Missione Mozambico
Periodo.
Il viaggio si è svolto in appena 8 giorni effettivi, compresi fra il 20 ed il 27 agosto. In Mozambico, in questo periodo, è più o meno la fine dell’inverno, il che significa che di giorno ci sono circa 25°, di notte 10 di meno e che non ci sono particolari problemi con le piogge.
Voli e collegamenti.
Per raggiungere il Mozambico le soluzioni sono diverse. Tutte le principali compagnie collegano i rispettivi Paesi col vicino Sud Africa. TAP Portugal, invece, effettua voli direttamente fra Lisbona e Maputo, la capitale. Da lì, poi, è facile raggiungere Beira, la seconda città della nazione per importanza, tramite vettori interni fra cui è consigliabile, per i prezzi concorrenziali, AIR CORRIDOR. Le strade principali da me percorse sono in uno stato in fin dei conti accettabile, con asfalto e una sufficiente segnalazione orizzontale e verticale. La questione è però che le strade principali sono pochissime e non appena si decide di deviare dagli itinerari canonici, si finisce con il dover affrontare sterrati spesso molto accidentate. Ecco perché è assolutamente necessario, in questo caso, poter utilizzare un robusto mezzo fuoristrada 4X4. Valuta e costi.
La valuta locale è il Metical. Per fare 1€ ce ne vogliono circa 30, a seconda del momento. In media, gli stipendi locali si aggirano intorno ai 1.000-1.500 Meticais (cioè intorno a 40€…). Come tutti i Paesi del terzo mondo, il Mozambico è quindi di una povertà estrema: a ciò sono rapportati più o meno tutti i prezzi dei beni di prima necessità destinati più o meno a tutte le fasce di popolazione. Turismo. Il Mozambico è dotato di importanti bellezze naturali e di una storia abbastanza ricca, essendo stato fino a 32 anni fa la colonia portoghese di spicco sull’Oceano Indiano. Da un punto di vista paesaggistico, la costa è lunga quasi 2.500 chilometri ed offre dei luoghi incantevoli. Così come l’interno, con i suoi parchi in fase di riattivazione dopo il dramma della guerra intestina che ha dilaniato il Mozambico fino al 1992. Ma il mio viaggio, proprio perché concepito in un certo modo, non ha incluso nessuna di queste mete. Posso dire che all’aeroporto di Maputo, al ritorno, ho incontrato frotte di italiani che tornavano dai vari resort soddisfatti, abbronzati ed allegri come non mai. In pratica…Quasi come se provenissero da Milano Marittima o dalle Maldive. Indubbiamente, si può scegliere il Mozambico anche per andare fare snorkelling, prendere il sole e sperare di vedere i leoni dal vivo. Io non ho scelto il Mozambico: è lui che ha scelto me, dato che mia cugina è lì che si sta impegnando per tentare di dare un futuro ad un popolo che, a poche centinaia di chilometri dalle barriere coralline, letteralmente muore di AIDS e malaria, dopo essere almeno scampato alla fame…
ESMABAMA. ESMABAMA è il nome dell’associazione per cui Alessandra sta lavorando. E’ costituito da un acronimo che raggruppa le iniziali delle 4 missioni di Estaquinha, Machanga, Barada e Mangunde. La centrale è a Beira. In questi uffici è concentrata l’attività quotidiana di chi si occupa di coordinare la vita delle missioni, in tutto e per tutto, a partire dagli approvvigionamenti e dalla relativa logistica per arrivare all’amministrazione e alla burocrazia collegate alle tante persone che vi prestano la loro opera. L’ideatore di ESMABAMA è Padre Ottorino Poletto che, dopo una lunga esperienza in Ecuador, da 17 anni vive in Mozambico, si occupa in prima persona dei vari aspetti organizzativi e pratici che ne permettono la sopravvivenza. Il suo staff è formato da personale volontaristico (ma non solo) straniero e in maggior parte da “professionisti” locali, mozambicani cioè che grazie ad ESMABAMA hanno uno stipendio assicurato. L’obbiettivo primario dell’associazione è provare a fornire alle popolazioni rurali del Mozambico in primo luogo un’istruzione attraverso cui acquisire competenze da riversare nel futuro del Paese. In altre parole, in questa nazione (come d’altronde in quasi tutte le realtà africane) mancano totalmente i presupposti