ha conservato alcuni begli edifici in mattoni che risalgono all’epoca zarista, ci sono anche una chiesa ortodossa e un palazzo con un bel giardino. Merv era già colonizzata nell’età del bronzo (2° millennio A.C.) da agricoltori che usavano sistemi di irrigazione sfruttando l’acqua del fiume. Nel VI sec. A.C. Giunse una nuova popolazione da Gonur, 60 km a nord, abbandonata per il cambiamento del corso del fiume. Questo popolo introdusse lo Zoroastrismo, che rimase la religione dominante fino al’introduzione dell’Islam da parte degli Arabi. Nel I sec. A.C. Arrivò Alessandro Magno, che installò a Merv una guarnigione militare. In questo luogo si sono succedute nei secoli 5 città su un’area di 100 kmq. La prima città fu fondata dai Persiani nel VI sec. A.C.; i Seleucidi fondarono una seconda città nel III sec. A.C., di forma quadrata con un lato di 2 km, la prima città fu incorporata nella seconda.. Questa seconda città durò mille anni e vide il succedersi di tre imperi: impero ellenistico, Parti e Arabi, che introdussero l’Islam. Gli Arabi vissero nella seconda città, finchè alcuni ricchi cominciarono a spostarsi ad est dando inizio alla terza città, che raggiunse il massimo splendore con i Selgiuchidi nei sec. XI-XII, il periodo della Via della Seta. Il Sultano Sanjar fece circondare la città da mura e ne fece la capitale dll’impero, fino all’invasione mongola. I Mongoli presero possesso della diga sul fiume Murgab e lasciarono la città senza acqua per costringerla alla resa, quindi massacrarono ls popolazione e distrussero la città nel 1221, risparmiando solo il mausoleo del Sultano Sanjar. Per due secoli Merv rimase vuota. Solo dopo Timur (Tamerlano) fu presa la decisione di costruire la città numero quattro, che non raggiunse mai l’importanza delle precedenti. Nel XV secolo i Turchi costruirono la città numero cinque, che fu presto abbandonata per mancanza d’acqua.

Da Bayramaly ci dirigiamo verso Merv, si vedono le mura della città n. 4, la più piccola, rettangolare, con torri, poco o nulla è rimasto all’interno. Della città n. 5 dei Turchi è rimasto solo qualche brandello delle mura, è stata completamente distrutta dai Russi. Raggiungiamo la città n. 3 dove c’è il famoso Mausoleo del Sultano Sanjar, al centro della città islamica dellVIII secolo. E’ la più grande con quattro porte di cui solo due sono state scavate, era la più importante città dell’Oriente dopo Bagdad, chiamata “Città Reale” o “Perla delle Città”. Qui vissero molti scienziati, tra cui Avicenna. Distrutta dai Mongoli, non ne è rimasto nulla, tranne il Mausoleo di forma cubica con cupola; in origine c’era un seconda cupola esterna rivestita di luccicanti piastrelle blu che era vista da molto lontano dai viaggiaori che percorrevano la Via della Seta. All’interno della città ci sono i resti del palazzo del Sultano, all’esterno invece si può visitare il complesso religioso di Yusuf Hamadani che contiene il mausoleo del fondatore del Sufismo Iraniano e una moschea, è un centro di pellegrinaggio per i musulmani con edifici ricostruiti. La seconda città quadrata circondata da mura con torri, quattro porte e canali per l’irrigazione durò un millennio: dal III sec. A.C. al 1221. Qui convissero per secoli tutte le religioni: zoroastrismo, islam, giudaismo, cristianesimo e buddismo, come dimostra il ritrovamento di uno stupa. Sono stati trovati anche dei laboratori artigianali e pare che qui sia stata inventata la tessitura del damasco. All’interno è contenuta la prima città, di forma poligonale, di cui sono rimaste le mura rinforzate da torri:; non c’era una vera entrata, vi si accedeva tramite un ponte levatoio. Ora si può salire sulle mura per una vista panoramica. Andiamo poi a vedere il complesso religioso Askhab del XV sec. Dove sono sepolti due compagni di Maometto inviati qui come missionari nel VI secolo: ci sono due mausolei, circondati da un cimitero; vicino c’è una cisterna con decorazioni tipiche dei Parti. Lasciato il complesso religioso, ci dirigiamo verso i “castelli corrugati”, sono strutture abbastanza ben conservate del periodo sassanide, a due piani, dalle pareti esterne con curiosa conformazione a colonne adiacenti; ce ne sono due vicini molto fotogenici, lì accanto pascolano dei dromedari, mentre alcuni bambini a cavallo di un asino insistono per farsi fotografare. Da un’ampia apertura della parete del castello più grande si affaccia un gruppo di ragazze, che naturalmente attirano l’obiettivo dei fotografi. Le colonne del castello più grande e meglio conservato sono ottagonali; entrambi i castelli sono crivellati di buchi scavati dagli uccelli per farvi il nido. Poco lontano c’è il mausoleo di Ibn Zeid, un maestro del sufismo, del XIII secolo, all’interno ci sono resti di decorazioni originali in mattoni del XIII sec., di fronte c’è un albero a cui i pellegrini appendono brandelli di stoffa a scopo votivo, poco lontano ci sono abitazioni per la sosta e la cucina dei pellegrini e una cisterna Di fronte c’è un castello del tipo precedente in rovina.

Oggi è domenica, quindi il giorno giusto per visitare il mercato domenicale alla periferia di Mary molto animato e con prodotti artigianali di buona qualità, ovviament gli oggetti più interessanti sono i tappeti Buchara. Interessante è anche il mercato degli animali da cortile, dove sono in vendita galline, oche e tacchini. Non manca il camion rosso della coca cola.

Dopo pranzo aspettiamo che il sole tenda un po’ a calare, quindi facciamo una passeggiata nel parco alberato lungo il fiume: ci sono giostre e giochi per i bambini, chioschi che vendono gelati e pedalò sul fiume. Notiamo inoltre che appena fuori dall’albergo ci sono dei cambiavalute con in mano pacchi di MANAT, nel caso qualcuno avesse bisogno.

Cena all’aperto davanti al nostro albergo e passeggiata intorno all’isolato dove osserviamo numerosi ristorantini affollati che servono spiedini e birra.

10 Partenza: Mary Tempo di Arrivo: Buchara spostamento: 8 h e ½ Distanza: 417 km Mezzo: pullman Oggi si torna in Uzbekistan. Possiamo all’ufficio postale a comprare i francobolli, quindi partiamo alle 8,30. Si torna a Bayramaly, attraversiamo il centro cittadino, dove c’è la solita statua dorata del primo presidente, e ci dirigiamo verso Turkmenabat. Ora siamo su una strada stretta a due corsie, un po’ sconnessa; la campagna è sempre coltivata, ci sono canali di irrigazione, contadini al lavoro coi trattori, carretti trainati da muli, mucche e greggi di pecore. Superiamo il villaggio di Zahmet con distributore di benzina, accanto alla ferrovia, come al solito c’è un posto di blocco, ma non ci controllano. Torniamo nel deserto di dune con cespugli, superiamo il villaggio di Sanyiazow sempre accanto alla ferrovia con distributore. La strada sale e scende sulle dune, nel villaggio di Uc-Ajy, costruito sulla sabbia, c’è un’altra sbarra della polizia; un gregge di capre attraversa la strada accompagnato da un ragazzo a dorso di mulo. Un’altra sbarra della polizia segna il confine tra la provincia di Mary e quella di Lebap, la strada prosegue nel deserto lungo la ferrovia superando un paio di villaggi e verso le 11 giungiamo a Turkmenabat, la seconda città del paese con 300.000 abitanti, sul fiume, sede di industrie chimiche. L’origine della città risale al I secolo, ma la città attuale è stata fondata dai Russi nel 1887, non ci sono monumenti storici, fino al 1920 appartenne all’emirato di Buchara e vi si parla una lingua simile all’uzbeko. Atraversiamo la periferia industriale con le ciminiere e ci fermiamo brevemente al bazar; c’è poco da comprare, gli oggetti migliori sono i gioielli. Lasciato il bazar imbocchiamo il solito vialone alberato tra condomini coperti di antenne e giungiamo al ristorante Lebap, dove è previsto il pranzo. Mancano 40 km alla frontiera, superiamo l’Amu Daria sul solito ponte provvisorio galleggiante, di fianco c’è il ponte ferroviario d’acciaio costruito dai Russi, questa volta possiamo rimanere seduti sul nostro pullmino. Il fiume è molto ampio e forma tre differenti corsi separati da isole; è un fiume capriccioso che ha cambiato più volte il suo corso in passato. All’inizio del ponte c’è un posto di blocco in cui si paga un pedaggio. Proseguiamo tra campi di cotone e di grano e mucche al pascolo; c’è un traffico di camion che trasportano automobili, superiamo il villaggio di Farap di due case e una fila di camion in sosta, diamo la precedenza a un gregge di capre e ci fermiamo a un cancello. Scesi dal nostro pullmino, prendiamo i bagagli e percorriamo 350 metri a piedi fino all’edificio della dogana, consegnamo i passapoprti, i due documenti che ci sono stati dati all’ingresso ( immigrazione e permesso turistico) e la dichiarazione doganale, quindi aspettiamo all’ombra seduti su un gradino, accanto a un canale dall’acqua marrone. Dopo mezz’ora ci ridanno i passaporti, percorriamo 100 metri a piedi finchè troviamo un signore con un carrettino che ci trasporta i bagagli per 3500 SUM. Procediamo per circa 1 km sotto il sole tra due file di camion turchi e iraniani in attesa e arriviamo alla dogana uzbeka, entriamo in un corridoio, da una porta si affaccia un dottore in camice bianco che ci chiede se stiamo tutti bene di salute; ottenuta risposta affermativa, procediamo. Alla porta successiva ci controllano il passaporto e alla porta seguente ci chiedono la dichiarazione doganale. Usciamo e dopo un breve tragitto entriamo in un altro edificio dove c’è un nuovo controllo della dichiarazione doganale. Usciamo anche da qui, attraversiamo un cancello dove un soldato fa un ultimo controllo dei passaporti e siamo finalmente tornati in Uzbekistan. Tempo totale 1 h e ½. Qui troviamo Zita la guida col nuovo pullmino e Nicola, il nuovo autista, per Buchara ci sono ancora 97 km. Partiamo superando i villaggi di Saxaum, Olot e Qorakol tra campi di cotone e di grano; ci sono anche molti gelsi per l’alimentazione dei bachi da seta, di cui l’Uzbekistan è il terzo produttore dopo Cina e Giappone. Proseguiamo nella pianura coltivata attraversando le cittadine di Yovon-Bolo e Haqrabot per una strada a quattro corsie ed entriamo a Buchara per un vialone alberato, con spartitraffico pure alberato; giriamo a sinistra dopo l’Università, poi a destra all’altezza dello stadio, poi di nuovo a sinistra e penetriamo nel centro storico, dove è localizzato il nostro albergo. La sistemazione non poteva essere migliore: l’albergo è molto bello, si tratta della casa di un mercante ebreo del XVI secolo ristrutturata e arredata in stile tradizionale; e la localizzazione è ottima: siamo a pochi passi da Lyabi-Hauz, la piazza centrale intorno alla vasca. Dopo esserci sistemati la curiosità ci induce a fare la prima passeggiata fino alla piazza: il luogo è particolare e suggestivo, entriamo nella madrasa di Nadir Divanbegi, ma ci mandano fuori perché è stata organizzata una cena con spettacolo musicale a cui non siamo invitati. Facciamo due passi fino al Taqi-Sarrafon per vedere i negozi: ci sono dei bei tappeti e delle splendide miniature. Nei prossimi giorni si vedrà. Per la cena scegliamo il ristorantino accanto alla vasca sotto la staua di Hoja Nasruddin, scelta che definirei azzeccata, tant’è vero che ci torneremo nei prossimi giorni.

