Noi, Berlino e gli U2
12 novembre 2018
Partiamo per Berlino all’improvviso: la necessità di staccare per qualche giorno nel mezzo di un periodo particolarmente stressante e, soprattutto, il quasi miracoloso reperimento di due biglietti per l’ultimo concerto del tour europeo degli U2, fanno sì che ci troviamo a prenotare il volo e l’hotel a pochi giorni dalla partenza. La cosa mi fa sentire impreparata; non perché non sappia nulla della città (da tempo desidero visitarla, e ho un’idea abbastanza chiara di ciò che non voglio perdere), ma perché di solito mi metto in viaggio con una programmazione un po’ più dettagliata, mentre ora ho fatto appena in tempo ad acquistare una guida, che non ho neanche il tempo di leggere. Decolliamo da Malpensa con un volo Ryan Air, e alle 10,30 atterriamo puntuali a Berlino Tegel, dove saliamo a bordo di un bus che in circa 40 minuti ci porta ad Alexanderplatz. La rete di trasporti urbani è capillare ed efficace, e si articola in bus, S-Bahn e U-bahn (metropolitana). Acquistiamo un pass valido 72 ore su tutti i mezzi di trasporto per le zone A e B (l’aeroporto Tegel è in zona B), che risulta davvero conveniente (poco meno di 24 Euro a testa). Il nostro hotel (Hotel Sachsenhof) è situato a pochi passi dalla fermata della U-bahn di Nollendorfplatz, dove transitano le linee U1, U2, U3 e U4. Lo abbiamo scelto proprio per questa sua posizione strategica: la linea U2 ferma in luoghi “turistici” (Aleksanderplatz, Potsdamer Platz, Zoologischer Garten…) mentre la U1 ci porterà direttamente alla Mercedes–Benz Arena per il concerto. L’hotel è piccolo e tranquillo, semplice e pulito. Lo consigliamo.
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All’arrivo a Nollendorfplatz, un imponente edificio in stile Art Nouveau attira la mia attenzione. Mi sembra di averlo già visto da qualche parte… ma certo!, c’era una foto su un articolo di U2place! Ora è un locale notturno, e all’inizio del secolo scorso era un teatro, ma nel 1981 era la discoteca più famosa di Berlino Ovest e vi si esibirono dei giovanissimi U2, davanti a 300 fans che, pare, rimasero praticamente immobili per tutta la serata…
Iniziamo a fare i turisti (mai, come questa volta, “per caso”), associando e incrociando le attrazioni di Berlino con alcuni riferimenti alla mia band preferita, che è particolarmente legata a questa città. Prendiamo quindi la linea 2 della metro (la U2… va be’, già il nome mi piace!) e scendiamo alla stazione di Zoologischer Garten, la “Zoo Station” dell’omonima canzone, ispirata anche da un fatto accaduto durante la seconda guerra mondiale: una notte, i bombardamenti alleati danneggiarono le mura dello zoo, e gli animali fuggirono e iniziarono a vagare tra le macerie. Foto di rito all’insegna della fermata, e solo con grande sforzo non mi metto a cantare (“…Times is a train, makes the future the past, leaves you standing in the station, your face pressed up against the glass” – il tempo è un treno, trasforma il futuro nel passato, ti lascia fermo alla stazione, il viso premuto contro il vetro). Scendere a Zoologischer Garten, comunque, serve anche per raggiungere, con pochi passi, la nostra prima meta in questa città. Una delle immagini di Berlino che ho più impresse nella mente, per averla vista su ogni libro di tedesco ai tempi della scuola, è la mole martoriata della Kaiser-Wilhelm Gedachtiskirche, chiesa costruita tra il 1891 e il 1895 e pesantemente danneggiata durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale. Le rovine della torre occidentale sono tutto ciò che rimane del maestoso edificio, visibile all’interno su foto e documenti precedenti il conflitto, e contrastano con la torre campanaria e la chiesa moderne, tra cui si trovano (la chiesa, dalla strana struttura ottagonale, con 20.000 finestrelle che ne compongono le pareti, è molto particolare). Anziché abbatterle, come inizialmente si pensava di fare, le rovine sono state lasciate tra le nuove costruzioni come monito contro la guerra e la distruzione, mentre la nuova chiesa è un monumento commemorativo per la pace e la riconciliazione. All’interno della chiesa originale sono visibili resti di mosaici e alcuni oggetti liturgici.