perché gli “indigeni” possano crescere culturalmente e, quindi, di riflesso far crescere la comunità. Ciò accade, nella migliore delle ipotesi (cioè quando non ci sono guerre…) perché le difficoltà quotidiane legate all’esistenza ordinaria sono talmente tante, ed impellenti, che tutto il “superfluo” viene sacrificato in nome della sopravvivenza. ESMABAMA, formando prima il personale docente e poi riversando il “sapere” sui giovani e giovanissimi proveniente dai villaggi e dalle foreste vicine alle missioni, è perciò in grado di rappresentare una speranza per un domani migliore e, sicuramente, più responsabile e consapevole. In una delle quattro missioni, precisamente a Mangunde (quella, oltretutto, peggio servita dal punto di vista della viabilità, essendo raggiungibile solo tramite una strada di 25 km tra pietraie e avvallamenti), esiste anche un vero e proprio ospedale che, nei pochi anni dai quali è attivo, è già diventato un punto di riferimento per la regione costituendo di fatto l’unico avamposto cui la popolazione può fare affidamento per ricevere le prime cure dei malati (anche se sarebbe più preciso definirli i “malati eletti”, dato che, spesso, chi ha la sfortuna di contrarre problemi di salute più o meno gravi, viene abbandonato dalla comunità di appartenenza che “deve” concentrare le sue attenzioni sui soggetti più forti secondo una sorta di principio di “selezione naturale” che a noi occidentali, nel 2007, mette i brividi addosso…). L’ospedale, inoltre, è capace di effettuare con tempestività i test per AIDS e malaria e attualmente vi prestano servizio due giovani medici austriaci. ESMABAMA è in grado di svolgere con grande efficienza il suo ruolo grazie all’organizzazione logistica che si è data. Oltre alla creazione di una sorta di “magazzino / stazione di rifornimento” posizionato in maniera baricentrica alle 4 missioni sulla strada principale che collega Beira e Maputo, ogni località è dotata di una sua specificità: ad esempio, Barada si occupa della produzione del Cocco e Mangunde è, come detto, il centro salutistico dell’Associazione e, allo stesso tempo, il gustosissimo pane cotto nei forni delle due viaggia quasi quotidianamente fra un centro e l’altro. Gli spostamenti sono garantiti da un continuo movimento di veicoli, ognuno dei quali è guidato esclusivamente da autisti incaricati ed esperti delle zone. Uno degli aspetti più curiosi è proprio legato alla mobilità sia degli operatori di ESMABAMA e dei volontari che dei vari ospiti: una fitta rete di fuoristrada è in perenne movimento per trasportare carburante, merce, cibo e, soprattutto, persone. A proposito di volontari e ospiti: mentre i primi prestano a vari livelli la loro opera nelle missioni, per periodi più o meno lunghi, gli ospiti in genere sono coloro che desiderano avere un primo approccio con l’Africa e con le associazioni umanitarie. E ‘ facilissimo, in questo modo, fare delle straordinarie conoscenze, come nel caso del “marciatore” angolano che sostiene di aver fatto a piedi il perimetro del Continente o del giovanissimo brasiliano che, con scarso successo (considerata anche la sua anomala “povertà” tecnica nonostante le nobili origini…) tenta da mesi di trasferire la sua scienza calcistica agli entusiasti ragazzi del posto, super dotati fisicamente ma tatticamente davvero “sprovveduti”… Chi dovesse decidere di voler vivere questa esperienza indimenticabile, può provare a contattare Padre Ottorino Poletto o qualche altro operatore di ESMABAMA. Una cosa è certa: ne vale la pena! Nel dettaglio delle Missioni ES.MA.BA.MA. Cioè Estaquinha, Machanga, Barada e Mangunde: il poker d’assi di missioni dell’Associazione, che prende il nome proprio dalle loro iniziali, calato sul tavolo del Mozambico, con l’intento di aiutare a migliorare il futuro del poverissimo Paese africano.
Per comprendere meglio una realtà per molti versi incredibile, è opportuno descriverla con un mini diario di viaggio: solo così si può capire quanto sia difficile, ma contemporaneamente di fondamentale importanza, l’azione di ESMABAMA.