11 Buchara Partenza: Buchara Tempo di Arrivo: Buchara spostamento: tutto il giorno Diatanza: alcuni km Mezzo: pullmino, a piedi Dopo una passeggiata in piazza che ci permette di fare conoscenza con un gruppo di donne kirghise in visita turistica, che stanno facendo colazione, torniamo in albergo per fare colazione a nostra volta. Partiamo verso le 8 ; c’è il solito problema per cambiare il denaro, le banche non ne hanno per cui bisogna rivolgersi al mercato nero. Può darsi che tutto sia organizzato in modo da far prosperare i cambiavalute non ufficiali, che per altro praticano un cambio abbastanza onesto; bisogna solo avere l’avvertenza di contare bene il pacco di banconote che ci viene dato in cambio dei nostri dollari.

La visita della città comincia dalla madrasa da Abdullah-Khan (1557-1597) e sua madre Modari-Khan della dinastia degli Shaybanidi, poste una di fronte all’altra; le facciate sono ricoperte di piastrelle di maiolica dai prevalenti colori verde e turchese che formano disegni geometrici, motivi vegetali e scritte islamiche. Quindi ci dirigiamo verso l’Ark, la cittadella, la sua origine risale al V secolo e fu la residenza dell’emiro fino al 1920 quando fu bombardata e in gran parte distrutta dai sovietici. E’ preceduta dalla piazza Registan (“luogo sabbioso”) attualmente lastricata, l’Ark fu ricostruita nel VII secolo dal reggente Bukhar-Khudat Bidun secondo il disegno della costellazione dell’Orsa Maggiore e assunse l’aspetto attuale sotto la dinastia dei Manghiti (1747-1920), diventando il centro dell’organizzazione statale con la residenza del khan, la moschea, la tesoreria, la segreteria del governo e la prigione. E’ circondata da possenti mura, il portone di accesso si apre in cima a una rampa sulla quale solamente il khan poteva transitare a cavallo. Ai lati ci sono due torri collegate da una galleria, sopra la porta veniva collocata una frusta, simbolo del potere del khan. Dopo l’ingresso c’è un passaggio coperto su cui si aprono a sinistra le celle della prigione mentre a destra ci sono dei negozi per turisti. Si arriva a un cortile su cui si affaccia la moschea Juma del XVII secolo con il portico sostenuto da alte colonne in legno di sicomoro; nella parte interna c’è un museo dei manoscritti ed è visibile un soffitto decorato al centro con specchi. Salendo a sinistra raggiungiamo la Sala delle Incoronazioni il cui tetto venne distrutto dal bombardamento del 1920; l’ultima incoronazione avvenne nel 1911, è circondata su tre lati da una terrazza sopraelevata sostenuta da colonne, la terrazza ora è diventata una superficie di esposizione per i venditori di tappeti. Proseguendo si trova la residenza dell’emiro, trasformata in museo di storia, infine si giunge a un ampio cortile lastricato, situato sopra il passaggio d’ingresso, dove i venditori di ceramiche hanno esposto la loro merce. Usciti dall’Ark attraversiamo la piazza e la strada, passiamo accanto alla torre dell’acquedotto costruita dai Russi nel 1927 e al di là di una vasca troviamo la moschea Bolo-Hauz, era la moschea ufficiale dell’emiro, costruita nel 1718; il portico, sostenuto da 20 colonne di legno formate da due tronchi sovrapposti e con complicati capitelli a stalattiti, è il più alto del’Asia.

Poco lontano c’è il mausoleo di San Giobbe Chashma-Ayub, la cui origine risale al XII secolo. Pare che sia stato costruito su una sorgente fatta scaturire dal profeta biblico Giobbe quando si trovò a passare da queste parti. Una scritta sopra l’ingresso comunica che la costruzione attuale risale al regno di Tamerlano, è caratterizzata da una cupola conica tipica dell’architettura del Khorezem del XIII-XIV sec., per cui si suppone che intervennero architetti del Khorezem fatti prigionieri da Tamerlano. All’interno c’è una esposizione sull’approvvigionamento idrico della città. Di fronte al mausoleo c’è il moderno museo di Al Buhari, edificio a forma di libro, dedicato all’autore del libro di Kadisi, il secondo libro sacro dei musulmani dopo il Corano, che raccoglie tutti i detti di Maometto. Attraversiamo il parco e giungiamo al mausoleo di Ismail Samani, tra giochi per bambini e attrazioni da luna park. Questo edificio risale ai secoli IX-X ed è considerato uno dei capolavori dell’architettura mondiale. All’interno sono stato trovati tre corpi: Ismail, fondatore della dinastia dei Samanidi, morto nel 907, suo figlio e suo padre. E’ di forma cubica, sovrastato da una cupola, fatto interamente di mattoni cotti e rimase per secoli il modello per i mausolei islamici dell’Asia centrale. Negli angoli degli archi sopra le porte i mattoni formano il disegno del “quadrato dinamico” che riproduce la pianta del monumento e richiama lo schema del mandala buddista.

Ci rechiamo ora col pullmino a vedere il Chor Minar (“quatto minareti”). E’ un edificio costruito nel 1807 come parte di una madrasa ora scomparsa, è molto fotogenico ed è caratterizzato da quattro torrette con piccole cupole color turchese brillante. Si trova in uno dei quartieri vecchi della città ed è difficile da trovare, se non si conosce la strada.

E’ arrivata l’ora di pranzo, per cui ci rechiamo in albergo a mangiare rapidamente un po’ di frutta. D’altra parte a Buchara c’è ancora molto altro da vedere.

Proseguiamo la visita raggiungendo col pullmino una piazza su cui si affacciano la moschea e il minareto Kalon (Grande) e la madrasa Mir-i-Arab. Il minareto fu edificato nel 1127 durante il regno di Arslan Khan, è una torre rotonda con un diametro alla base di 9 metri, alta 45,6 metri. Una scritta sul capitello riporta la data della costruzione e il nome dell’architetto: Bako. E’ di mattoni ed è decorato con 14 fasce di piastrelle blu. Si racconta che Gengis Khan quando invase e distrusse la città nel 1219 fu talmente impressionato da questa costruzione che ordinò di risparmiarla. Sul minareto salivano cinque muezzin che cantando venivano ascoltati fino a 8 km di distanza, la voce veniva ripresa da altri muezzin che la trasmettevano fino a una distanza di 16 km. Il minareto fu poi utilizzato come faro per le carovane nel deserto. Accanto al minareto c’è la moschea del XVI sec. Costruita per sostituire la precedente distrutta da Gengis Khan; è una moschea in uso e può contenere finoa 12.000 persone, vi troviamo gli studenti della scuola coranica che stanno pregando; nel cortile ci sono un albero di gelso e un padiglione ottagonale a simboleggiare le otto porte del paradiso. Di fronte alla moschea c’è la madrasa Mir-i-Arab pure del XVI sec. Dalle luminose cupole blu, non visitabile. Proseguiamo la visita a piedi ed entriamo nella cupola degli argentieri (toqi-zargaron). Per “toq” si intende una cupola senza porte su un crocevia sotto la quale ci sono i negozi. Qui troviamo una esposizione di gioielli, strumenti musicali, tappeti, arazzi, tovaglie, spezie, ecc.. Passiamo sotto la cupola e raggiungiamo la madrasa di Ulughbek del 1417, considerata la prima costruita in Uzbekistan, la facciata è decorata con piastrelle blu e l’ingresso ad arco acuto è ornato da una colonna a torciglione. Contiene dei negozietti, ma l’interno sta cadendo un po’ a pezzi. Di fronte c’è la madrasa di Abdul-Aziz-Khan del VII secolo in restauro e circondata da impalcature. Entriamo ora nel “tim” (cupola del commercio con porta) delle sete di Abdullah-Khan dove assistiamo a una dimostrazione di tessitura con un telaio artigianale. Prosegue la visita alle zone commerciali, siamo alla cupola dei cappellieri (”toqi-telpak furushon”) sotto cui passa un canale, ha cinque entrate che danno su cinque strade; anche qui c’è un’ampia esposizione di interessanti oggetti di artigianato. Poco lontano c’è la moschea Maghoki, la più antica di Bukhara del XII sec.. Era parzialmente sepolta, per cui è stato necessario fare uno scavo tutto intorno onde riportare alla luce il livello della città nel XII secolo. Sotto di essa sono stati trovati i resti di un tempio zoroastriano e di un tempio buddista; fu usata anche dagli ebrei nel XVI secolo, la porta è fiancheggiata da colonne a forma di rotoli della Torà. Attualmente ospita il Museo del Tappeto.