Passeggiamo poi lungo il Kurfurstendamm (Ku’damm, abbreviato), un viale lungo 3,5 km che collega Breitscheidplatz (dove si trova la Gedachtniskirche) a Rathenauplatz. Oggi è una via commerciale, ricca di negozi che possiamo trovare in qualsiasi altra città italiana e straniera ma, negli anni in cui Berlino fu divisa, fu la via principale dello shopping e del divertimento, nonché un luogo simbolico di grande importanza per il settore occidentale della città. Gironzoliamo un po’ nei dintorni, poi torniamo a bordo della U-bann e arriviamo a Potsdamer Platz che, più che una piazza, è una grande zona costituita da più aree. Caratterizzata da edifici modernissimi, è una sorta di simbolo della rinascita di Berlino dopo la riunificazione. Durante la guerra fredda, infatti, la zona era proprio sul confine tra il settore occidentale e quello sovietico, e quello che fino ad allora era stato il cuore pulsante della città divenne un luogo desolato, una terra di nessuno. A partire dal 1990 ebbe inizio la ricostruzione, e il risultato è davvero grandioso: palazzi alti, moderni e scintillanti, i più famosi dei quali costituiscono il Sony Center: un complesso di tre edifici e una piazza con una copertura ad ombrello, che muta colore durante la giornata.
Nonostante sia solo metà novembre, troviamo già un piccolo mercatino di Natale, con le casette in legno che contrastano notevolmente con il vetro e l’acciaio circostanti. Ne approfittiamo per bere un bicchiere di gluhwein (vin brulè), che ci riscalda un po’ perché, con l’avvicinarsi della sera, l’aria si è fatta decisamente frizzante. Torniamo velocemente in hotel, perché al nostro arrivo la camera non era ancora pronta e vogliamo sistemarci un po’ prima di uscire a cena. Durante il tragitto mio marito mi prende in giro perché controllo ogni singola fermata della metro (cosa che ho intenzione di fare anche nei prossimi giorni). Ok, lo ammetto: sogno una replica del mini concerto improvvisato da Bono e The Edge alla fermata della U2 di Deutsche Oper nel dicembre del 2017… naturalmente al mio passaggio, in una qualsiasi stazione! D’altra parte, come dicono loro: ”…and you can dream, so dream out loud… – puoi sognare, quindi sogna con tutte le tue forze”.
Dal momento che desideriamo vedere la Porta di Brandeburgo, decidiamo di cercare un ristorante in quella zona. Durante il pomeriggio abbiamo notato una certa scarsità di ristoranti tipici, e un gran numero di ristoranti asiatici e italiani che, sinceramente, preferiremmo evitare, ma ci siamo detti che forse altrove la situazione sarebbe stata diversa… invece anche i dintorni del viale Unter den Linden, che conduce alla Porta di Brandeburgo, non sembrano offrirci niente di speciale. Stiamo quasi per convincerci a mangiare un piatto di lasagne pur di non saltare la cena, visto che già oggi abbiamo pranzato solo con un piccolo panino con wurstel, quando notiamo un’insegna che sembra promettere bene e, fiduciosi, entriamo. Non restiamo delusi: il Nante Eck è un tipico locale berlinese, con un menù tradizionale che propone anche dei piatti tipici della città. Prendiamo un tris di wurstel con patate e cetrioli e un goulasch accompagnato da un’insalata di cavolo deliziosa, e concludiamo con uno strudel con crema di vaniglia davvero buono; il tutto, naturalmente, innaffiato da un’ottima birra. Consigliamo vivamente questo ristorante (il prezzo è nella media).