Centrale La “centrale” dell’Associazione si trova a Beira, la seconda città del Mozambico, nota per il suo grande porto che si affaccia sull’Oceano Indiano. Beira è un centro molto vivace che abbiamo avuto la fortuna di visitare proprio il 20 agosto del 2007, cioè il giorno in cui festeggiava i suoi 100 di vita. Per la prima volta, ci hanno detto, sono stati sparati i fuochi d’artificio e le principali piazze sono state invase fino a tarda notte da una folla danzante di giovani e meno giovani. Vedendo tutte quelle persone con il sorriso stampato in viso, nonostante la precaria condizione generale, non si può che pensare che l’opulento mondo occidentale dovrebbe fare ogni cosa per permettere alla gente africana di vivere, crescere e prosperare nella sua terra: sembra assurdo, ma la soluzione ai tanti problemi legati all’immigrazione deregolamentata dei giorni nostri (con tutte le sue spesso drammatiche conseguenze) sarebbe a portata di mano se solo ci impegnasse ad investire, e non a sfruttare… Certo, siamo perfettamente consapevoli che poi tradurre concretamente un concetto così “banale” è ai limiti dell’impossibile, ma se ciò accade forse è solo perché fa comodo a tanti, troppi, lasciare le cose come stannone. Ma torniamo a ESMABAMA, che, come detto, a Beira ha la sua base operativa, costituita da una piccola palazzina dove si accalcano gli uffici, la cucina e le camere in cui vivono alcuni degli uomini e delle donne (locali e stranieri, professionisti e volontari) che ne permettono l’organizzazione. Tramite questo punto di riferimento l’Associazione dialoga con il mondo, grazie ad una modernissima connessione ad Internet che gli permette nel vero senso della parola di “lavorare a distanza”, in diretta. Ma non solo, ovviamente, dato che il fulcro dell’attività è legata alle quattro missioni dislocate nell’area centrale del Mozambico ed è da Beira che parte ogni specifica operativa capace di mantenerle in piena efficienza. La sede, poi, è anche il centro amministrativo di ESMABAMA e, sempre da Beira, partono i mezzi che, condotti da una squadra di esperti autisti locali, assicurano la mobilità logistica delle merci e delle persone fra i quattro terminali sul territorio. Gli spostamenti Guardando la cartina del Mozambico, gli spazi sono sì grandi ma non certo enormi se rapportati all’intero continente. Tutto si dilata, però, quando si tratta di percorrerli su strada. Basti fare questo esempio. Da Barada, la missione più vicina al mare, si vedono distintamente i palazzi di Beira, il che fa pensare ad una distanza di massimo 40-50 km il linea d’aria (o via mare). Ebbene, quando è chiuso il collegamento con il traghettino di attraversamento del fiume Buzi (da vedere il metodo con cui i marinai facilitano l’attracco: una serie di salti a poppa per innalzare la prua e permettere così la manovra), posizionato in mezzo ad un dedalo di sterrati abbastanza vicino a Esqtaquinha e Barada, è invece necessario percorrere oltre 400 km di strada in linea di massima buona, ma sulla quale ogni tanto si aprono buche paragonabili a crateri. Un paio di particolari possono essere utili per dare al concetto di traffico la sua giusta dimensione. Lungo la via principale, che è quella che congiunge il sud al nord del Mozambico in tutta la sua lunghezza, quando si incrociano due veicoli gli autisti entrano nel panico, cominciano a segnalare la propria presenza con fari e frecce e, nel momento del doppio transito, si buttano sulla destra come se se ci fossero pericoli a restare nella giusta posizione in carreggiata. La cosa si applica nelle strade secondarie non asfaltate anche quando l’ostacolo, o presunto tale, è una bicicletta o un pedone: in questo caso, però, allo strombazzare del mezzo a quattro ruote lanciato a piena velocità e senza la benché minima intenzione di frenare, risponde un autentico catapultarsi dei malcapitati nei campi circostanti, talvolta accompagnato da sorrisi e saluti (incredibile!) ma in qualche occasioni da impronunciabili improperi. Da sottolineare infine le rotatorie di Beira: i pur validi autisti di ESMABAMA vi entrano con una cautela che farebbe sorridere qualunque occidentale, visto che già la presenza di cinque o sei macchine può dare origine ad un ingorgo… Il fatto assume importanza traslando la situazione al nostro mondo. Ecco in pratica perché capita molte volte di vedere conducenti africani sulle strade italiane guidare con una prudenza ai limiti del timore: provate ad immaginarvi cosa significa passare da situazioni simili a quelle appena descritte al traffico del raccordo anulare di Roma, a quello della Milano – Venezia o al tratto Bologna – Firenze. Garantito: la comprensione e la pazienza nei loro confronti non possono che aumentare avendone viste in prima persona le origini. Le missioni Le missioni sono lo strumento attraverso cui ESMABAMA persegue i suoi obbiettivi. Che sono decisamente molto pratici e meno legati all’ideale, seppur, nobile, dell’ecumenizzazione