Proseguiamo fino al toq dei cambiavalute (“toqi-sarrafon”), dove ci sono altri pregevoli negozi di artigianato. Qui accanto c’è il bagno turco Hammoni Sarrafon. Giriamo a sinistra, passiamo accanto a un bel negozio di miniature e siamo finalmente a Lyabi-Hauz, la piazza della vasca intorno alla quale si affacciano bar e ristorantini all’ombra di quattro gelsi centenari. La vasca fu scavata nel 1620 per l’approvvigionamento idrico della città, è lunga 42 metri, larga 36 e profonda 5, i bordi a gradini consentivano ai portatori d’acqua di scendere a riempire i loro recipienti. La vasca insieme agli edifici che la circondano forma un perfetto complesso architettonico: provenendo dal toq dei cambiavalute, sul primo lato corto della vasca troviamo la khanaka di Nadir Divan Begi, primo ministro del khan Imamkhuli (1611-1642), dimora e luogo di meditazione per i sufi. Di fronte sull’altro lato corto c’è un giardino alberato con la famosa statua di Hoja Nasruddin, un personaggio dei racconti sufi, e dietro c’è la madrasa di Nadir Divan Begi costruita come caravanserraglio e trasformata in madrasa per volere del khan; sulla facciata riccamente decorata negli angoli sopra il portale sono raffigurate due fenici volanti che con gli artigli afferrano un animale non ben identificato; l’interno è alberato, contiene i soliti bei negozi di artigianato e viene utilizzato per cene per i turisti con spettacolo, di solito una sfilata di moda. Sul lato lungo alla nostra sinistra, oltre la vasca e la strada troviamo la madrasa di Kukeldash (1568-69) fatta costruire dal khan Abdullah II, è la più grande dell’Asia centrale e contiene 160 celle per gli studenti.

Siamo vicini al nostro albergo, per cui approfittiamo per andare a riposarci brevemente. Usciamo verso le 19 e ci rechiamo rapidamente al minareto Kalon, ormai la strada la conosciamo, paghiamo il biglietto e saliamo sul minareto: l’accesso è dal tetto della moschea, cosparso di decine di cupolette allineate, da qui si entra nel minareto e si sale una scala a chiocciola di 104 gradini. Buchara vista dall’alto al tramonto è straordinaria, le fotografie si sprecano; notiamo come tutti i tetti sono di lamiera o di eternit. Scendiamo alle 20 e andiamo a cena a Lyabi-Hauz.

12 Buchara Partenza: Buchara Tempo di Arrivo: Buchara spostamento: tutto il giorno Distanza: alcuni km Mezzo: pullman, a piedi Prima di colazione facciamo la solita passeggiata in piazza, che per ora è deserta. Osserviamo che nella madrasa di Kukeldash c’è un negozio con l’insegna “Wine Tasting” ovviamente chiuso a quest’ora, mentre dalla parte opposta rispetto alla vasca c’è un internet café.

Partiamo col pullmino alle 8, usciamo dalla città e ci dirigiamo verso il villaggio di Kasr-i Orifan, a 12 km da Buchara, dove si trova il complesso religioso Naqshbandin. Qui nacque ed è sepolto Bakra ad-Din Naqshband, morto nel 1389, fondatore di una importante comunità sufi e considerato il santo protettore di Buchara. La particolarità della sua dottrina consiste nel fatto che rifiutava l’ascetismo e incitava i discepoli a lavorare e guadagnare, invece di chiedere l’elemosina. Questo luogo è diventato un importante centro di pellegrinaggio per i musulmani di tutto il mondo per cui è facile incontrare pellegrini provenienti da Turchia, Malesia, Thailandia, ecc.. Fuori città la nostra strada corre tra due filari di pioppi tra i campi di cotone con i paracarri a forma di batuffolo di cotone. Al centro del complesso c’è un cortile rettangolare, dove si trova la tomba del santo, un semplice blocco di pietra alto due metri; inserita nella tomba c’è una pietra nera donata da Allah; i credenti devono fare tre giri intorno alla tomba in senso antiorario e in effetti ci sono numerosi fedeli che eseguono il rito, mentre altri sono raccolti in preghiera. Più in là ci sono una vasca con acqua considerata santa e un piccolo padiglione quadrato con quattro torrette color turchese, intorno al cortile c’è una galleria (ayvan) moderna sostenuta da colonne di legno. Ci sono anche tre moschee: per gli uomini, per le donne e quella della madre di Naqshband. Poco oltre c’è il tronco di un gelso abbattuto, numerosi fedeli si chinano per passarci sotto. Pare che il tronco sia quanto rimane del gelso sviluppatosi dal bastone che il santo portò dalla Mecca e piantò. Lasciato il santuario torniamo verso la città e ci dirigiamo verso Sitorai Mokhi-Khossa a 6 km, dove c’è il palazzo estivo dell’emiro della fine del XIX secolo. E’ costruito secondo lo stile europeo: Abdullah-Khan (morto nel 1910) mandò apositamente a San Pietroburgo una commissione di architetti locali col compito di studiare e successivamenti imitare l’architettura zarista. Superato l’ingresso si arriva a un cortile su cui si affacciano le tre ali del palazzo; la parete è a stucchi bianchi, mentre gli stipiti delle finestre sono azzurri, all’estremità dell’ala sinistra c’è una veranda a vetri. Si entra nella sala bianca decorata con specchi e stucchi, e proseguiamo nelle altre stanze con specchi sulle pareti dipinte e sulle porte, ci sono numerosi armadi a muro e un’esposizione di oggetti preziosi, ritratti, sculture, vasellame, carrelli portavivande, stufe, vasi cinesi e giapponesi. Usciamo e attraversiamo il giardino passando sotto un pergolato di vite, di fianco ci sono un edificio riservato ai bambini, un roseto e numerosi alberi di mele cotogne. In fondo c’è una piscina, preceduta a destra dal palazzo delle concubine, diventato museo dell’etnografia e del ricamo e a sinistra dalla moschea estiva con baldacchino e minareto. In tutto il palazzo c’è una esposizione e vendita di tovaglie, tappeti, ricami, cappelli e oggetti vari. Torniamo in città e ci dirigiamo questa volta verso ovest dove a 6 km si trova il complesso religioso di Chor-Bakr. E’ una necropoli del XVI secolo, meta di pellegrinaggi poiché contiene la sepoltura di molti santi. Il viale d’ingresso è fiancheggiato da roseti; al centro del complesso ci sono una moschea e una madrassa con una cupola turchese e un’altra cupola più piccola non piastrellata, davanti c’è un piccolo minareto. Le tombe sono raggruppate come a formare dei piccoli villaggi, lungo i viali ci sono molti alberi di giuggiole, considerati alberi del paradiso.

Tornati in città ci rechiamo all’ufficio postale, è poco lontano dalla piazza Lyabi-Hauz: si entra da un portone azzurro in un cortile e in fondo a destra c’è l’ufficio postale dove compriamo sia i francobolli che le cartoline. Rientriamo quindi in albergo a mangiarci un po’di frutta per pranzo.