Siccome i chilometri che oggi abbiamo percorso a piedi non ci sono bastati, torniamo un’altra volta alla Porta di Brandeburgo, da cui siamo già passati mentre cercavamo il ristorante. Anche questo era uno dei luoghi che desideravo vedere da tempo. Uno dei primi avvenimenti storico/politici che ricordo di avere seguito è la caduta del muro di Berlino, nel novembre del 1989, e nella mia mente rivedo le immagini della gente che vi si arrampica e si abbraccia. Spesso, la Porta era sullo sfondo di queste immagini (durante la divisione, era nel settore sovietico, e il muro le passava a pochi metri di distanza). Penso a come questi avvenimenti sembrino lontani, mentre in realtà sono trascorsi da pochissimo tempo, e all’emozione immensa che deve essere stata per gli abitanti della città potersi riabbracciare dopo 28 anni di separazione forzata. Mi tornano in mente anche altri avvenimenti legati al periodo della guerra fredda, studiati tanti anni fa, come le visite storiche di due presidenti statunitensi: il presidente Reagan che, nel 1987, in un discorso tenuto proprio di fronte alla Porta di Brandeburgo disse, rivolto a Gorbaciov: “abbattete questo muro!” e il presidente J. F. Kennedy, che nel 1963 pronunciò il famoso discorso: “Tutti gli uomini liberi, ovunque essi vivano, sono cittadini di Berlino, ed è per questo motivo che da uomo libero sono orgoglioso di dire: ich bin ein Berliner (sono un berlinese)”, con una folla di cittadini dell’Est radunata dal proprio lato del muro che cercava di avvicinarsi il più possibile al confine per poter ascoltare. Questo mi riporta alla mente anche un’altra occasione, di cui ho letto da qualche parte, in cui la gente di Berlino Est si è raccolta vicino al muro, proprio alla Porta di Brandeburgo, per ascoltare cosa avveniva al di là: era il 1987 quando, durante un concerto di David Bowie a Berlino Ovest di fronte al Reichstag (a pochi passi dalla Porta), grazie agli altoparlanti appositamente rivolti verso oriente la musica oltrepassò il confine, e gli abitanti del settore sovietico poterono ascoltare il concerto (fatto preso come spunto, secondo me, da Ken Follett per uno degli episodi conclusivi del suo romanzo “I giorni dell’eternità”). E, a proposito di concerto: il 5 novembre 2009, per festeggiare i 20 anni della caduta del muro, i miei 4 irlandesi preferiti si esibirono qui, davanti a 10.000 fortunati fan, trasformando la Porta di Brandeburgo in un palcoscenico luminoso e coloratissimo.
A questo punto potremmo anche tornare in hotel; ma, proprio qualche giorno fa, un amico ha postato su Facebook la foto di un monumento che ha attirato la mia attenzione: una gigantesca pila di libri, in ricordo del rogo in cui, nel 1933, i nazisti bruciarono 25.000 volumi ritenuti pericolosi. Il rogo avvenne in Bebel Platz, e il post diceva che il monumento è proprio lì; la piazza è qui vicino, su viale Unter Den Linden, e il monumento illuminato era davvero bello, e vorrei fare qualche foto… e così, ci rimettiamo in cammino; peccato che, giunti a destinazione, del monumento non ci sia traccia. Una veloce ricerca su Google, e scopriamo che era un’installazione provvisoria del 2006, fatta per i mondiali di calcio. Ci sarebbe un altro monumento, ipogeo, sempre in ricordo di questo avvenimento, qui in Bebel Platz: ma la piazza è per metà in ristrutturazione, e non riusciamo a vedere nemmeno questo. Pazienza.
Tornando verso la fermata della metro, in Friedrichstrasse passiamo accanto a una libreria che mi incuriosisce; il cartello indica che è aperta fino a mezzanotte… non posso non entrare a dare un’occhiata! Il negozio è immenso (occupa ben quattro piani dell’edificio) e offre, tra le altre cose, una sezione di libri in inglese, una sezione musicale, una dedicata al cinema, un cafè-ristorante e un favoloso reparto cancelleria (libreria Dussmann – das Kulturkaufhaus).
A questo punto decretiamo che la giornata è davvero terminata e torniamo alla base.