da cui prendono spunto. Ben sapendo che il grande ed irrisolto problema dell’Africa è la povertà estrema che rende la sopravvivenza l’unico bene primario, l’Associazione è partita da lontano per tentare di creare i presupposti per un futuro più responsabile oltre che, auspicabilmente, migliore. Per anni, le stesse principali organizzazioni internazionali, avevano basato la loro solidarietà sull’invio di fondi e beni di consumo, con il risultato di vedere, il più delle volte dissolversi gli aiuti nel nulla o, peggio, nelle mani di chi vi ha lucrato sopra. ESMABAMA ha invece investito nella cultura, con un progetto a medio lungo termine che parte dalla scolarizzazione della popolazione: è solo in virtù della conoscenza e della capacità di rendersi indipendente che nasce la possibilità di evolversi, camminando con le proprie gambe per non dover più “dipendere” da terzi che, dietro alla facciata del buonismo, talvolta nascondono bieche velleità di “pseudo colonialismo”. Il lavoro dei docenti volontari sommato a quello dei nativi che mano mano che passa il tempo vengono “sfornati” dalle scuole di ESMABAMA, è in grado di soddisfare l’esigenza d’istruzione basilare per il progresso. Coprendo ormai tutto il ciclo di studi, l’Associazione assicura così alle popolazioni rurali le fondamenta per affrontare con più consapevolezza il confronto con il mondo che cambia e che pure in Africa, qualora venissero sciolti i tanti nodi che ne impediscono l’evoluzione, potrebbe essere fonte di sviluppo. Inoltre, ESMABAMA punta all’assistenza sanitaria, altra questione cruciale nella società mozambicana. Ogni missione è dotata di un ambulatorio di Primo Soccorso e a Mangunde è attivo un autentico ospedale ove è possibile sia curare di primo acchito varie patologie sia diagnosticarle, soprattutto quando queste si chiamano AIDS e malaria, cioè le due malattie che costituiscono la prima causa di morte (precoce, il più delle volte) in tutta l’Africa e non solo in Mozambico. A dare ulteriore “valore aggiunto” all’opera delle missioni sono poi le dimore dedicate ai visitatori, vere e proprie “pensioni” nelle quali gli ospiti importanti o meno che vi giungono per una moltitudine di motivi trovano una straordinaria accoglienza da parte del personale preposto, quasi sempre del luogo. Si fa presto perciò a comprendere come ESMABAMA assicuri in effetti un lavoro sicuro a centinaia di persone che, a loro volta, garantiscono l’efficienza dell’attività delle missioni dando ai giovani la possibilità di istruirsi. Estaquinha Facendo un ideale tour di 2.000 km alla scoperta delle missioni (nemmeno troppo ideale, poi, visto che noi l’abbiamo fatto in appena 4 giorni…), la prima tappa è a Estaquinha, posizionata a circa 150 km da Beira per l’itinerario già, descritto, quello cioè che prevede l’attraversamento del fiume Buzi. Il centro si presenta subito accogliente, circondato da coltivazioni e con caseggiati più che dignitosi. Una cosa ci ha colpito ad Estaquinha: l’atteggiamento dei ragazzi. Mentre i bambini si sono dimostrati curiosi ed entusiasti di salutarci, i più grandini hanno al contrario manifestato una certa riluttanza, come se fossero già consci della loro povera condizione senza troppe speranze nel futuro. Sarà stata solo un’impressione, ma Estaquinha ci ha lasciato questa sensazione… Machanga Machanga è la missione più a sud di ESMABAMA, costruita nell’omonimo paese subito a nord del fiume Save. Due sono i ricordi legati alla nostra visita. Il primo concerne la malcelata ostilità che un abitante del luogo ci ha espresso perché non ci eravamo presentati a lui. Questo episodio ci ha indotti a riflettere sul fatto che troppe volte noi pretendiamo che il mondo giri come noi lo vorremmo far girare, partendo dall’abitudine che tutto ci sia dovuto e che le nostre regole sono le uniche. Non è così. Anche se le case sono costruite in mattoni e vi arrivano le macchine, i villaggi africani vanno rispettati per quello che sono, degli agglomerati dove vive la gente del posto secondo le tradizioni di quel posto e non quelle che vorremmo “imporre” noi. Uscire dal recinto dell’ “isola felice” non significa poter fare secondo i propri comodi ciò che si vuole, anzi. Lo abbiamo capito ancor meglio il giorno successivo, facendo un’escursione nella vicina Mambone, ove ci siamo però recati con un accompagnatore locale (il responsabile della missione) che ci ha fatto comportare in modo molto più consono alle usanze del paese. Il secondo episodio è legato all’espressione di gioia con cui i giovani studenti hanno accolto sin dal primo momento i due volontari spagnoli che si sarebbero fermati lì un mese per insegnargli “qualcosa”… Già, perché è talmente tanta la “fame” di conoscenza che basta aver qualcosa da dire, comunicare o condividere per entrare subito in empatia e dare origine a momenti fantastici nei quali anche il “solo” cantare tutti insieme in una lingua diversa dal solito costituisce pura magia.