Nel pomeriggio non sono previste altre visite, per cui decidiamo di farci da soli il giro della città vecchia. Cominciamo dal quartiere ebraico: scendiamo lungo Eshoni Pir, la viuzza su cui si affaccia l’ingresso del nostro albergo. Ci troviamo in un quartiere formato da un labirinto di stradine non asfaltate, tra casette di paglia e argilla. Proseguiamo diritto fino a un incrocio in cui un cartello ci indica a destra la direzione per il mausoleo di Turki Jandi. Giriamo a destra e arriviamo a una piazza, in fondo si vede la cupola del mausoleo, a sinistra si apre il cortile del bazar Kukluk. Entriamo, in fondo c’è un forno in cui siamo invitati a entrare a vedere la cottura del pane. Usciamo dal cortile dall’ultima porta in fondo a destra e scendiamo a sinistra per la viuzza finchè incontriamo sulla destra la porta della sinagoga. Proprio di fronte abita il rabbino, si può bussare e farsi aprire: è un cortile con loggiato e tante fotografie e libri della Torà appesi alle pareti. Lasciamo un’offerta nella cassetta per le elemosine e proseguiamo finchè raggiungiamo una strada asfaltata, Tukaeva; prendiamo a destra per qualche centinaio di metri finchè di fronte a un cortile alberato un grande cartello un po’ malandato indica la casa-museo di Fayzulla Khujayev definito “ricco mercante di Buchara”. In realtà Fayzulla, figlio di un ricco mercante, fu l’individuo che aiutò i bolscevichi a rovesciare l’enmiro Alim Khan e fu ricompensato con la nomina a presidente della Repubblica Popolare di Buchara. Comunque ora è tutto chiuso, può darsi che attualmente questo personaggio non sia più in auge. Torniamo sui nostri passi e imbocchiamo la prima stradina a sinistra, passiamo davanti al mausoleo di Turki Jandi con due cupole di cui una conica e un minareto colonizzato da un nido di cicogna. Poco oltre a sinistra c’è un piccolo ufficio postale, entriamo a spedire le nostre cartoline. Una cliente ci rivolge la parola, ci fa capire di essere ebrea ma il successivo tentativo di conversazione non dà risultato per difficoltà linguistiche. Proseguendo diritto sbuchiamo sulla via Naqhband, asfaltata, qui ci sono il museo d’arte e un ufficio governativo per la valutazione delle opere artistiche. Andiamo a sinistra, c’è una madrasa con una mostra fotografica di un famoso fotografo di Buchara che espone delle splendide foto della città; accanto c’è un laboratorio di ricami in oro su tessuto che sembra velluto. Proseguiamo lungo un canale, superiamo l’edificio di una scuola e arriviamo alla piazza Registan, l’ora è buona per fare altre fotografie all’Ark. Giriamo dietro l’Ark sulla destra, lungo la strada c’è una esposizione di tappeti giganti, ne deduco che qui dietro deve esserci una fabbrica di tappeti. In fondo alla strada c’è lo Zindom, la prigione, in posizione sopraelevata su una collinetta. Dalle mura imponenti sporgono decine di travi che danno all’edificio un aspetto minaccioso. Saliamo le scale passando davanti all’ingresso chiuso (chiude alle 16), in cima proseguiamo verso destra passando attraverso un quartiere popolare e scendiamo nella piazza del minareto Kalon. Dopo una breve sosta prendiamo a sinistra verso il Toqi-Zargaron, poi a destra fino al Toqi-Telpak Furushon, poi di nuovo a sinistra fino a Lyubi-Hauz 13 Shakhrisabz Partenza: Buchara Tempo di Arrivo: Samarcanda spostamento: 6 h Distanza: 364 km Mezzo: pullmino Facciamo colazione dopo la solita passeggiata in piazza: ci sono sempre nuovi aspetti particolari che ci inducono a fare altre fotografie. La partenza per Samarcanda avviene un po’ in ritardo perché oggi arriva il presidente e il centro della città è stato chiuso alle automobili, ci tocca andare a piedi fino oltre il Toqi-Telpak Furushon. Naturalmente non siamo stati avvertiti.

Andremo a Samarcanda fermandoci lungo il tragitto per visitare Shakhrisabz. L’uscita da Buchara non è semplice perché gran parte delle strade sono bloccate per la ragione anzidetta. A 15 km passiamo da Kagan dove l’emiro Abdallahad Khan fece costruire la stazione ferroviaria, perché non voleva treni in città, c’è anche una raffineria costruita da bulgari e francesi, mentre è visibile una collinetta coperta di croci, è il cimitero cristiano ortodosso. Attraversiamo una riserva di gazzelle e procediamo in un deserto di cespugli per una strada bella a due e a volte a quattro corsie. Superiamo il canale Amu Buchara dove c’è un posto di polizia, superiamo una dorsale collinosa e scendiamo nella cittadina di Qorovulbazar con grandi depositi di petrolio nella steppa. Attaversiamo poi una zona agricola con campi di grano e cotone, trattori, animali al pascolo; lungo la strada vendono le angurie. Arriviamo al confine con la regione di Shakhrisabz segnato da due posti di blocco e da una porta d’ingresso. Finisce la zona agricola, superiamo un paio di cittadine nel deserto con raffinerie e depositi di petrolio. A Muborak riprendono le coltivazioni, superiamo i villaggi agricoli di Navroz, Koson, Qorabayr, i campi sono delimitati da filari di piccoli gelsi, le casette hano i tetti di lamiera e i cortili sono sono chiusi da muri di fango. Ora siamo a Qarshi, cittadina grande con un bazar animato e il solito assembramento di auto e furgoni all’esterno, c’è anche la stazione degli autobus. Superiamo il fiume Qasqadaria, c’è grande animazione, lungo la strada ci sono banchetti che vendono pane, frutta e carne. Usciamo dalla città, attraversiamo una zona di frutteti, incontriamo altri villaggi agricoli: Xonoroq, Qorasuv, Qoratikan. La campagna è irrigata da molti canali, ci dirigiamo verso Jakkabog, all’orizzonte si profila una catena di monti, attraversiamo altri villaggi agricoli e facciamo l’ingresso in Shakhrisabz (città verde), così chiamata da Tamerlano, nato in un villaggio a 7 km, in sostituzione del vechio nome di Kesh. Passiamo accanto al bazar e raggiungiamo il palazzo di Tamerlano: Ak-Sarai (Palazzo Bianco 1380-1404). Prima dei resti del palazzo c’è una gigantesca statua moderna di Tamerlano, davanti alla quale sta posando una coppia di sposi. Si attraversa un parco e si giunge di fronte a due giganteschi pilastri, che è quanto rimane di un palazzo che doveva superare in grandiosità e bellezza i più bei palazzi reali dell’Occidente cristiano. I pilastri sono alti 38 metri e sono ancora parzialmente ricoperti da splendidi mosaici originali di piastrelle bianche, azzurre, verdi e blu; ci sono anche caratteristiche semicolonne a torciglione addossate alle pareti; l’arco, che è collassato 200 anni fa, era il più grande dall’Asia centrale; l’entrata ha un’ampiezza di 22.5 metri. Lasciato il palazzo andiamo a vedere i complessi religiosi. Nel complesso di Khazrati-Iman troviamo una moschea del Venerdì nel cui cortile ci sono platani secolari, alcuni dei quali risalgono all’epoca di Tamerlano, e un pozzo con acqua ritenuta sacra; e il Dorussio-Dat o Casa del Potere e della Ricchezza con un mausoleo che contiene la tomba bianca di Jehangir, il figlio prediletto di Tamerlano morto per emofilia a 22 anni, e quella di un altro figlio. Poco dietro c’è la cripta di Tamerlano, scoperta solo nel 1963, è una stanza sotterranea che contiene un sarcofago di pietra bianca con intorno delle scritte e un bassorilievo al di sopra. Andiamo ora a visitare la Casa della Meditazione, che comprende una moschea chiamata Kok-Gumbaz (Cupola Blu) un po’ inclinata per il peso, restaurata di recente, la pittura però si sta già staccando; un minareto; un pozzo; il mausoleo di Sheik-Shamsiddin (1374), il maestro spirituale di Tamerlano; e il Gumbazi-Saidon (1438), un mausoleo che contiene quattro tombe di parenti di Tamerlano, la pietra nera di una delle tombe appare un po’ scavata, per il fatto che i fedeli credono che facendovi scorrere dell’acqua presa dal pozzo del complesso Khazrati-Iman questa acquista delle propietà medicamentose estraendo sali minerali dalla pietra.

Ripartiamo verso Samarcanda, non possiamo prendere la strada diretta attraverso il Tahtakaraca Pass di 1788 m. Perché non adatta al passaggio di pullmini, ma solo di macchine leggere; siamo costretti a fare un percorso più lungo che aggira la catena montuosa sfiorandone le pendici. Attraversiamo più volte la ferrovia sulla quale c’è il villaggio di Qumqisloho, passiamo da Chirokci, fiorente cittadina agricola tra campi di grano e cotone, viti, mucche al pascolo e filari di gelsi. Lasciamo la pianura e cominciamo a salire a curve sulle pendici montuose, le alture sono brulle, ci sono alberi e coltivazioni solo intorno ai villaggi di casette di argilla. Una porta presidiata dalla polizia segna l’inizio della regione di Samarcanda. La strada ora è brutta, non asfaltata, sono in corso lavori di manutenzione, ci sono molte mucche e pecore al pascolo, nei villaggi che incontriamo, Ibrohim-Ota, Anjirli, notiamo dei bambini a dorso di mulo. Siamo incolonnati dietro a una fila di camion carichi di angurie e si procede a 20 all’ora. Scendiamo dai monti e imbocchiamo una strada nuova, asfaltata di recente, superiamo un nuovo posto di polizia e procediamo nella pianura. Alla nostra destra c’è sempre la catena di montagne costellata alla base da piccoli villaggi; stiamo attraversando una zona di pascoli con mucche, pecore, capre e asini; ci sono anche alcuni villaggi lungo la strada, Sazagan e altri senza nome. A Mironquil-Soy ricominciano le coltivazioni: vite, grano, mais, mentre le montagne si allontanano; passiamo da Ohalik-Soy e Guliston e raggiungiamo finalmente la nostra meta. Ci sistemiamo in hotel, questa volta sfortunatamente abbastanza lontano dal centro, e andiamo a cercarsi un posto per la cena.

14 Samarcanda Partenza: Samarcanda Tempo di Arrivo: Samarcanda spostamento: tutto il giorno Distanza: alcuni km Mezzo: pullmino, a piedi Samarcanda è la città che nell’immaginario collettivo occidentale è legata al mito della Via della Seta. Conosciuta dai Greci come Maracanda, ricordata da Marco Polo come Samarcan, citata da scrittori e poeti ( “ The Golden Journey to Samarcand” J.E. Fecker 1913), rievocata nella famosa canzone di Roberto Vecchioni, questa città possiede un fascino letterario come pochi altri luoghi al mondo.

Samarcanda è una delle città più antiche esistenti, si trova nel cuore della regione centroasiatica, in un’oasi tra due fiumi. Ha 2750 anni di storia ed è coeva dell’antica Roma; ha visto passare grandi personaggi come Alessandro Magno, Ismail Samani, il sultano Sandjar, Gengis Khan e con Tamerlano divenne la capitale di uno dei più grandi imperi mai esistiti, dalla Cina, all’India, al Mediterraneo. Il suo patrimonio architettonico ed archeologico non è secondo ad alcuna altra città.