13 novembre
Il nuovo giorno ci accoglie con una pioggia intensa. Decidiamo quindi di iniziare la giornata al chiuso, con la visita al Museo del Checkpoint Charlie che è, ovviamente, a pochi passi dal sito del Checkpoint Charlie. In realtà, la guardiola con i sacchi accatastati davanti e il cartello in inglese, francese, tedesco e russo che avvisa: state lasciando il settore americano (o, dall’altro lato: state per entrare nel settore americano) sono una ricostruzione, e gli originali sono conservati all’Allierten Museum; ciò nonostante, è particolarmente emozionante trovarsi in quello che, per quasi trent’anni, è stato uno dei tre punti di accesso a Berlino Est, il punto di passaggio tra due mondi opposti: l’ovest e l’est, il capitalismo e il comunismo, la libertà e la sua negazione. Penso a tutti coloro che avrebbero voluto superare questo confine, e che non hanno potuto farlo. Penso a come doveva essere inquietante vederlo pattugliato dai soldati, e mi sembra di percepire ancora un po’ di quell’inquietudine, come se il timore, la paura, non avessero mai lasciato veramente questo luogo. Penso ai soldati stessi, a quelli che presidiavano questo e gli altri due check point e a quelli che controllavano il muro, e penso a qualche soldato della DDR che ha ignorato i fuggitivi, e a quelli che magari avrebbero voluto ignorarli ma non hanno potuto farlo. Penso alla surreale divisione di una città in due. Penso a tutto questo e a molto altro anche mentre acquistiamo i biglietti ed entriamo nel museo che, anche se a prima vista può sembrare un po’ caotico, ha un impatto enorme a livello emotivo. Sono esposti, tra le altre cose, oggetti personali (originali o ricostruzioni) di coloro che provarono a varcare il confine, spesso senza successo. E’ toccante vedere quali stratagemmi vennero ideati, e soprattutto considerare quali rischi erano disposte a correre le persone che provarono a seguire il loro sogno di libertà, e provo sollievo e gratitudine per essere nata in un posto che forse è non perfetto, ma che mi offre la libertà di fare ed essere ciò che preferisco. Resteremmo più a lungo a curiosare tra le stanze di questo museo, ma vogliamo scoprire anche altro di questa città nel poco tempo che abbiamo a disposizione, quindi usciamo e andiamo alla ricerca di una delle poche sezioni di muro che esistono ancora, in Niederkirchnerstrasse. Probabilmente a causa della pioggia e dell’aria fredda, il luogo è semideserto, ma non credo sia questo a farlo sembrare ancora più cupo e angosciante del Checkpoint Charlie. In quest’area, tra il 1933 e il 1945, sorgeva un complesso di edifici che comprendeva il quartier generale della Gestapo e il carcere in cui venivano torturati e uccisi gli oppositori, la direzione delle SS e l’ufficio centrale per la sicurezza del Reich. Gli edifici furono pesantemente danneggiati durante i bombardamenti alleati e vennero infine abbattuti, e oggi al loro posto c’è un grande spazio aperto. Vedere la sezione del muro fa già un certo effetto; ma scendere qualche gradino e arrivare, sotto di essa, ai resti delle celle della Gestapo mette i brividi. E’ come se tutto il male e l’orrore che la mente umana è in grado di concepire siano stati concentrati qui, su questi due strati di terreno, e fa davvero impressione. Il sito fa parte del museo Topographie des Terrors (topografia del terrore); il nome dice già tutto.