Barada Ad un certo punto del lungo trasferimento su strada bianca da Machanga, abbiamo pensato che non saremmo mai arrivati…Invece, quasi all’improvviso, con il sole calato ormai da ore, ecco apparire la piantagione di cocco che contraddistingue Barada, la missione ove è possibile trovare al suo interno addirittura un mini – bar gestito da un paio di ragazzi gentilissimi e soprattutto il forno divenuto una specie di “centro sociale”. A Barada è in via di completamento la costruzione di una serie di edifici che ospiteranno l’Università e che sostituiranno quelli devastati dal tifone di inizio 2007. Non bisogna infatti dimenticare che in Mozambico la stagione delle piogge spesso porta fenomeni atmosferici ben più deleteri rispetto a semplici precipitazioni e laddove il mare è praticamente a ridosso delle case i danni sono spesso gravissimi. Il mare: sì perché, come abbiamo anticipato, questa missione è praticamente sull’Oceano Indiano e, se si supera la paura di sgradevoli incontri con pesci di qualunque tipo, è possibile fare il bagno approfittando dell’immensa spiaggia che si stende a perdita d’occhio a poco più di mezz’ora di cammino da Barada. Un flash: ci ha colpito la prontezza e la capacità di apprendimento immediate dimostrati da un gruppetto di ragazzini che in pochi minuti hanno imparato ad usare la macchina fotografica digitale molto meglio di noi. Immaginate quindi che grandissimo potenziale di crescita e apprendimento! Mangunde Anche se sono solo 25 i km che collegano la strada nazionale da Mangunde, percorrerli significa fare un’esperienza di vita, dato il grado di sconnessione del sentiero che, a differenza degli altri sterrati, è continuamente scavato fra buche, avvallamenti, sassi e tornanti. Ora sembra che siano in corso lavori di ristrutturazione: considerato che alla fine dell’impossibile tragitto c’è forse il gioiello di ESMABAMA la cosa è più che mai auspicabile! Chiusa in mezzo a due fiumi (di cui uno, il “solito” Buzi, infestato da coccodrilli), la missione di Mangunde è una piccola città, organizzatissima oltre che dotata del già citato ospedale. Fiore all’occhiello è la chiesa dove la domenica vi è un piccolo “tour de force” di messe (ce ne sono per tutti i gusti, in portoghese, in dialetto locale, in lingua mista, ecc.) ma pure il campo sportivo lungo il quale si snodano il rettangolo del calcio e quello della pallavolo. Ancora una volta, i nostri “occhi occidentali” si sono meravigliati nel vedere frotte di ragazzi giocare, saltare e divertirsi mentre le ragazze si appartavano ben lontano a fare crocchio fra loro senza neppure provare ad avvicinarsi. Si tratta di quella sgradevole sensazione di assistere al “trionfo” del maschilismo, avvalorato per di più da alcuni racconti sulla poligamia e sulla “sottomissione” femminile. Tuttavia, anche in questo caso bisognerebbe tentare di svestirsi dai panni della nostra “impostazione civile”, non giudicando ciò che conosciamo poco e adeguandoci per quanto possibile agli usi locali… antonio