La sua origine, col nome di Afrosiab, risale al VII-VI sec. A.C.. Era la capitale della Sogdiana, un regno satellite dell’impero persiano achemenide ed era circondata da mura massicce. Gli storici identificano Afrosiab con la Maracanda dei Greci, occupata da Alessandro Magno nel 328 dopo la vittoria su Dario III, l’ultimo imperatore persiano achemenide. Nel IV-VIII sec. Diventò uno dei grandi centri del commercio internazionale lungo la Via della Seta, sul suo territorio fiorirono tutte le religioni dell’epoca: zoroastrismo, cristianesimo, buddismo, islamismo; fu anche il più importante centro di cultura dell’oriente islamico. Fu distrutta da Gengis Khan nel 1220, rinacque e diventò la capitale dell’impero di Tamerlano nel 1370. A Tamerlano e ai suoi successori sono dovuti i monumenti che tuttora ci riempiono di meraviglia.

Andiamo nel centro storico. La visita inizia dalla moschea di Bibi-Khanym, fatta costruire dalla prima moglie di Tamerlano, fu ultimata poco prima della sua morte. E’ la moschea più grande dell’Asia Centrale e si rivelò eccessiva in rapporto alle tecniche costruttive dell’epoca, cosicchè cominciò a cadere subito dopo che fu ultimata e crollò del tutto col terremoto del 1897. E’ stata recentemente restaurata, in particolare l’ingresso e le cupole. Il portale d’ingresso è grandioso, alto 35 metri; entriamo nel cortile alberato, al centro c’è un grande leggio di granito, che doveva servire per il corano do Osman che si trova attualmente a Tashkent. La facciata imponente è fiancheggiata da due torri poligonali e nasconde la cupola blu; ci sono quattro minareti più bassi rispetto al portale d’ingresso; tutte le pareti sono decorate con scrittura kufica. Dietro la moschea c’è il mercato dove passiamo un’ora tra una folla variopinta e variegata. La sezione alimentare e quella dei prodotti agricoli suscita sempre meraviglia; non mancano i prodotti artigianali, i tessuti, i vestiti, i cappelli e i cappellini, le scope e altri oggetti d’uso quotidiano. E’ un tripudio di colori, vero paradiso per i fotografi.

Ora andiamo alla “città dei morti” (Shahr-i-Zindah) che ospita la tomba (XI sec.) di Kussam-Ibn-Abbas, cugino del profeta Maometto. In realtà il cadavere è stato esumato ed esaminato ed è stato escluso che possa trattarsi del cugino di Maometto.Comunque è uno dei luoghi più sacri dell’Islam, pare che un doppio pellegrinaggio qui equivalga a un pellegrinaggio alla Mecca. Si sale per una scalinata lungo la quale sono allineati i mausolei, finemente decorati con piastrelle bianche e azzurre, di mogli, parenti e favoriti di Tamerlano e Ulugbek. In cima si giunge al luogo più sacro: la tomba di Kussam-Ibn-Abbas, sopra l’ingresso compare la scritta “ La porta del paradiso è sempre aperta per i fedeli”, all’interno intorno alla tomba ci sono dei fedeli raccolti in preghiera, sono comunque consentite le fotografie. Più in su in alto a sinistra si estende il cimitero moderno.

La prossima tappa è il sito archeologico Afrosiab, dove ci sono i resti dell’antica Maracanda dei Greci, la città precedente all’invasione dei Mongoli. Il sito si trova fuori città e ha un’estensione di 219 ettari, vi stanno lavorando archeologi francesi. Visitiamo il museo dove ci sono un plastico dell’antica città e la sala degli affreschi del VI-VII sec.; negli affreschi sono rappresentati un corteo nuziale, il ricevimento degli ambasciatori, la principessa su una barca e una scena di caccia.

Qui vicino sulla collina si trova il famoso osservatorio di Ulugbek, nipote di Tamerlano. Ulugbek, più famoso come scienziato che come sovrano, negli anni 1420-30 fece costruire un osservatorio astronomico su tre piani. Qui egli, insieme agli astronomi Kazi-Zade Rumi, Djemshid Ghiyas-ad-din Kashi e Ali Kushchi, trascorse tre decenni a misurare i movimenti dei corpi celesti. Di Ulugbek ci rimane uno scritto intitolato “Zidj di Ulugbek” che contiene un preambolo teorico e un catalogo di 1018 stelle. Fu decapitato nel 1449 per volere delle autorità religiose, che ordirono un complotto a cui partecipò il suo stesso figlio; dopo la sua morte l’osservatorio venne distrutto. Nel 1908 l’archeologo russo V.L. Vyatkin individuò il sito dell’osservatorio e disseppellì i resti di un enorme quadrante con il raggio di 40 metri usato per l’osservazione dei corpi celesti. Protetto da un edificio di forma cubica è visibile un frammento sotterraneo di 11 metri della parte ricurva di un quadrante di 63 metri. Accanto a questo c’è un museo ospitato in un edificio di forma esagonale. Dopo il pranzo e un po’ di riposo in albergo torniamo in centro. Ci fermiamo di fronte alla piazza del Registan; per entrare si paga un biglietto, per cui dal momento che lo visiteremo domani, ci limitiamo a osservarlo e a fare le fotografie dall’esterno. Il colpo d’occhio è comunque straordinario: la piazza quadrata e alberata a cui si accede scendendo alcuni gradini è circondata su tre lati da tre madrase con facciata rivestita da piastrelle di ceramica policroma, ognuna con disegni particolari; i quattro minareti e le cupole azzurre aggiungonio fascino al complesso. Facciamo una passegiata nei giardini che circondano il Registan, quindi percorriamo la via Tashkent fino alla moschea di Bibi-Khanym. Per tornare al Registan ci infiliamo nelle stradine della città vecchia, così possiamo vedere dove la gente effettivamenti vive. Al Registan stanno facendo le prove dello spettacolo musicale programmato per i prossimi festeggiamenti dei 2750 anni dalla fondazione della città: c’è l’orchestra e ci sono dei cantanti che eseguono alternativamente canzoni uzbeche e canzoni italiane (Aida, Funiculì-Funiculà). Percorriamo Registan Kochasi fino all’inizio di Universiteri dove c’è la statua di Tamerlano. Ci fermiamo per la cena in un ristorante di Registan Kochasi; quindi facciamo una passeggiata per vedere il Registan in notturna e la cupola della moschea di Bibi-Khanym illuminata di azzurro. Torniamo in albergo fermando un pullmino di fronte al Registan, pare che tutti facciano servizio di taxi abusivo.

15 Samarcanda Partenza: Samarcanda Tempo di Arrivo: Samarcanda spostamento: tutto il giorno Distanza: alcuni km Mezzo: pullmino, a piedi Prosegue la visita della città: andiamo a vedere il mausoleo di Tamerlano, chiamato Gur Emir, circondato da giardini e sormontato da una cupola azzurra scanalata con relativo minareto. All’interno un recinto di marmo bianco traforato racchiude le tombe. Al centro c’è quella di Tamerlano di marmo verde scuro, la grande tomba a destra è quella di Seiid Berke, maestro di Tamerlano, a sinistra c’è la piccola tomba di Ulugbek, astronomo e nipote di Tamerlano; di fianco troviamo la grande tomba di Gur Emir ( Mohamed Sultan) (1376-1403) nipote e successore designato di Tamerlano, morto precocemente, dal lato opposto ci sono le piccole tombe dei figli di Tamerlano: Miranshah (1366-1408) e Shahruh (1377-1447) e quella di Seiid Omar un altro maestro spirituale. Fuori dal recinto c’è la tomba di un santo protettore dei ceramisti. Studiosi russi hanno esplorato queste tombe. Le guide amano raccontare che quando nel 1941 è stato esumato il corpo di Tamerlano è scoppiata la seconda guerra mondiale e quando i resti sono stati di nuovo sepolti c’è stata la vittoria russa a Stalingrado. Quanto a Ulugbek il suo corpo è stato trovato con la testa mozzata tra le gambe, a conferma che fu decapitato. Lasciato il mausoleo, percorrendo Registan Kochasi in pochi minuti si arriva al Registan la più bella piazza dell’Asia Centrale e una delle piazze più belle del mondo. L’accesso è a pagamento e il biglietto vale tutto il giorno. La piazza è in parte alberata, vi si accede scendendo alcuni gradini e superando una transenna: al centro è stato allestito un palco dove si svolgono le prove per lo spettacolo musicale programmato per il 2750° anniversario della fondazione della città. Il colpo d’occhio è magnifico: la piazza quadrata è delimitata su tre lati da madrase con cupola e minareti, interamente ricoperte da piastrelle colorate nelle tonalità del blu, verde, giallo e nero che formano disegni geometrici, decorazioni ad arabesco e anche qualche figura umana e animale. La madrasa in fondo alla piazza, di fronte all’ingresso, si chiama Tilla-Kari (”coperta d’oro”); è stata costruita verso al metà del XVII secolo (1646-1660) per volere di Yalangtush-Biy, doveva servire anche come moschea per sostituire la moschea di Bibi-Khanym andata in rovina. I lavori durarono 20 anni e una volta ultimata l’imponenza della costruzione e la ricchezza degli ornamento dorati ne fecero il più grandioso edificio di tutta l’Asia Centrale. La cupola rimase incompiuta e fu terminata nel XX secolo durante i lavori di restauro. All’interno ci sono un bel cortile con alberi, fiori e panchine, una mostra fotografica sull’aspetto del Registan prima della rivoluzione e una mostra di vasi, frammenti vari e terrecotte. L’edificio sul lato destro è la madrasa Sher-Dor (“avente tigri”) costruita nel 1619-1636, il grandioso portale è fiancheggiato da cupole con nervature su un alto tamburo.La decorazione riporta, oltre ai motivi geometrici e vegetali, delle scritte islamiche. Nei timpani sopra l’arco acuto del portale sono raffigurati il disco del sole dal volto umano e la figura di una tigre che assale un daino. Queste figure andarono distrutte alla metà del XX secolo, ma furono rifatte durante il restauro. A destra c’è la madrasa più antica, quella di Ulugbek (1417-1420), l’ingresso è sormontato da un arco acuto ampio 15 metri, sopra l’arco un pannello con mosaici rappresenta il cielo stellato con stelle a 5 e 10 punte. Fino alla costruzione dell’osservatorio nel cortile della madrasa si trovava un piazzale per le osservazioni astronomiche. Nella madrasa ci sono 50 celle, nelle quali abitavano 100 studenti. Tutti questi edifici attualmente nelle cellette e nelle stanze interne ospitano negozi di artigianato.