A questo punto torniamo, con la metro, alla Porta di Brandeburgo per visitarne i dintorni. Ieri sera la abbiamo solo ammirata dal lato di Pariser Platz, piazza che fu praticamente distrutta dai bombardamenti durante gli ultimi anni di guerra (rimase in piedi solo la Porta) e totalmente ricostruita dopo la riunificazione del 1990. E’ innegabile che attraversare la Porta sia emozionante: pensare che stiamo passando dove una volta c’era il muro, e la piazza non era altro che un’area di morte dietro ad esso, non lascia indifferenti. Pochi passi oltre la Porta e arriviamo al Reichstag, imponente edificio in stile classico, sede del parlamento tedesco (Bundestag) a partire dalla riunificazione. Anche questo edificio è stato notevolmente danneggiato durante la guerra, ed è rimasto quasi inutilizzato, nonostante fosse stato ristrutturato, per tutto il periodo di divisione della città, dato che il parlamento della BRD era a Bonn. L’elemento più spettacolare dell’edificio è la grande cupola in vetro che ne occupa la parte centrale. La piazza prospiciente al Reichstag è un grande spazio che in estate deve essere piacevole ma oggi, senza erba e con pozzanghere ovunque, non ci invoglia a fermarci oltre il tempo necessario per scattare qualche foto. Per dare continuità alla toccante visita alla Topographie du Terrors, ci incamminiamo verso il Memoriale all’Olocausto. Il luogo è già commovente per ciò che rappresenta, ma trovarsi in questa distesa di 2711 blocchi di cemento scuro è davvero spiazzante. I blocchi hanno tutti le medesime dimensioni, tranne che per l’altezza, che arriva fino a quattro metri, e sono disposti lungo stretti vialetti che si incrociano ad angolo retto su un terreno ondulato, rendendo diversa la vista del memoriale in relazione al punto da cui lo si osserva. Nonostante la pioggia, che è un po’ diminuita, restiamo a lungo a vagare, in silenzio, tra i vialetti.
Dal momento che ieri sera ne abbiamo percorso solo un pezzo, e per di più al buio, attraversiamo nuovamente la Porta di Brandeburgo e Pariser Platz per seguire il viale Unter den Linden, la cui parte centrale dovrebbe essere una piacevole passeggiata “sotto i tigli”, come dice il nome, ma in realtà è per buona parte occupata dal cantiere per la costruzione di una nuova fermata della U-bahn. Tutta la città, in effetti, ci ha dato l’impressione di essere un grande cantiere, che non è necessariamente una cosa negativa. Camminando lungo il viale, si oltrepassano edifici a volte belli, a volte famosi, a volte entrambe le cose: l’ambasciata russa, la sede centrale della biblioteca statale (Staatsbibliothek), la Humbold Universitat, la Staatsoper (teatro dell’opera)… Attraversiamo il fiume che attraversa Berlino, la Sprea, e raggiungiamo l’imponente Berliner Dom, grandiosa cattedrale in stile rinascimentale italiano che il regime comunista aveva pensato di abbattere (ma fortunatamente non lo ha fatto). Proseguiamo fino ad Alexanderplatz, una delle piazze più famose della capitale tedesca, e probabilmente la più grande. L’elemento più conosciuto della piazza è la torre della televisione (Fernsehturm) che, con i suoi 365 metri di altezza, è una delle strutture più alte d’Europa. Devastata durante la guerra, la piazza divenne il centro della parte orientale di Berlino e fu ricostruita con l’intenzione di competere con gli alti edifici del settore occidentale; lo stile sovietico delle costruzioni è ancora oggi evidente. Il tempo a nostra disposizione inizia a stringere, e la pioggia continua a non darci tregua; ma c’è ancora una cosa che vogliamo vedere, per chiudere questa giornata in parte dedicata alla guerra fredda. Il Memoriale del Muro di Berlino, in Bernauerstrasse, occupa un’area piuttosto vasta, e ci colpisce già mentre ci avviciniamo: una lunga fila di aste metalliche conficcate nel terreno, che seguono quello che era il percorso del Muro, e un bel prato verde, che occupa lo spazio della cosiddetta “striscia della morte”, una terra di nessuno tra il muro vero e proprio e una seconda barriera, più arretrata, all’interno del territorio orientale, che era costantemente controllata dai soldati che avevano l’ordine di sparare a chiunque tentasse di attraversarla. Si ha un’idea più precisa di come doveva essere in realtà quando si raggiunge, al termine del prato, una sezione delle due barriere e una torretta di guardia (originali). Attraverso il prato, lastre di metallo indicano i percorsi dei tunnel che vennero scavati dai berlinesi per cercare di raggiungere l’ovest (uno dei carrelli di legno utilizzati a questo scopo è esposto al Museo del Checkpoint Charlie). Completano il Memoriale un Centro di documentazione, la Finestra della Memoria, con le foto di coloro che persero la vita cercando di sconfinare, e la Cappella della Riconciliazione, edificata nel luogo in cui sorgeva la chiesa della Riconciliazione, fatta saltare in aria perché situata nella striscia della morte.