Dopo la visita al Registan consumiamo il nostro pranzo nel giardino di fianco alla piazza su una comoda panchina, quindi ci avviamo a piedi lungo Registan kochasi fino alla piazza dove c’è una gigantesca statua di Tamerlano seduto, su un piedistallo circondato da fontane, soggetto preferito per le foto dei turisti. Dietro il monumento inizia il viale dell’Università, un grandiso viale alberato con fontane, lo percorriamo nei due sensi ed entriamo a visitare alcuni istituti universitari tra cui l’Istituto di Archeologia: nel corridoio appese alle pareti ci sono le fotografie dei professori e degli studenti suddivisi per anno. Ritorniamo verso il Registan e prendiamo la strada a destra che conduce alla stazione degli autobus passando davanti una serie di negozi di generi alimentari frequentati dai locali; la gente, che normalmente non vede turisti da quelle parti, è molto cordiale e, non potendo comunicare per ragioni linguistiche, ci ferma e praticamente ci obbliga ad assaggaire una fetta di anguria aperta appositamente per noi. Torniamo al Registan a fare qualche acquisto nei negozi di artigianato, quindi torniamo in albergo ad attendere l’ora di cena: andremo al Cafè Caravan, un ristorante poco lontano frequentato esclusivamente dagli abitanti del quartiere.

16 Tashkent Partenza: Samarcanda Tempo di Arrivo: Tashkent spostamento: 5 h Distanza: 350 km Mezzo: pullmino Partiamo alle 8. L’uscita dalla città al solito non è semplice, non ci sono indicazioni, l’autista ovviamente conosce la strada. Passiamo accanto all’osservatorio di Ulugbek, la nostra guida si ferma a comprare del pane fresco da alcune donne che fanno a gara per offrirlo; pare che il pane di Samarcanda sia meglio di quello di Tashkent. Ai margini della città ci sono delle risaie allagate, superiamo il fiume Zaravshon e subito dopo la ferrovia e lasciamo Samarcanda.

Ci informano che la strada più diretta per Tashkent, percorribile ai tempi dell’URSS, non si può più fare perché attraversa un pezzetto di Kazakistan e, dal momento che i rapporti tra le varie repubbbliche attualmente non sono proprio cordiali, saremo costretti a un giro vizioso per strade secondarie per evitare lo sconfinamento. Attraversiamo uns zona agricola coltivata a grano e cotone, ci sono silos per i cereali, mucche al pascolo, contadini che cavalcano asinelli; la strada è ampia e ombreggiata da platani. Passiamo dal bel villaggio alberato di Besh Bola, in distanza tra i vigneti c’è il villaggio fiorito di Bulungur. Procediamo in una valle tra due catene di monti, a destra sulla montagna più alta ci sono tracce di neve. Al confine provinciale c’è la solita sbarra, la superiamo senza che nessuno ci controlli e iniziamo la discesa nella valle del fiume Sangzar tra campi di grano, mucche e pecore per lo più nere al pascolo, superiamo i villaggi di G’allakor e Mullabuloq, scendiamo verso il fiume e lo attraversiamo; lungo la strada ci sono banchetti che vendono mele, verdura, miele e strani palloncini bianchi: ci spiegano che si tratta di ricotta secca con peperoncino. La strada ora è stretta e sale a curve lungo il fiume, superiamo la Porta di Tamerlano, un passo tra le rocce largo 100 metri e saliamo ancora fino al villaggio di Qora-Soy, poi si scende, passiamo da Jelli-Guli, Xayrobod, Soloqli; abbiamo lasciato i monti, la strada è tornata ampia, la campagna è coltivata e abitata: una fila di casette bianche col tetto di eternit si allinea lungo la strada. Proseguiamo in una grande pianura coltivata a grano e cotone, non mancano mucche, pecore nere e contadini a dorso d’asino. Entriamo nella regione di Syrdary superando la solita sbarra della polizia, che comunque non ci ferma, la strada deserta prosegue tra i campi coltivati. Giungiamo a una nuova sbarra, non si può proseguire oltre perché di là c’è il Kazakistan, usciamo a destra e proseguiamo su un’ampia strada a quattro corsie, superiamo i villaggi di Imonota, Mirzacho’l, Navroz e giungiamo alla cittadina di Guliston dove ci sono numerosi banchetti che vendono bibite e dei curiosi bar a forma di fiasco. All’incrocio con semaforo si prende a sinistra per Tashkent, mentre a destra si va a Dushambé capitale del Tagikistan, superiamo il Dostlik Kanali (Canale dell’Amicizia), la strada è alberata e fiancheggiata ininterrottamente da casette bianche. Abbiamo aggirato il Kazakistan e siamo di nuovo sulla strada principale per Tashkent che dista solo 75 km, proprio all’incrocio ci sono dei tralicci elettrici su cui hanno fatto il nido le cicogne. Superiamo un’altra sbarra della polizia e il fiume Syrdaria, alcune bancarelle vendono pesce fritto e ci sono altri tralicci coi nidi di cicogna. Notiamo accanto alla ferrovia grandi depositi di cotone, pronto per la spedizione; la campagna è coltivata non solo a grano e cotone, ma anche a frutta e verdura; nei pascoli notiamo alcuni cavalli. Il traffico aumenta, compaiono bancarelle di frutta, passiamo da Ternazarov, superiamo l’ultima sbarra della polizia ed entriamo in città. Andiamo subito in centro all’Uzbekistan Hotel, dove abbiamo appuntamento con Ferouza a cui dobbiamo pagare la seconda metà del viaggio. Il nostro volo partirà questa notte per cui abbiamo tutto il pomeriggio da dedicare alla parte nuova sovietica di Tashkent.

Di fronte all’hotel c’è il parco con la piazza Amir Timur, dove sorge la statua di Tamerlano a cavallo. Ci fermiamo qui a pranzare con le nostre provviste, quindi percorriamo la via pedonale alberata Sayilgogh, lungo la quale troviamo caffè e ristoranti, una esposizione di quadri all’aperto, un negozio di jeans, un minimarket dove si può comprare birra uzbeka. In fondo alla via a destra c’è il palazzo Romanov, una bella villa con sculture di cervi sulla facciata, è chiusa da una cancellata e sorvegliata da una guardia . Attraversiamo la via Rashidov e ci troviamo di fronte a una grande piscina delimitata dal lato opposto da una parete di zampilli. Dietro la piscina sulla sinistra c’è il nuovo palazzo del Senato, l’accesso naturalmente è vietato. Ci dirigiamo a destra e giungiamo alla piazza Indipendenza (Mustaquilik Maydoni): un grandioso colonnato di marmo bianco è sormontato da una serie di statue di cicogne bianche con riflessi metallici, al centro sono rappresentate tre cicogne che si levano in volo. Oltre il colonnato un bel viale conduce al monumento all’indipendenza: un globo di bronzo con la mappa dell’Uzbekistan, il tutto è preceduto da una fontana, mentre sotto il globo c’è la statua di una donna con un bambino. Proseguimo a destra attraverso magnifici giardini e giungiamo al monumento al Milite Ignoto: una mamma in lutto davanti alla quale arde un fuoco perenne. Ai lati ci sono due colonnati di legno con colonne scolpite in stile tradizionale, dietro i colonnati c’è una parete su cui si aprono delle nicchie in cui sono contenute grandi pagine di bronzo che riportano i nomi dei 400.000 soldati uzbechi caduti nella seconda guerra mondiale, suddivisi per regione. Proseguiamo, attraversiamo la strada e proprio di fronte c’è una via pedonale che sale e porta al monumento alle vittime del terremoto: un crepaccio nel suolo sormontato dalle statue in bronzo di un uomo e una donna in stile sovietico, mentre un orologio di marmo segna le 11,26, ora del terremoto Torniamo indietro, passiamo da Kosmonavtav, prendiamo un sentiero che supera il fiume e sbocca in via Furqat, risaliamo a destra per un breve tratto poi attraversiamo e in fondo a un viale tra alberi e fontane giungiamo alla madrasa di Abdul Khasim, il centro artigianale che già conosciamo e dove possiamo fare gli ultimi acquisti. Lasciata la madrasa risaliamo la via Furqat fino in Uzbekistan e prendiamo a destra; sull’angolo c’è un ristorante popolare e appena dopo un supermercato, proseguimo fino al Senato, poi andiamo a sinistra e quindi a destra nella via pedonale Sayilgogh che già conosciamo. Questa via, che attraversa un parco con alberi secolari e fontane, si è animata, c’è molta gente che passeggia e l’esposizione di quadri è affollata, i ristoranti sono aperti e siamo invitati a entrare. Si sta facendo sera, raggiungiamo piazza Amir Timur e ci sediamo su una panchina, in attesa dell’ora di cena; tutte le panchine sono ora occupate, ci sono anche dei giocatori di scacchi.

Consumiamo un’ultima cena uzbeca non memorabile in un ristorante dove assistiamo anche a uno spettacolo di danza del ventre, che in realtà nessuno aveva cercato.

Ci facciamo infine portare in aeroporto dove dovremo attendere alcune ore per il nostro volo che partirà nel cuore della notte.

COME, DOVE, QUANTO UZBEKISTAN ESTENSIONE: 447400 kmq ABITANTI: 23.474.000 ORDINAMENTO DELLO STATO: repubblica RELIGIONE: musulmani sunniti 88%, ortodossi 1% MONETA: SUM. E’ molto difficile cambiare denaro perché le banche, anche se può sembrare incredibile, dispongono di pochissima valuta locale. In tutti gli alberghi c’è lo sportello di una banca che dovrebbe fornire valuta locale ai turisti, a Tashkent abbiamo dovuto girare quattro hotel prima di trovare uno sportello fornito di banconote. Ci si può rivolgere a dei cambiavalute non ufficiali, chiedendo ad esempio alla guida o all’autista, e la valuta si trova. Il cambio non è molto diverso da quello delle banche 1 US$ = da 1245 a 1255 SUM. Comunque in genere viene volentieri accettato il pagamento in dollari o in euro.

LINGUA: l’ufficiale è l’uzbeko, molto diffuso il tagiko. Quasi tutti parlano russo.

FUSO ORARIO: +4, +3 quando in Italia c’è l’ora legale.

DOCUMENTI: si scarica il modulo per il visto dal sito ufficiale dell’ambasciata: www.Uzbekistanitalia.Org (percorso: ambasciata-ufficio consolare-visto ingresso in Uzbekistan- download modulo) quindi si compila e si spedisce via fax o e-mail all’ambasciata. Dopo circa una settimana è pronto e bisogna andarlo a prendere di persona a Roma, oppure farselo mandare. Ambasciata Uzbeka a Roma: via Tolmino 12, tel. 06 8542456/8542569, fax 06 8541020, ambasciata@uzbekistanitalia.Org. Il visto va comunque pagato: il costo del visto per un ingresso è di 60$ per una permanenza fino a 15 giorni, di 80$ per una permanenza superiore ai 15 gg ma inferiore al mese; per ogni ingresso in più (nella validità del visto) occorre pagare 10$. Nel nostro viaggio abbiamo fatto un doppio ingresso, per cui abbiamo pagato 90$. E’ meglio pagare in dollari, in euro il nostro visto sarebbe costato 85 €. TELEFONIA: prefisso 00998. Telefono cellulare: è impossibile telefonare, a volte si può ricevere, è possibile inviare e ricevere SMS.

COME ARRIVARE: Milano-Istambul-Tashkent, con Turkish Airlines, € 760. Considerare anche Air Baltic, che offre un collegamento con Tashkent via Riga, con prezzi che partono da € 273 (solo andata), informazioni e prenotazione sul sito www.AirBaltic.Com. Arrivo a Tashkent: per il controllo passaporti e il controllo doganale ci vogliono 2 ore.

SPOSTAMENTI: pullmino con autista. Volo Tashkent-Urgench, Uzbekistan Airways, durata 1 h, prezzo (incluso comunque nel prezzo totale del nostro viaggio): US$ 53 + tasse SUM 2521, i pensionati pagano US$ 45 + tasse. Da Urgench pullman fino a Khiva 30 km.

CLIMA: clima continentale con inverni freddi, estati torride e forti escursioni termiche. Le temperature vanno dai 50° in estate ai -15° in inverno. Il periodo migliore per il viaggio va da aprile a giugno e da settembre ad ottobre.

IN VALIGIA: abiti estivi, cappello, occhiali e crema per il sole, scarpe da trekking, torcia elettrica.

SALUTE: i rischi sanitari maggiori sono: diarrea del viaggiatore, epatite A, tifo, parassitosi intestinali. Sono consigliate le vaccinazioni per il tifo e per l’epatite A. Non bere l’acqua del rubinetto. Portarsi un antidiarroico (Imodium) e un antibiotico intestinale (Bimixin). Fare un’assicurazione sanitaria. In caso di necessità: Tashkent International Medical Clinic, Minglar 6, tel. 1206191/2.

PERICOLI: nessuno in particolare. Normale prudenza per i furti.

EMERGENZE: ambulanza 03, polizia 01 o 001, pompieri 02, soccorso alpino 1322150.

INDIRIZZI UTILI: ambasciata dell’Uzbekistan a Roma, via Tolmino 12, tel. 06 8542456, ambasciata italiana a Tashkent, Uliza Yusuf Xos Xodjib 40, 700100 Tashkent, tel. 00998 71 1521119/1521120/1521121, fax 1206606, ambita@silk.Org.

INDIRIZZI INTERNET: www.Uzbektourism.Uz. COSTO DELLA VITA: basso.

ACQUISTI: tappeti e altri oggetti artigianali: tessuti, miniature, ceramiche, gioielli, strumenti musicali. Si trovano nei mercati e in tutti i luoghi turistici, dove le madrase sono state trasformate in negozi di artigianato.

MANCE: è d’uso dare la mancia alla guida alla fine del viaggio.

ORARI PUBBLICI ESERCIZI: negozi lun.-sab. 8,30-18.30. Banche e poste lun.-ven. 8-15,15. Francobolli 200 SUM. I mercati sono aperti al mattino.

VISITE: in tutti i siti che vengono visitati bisogna pagare oltre al biglietto d’ingresso anche un supplemento per la macchina fotografica e per la video camera. Le tariffe per i turisti stranieri sono molto superiori a quelle per i locali.

Tashkent: Museo di Arti Applicate 1500 SUM, foto 700 SUM.

Khiva: Ikhon-Kala 10000 SUM, foto 5000 SUM Bastione Shihbobo 1000 SUM.

Buchara:Ark 2400 SUM, foto 1200 SUM, video 2400 SUM. Mausoleo di San Giobbe Chashma –Ayub per entrare 600 SUM. Moschea Kalon 1000 SUM, foto 1000 SUM, video 1500 SUM.

Minareto Kalon, aperto fino alle 20, per salire 4500 SUM.

Palazo dell’emiro Said Alim Khan 3600 SUM, foto 1200 SUM, video 2400 SUM.

Chor Bakr 2600 SUM, foto 1000 SUM, video 1500 SUM.

Shakhrisabz: 4500 SUM per tutta la città, foto 1500 SUM, video 2000 SUM.

Samarcanda: moschea di Bibi Khnym 2 US$, foto 1000 SUM, video 2000 SUM.

Shahr-I-Zindah 2 US$, foto 1000 SUM, video 1500 SUM.

Museo di Afrosiab 2 US$, foto 1000 SUM, video 1500 SUM.

Osservatorio di Ulughbek 2 US$, foto 1000 SUM, video 1500 SUM.

Mausoleo Guri Amir 2US$, foto 1000 SUM, video 1500 SUM.

Registan 4 US$, foto 2000 SUM, video 5000 SUM. Al Registan praticamente tutti i guardiani offrono di nascosto, anche se tutti lo sanno, la salita a un minareto per 3 US$.

COSA MANGIARE: shashlik: spiedino di montone; plov: riso, carne e verdure; un piatto di zuppa con carne non manca mai all’inizio del pasto; ravioli russi; insalate varie. Bevande: the verde e nero, birra uzbeka e russa, acqua minerale. C’è anche il vino uzbeko, piuttosto dolce.

ELETTRICITA’ PESI E MISURE: 220V, sistema metrico decimale.

FOTOGRAFIA: vietato fotografare aeroporti, stazioni, metro, edifici pubblici in genere. Le persone si fanno fotografare volentieri.

GUIDE CONSIGLIATE: Asia Centrale, EDT Lonely Planet.

TOUR OPERATOR: Feruza Nazarova Advantour, Mirobod kochasi 116, Tashkent 100015, Uzbekistan, tel. +998 71 120 0050, fax +998 71 120 0051, mob. +998 90 189 1491, e-mail: fnazarova@advantour.Com, web: www.Advantour.Com.

DOVE DORMIRE-DOVE MANGIARE Tashkent: hotel Le Grande Plaza, piuttosto lussuoso, Uzbekiston Ovozi kochasi 2, tel.998 71 120 66 00, fax 998 71 120 63 18, info@legrandeplaza.Com, www.Legrandeplaza.Com. Corrisponde all’hotel Bumi Tashkent che evidentemente ha cambiato nome un’altra volta.

Khiva: hotel Asia Khiva, nuovo, molto bello esattamente di fronte alla porta sud dell’Ichan Kala, K. Yaquibov str, Khiva 741400 Khorazem, tel. (+998 62) 375 76 83, fax (+998 62) 375 20 98, hotelasiakhiva@rambler.Ru, asiakhiva@marcopolo.Uz, www.Asiahotels.Marcopolo.Uz. Camera doppia US$ 60. Cena all’hotel US$ 6, una birra russa US$ 3. Buona cena da Mirzo Bashi (anche guest house), 1 Pakhlavan Makhmud str., all’interno dell‘Ichon Kala a 200 metri dall’ingresso principale, 9000 SUM, tel. +998/62-375 27 53 o 512 2753, mirzaboshi@inbox.Ru. Abbiamo mangiato bene anche presso Arcanchi Family Guesthouse per 9000 SUM, 10 Pakhlavan Mahmud str., tel. 8-362-375-22-30 fax 8-362-375-29-74, mob. 8-362-22-1-22-30, arqonchi@online.Ru.

Buchara: hotel Sasha & Son, Eshoni Pir 3, tel. (99865) 224 49 66, fax (99865) 224 29 06, sacholga@bcc.Com.Uz, www.Sacholga.Narod.Ru, molto bello, camera doppia in alta stagione (maggio-giugno, settembre-ottobre) US$ 60. E’ molto comodo, centrale, poco lontano da Lyabi-Hauz. Per la cena ottimi i ristorantini all’aperto intorno alla vasca di Lyabi-Hauz, in particolare ci siamo trovati bene al ristorante che si trova sul lato dove c’è la statua di Hoja Nasruddin, tel. (8365) 303-77-36: spiedini, insalata, birra, acqua e the o caffè US$ 8.