La scelta di costruire il memoriale proprio qui non è casuale: Bernauer Strasse è stata una delle vie più emblematiche della divisione della città, e scenario di molti tentativi di fuga. Alla costruzione del muro, molte abitazioni erano proprio sul confine; le case appartenevano al settore orientale, ma il marciapiede al di sotto delle loro finestre era già in quello occidentale. Inizialmente, molte persone cercarono di fuggire calandosi dalle finestre, motivo per cui queste vennero murate, e gli abitanti trasferiti. E’ superfluo dire che anche questo è un luogo che lascia il segno, che fa riflettere. Ma è arrivato il momento di lasciare da parte, almeno per qualche ora, le riflessioni sul passato: dopo una breve sosta in hotel, raggiungiamo la Mercedes – Benz Arena per il concerto che ci ha condotto in questa città. L’Arena è modernissima, e le misure di sicurezza sono più accurate rispetto a Milano; per fortuna ha finalmente smesso di piovere e non abbiamo necessità di portarci un ombrello. Il concerto è favoloso, due ore di musica e spettacolo che non dimenticheremo facilmente. La band ricorda il particolare legame che ha con questa città: dopo la caduta nel Muro, nel 1990, i quattro musicisti vennero qui per cercare ispirazione per un nuovo album… e arrivarono invece quasi al punto di sciogliere il gruppo; fortunatamente, quando tutto sembrava ormai alla fine, le note di quello che divenne uno dei loro maggiori successi apparvero come per magia, la stessa magia di questa sera quando cantiamo, tutti insieme, “One”.
14 novembre
Ormai ci restano poche ore in città, l’aereo parte nel pomeriggio, e abbiamo intenzione di sfruttarle al meglio. Raggiungiamo con la metropolitana il quartiere di Charlottenburg, uno dei più eleganti della città, per vedere l’omonimo castello (Schloss Charlottenburg). Costruito in stile barocco, il palazzo è davvero imponente (è il più grande di Berlino). Io non amo molto il barocco, però devo ammettere che questo castello è davvero notevole. Come in altre parti della città, davanti all’ingresso c’è un piccolo cantiere che sta allestendo le casette di legno per il mercatino di Natale… l’atmosfera in città promette di essere presto meravigliosa!
L’idea, adesso, è di riprendere la metro, scendere a Zoologischer Garten e attraversare il parco Tiergarten fino ad arrivare alla Porta di Brandeburgo, per poi tornare in hotel a recuperare i bagagli. Mentre ci guardiamo intorno, cartina alla mano, cercando di orientarci e trovare l’accesso al parco, vedo, proprio davanti a noi, l’hotel Waldorf Astoria. Ora, in due giorni che sono in città non ho mai preso neanche lontanamente in considerazione l’idea di appostarmi qui, e anche adesso, nonostante le transenne e i fans assiepati dietro ad esse, ho un attimo di esitazione; ma poi mi dico: forse non è un caso che siamo capitati qui; e quando mi ricapiterà l’occasione di incontrare la mia band preferita? Così ci uniamo alle persone in fila, ma non abbiamo fortuna: poco dopo ci viene detto che sono già partiti. E anche noi purtroppo abbiamo un aereo che ci aspetta…
Berlino ci è piaciuta. In genere, siamo abituati a vedere testimonianze storiche appartenenti a un passato lontano; qui, invece, la storia che viene raccontata è qualcosa di molto vicino, qualcosa che, spesso, anche se a distanza, abbiamo in qualche modo vissuto, ed è una sensazione molto particolare, disorientante. Sappiamo che la città ha molto altro da offrire, e che noi non ne abbiamo conosciuto che una piccola parte; sicuramente in futuro torneremo, dedicandole il tempo che merita.
Questo è, quindi, un arrivederci.