Samarcanda: hotel Malika, Khamraev kochasi 37, tel. +998 662 33 0197, fax +998 662 33 4349, malika-hotel@mail.Ru, www.Malikahotels.Com, buon albergo, piuttosto lontano dal centro. Buona cena al Cafè Caravan, frequentato dai locali, Uzbekistan 57, tel. 233-11-96, poco lontano dall’albergo: spiedini, insalata, birra uzbeka, acqua, caffè e vodka US$ 4.

TURKMENISTAN ESTENSIONE: 488100 kmq ABITANTI: 4.309.000 ORDINAMENTO DELLO STATO: repubblica RELIGIONE: musulmani 87%, ortodossi orientali 11% MONETA: MANAT. Il cambio si fa normalmente al mercato nero, è facile essere avvicinati dai cambiavalute, oppure basta chiedere all’autista. 1 us$ = 23000 manat. E’ accettato il pagamento in dollari o in euro.

LINGUA: turkmeno, russo, uzbeko FUSO ORARIO: +4, +3 quando in Italia c’è l’ora legale.

DOCUMENTI: passaporto e visto.Il visto per il Turkmenistan ci è stato procurato dall’agenzia uzbeka Advantour che ci ha organizzato il viaggio. Abbiamo dovuto fornire alla Advantur i seguenti dati: 1) Nome completo 2) Cittadinasnza 3) Data di nascita 4) Luogo di nascita 5) Sesso 6) Copia del passaporto via fax o scannerizzato via e-mail 7) Numero del passaporto 8) Luogo di lavoro e nome del datore di lavoro 9) Posizione 10) Luogo dove si vuole ottenere il visto: città e stato, nel nostro caso Uzbekistan 11) Durata del soggiorno in Turkmenistan (da—a) Con questi dati l’agenzia Advantour ha inviato la richiesta del visto al Ministero degli affari Esteri ad Ashgabat. Il Ministero degli Affari Esteri dà una risposta nel giro di 15-20 giorni e può concedere o negare il visto senza dare spiegazioni. Con questa richiesta presentata da Advantour abbiamo ottenuto il visto alla frontiera di Dashogus presentando 2 fotografie. Costi: US$ 51 + US$ 2 diritto fisso, poi altri US$ 10 immigration tax + US$ 2 diritto fisso. Totale US$ 65. Vengono consegnati due cartoncini che vanno conservati scrupolosamente e presentati alla partenza.

TELEFONIA: prefisso 00993. Telefono cellulare: è impossibile telefonare, a volte si può ricevere, è possibile inviare e ricevere SMS.

COME ARRIVARE: via terra dall’Uzbekistan, frontiera di Deshogus. Il passaggio della frontiera è piuttosto lungo e complesso.Dashogus, frontiera Uzbeka: compilazione dichiarazione doganale e controllo documenti 1h. Poi si percorrono 100 metri a piedi con la valigia e si raggiungono dei taxi in attesa che trasportano le valige fino alla dogana turkmena, distanza 1 km. Qui si consegnano i passaporti e si aspetta sotto il sole seduti sul marciapiede. Dopo un’ora arriva la guida turkmena che compila i moduli per la richiesta del visto, per altro scritti solo in lingua locale, per cui sarebbe piuttosto difficile compilarli da soli. Compiliamo la dichiarazione doganale, consegnamo due fotografie e paghiamo un totale di 65 US$ a testa. Ci danno due cartoncini da conservare scupolosamente: immigrazione e permesso turistico. Il controllo dei bagagli viene fatto con un apparecchio radiografico come in aeroporto. Riprendiamo i nostri bagagli, percorriamo altri 100 metri a piedi e raggiungiamo le nostre macchine in attesa. Tempo totale del passaggio frontiera: 3 h e ½. SPOSTAMENTI: pullmino con autista.

CLIMA: clima secco desertico. Il periodo migliore per il viaggio va da aprile a giugno e da settembre a novembre. A luglio e agosto la temperatura può raggiungere i 50°C, d’inverno la temperatura scende sotto lo zero al nord, mentre nel Turkmenistan meridionale la temperatura si abbassa senza scendere sotto lo zero.

IN VALIGIA: abiti estivi, cappello, occhiali e crema per il sole, scarpe da trekking, torcia elettrica.

SALUTE: i rischi sanitari maggiori sono: diarrea del viaggiatore, epatite A, tifo, parassitosi intestinali. Sono consigliate le vaccinazioni per il tifo e per l’epatite A. Non bere l’acqua del rubinetto. Portarsi un antidiarroico (Imodium) e un antibiotico intestinale (Bimixin). Fare un’assicurazione sanitaria. In caso di necessità ad Ashgabat: Central Hospital tel. 450303, 450331, Emre kochasi; International Medical Centre, tel. 519006, 519008 a Berzengi.

PERICOLI: la criminalità è minima. C’è un costante controllo della polizia, rispettare le regole, se venite fermati tenete un atteggiamento educato e collaborativo, non fatevi estorcere denaro, non andate in giro da soli.

EMERGENZE 02 polizia, 01 vigili del fuoco, 03 ambulanza, Gli operatori parlano solo turkmeno o russo.

INDIRIZZI UTILI L’autorità consolare competente è l’Ambasciata Italiana a Mosca, Denezhy 5, tel. 095 7969691, fax 095 2539289, embitaly@ambmosca.Ru. INDIRIZZI INTERNET: www.Turkmens.Com, www.Tourism-sport.Gov.Tm/en/, è il sito del Ministero del Turismo.

COSTO DELLA VITA: molto basso.

ACQUISTI: i tappeti Buchara, così chiamati perché venivano venduti al mercato di Buchara, in realtà sono fabbricati in Turkmenistan. Si possono acquistare al mercato di Tolkuchka.

MANCE: si usa dare la mancia alla guida alla fine del viaggio.

ORARI PUBBLICI ESERCIZI: negozi lun-sab. 8-19. Posta: 8-19 lun.-ven., 8-17 sab.-dom.. Francobolli 3000 MANAT. I mercati si svolgono al mattino.

VISITE: Ashgabat salita alla torre sormontata dalla statua girevole di Niyazov 3000 MANAT. Ashgabat museo nazionale ingresso 10 US$, visita guidata altri 10 US$. Lago sotterranea di Kow Ata 10 US$ o 250000 MANAT. Nissa ingresso 42000 MANAT, foto 15000 MANAT, video 35000 MANAT. Mary museo US$ 4, foto 100000 MANAT. Merv mausoleo del sultano Sanjar 1 US$, foto 31000 MANAT, video 51000 MANAT.

COSA MANGIARE: shashlik: spiedini di montone; plov: riso, carne e verdure; pane ottimo. Bevande: the verde e nero, acqua minerale Archabil, birra turkmena e russa (Baltika).

ELETTRICITA’ PESI E MISURE: 220 V, sistema metrico decimale.

FOTOGRAFIA: tutti si fanno fotografare volentieri, anzi spesso lo chiedono.Naturalmente sono preferite le macchine digitali con cui si vede immediatamente il risultato. Porre molta attenzione ai divieti: ad Ashgabat ad esempio è vietato fotografare il palazzo del presidente. Ci sono anche altri divieti che voi non potete conoscere, c’è uno stretto controllo della polizia e vi capiterà di essere fermati e invitati a cancellare qualche foto.

GUIDE CONSIGLIATE: Asia Centrale, EDT Lonely Planet.

TOUR OPERATOR: Feruza Nazarova Advantour, Mirobod kochasi 116, Tashkent 100015, Uzbekistan, tel. +998 71 120 0050, fax +998 71 120 0051, Mob. +998 90 189 1491, e-mail: fnazarova@advantour.Com, web: www.Advantour.Com. Per il Turkmenistan Advantour si è avvalsa della collaborazione di un tour operator locale: Owadan, 65 Azadi st., 744000 Ashgabat, tel/fax 0099312 354860, 391825, tel. 0099312 357518, 398407, trowadan@online.Tm, www.Owadan.Net. DOVE DORMIRE-DOVE MANGIARE: Ashgabat: hotel Kopet Dag, Archibil Highway, tel. 993 12 48 00 35/36, fax 993 12 48 00 37, buono, camera doppia US$ 25.

Cena sulla terrazza del Trade Centre Golden Century (Altyn Asyr), lo spettacolo di Ashgabat illuminata è magnifico, risulta evidente come l’elettricità non costi nulla.

Buona cena anche al ristorante Aladdin nel Park N 1, il parco centrale dell’epoca sovietica, all’aperto con musica dal vivo.

Mary: hotel Yrsgal, Adakopekmergen str. 2, tel. 993 522 5 39 76, fax 993 522 3 51 19, Yrsgalmary@online.Tm, buono, bella camera doppia con aria condizionata, televisione e frigorifero. Cittadini turkmeni 400000 MANAT, stranieri 1350000 MANAT.

Nello stesso isolato dove sta l’hotel Yrsgal ci sono molti ristorantini all’aperto piuttosto affollati che servono spiedini e birra alla spina turkmena Zip.

Ristorante Eskisehir, buono, tel. 4.03.86 4.41.46 Ristorante Sahra, ottimo spiedino con carne e verdura.

Nel deserto si dorme in tenda.

Bibliografia Marco Polo “Il Milione” Giorgio Mondadori International, 1982 J:P. Roux “Tamerlano” Garzanti, 2000 T. Terzani “Buonanotte signor Lenin” TEA, 2004 Rivista Partiamo “Samarcanda, il regno di Tamerlano”, n. 6 giugno 2007, pag.32-42



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